Bocche fameliche. 2° parte
di
rotas2sator
genere
saffico
Seconda parte
Quando uscii dal locale, i miei tacchi inciampavano appena sull’asfalto caldo, ma il mio passo conservava una fierezza innata, nutrita dalla consapevolezza di ciò che avevo appena vissuto. Il vestito portava i segni del disordine: una spallina scivolata lungo il braccio, la stoffa increspata, i capelli scomposti e ancora intrisi di sudore. Il trucco era colato in parte: le labbra sbavate, il mascara fuso agli angoli degli occhi. Eppure… mi sentivo bellissima. Di quella bellezza sfrontata e stanca che appartiene solo a chi è stata presa, consumata, amata nella carne e nell’istinto.
La luce del giorno mi investì come un risveglio brusco, ma familiare. Il paese, con i suoi rumori sommessi, mi accolse senza fare domande. E io sorridevo. Un sorriso largo, sporco, pieno di qualcosa che non avevo più bisogno di nascondere.
«Ma guarda come sei ridotta!», esclamò Clara, raggiungendomi con passo svelto e occhi complici. «Tutta stropicciata... e felice, però.»
«Dove sei stata?» chiese Lucinda, la voce velata da una malizia curiosa.
Mi limitai a ridere, accennando un gesto vago con la mano. «Stasera vi racconto tutto, promesso. Ora però… guardate che meraviglia ho trovato per il mare!» Mi voltai, mostrando il nuovo costume. Il tessuto aderente e lucido accarezzava i fianchi e stringeva il seno in un abbraccio sfacciato.
Clara fischiò piano, sfiorandomi con un sorriso affamato. «Quel seno lì dentro ci starà stretto… e sarà una deliziosa tortura osservarlo, mentre cerca di liberarsi.»
Quella sera, il vino scorreva tra di noi come preludio. Le parole si facevano più liquide, più ardite. E quando Ginevra — io — raccontai, qualcosa si accese nell’aria. Clara si fece più vicina, le mani leggere ma decise scesero lungo le mie gambe nude, poi risalirono con lentezza voluttuosa, tracciando percorsi già scritti nel desiderio.
Mi sfiorò il collo, accostando le labbra all’orecchio con un sussurro che tremava di brama: «Da quanto ti vogliamo… lo immagini? Ogni volta che ti guardo penso alla tua figa umida e calda… a come sarebbe sentirti tremare mentre ti prendo.»
Lucinda si morse il labbro, lo sguardo feroce di desiderio: «Io invece sogno le tue mammelle piene, sentirti gemere quando te le succhio, infilare le dita tra le tue cosce, voglio affondarci la lingua e perdermi lì, dove sei più viva.»
Le guardai, incapace di nascondere il respiro affannato, gli occhi aperti come in una vertigine.
«E io che pensavo…» sussurrai, arrendendomi.
Clara mi spinse dolcemente i capelli dal viso. «No, tesoro, lo sogniamo da tempo. Legarti, possederti. Giocare col tuo corpo fino a farti perdere la testa.»
Lucinda ridacchiò, pizzicando il mio capezzolo attraverso la stoffa. «E stringere quel tuo culo rotondo finché non gridi il mio nome.»
Con un gesto deciso, Clara mi sfilò i sandali, liberando i piedi dal cuoio. Il calore della pelle emanava un profumo denso, un misto di sudore e cuoio. Un aroma intimo, quasi proibito, che la fece sospirare.
Lucinda si posizionò dietro di me, e le sue mani forti afferrarono i seni ormai gonfi, pizzicandoli, massaggiandoli, mentre Clara si inginocchiava tra le mie cosce, aprendo la strada con lentezza crudele. La sua bocca si posò sulle mie labbra inferiori, e iniziò a leccarmi con movimenti lenti, sapienti, che mi tolsero subito ogni forza. Le dita di Lucinda si insinuavano altrove, esplorando con precisione la mia apertura più segreta. La lingua di Clara mi faceva vibrare ogni nervo. Ogni tocco era un colpo di tamburo nella carne. Ero prigioniera di quelle bocche, delle loro mani, del ritmo crescente del piacere.
«Dimmi quanto ti piace…» sussurrò Clara, senza staccarsi dal mio sesso.
«Fa’ sentire quanto stai impazzendo per noi…» aggiunse Lucinda, mordendomi un capezzolo.
«La vostra lingua… il vostro odore…» ansimai. «Voglio tutto. Ogni angolo di voi. Riempitemi, usatemi…»
La lingua di Clara si fece più feroce, mentre le dita di Lucinda affondavano più a fondo. Il piacere era ovunque, un’onda che mi travolgeva senza tregua.
«Sei così bagnata…» sussurrò Clara, succhiando piano. «Ti lasci andare… come piace a noi.»
«Sì…» risposi tremando. «Sì, Clara… è troppo… è meraviglioso…»
Lucinda infilò la lingua nel mio anello posteriore, spalancandomi a un piacere sublime, conosciuto, ma sempre rinnovato. «Ora senti cosa vuol dire lasciarsi portare oltre…»
«Mmmh… Lucinda… è così… profondo…»
«I tuoi seni…» disse Clara, stringendoli, «sono una meraviglia. Li voglio tremanti tra le mani.»
Lucinda afferrò il capezzolo con forza, quasi con tenerezza selvaggia. «Lasciati andare, Ginevra… qui sei al sicuro. Sei nostra.»
In un fremito, mi chinai verso Lucinda. L’istinto mi guidava. Le labbra sfiorarono la pelle morbida delle sue cosce, salate di pelle e desiderio. L’odore era dolce e speziato, avvolgente. Mai avevo assaggiato una donna. Non così.
«È diverso…» sussurrai, sorpresa. «È… intenso…»
«Aspetta di scoprire cosa succede quando ti dimentichi di chi sei…» rise Clara, baciandomi la nuca.
Mi lasciai cullare da quella danza, quelle bocche che si alternavano, quei corpi intrecciati. Un vortice senza regole, dove ogni tocco diventava un grido sommesso. Il mondo fuori c’era ancora — il paese, le voci lontane — ma erano come un sottofondo. Il vero universo era lì, tra quelle gambe, tra quelle dita, tra quelle bocche fameliche che mi avevano voluta. E adesso… mi possedevano.
Quando uscii dal locale, i miei tacchi inciampavano appena sull’asfalto caldo, ma il mio passo conservava una fierezza innata, nutrita dalla consapevolezza di ciò che avevo appena vissuto. Il vestito portava i segni del disordine: una spallina scivolata lungo il braccio, la stoffa increspata, i capelli scomposti e ancora intrisi di sudore. Il trucco era colato in parte: le labbra sbavate, il mascara fuso agli angoli degli occhi. Eppure… mi sentivo bellissima. Di quella bellezza sfrontata e stanca che appartiene solo a chi è stata presa, consumata, amata nella carne e nell’istinto.
La luce del giorno mi investì come un risveglio brusco, ma familiare. Il paese, con i suoi rumori sommessi, mi accolse senza fare domande. E io sorridevo. Un sorriso largo, sporco, pieno di qualcosa che non avevo più bisogno di nascondere.
«Ma guarda come sei ridotta!», esclamò Clara, raggiungendomi con passo svelto e occhi complici. «Tutta stropicciata... e felice, però.»
«Dove sei stata?» chiese Lucinda, la voce velata da una malizia curiosa.
Mi limitai a ridere, accennando un gesto vago con la mano. «Stasera vi racconto tutto, promesso. Ora però… guardate che meraviglia ho trovato per il mare!» Mi voltai, mostrando il nuovo costume. Il tessuto aderente e lucido accarezzava i fianchi e stringeva il seno in un abbraccio sfacciato.
Clara fischiò piano, sfiorandomi con un sorriso affamato. «Quel seno lì dentro ci starà stretto… e sarà una deliziosa tortura osservarlo, mentre cerca di liberarsi.»
Quella sera, il vino scorreva tra di noi come preludio. Le parole si facevano più liquide, più ardite. E quando Ginevra — io — raccontai, qualcosa si accese nell’aria. Clara si fece più vicina, le mani leggere ma decise scesero lungo le mie gambe nude, poi risalirono con lentezza voluttuosa, tracciando percorsi già scritti nel desiderio.
Mi sfiorò il collo, accostando le labbra all’orecchio con un sussurro che tremava di brama: «Da quanto ti vogliamo… lo immagini? Ogni volta che ti guardo penso alla tua figa umida e calda… a come sarebbe sentirti tremare mentre ti prendo.»
Lucinda si morse il labbro, lo sguardo feroce di desiderio: «Io invece sogno le tue mammelle piene, sentirti gemere quando te le succhio, infilare le dita tra le tue cosce, voglio affondarci la lingua e perdermi lì, dove sei più viva.»
Le guardai, incapace di nascondere il respiro affannato, gli occhi aperti come in una vertigine.
«E io che pensavo…» sussurrai, arrendendomi.
Clara mi spinse dolcemente i capelli dal viso. «No, tesoro, lo sogniamo da tempo. Legarti, possederti. Giocare col tuo corpo fino a farti perdere la testa.»
Lucinda ridacchiò, pizzicando il mio capezzolo attraverso la stoffa. «E stringere quel tuo culo rotondo finché non gridi il mio nome.»
Con un gesto deciso, Clara mi sfilò i sandali, liberando i piedi dal cuoio. Il calore della pelle emanava un profumo denso, un misto di sudore e cuoio. Un aroma intimo, quasi proibito, che la fece sospirare.
Lucinda si posizionò dietro di me, e le sue mani forti afferrarono i seni ormai gonfi, pizzicandoli, massaggiandoli, mentre Clara si inginocchiava tra le mie cosce, aprendo la strada con lentezza crudele. La sua bocca si posò sulle mie labbra inferiori, e iniziò a leccarmi con movimenti lenti, sapienti, che mi tolsero subito ogni forza. Le dita di Lucinda si insinuavano altrove, esplorando con precisione la mia apertura più segreta. La lingua di Clara mi faceva vibrare ogni nervo. Ogni tocco era un colpo di tamburo nella carne. Ero prigioniera di quelle bocche, delle loro mani, del ritmo crescente del piacere.
«Dimmi quanto ti piace…» sussurrò Clara, senza staccarsi dal mio sesso.
«Fa’ sentire quanto stai impazzendo per noi…» aggiunse Lucinda, mordendomi un capezzolo.
«La vostra lingua… il vostro odore…» ansimai. «Voglio tutto. Ogni angolo di voi. Riempitemi, usatemi…»
La lingua di Clara si fece più feroce, mentre le dita di Lucinda affondavano più a fondo. Il piacere era ovunque, un’onda che mi travolgeva senza tregua.
«Sei così bagnata…» sussurrò Clara, succhiando piano. «Ti lasci andare… come piace a noi.»
«Sì…» risposi tremando. «Sì, Clara… è troppo… è meraviglioso…»
Lucinda infilò la lingua nel mio anello posteriore, spalancandomi a un piacere sublime, conosciuto, ma sempre rinnovato. «Ora senti cosa vuol dire lasciarsi portare oltre…»
«Mmmh… Lucinda… è così… profondo…»
«I tuoi seni…» disse Clara, stringendoli, «sono una meraviglia. Li voglio tremanti tra le mani.»
Lucinda afferrò il capezzolo con forza, quasi con tenerezza selvaggia. «Lasciati andare, Ginevra… qui sei al sicuro. Sei nostra.»
In un fremito, mi chinai verso Lucinda. L’istinto mi guidava. Le labbra sfiorarono la pelle morbida delle sue cosce, salate di pelle e desiderio. L’odore era dolce e speziato, avvolgente. Mai avevo assaggiato una donna. Non così.
«È diverso…» sussurrai, sorpresa. «È… intenso…»
«Aspetta di scoprire cosa succede quando ti dimentichi di chi sei…» rise Clara, baciandomi la nuca.
Mi lasciai cullare da quella danza, quelle bocche che si alternavano, quei corpi intrecciati. Un vortice senza regole, dove ogni tocco diventava un grido sommesso. Il mondo fuori c’era ancora — il paese, le voci lontane — ma erano come un sottofondo. Il vero universo era lì, tra quelle gambe, tra quelle dita, tra quelle bocche fameliche che mi avevano voluta. E adesso… mi possedevano.
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