Pubblico e privato. 4

di
genere
dominazione

Sulla mia faccia




Pensava di aver chiuso con i giochi di due anni prima, col regista Leto. Con le sfide. Con le notti senza nome. Il suo segreto fatto di scatti improvvisi, video girati in ville anonime, amanti silenziosi e maschere sul volto, lo aveva riposto in un cassetto profondo. Lusingata che il regista l’avesse notata a un ricevimento e le avesse fatto la proposta indecente. Sì era fatta trascinare in un momento di fragilità sia per morbosa curiosità, sia per dimostrare che la sua bellezza non era sfiorita. Eccitata, bruciata, sottomessa.
Poi aveva detto basta. Aveva ricucito tutto con una pazienza feroce: la nonna premurosa, la presidentessa impeccabile, le commissioni etiche, la spiritualità. Un equilibrio ritrovato. “Una persona inappuntabile”, dicevano.
Poi era arrivato lui.
Nicola Greco. Calabrese. Giovane. Bruno, occhi neri, voce bassa e una virilità che non chiedeva permesso. Non parlava molto, ma guardava come se già ti avesse spogliata, leccata, fatta urlare.
Sandra aveva colto quel modo di fissarla. Non era soggezione. Era fame.
E poi… quel momento. Quella frase. Il riferimento velato al profumo, quello esplicito, brutale al video.
Aveva capito.
Lui sapeva.
E lei, invece di provare vergogna, aveva sentito una scarica salire dal ventre. Non paura. Desiderio. Non era finita, no. Quella parte di sé che credeva sepolta respirava ancora. Si stava stirando le membra. Pronta. Viva. Vogliosa.
Nicola l’aveva scovata. E ora la voleva. La voleva tutta. Senza freni, senza veli, senza morale.
Sulla scrivania, prima di uscire, Nicola trovò una busta anonima, lasciata sulla cartella clinica. Sigillata con un adesivo dorato. Nessun mittente.
Dentro: un paio di collant scuri, finissimi. Usati. Ancora caldi. L’odore era inconfondibile. Donna. Pelle. Umidità trattenuta per ore in stivaletti chiusi, il cavallo dei collant direttamente a contatto con la figa.
Li portò al naso. Inspirò. Lei Sandra era lì.
Un odore animale, vivo. Nulla di finto. Nessuna fragranza a coprire il succo vero. Figa. Sudore. Vita.
Un biglietto.
“Il profumo resta. Più del suono della voce.
E a volte guida meglio dello sguardo.
S.”
Nicola rimase seduto, i collant distesi sulle ginocchia nude, nella penombra della sua camera.
Li toccò. Li annusò ancora. Poi li sfiorò con la bocca. Il tessuto ancora caldo, imbevuto del suo odore: il sapore salmastro e dolce di una figa vissuta”
Prese il telefono. Scattò una foto. I collant sulle sue gambe.
Scrisse un primo messaggio:
“Il profumo era un’intuizione.
Ora è un marchio.
Non c’è angolo della mia mente che non sappia a chi appartiene questo odore.
Mi hai lasciato un concentrato di te.
Nessuno sguardo, nessuna voce racconta così bene ciò che sei.”
Lo rilesse. Era troppo pensato. Troppo pulito.
Lo cancellò.
E scrisse quello che sentiva, dritto, crudo, autentico:
“Li ho sfiorati con la bocca.
Avevano il sapore di una figa non lavata. Dei tuoi stanchi piedi sudati.
Non te li restituirò mai.”
Invio.
Poi un flusso di messaggi
—Sto leccando i tuoi collant. Sanno ancora di figa. Umida. La tua.
— Leccali più forte. Lì in mezzo. Dove ho strusciato la fessura tutto il giorno senza mutande. Non mi ero lavata. Ti piace così, vero?
— Mi piace pensare alla tua figa chiusa in quei jeans stretti, mentre cammini e goccioli.
— La figa mi pulsa. Sto leggendo nuda. Col dito dentro. Ma non mi tocco il clitoride. Voglio che lo faccia la tua lingua. O il tuo messaggio.
—Aprila. Spalanca le labbra e mostrale allo schermo. Voglio immaginarmi l’odore
— Allora sdraiati sul letto. Metti i miei collant sulla faccia. E immagina la figa che ti cavalca. Sudata. Piena. Che ti scopa la bocca fino a soffocarti.
— Fammi soffocare. Fammi morire col tuo sapore addosso.

scritto il
2025-07-18
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