Il party del matrimonio
di
Yuko
genere
corna
La cerimonia si è svolta senza sorprese, come atteso, e ora siamo tutti naufragati nella zona aperitivo a buffet.
Mi godo il panorama di giovani donne che, più che i loro vestiti, sfoggiano i loro corpi giovani e sodi.
Sì, anche i vestiti, ma solo nella misura in cui non vestono, mostrando quello che un vestito, al contrario, dovrebbe celare.
Le gonne non sono particolarmente mini, ma certi spacchi risucchiano lo sguardo lungo le cosce fino a chiedersi se quel poco buio sotto l'inguine sia dovuto all'assenza di luce piuttosto che all'assenza di mutandine. E il quesito per ora resta in un indefinibile alone di mistero.
Molto meno misteriose, anzi decisamente esplicite, sono invece le tette. Doverosamente in vista.
C'è chi dà mostra di una bella schiena a fronte di un piccolo seno castigato, chi, invece, un po' più robusta, ha avvolto il petto in un tessuto sottilissimo che sembra solo tatuato sulla pelle e che delinea alla perfezione la rotondità che ne risulta esaltata, con tanto di capezzoli ben pronunciati.
È evidente che nessuna ha minimamente pensato di portare il reggiseno, se non altro per il caldo che minaccia afa fino a tarda sera.
Il cotone rispecchia fedelmente i profili delle belle mele, piene e generose. Rischio di sbattere contro un cameriere, rapita dalla visione.
"Oops, mi scusi..."
"Ma le pare?" Risponde educatamente l'uomo in giacca bianca e papillon nero.
Spero che al lavoratore almeno non sia dispiaciuto il contatto approfondito della mano che reggeva il vassoio contro la mia tetta destra. Visto che di questo stiamo parlando.
Proseguo la mia ispezione sul campionario di corpi femminili con una giovane rivestita da un tubino sufficientemente largo al petto da permettere a magnifiche pere di ostentare due prodigiosi capezzoli a punta in su e di ondeggiare in modo accattivante a ogni minimo movimento del busto. Cosa che la ragazza non manca di fare assai sovente. Non posso evitare di immaginare la carezza continua del tessuto su quei capezzoli visibilmente eccitati. Mi rendo conto che il mio apparato genitale sta apprezzando, e mi concedo un altro succo di frutta, visto il concreto rischio di disidratazione e di gocciolare per terra.
Un'altra ha un vestitino che le areole le lambisce soltanto coprendole veramente di poco. Praticamente ha i seni al vento.
Ma ho lasciato per ultimo un vero capolavoro di ingegneria tessile, che veste molto bene un'altra giovane con qualcosa che è parecchio meno di un vestito. La parte superiore è costituita da due minime coppe unite al centro da un nodo in miniatura che copre molto poco il seno se non nelle sue porzioni laterali. Sterno e tette sono palesi su una scollatura che arriva all'ombelico.
Non ci trovo nulla di male a sentirmi terribilmente eccitata. Sono bisex, non una statua di marmo.
Io, invece, sono esageratamente casta col mio vestito color albicocca con scarpine tacco alto da cui cerco grottescamente di non precipitare. Non sono abituata, e si vede.
Vesto una gonna corta molto più aperta davanti, ma rivestita da un raso lungo che attenua l'impatto. Sopra sono a spalle nude. La mia scollatura non è però affatto male; se mi piego in avanti garantisce un'ampia ricompensa a chiunque voglia introdurre lo sguardo. Molte donne sono più giovani di me, ma le mie fattezze orientali mi rendono unica, con i capelli in un acconciatura che richiama vagamente quelle dell'antico Giappone, la nuca libera e un'impagabile freschezza al collo.
I ragazzi, pure, non sono male, ma mi arrapano meno. I più eleganti sono esageratamente intonacati e a disagio. Altri vogliono solo ostentare muscoli e abbronzature e, avvolti in nubi androgeniche, non fanno per me.
Molto meglio i camerieri, che sono più eleganti nella loro naturalezza e in fondo, in questo caldo eccessivo, soffrono, lavorando, senza darlo per nulla a vedere.
Al banco dei cocktail mi lascio tentare dal mio primo spritz della giornata, godendomi la scena del cameriere che, appena mi sono piegata in avanti, ha affondato lo sguardo, abbondantemente incoraggiato.
Una carrellata sulle tette che ho percepito più intensamente di una carezza e che ho apprezzato quanto lui.
Con i camerieri mi piace di più fare un po' la porca.
Gli invitati ci provano fin troppo palesemente e vogliono pucciare il biscotto. Ma a me non va neanche troppo, e poi sono con il mio compagno.
Ah già. Ma che fine ha fatto il mio fidanzato?
Quando mi giro a cercarlo lo trovo circondato da un capannello di ragazze che proprio gli stanno appiccicate.
Cazzo.
Chissà quanto alcool ha già filtrato e lo vedo che svetta in mezzo a una schiera di damigelle in adorante contemplazione.
Lui, olandese, alto e biondo, ben abbronzato e atletico.
Uno stereotipo.
Mi avvicino con uno sguardo un po' accigliato per verificare.
Lui mi vede e alza il calice verso di me.
"Sayonara!" mi fa, suscitando uno scoppio di risate da parte della sua platea.
"Jos, sei già sbronzo?" Cerco di gelarlo.
Ma quello fa spallucce, abbraccia una di quelle troiette dalla figa stretta e si allontana.
Eh no! Va bene rifarsi lo sguardo, lo sto facendo anch'io, ma quello sta già usando le mani. E non sopporto che mi manchi di rispetto.
Un paio di ragazze hanno capito la situazione e si allontanano, ma Jos resta avvolto da qualche altra scemetta.
“Jos!” lo richiamo.
“Ah zia! Goditi l'aperitivo.” Risponde lui.
'Zia'?
Lo inseguo per dargli uno scossone e riportarlo nelle regole, ma nella fretta metto male un piede e inciampo. Dannati tacchi, proprio non ce la faccio. Qualcuna ride, Jos scuote la testa e dirige il suo harem verso il banco delle mozzarelle.
Io resto lì, incazzata nera, serrando pugni e mandibole, tradita e inviperita.
'Giuro che me la paghi, stronzo' dico tra me e me. Ma non posso più inseguirlo, ho appena fatto una figura da scema e scadrei nel ridicolo. Se poi cado ancora dai tacchi è veramente la fine.
Mi giro e vado dalla parte opposta, dirigendomi verso il banco degli spritz dove il cameriere che ho inabissato nella mia scollatura mi guarda un po' preoccupato.
Deve aver assistito alla scena e quando mi avvicino al suo banco, prima ancora di chiedere, mi prepara altro fluido arancione e, molto educatamente, me lo porge senza dire nulla, ma con uno sguardo carico di incoraggiamento e comprensione.
Lo guardo dritto negli occhi e mi sciolgo i capelli da questa acconciatura che, di colpo, mi sembra ridicola; scuoto i capelli, liberi sulle spalle nude e lo apostrofo: “hai voglia di farti un giro con me?” gli tendo la mano, piegando un po' il capo di lato.
Quello, imbarazzato, si guarda intorno. Ma altri assetati arrivano ad assediare l'area cocktail e, con espressione disperata, allarga le braccia e si arrende: “Lei è davvero gentile, signorina. Mi pentirò per sempre dell'occasione perduta, ma proprio... non posso.”
Capisco la situazione. Gli faccio un breve inchino per ringraziarlo e mi allontano con la fresca bevanda in mano.
Non so dove andare. A parte la sposa e un paio di colleghi di lavoro non conosco nessuno.
Giro alla ricerca di un bel manzo da rimorchiare, ma vorrei evitare gli invitati.
I camerieri sono troppo indaffarati anche se alcuni sono proprio carini.
Mi metto allora a visitare la villa per passare poi al giardino. Ho improvvisamente voglia di stare da sola e lo spritz, ormai il secondo, mi sta flagellando la testa e alleggerendo i pensieri.
Da alcuni vialetti di ghiaia ben ordinati supero una piscina e, in vista del parcheggio, incontro un paio di operai che trasportano casse di vivande. Uno si allontana con un cartone pieno di piatti. Deve essere molto pesante, ma quello è giovane e sembra farcela senza problemi.
Resto attratta dal secondo: un uomo sulla mezza età, alto, eppure un po' piegato sulla schiena.
Se alla sua età deve ancora lavorare di fatica non deve essere messo benissimo, eppure ha un atteggiamento fiero. Un elegante pizzetto e due baffi sale e pepe evidenziano una certa ricercatezza nella cura del sé. Non è un cameriere, non ha una divisa da lavoro e veste abiti semplici. Un paio di jeans e una camicia bianca aperta al secondo bottone. Un petto forte, capelli neri, ondulati, in cui qualche ciuffo grigio denota una maturità rassicurante.
Mi vede, ma subito abbassa lo sguardo, intento al suo lavoro.
Solo un breve sguardo apparentemente incuriosito. Probabilmente perchè sono l'unica della festa che proviene da un altro continente.
Ma niente di più.
Nè quell'espressione provocante e compiaciuta di chi vede in te solo un potenziale involucro in cui scaricare sperma, né quello sguardo da seduttore mescolato a un'elevata autostima che sfiora le vette dell'Olimpo e mira principalmente a reclutare adorazione fine a sé stessa.
Insomma, una rara persona normale.
È un uomo così quello che mi interessa di più, almeno in questo momento, ma forse anche in ogni momento della mia vita. Un'inconsueta normalità di essere umano di sesso maschile.
A un uomo così, adesso, vorrei concedermi.
Lo seguo con lo sguardo mentre trasporta un cartone di piatti che sembra molto pesante. Barcolla sotto il peso, poveretto.
“Serve una mano?” gli vado incontro.
Lui si ferma e mi guarda stupito. Un'invitata che offre aiuto a uno che lavora?
“No, no. Grazie” e procede verso una ripida scalinata su cui si arresta. Il peso deve essere notevole.
Gli corro incontro, ma inciampo ancora sui tacchi e cado al suolo con una smorfia di dolore.
Lui se ne accorge e subito appoggia il suo carico e corre in mio aiuto.
“Tutto bene, signorina?”
“Mmmm... sì. Mi sa che mi sono rotta una calza.” Mi rialzo incerta sui tacchi.
“Si è fatta male?”
“No” mento io. La caviglia duole se la muovo. Fottuti tacchi.
“Volevo darle una mano e invece alla fine è lei che l'ha data a me. Scusi, sono una imbranata sui tacchi.”
Lui sorride, un po' confuso. Sembra che voglia dire qualcosa, ma poi ci ripensa, riprende il suo carico e affronta la scalinata.
Io resto lì mentre lui scompare.
Dopo qualche minuto in cui ho ricominciato a godermi la frescura, ricompaiono i due manovali. Scendono la scalinata, vanno al parcheggio verso un furgoncino e ritornano con altri due cartoni.
Stavolta sto immobile e zitta, ma quando, dopo poco, vedo ritornare solo l'uomo più anziano, gli rivolgo ancora la parola: “Ha ancora molti cartoni da trasportare?”
“No, se dio vuole quello era l'ultimo.” E si ripulisce le mani come a enfatizzare la fine dell'incarico.
“Ha finito per oggi?” Insisto io accennando un'espressione di delusione.
“Eh no, magari. Solo un attimo di pausa, poi devo portare i dessert alla cucina.”
“E il suo collega?” Proseguo io, mentre mi sta venendo un'idea.
“Lui resta su a sistemare i tavoli.” L'uomo fa per accomiatarsi.
“Aspetti!”
Lui mi guarda incuriosito. Io non so come proseguire, sono incerta.
“Senta, è da molto che fa questo lavoro?” Mi accorgo che sto affrontando argomenti futili.
Ma lui la prende bene. Mi guarda e sorride.
'Finalmente mi ha notata' dico fra me e me. Lui deve aver capito che voglio fare due chiacchiere e forse non ha di meglio da fare in questa pausa. O forse avrebbe di meglio, ma è molto gentile.
Ecco, devo convincerlo che sarà molto meglio fare quello che sto costruendo nella mia mente.
“È un lavoro occasionale, per la verità. Sto aiutando un amico che mi ha chiesto una mano.”
“Il signore giovane di prima?” Chiedo, e scopro di aver fatto una gaffe.
Lui se ne accorge e incassa con un lieve inchino.
“Mi scusi, non so bene l'italiano. Anche lei è giovane, ovviamente.” Continuo a mentire, ma spero di essere convincente. In fondo sono giapponese, almeno alla vista, e questo è fuori discussione.
“Non si preoccupi, lui è realmente più giovane.” Sembra voler andarsene, ma poi si ferma incuriosito, forse dal mio distacco nei confronti del party, o forse dal mio aspetto fisico.
“Non si diverte alla festa?” E col mento accenna verso i giardini, più in alto, da cui arriva musica a gogò.
“Mmmm” faccio una smorfia. “il mio ragazzo probabilmente molto più di me.”
“Ah, è fidanzata?” Trapela uno sguardo deluso. Ho fatto un errore e devo rimediare in qualche modo.
Faccio spallucce e mi avvicino a lui. “Le piace questo lavoro?” Cambio argomento sperando di dare un segnale forte.
Ora è lui che alza le spalle. “È un lavoro come un altro e in realtà non è il mio di lavoro, sto solo dando una mano.”
“Ah sì, me lo aveva già detto, mi scusi.”
Lui ancora sorride, un sorriso mesto, da cane bastonato. Questa persona ha qualcosa che mi piace. Non è necessariamente il fisico, che comunque trovo attraente. È un uomo posato, che dà sicurezza, che protegge, e forse che ha bisogno di affetto e dalla vita ha preso già chissà quanti calcioni in faccia.
"Be' lo saprà molto bene che nel vostro mestiere dovete accontentare il cliente in ogni sua richiesta, no?"
"Ma, veramente io sto solo dando una mano a un..." ripete lui, ma poi alza lo sguardo e incrocia il mio, mentre lo guardo sorridente. Lui si blocca e non capisce.
Io gli allungo una mano.
Lui osserva la mano tesa e il mio volto e mi guarda con un'espressione di sofferta incomprensione.
"Mi accompagna a fare una passeggiata?"
Lui d'istinto mi prende la mano. Una presa decisa, eppure con un non so che di delicatezza e di rispetto, ma poi resta interdetto.
Ok, prendo io la decisione.
Mi giro verso il boschetto, tenendo la sua mano fra le mie, il suo braccio sinistro sotto il mio, le sue dita sul morbido del mio seno.
"Andiamo a esplorare" dico, mentre lui tace e mi segue, stretto al mio fianco.
Ci inoltriamo oltre alcuni cespugli di azalee finché arriviamo a una radura in cui, all'ombra di una magnolia, stanno due auto; non so bene come siano arrivate fino a qui in cerca di un parcheggio in ombra.
Per oltre un minuto abbiamo camminato in silenzio, mentre in me l'eccitazione cresceva, con la sua mano che io tenevo in stretto contatto col mio seno.
"Sa?", riprendo la parola, "quando sono caduta mi sono smagliata una calza."
Lui tace.
"Guardi qui" insisto io, sollevando un po la gonna e mostrandogli effettivamente una smagliatura circa a metà coscia, sul davanti. Lui guarda, ma proprio non capisce. Si avvicina, ma non succede nulla.
Sollevo di più la gonna, spostando il velo trasparente. Lui tocca appena la calza, come per verificare la variazione di consistenza del tessuto.
Io al solo contatto delle sue dita sulla coscia, mi sento bagnare tutta, talmente sono eccitata.
Ma poi nulla.
'Minchia che imbranato!' Penso. Quello non prende alcuna iniziativa.
O è gay, o è un inetto totale, oppure sono io che proprio non gli piaccio affatto.
"Per favore, mi aiuti, la prego", non so veramente più cosa fare, "mi controlla se ho altre smagliature? " e, così facendo, mi giro volgendogli la schiena, mi piego sul cofano di una Audi e sollevo tutta la gonna fino alle mutandine.
Lui osserva attentamente tutta la superficie delle mie cosce.
Possibile che non capisca? Non dice nulla e il tempo passa.
Cazzo, sono messa a pecora sul cofano di un auto, il sedere per aria mentre mi sono sollevata tutta la gonna. Più esplicita di così?
Intuisco il suo sguardo, lo sento che mi esplora.
"Secondo lei, ho un bel culo?" provo a dare una accelerata.
Finalmente lui emette un segnale di assenso. " Be', non è affatto male."
"Tutto qui?" Io, delusa.
"No, dai, è un gran bel culo, se posso permettermi "
"Ma la prego. Mi abbassi pure le calze, così lo vede meglio."
Lui obbedisce. Sento che armeggia sull'elastico. Mi sento morire, sono così fradicia che di sicuro sentirà il mio odore. Percepisco l'aria fresca sul sedere. Le mie calze si abbassano offrendo la visione del mio sedere, solo poco coperto da mutandine molto piccole.
Mi sento osservata. Cosa starà facendo?
Mi volto e lo vedo ipnotizzato dalle mie chiappe. Il pacco si è ingrossato sotto ai suoi calzoni, lo vedo bene.
"Ma senti, proprio non ti piaccio?"
"Ma no, signorina, lei è veramente bellissima."
"Davvero non capisci?"
"Capire che cosa?"
"Non vuoi scoparmi?"
E con una mano mi sposto le mutandine di lato mostrandogli la figa in tutta la sua umidità.
Quello esita. Comincio a spazientirmi.
Mi alzo, mi giro, lo affronto; gli slaccio i pantaloni e gli tiro giù le mutande.
Una bella verga rimbalza fuori all'improvviso. Era ora! Cominciavo a preoccuparmi.
Mi rimetto di schiena, mi sdraio sul cofano, di ventre, gambe aperte, sollevo con una mano la gonna e sposto gli slip.
"Dai, vienimi dentro, lì prende freddo."
Aspetto e finalmente me lo sento contro le cosce. Qualcosa sta succedendo. Io gli prendo l'uccello in mano e me lo indirizzo nella vulva. Lui spinge e finalmente è dentro di me.
Oh! In fondo era poi veramente così difficile?
Sono così bagnata che già al primo colpo mi entra dentro fino in fondo.
Lui comincia a muoversi avanti e indietro e io a sospirare soddisfatta.
Voglio proprio fargli sentire che sto godendo.
Lui spinge bene, lentamente, ma profondamente, mi apre, mi percorre, mi dilata. E ogni volta il suo pube si schianta sul mio sedere, con passione, con gusto, contro il mio culo morbido.
Sento poi che esce.
Già finito?
Mi giro e lo interrogo con lo sguardo.
"Eh! Se permetti, visto che hai davvero un culo stupendo, mentre ti scopo vorrei vederlo meglio che posso."
Nulla da eccepire. Finalmente prende una iniziativa.
Mi cala le mutandine fino al ginocchio e mi guarda per bene il culo.
"Puoi anche toccare, ok?"
Lui tocca, tasta, pizzica, prende a piene mani. Mi allarga le chiappe per vedere il mio buchetto. Mi accarezza e percepisco anche un dito che mi entra dentro, facendomi trasalire di piacere. Ma non mi sembra il caso di dargli già il culo alla prima esperienza. Manco so come si chiama. Sto per confessargli questa mia remora, ma lui mi anticipa. Sfila il suo dito dal mio culetto e se lo mette in bocca. Poi mi piega per bene sul cofano e si accinge a riprendere a scoparmi.
"Aspetta" mi sfilo calze e mutande da una gamba e mi sbarazzo dei tacchi.
Ora posso aprire bene le cosce e fargli vedere la mia figa da dietro.
Lui dirige l'uccello ed ecco che è dentro di me, ancora.
Viene avanti e indietro finché non mi prende per i capelli e a ogni sua spinta mi tira contro di sé.
Io inizio a godere come una porca e glielo faccio capire.
Gemo, ansimo e con una mano me lo tiro contro.
"Toccami le tette" lo imploro.
Lui si ferma, con la verga tutta dentro di me, e inizia ad armeggiare sul tessuto. Poi si stufa. Allunga le mani sul mio petto, mi abbassa di scatto il vestito e, tenendomi per le tette ricomincia a sbattermi.
La Audi si muove a ogni colpo. Ottime sospensioni.
Lui mi strizza i capezzoli e con una spinta più profonda mi manda in orgasmo.
Ululo e gemo, mentre lui mi sbatte più forte. Sento il rumore contro le mie chiappe e quello della Audi e dopo poche urla soffocate mi lascio andare.
Lui ancora resiste, anzi esce da me.
Mi alza e mi gira. Io con le tette al vento, sudata e arrossata in volto, i capelli appiccicati sulla fronte.
Mi sdraia di nuovo sul cofano, stavolta di schiena. Mi abbassa di più il vestito. Le mie tette sono completamente all'aria. I miei capezzoli scuri sono duri e contratti.
Mi alza la gonna. La mia figa è sotto ai suoi occhi, il mio pelo, le mie cosce.
Mi prende le gambe, le alza, le allarga. Ecco: sono con le cosce per aria; lui mi tiene per le caviglie, mi apre. La mia passera si dilatata. Lui si avvicina, mi dà una bella leccata al clitoride.
Ci sa fare veramente.
Poi si prende l'uccello in mano me lo passa sulla vulva, sfiorandomi due o tre volte il bocciolo, strappandomi nuovi gemiti. Poi mi penetra, entra ancora, lentamente. Una cosa che mi fa impazzire. Entra ed esce, mentre comincio a emettere schiuma fra le gambe, talmente sono eccitata. Sento il liquido uscire dalla vulva e colarmi sulle cosce, mentre lui continua a spingere, tenendomi con le cosce aperte, afferrata saldamente per le caviglie.
Le tette mi ballano a ogni spinta, io sospiro e gemo, come un lamento che a ogni colpo si rinnova.
E vederlo mentre mi scopa mi eccita ancora di più. I suoi peli che toccano i miei, le mie cosce aperte tenute nelle sue mani.
Mi sta facendo impazzire. Con una mano comincio ad accarezzarmi il clitoride mentre lui continua a scoparmi. La mia eccitazione cresce finché vedo che il ritmo rallenta. Lui dà ancora due affondi, più profondi e infine esplode dentro di me.
Sento il liquido caldo che si diffonde al mio interno e questo mi stimola ancora di più.
Vengo anch'io, mentre lo sento dentro, piena, espansa, riempita dal suo uccello e dal suo sperma. Mi contraggo e urlo. Stringo la figa sul suo cazzo che ancora entra ed esce da me, spremendomi gli ultimi urli soffocati, mentre lui, infine, si adagia sul mio corpo, il suo volto tra le mie tette, il cazzo ancora profondamente imprigionato nella mia figa.
Restiamo così, uno dentro l'altra, uno sopra l'altra, finchè sento il suo uccello scivolare fuori dal mio ventre. Sul cofano dell'Audi una bella sborrata mescolata con le mie secrezioni vaginali.
Molto bene. E ora?
Ci rivestiamo rapidamente, soprattutto io che sono praticamente nuda.
Chissà se qualcuno ci ha visti?
È il caso di farmi rivedere alla festa, manco da un po': la cena sta infatti per iniziare.
Jos è già al tavolo con i colleghi del mio posto di lavoro. Deve aver già congedato le puttanelle.
“Dove sei stata fino adesso?”
“A farmi i cazzi miei, va bene?” Rispondo io con un sorriso forzato. Più sincera di così non potrei essere. In una coppia l'importante è la chiarezza.
Lui tace e abbassa lo sguardo, ma non mi intenerisce.
“E tu? Hai inseminato?”
L'olandese contrae la mandibola e continua a tacere.
La cena passa rapidamente tra una portata e l'altra e forse bevo anche un po' troppo vino. E già non lo reggo anche se ne bevo poco.
Nessuna traccia dell'uomo cui mi sono concessa con passione e tanto gusto. Mi chiedo se riuscirò a ritrovarlo.
Passo le formalità di taglio della torta con annesso brindisi. Mi strafogo al buffet dei dolci e mi concedo anche un assaggio di moscato, poi ne ho pieni i coglioni e me ne voglio andare.
Saluto sposi e pochi conoscenti e mi congedo dallo stallone.
“Me ne vado a casa. Tu fai quel cazzo che vuoi.” W mi dirigo verso il parcheggio. Tanto le chiavi dell'auto le ho io.
“Scusa, ma non andiamo via insieme?” Risponde il tulipano dal pistillo ipertrofico, un po' seccato.
“No. Io vado a casa, tu arrangiati.”
“E come faccio a ritornare senza auto?”
“Non lo so e non me ne frega niente. Chiedi a qualcuna delle tue troiette, ma se stanotte non ti vedo, non ne farò una tragedia.” E me ne vado.
“Peggio per te, Yuko!” Risponde quello, tradito nel suo orgoglio.
“Non credo proprio.” La discussione è chiusa.
Vado al parcheggio, non c'è ancora nessuno che si è mosso dal party. Ma poi mi viene un'intuizione.
Riattraverso il boschetto orientandomi con la poca luce lunare e ritrovo la radura dove stava l'Audi.
Un uomo sta in piedi, proprio nel punto in cui mi sono concessa. Una camicia bianca.
Mi avvicino. È piegato verso il cofano, proprio dove stavo sdraiata poco fa, con le gambe aperte e per aria. Deve essere lui!
Sembra che cerchi di annusare, o che ne so? Forse leccare?
Esco dall'ombra e mi avvicino. Lui mi vede. I nostri visi sembrano illuminati dalla luce della luna che accentua le ombre e dà risalto alla mia pelle chiara.
Lui resta immobile, non dice nulla.
Lentamente inizio a spogliarmi davanti ai suoi occhi.
Mi godo il panorama di giovani donne che, più che i loro vestiti, sfoggiano i loro corpi giovani e sodi.
Sì, anche i vestiti, ma solo nella misura in cui non vestono, mostrando quello che un vestito, al contrario, dovrebbe celare.
Le gonne non sono particolarmente mini, ma certi spacchi risucchiano lo sguardo lungo le cosce fino a chiedersi se quel poco buio sotto l'inguine sia dovuto all'assenza di luce piuttosto che all'assenza di mutandine. E il quesito per ora resta in un indefinibile alone di mistero.
Molto meno misteriose, anzi decisamente esplicite, sono invece le tette. Doverosamente in vista.
C'è chi dà mostra di una bella schiena a fronte di un piccolo seno castigato, chi, invece, un po' più robusta, ha avvolto il petto in un tessuto sottilissimo che sembra solo tatuato sulla pelle e che delinea alla perfezione la rotondità che ne risulta esaltata, con tanto di capezzoli ben pronunciati.
È evidente che nessuna ha minimamente pensato di portare il reggiseno, se non altro per il caldo che minaccia afa fino a tarda sera.
Il cotone rispecchia fedelmente i profili delle belle mele, piene e generose. Rischio di sbattere contro un cameriere, rapita dalla visione.
"Oops, mi scusi..."
"Ma le pare?" Risponde educatamente l'uomo in giacca bianca e papillon nero.
Spero che al lavoratore almeno non sia dispiaciuto il contatto approfondito della mano che reggeva il vassoio contro la mia tetta destra. Visto che di questo stiamo parlando.
Proseguo la mia ispezione sul campionario di corpi femminili con una giovane rivestita da un tubino sufficientemente largo al petto da permettere a magnifiche pere di ostentare due prodigiosi capezzoli a punta in su e di ondeggiare in modo accattivante a ogni minimo movimento del busto. Cosa che la ragazza non manca di fare assai sovente. Non posso evitare di immaginare la carezza continua del tessuto su quei capezzoli visibilmente eccitati. Mi rendo conto che il mio apparato genitale sta apprezzando, e mi concedo un altro succo di frutta, visto il concreto rischio di disidratazione e di gocciolare per terra.
Un'altra ha un vestitino che le areole le lambisce soltanto coprendole veramente di poco. Praticamente ha i seni al vento.
Ma ho lasciato per ultimo un vero capolavoro di ingegneria tessile, che veste molto bene un'altra giovane con qualcosa che è parecchio meno di un vestito. La parte superiore è costituita da due minime coppe unite al centro da un nodo in miniatura che copre molto poco il seno se non nelle sue porzioni laterali. Sterno e tette sono palesi su una scollatura che arriva all'ombelico.
Non ci trovo nulla di male a sentirmi terribilmente eccitata. Sono bisex, non una statua di marmo.
Io, invece, sono esageratamente casta col mio vestito color albicocca con scarpine tacco alto da cui cerco grottescamente di non precipitare. Non sono abituata, e si vede.
Vesto una gonna corta molto più aperta davanti, ma rivestita da un raso lungo che attenua l'impatto. Sopra sono a spalle nude. La mia scollatura non è però affatto male; se mi piego in avanti garantisce un'ampia ricompensa a chiunque voglia introdurre lo sguardo. Molte donne sono più giovani di me, ma le mie fattezze orientali mi rendono unica, con i capelli in un acconciatura che richiama vagamente quelle dell'antico Giappone, la nuca libera e un'impagabile freschezza al collo.
I ragazzi, pure, non sono male, ma mi arrapano meno. I più eleganti sono esageratamente intonacati e a disagio. Altri vogliono solo ostentare muscoli e abbronzature e, avvolti in nubi androgeniche, non fanno per me.
Molto meglio i camerieri, che sono più eleganti nella loro naturalezza e in fondo, in questo caldo eccessivo, soffrono, lavorando, senza darlo per nulla a vedere.
Al banco dei cocktail mi lascio tentare dal mio primo spritz della giornata, godendomi la scena del cameriere che, appena mi sono piegata in avanti, ha affondato lo sguardo, abbondantemente incoraggiato.
Una carrellata sulle tette che ho percepito più intensamente di una carezza e che ho apprezzato quanto lui.
Con i camerieri mi piace di più fare un po' la porca.
Gli invitati ci provano fin troppo palesemente e vogliono pucciare il biscotto. Ma a me non va neanche troppo, e poi sono con il mio compagno.
Ah già. Ma che fine ha fatto il mio fidanzato?
Quando mi giro a cercarlo lo trovo circondato da un capannello di ragazze che proprio gli stanno appiccicate.
Cazzo.
Chissà quanto alcool ha già filtrato e lo vedo che svetta in mezzo a una schiera di damigelle in adorante contemplazione.
Lui, olandese, alto e biondo, ben abbronzato e atletico.
Uno stereotipo.
Mi avvicino con uno sguardo un po' accigliato per verificare.
Lui mi vede e alza il calice verso di me.
"Sayonara!" mi fa, suscitando uno scoppio di risate da parte della sua platea.
"Jos, sei già sbronzo?" Cerco di gelarlo.
Ma quello fa spallucce, abbraccia una di quelle troiette dalla figa stretta e si allontana.
Eh no! Va bene rifarsi lo sguardo, lo sto facendo anch'io, ma quello sta già usando le mani. E non sopporto che mi manchi di rispetto.
Un paio di ragazze hanno capito la situazione e si allontanano, ma Jos resta avvolto da qualche altra scemetta.
“Jos!” lo richiamo.
“Ah zia! Goditi l'aperitivo.” Risponde lui.
'Zia'?
Lo inseguo per dargli uno scossone e riportarlo nelle regole, ma nella fretta metto male un piede e inciampo. Dannati tacchi, proprio non ce la faccio. Qualcuna ride, Jos scuote la testa e dirige il suo harem verso il banco delle mozzarelle.
Io resto lì, incazzata nera, serrando pugni e mandibole, tradita e inviperita.
'Giuro che me la paghi, stronzo' dico tra me e me. Ma non posso più inseguirlo, ho appena fatto una figura da scema e scadrei nel ridicolo. Se poi cado ancora dai tacchi è veramente la fine.
Mi giro e vado dalla parte opposta, dirigendomi verso il banco degli spritz dove il cameriere che ho inabissato nella mia scollatura mi guarda un po' preoccupato.
Deve aver assistito alla scena e quando mi avvicino al suo banco, prima ancora di chiedere, mi prepara altro fluido arancione e, molto educatamente, me lo porge senza dire nulla, ma con uno sguardo carico di incoraggiamento e comprensione.
Lo guardo dritto negli occhi e mi sciolgo i capelli da questa acconciatura che, di colpo, mi sembra ridicola; scuoto i capelli, liberi sulle spalle nude e lo apostrofo: “hai voglia di farti un giro con me?” gli tendo la mano, piegando un po' il capo di lato.
Quello, imbarazzato, si guarda intorno. Ma altri assetati arrivano ad assediare l'area cocktail e, con espressione disperata, allarga le braccia e si arrende: “Lei è davvero gentile, signorina. Mi pentirò per sempre dell'occasione perduta, ma proprio... non posso.”
Capisco la situazione. Gli faccio un breve inchino per ringraziarlo e mi allontano con la fresca bevanda in mano.
Non so dove andare. A parte la sposa e un paio di colleghi di lavoro non conosco nessuno.
Giro alla ricerca di un bel manzo da rimorchiare, ma vorrei evitare gli invitati.
I camerieri sono troppo indaffarati anche se alcuni sono proprio carini.
Mi metto allora a visitare la villa per passare poi al giardino. Ho improvvisamente voglia di stare da sola e lo spritz, ormai il secondo, mi sta flagellando la testa e alleggerendo i pensieri.
Da alcuni vialetti di ghiaia ben ordinati supero una piscina e, in vista del parcheggio, incontro un paio di operai che trasportano casse di vivande. Uno si allontana con un cartone pieno di piatti. Deve essere molto pesante, ma quello è giovane e sembra farcela senza problemi.
Resto attratta dal secondo: un uomo sulla mezza età, alto, eppure un po' piegato sulla schiena.
Se alla sua età deve ancora lavorare di fatica non deve essere messo benissimo, eppure ha un atteggiamento fiero. Un elegante pizzetto e due baffi sale e pepe evidenziano una certa ricercatezza nella cura del sé. Non è un cameriere, non ha una divisa da lavoro e veste abiti semplici. Un paio di jeans e una camicia bianca aperta al secondo bottone. Un petto forte, capelli neri, ondulati, in cui qualche ciuffo grigio denota una maturità rassicurante.
Mi vede, ma subito abbassa lo sguardo, intento al suo lavoro.
Solo un breve sguardo apparentemente incuriosito. Probabilmente perchè sono l'unica della festa che proviene da un altro continente.
Ma niente di più.
Nè quell'espressione provocante e compiaciuta di chi vede in te solo un potenziale involucro in cui scaricare sperma, né quello sguardo da seduttore mescolato a un'elevata autostima che sfiora le vette dell'Olimpo e mira principalmente a reclutare adorazione fine a sé stessa.
Insomma, una rara persona normale.
È un uomo così quello che mi interessa di più, almeno in questo momento, ma forse anche in ogni momento della mia vita. Un'inconsueta normalità di essere umano di sesso maschile.
A un uomo così, adesso, vorrei concedermi.
Lo seguo con lo sguardo mentre trasporta un cartone di piatti che sembra molto pesante. Barcolla sotto il peso, poveretto.
“Serve una mano?” gli vado incontro.
Lui si ferma e mi guarda stupito. Un'invitata che offre aiuto a uno che lavora?
“No, no. Grazie” e procede verso una ripida scalinata su cui si arresta. Il peso deve essere notevole.
Gli corro incontro, ma inciampo ancora sui tacchi e cado al suolo con una smorfia di dolore.
Lui se ne accorge e subito appoggia il suo carico e corre in mio aiuto.
“Tutto bene, signorina?”
“Mmmm... sì. Mi sa che mi sono rotta una calza.” Mi rialzo incerta sui tacchi.
“Si è fatta male?”
“No” mento io. La caviglia duole se la muovo. Fottuti tacchi.
“Volevo darle una mano e invece alla fine è lei che l'ha data a me. Scusi, sono una imbranata sui tacchi.”
Lui sorride, un po' confuso. Sembra che voglia dire qualcosa, ma poi ci ripensa, riprende il suo carico e affronta la scalinata.
Io resto lì mentre lui scompare.
Dopo qualche minuto in cui ho ricominciato a godermi la frescura, ricompaiono i due manovali. Scendono la scalinata, vanno al parcheggio verso un furgoncino e ritornano con altri due cartoni.
Stavolta sto immobile e zitta, ma quando, dopo poco, vedo ritornare solo l'uomo più anziano, gli rivolgo ancora la parola: “Ha ancora molti cartoni da trasportare?”
“No, se dio vuole quello era l'ultimo.” E si ripulisce le mani come a enfatizzare la fine dell'incarico.
“Ha finito per oggi?” Insisto io accennando un'espressione di delusione.
“Eh no, magari. Solo un attimo di pausa, poi devo portare i dessert alla cucina.”
“E il suo collega?” Proseguo io, mentre mi sta venendo un'idea.
“Lui resta su a sistemare i tavoli.” L'uomo fa per accomiatarsi.
“Aspetti!”
Lui mi guarda incuriosito. Io non so come proseguire, sono incerta.
“Senta, è da molto che fa questo lavoro?” Mi accorgo che sto affrontando argomenti futili.
Ma lui la prende bene. Mi guarda e sorride.
'Finalmente mi ha notata' dico fra me e me. Lui deve aver capito che voglio fare due chiacchiere e forse non ha di meglio da fare in questa pausa. O forse avrebbe di meglio, ma è molto gentile.
Ecco, devo convincerlo che sarà molto meglio fare quello che sto costruendo nella mia mente.
“È un lavoro occasionale, per la verità. Sto aiutando un amico che mi ha chiesto una mano.”
“Il signore giovane di prima?” Chiedo, e scopro di aver fatto una gaffe.
Lui se ne accorge e incassa con un lieve inchino.
“Mi scusi, non so bene l'italiano. Anche lei è giovane, ovviamente.” Continuo a mentire, ma spero di essere convincente. In fondo sono giapponese, almeno alla vista, e questo è fuori discussione.
“Non si preoccupi, lui è realmente più giovane.” Sembra voler andarsene, ma poi si ferma incuriosito, forse dal mio distacco nei confronti del party, o forse dal mio aspetto fisico.
“Non si diverte alla festa?” E col mento accenna verso i giardini, più in alto, da cui arriva musica a gogò.
“Mmmm” faccio una smorfia. “il mio ragazzo probabilmente molto più di me.”
“Ah, è fidanzata?” Trapela uno sguardo deluso. Ho fatto un errore e devo rimediare in qualche modo.
Faccio spallucce e mi avvicino a lui. “Le piace questo lavoro?” Cambio argomento sperando di dare un segnale forte.
Ora è lui che alza le spalle. “È un lavoro come un altro e in realtà non è il mio di lavoro, sto solo dando una mano.”
“Ah sì, me lo aveva già detto, mi scusi.”
Lui ancora sorride, un sorriso mesto, da cane bastonato. Questa persona ha qualcosa che mi piace. Non è necessariamente il fisico, che comunque trovo attraente. È un uomo posato, che dà sicurezza, che protegge, e forse che ha bisogno di affetto e dalla vita ha preso già chissà quanti calcioni in faccia.
"Be' lo saprà molto bene che nel vostro mestiere dovete accontentare il cliente in ogni sua richiesta, no?"
"Ma, veramente io sto solo dando una mano a un..." ripete lui, ma poi alza lo sguardo e incrocia il mio, mentre lo guardo sorridente. Lui si blocca e non capisce.
Io gli allungo una mano.
Lui osserva la mano tesa e il mio volto e mi guarda con un'espressione di sofferta incomprensione.
"Mi accompagna a fare una passeggiata?"
Lui d'istinto mi prende la mano. Una presa decisa, eppure con un non so che di delicatezza e di rispetto, ma poi resta interdetto.
Ok, prendo io la decisione.
Mi giro verso il boschetto, tenendo la sua mano fra le mie, il suo braccio sinistro sotto il mio, le sue dita sul morbido del mio seno.
"Andiamo a esplorare" dico, mentre lui tace e mi segue, stretto al mio fianco.
Ci inoltriamo oltre alcuni cespugli di azalee finché arriviamo a una radura in cui, all'ombra di una magnolia, stanno due auto; non so bene come siano arrivate fino a qui in cerca di un parcheggio in ombra.
Per oltre un minuto abbiamo camminato in silenzio, mentre in me l'eccitazione cresceva, con la sua mano che io tenevo in stretto contatto col mio seno.
"Sa?", riprendo la parola, "quando sono caduta mi sono smagliata una calza."
Lui tace.
"Guardi qui" insisto io, sollevando un po la gonna e mostrandogli effettivamente una smagliatura circa a metà coscia, sul davanti. Lui guarda, ma proprio non capisce. Si avvicina, ma non succede nulla.
Sollevo di più la gonna, spostando il velo trasparente. Lui tocca appena la calza, come per verificare la variazione di consistenza del tessuto.
Io al solo contatto delle sue dita sulla coscia, mi sento bagnare tutta, talmente sono eccitata.
Ma poi nulla.
'Minchia che imbranato!' Penso. Quello non prende alcuna iniziativa.
O è gay, o è un inetto totale, oppure sono io che proprio non gli piaccio affatto.
"Per favore, mi aiuti, la prego", non so veramente più cosa fare, "mi controlla se ho altre smagliature? " e, così facendo, mi giro volgendogli la schiena, mi piego sul cofano di una Audi e sollevo tutta la gonna fino alle mutandine.
Lui osserva attentamente tutta la superficie delle mie cosce.
Possibile che non capisca? Non dice nulla e il tempo passa.
Cazzo, sono messa a pecora sul cofano di un auto, il sedere per aria mentre mi sono sollevata tutta la gonna. Più esplicita di così?
Intuisco il suo sguardo, lo sento che mi esplora.
"Secondo lei, ho un bel culo?" provo a dare una accelerata.
Finalmente lui emette un segnale di assenso. " Be', non è affatto male."
"Tutto qui?" Io, delusa.
"No, dai, è un gran bel culo, se posso permettermi "
"Ma la prego. Mi abbassi pure le calze, così lo vede meglio."
Lui obbedisce. Sento che armeggia sull'elastico. Mi sento morire, sono così fradicia che di sicuro sentirà il mio odore. Percepisco l'aria fresca sul sedere. Le mie calze si abbassano offrendo la visione del mio sedere, solo poco coperto da mutandine molto piccole.
Mi sento osservata. Cosa starà facendo?
Mi volto e lo vedo ipnotizzato dalle mie chiappe. Il pacco si è ingrossato sotto ai suoi calzoni, lo vedo bene.
"Ma senti, proprio non ti piaccio?"
"Ma no, signorina, lei è veramente bellissima."
"Davvero non capisci?"
"Capire che cosa?"
"Non vuoi scoparmi?"
E con una mano mi sposto le mutandine di lato mostrandogli la figa in tutta la sua umidità.
Quello esita. Comincio a spazientirmi.
Mi alzo, mi giro, lo affronto; gli slaccio i pantaloni e gli tiro giù le mutande.
Una bella verga rimbalza fuori all'improvviso. Era ora! Cominciavo a preoccuparmi.
Mi rimetto di schiena, mi sdraio sul cofano, di ventre, gambe aperte, sollevo con una mano la gonna e sposto gli slip.
"Dai, vienimi dentro, lì prende freddo."
Aspetto e finalmente me lo sento contro le cosce. Qualcosa sta succedendo. Io gli prendo l'uccello in mano e me lo indirizzo nella vulva. Lui spinge e finalmente è dentro di me.
Oh! In fondo era poi veramente così difficile?
Sono così bagnata che già al primo colpo mi entra dentro fino in fondo.
Lui comincia a muoversi avanti e indietro e io a sospirare soddisfatta.
Voglio proprio fargli sentire che sto godendo.
Lui spinge bene, lentamente, ma profondamente, mi apre, mi percorre, mi dilata. E ogni volta il suo pube si schianta sul mio sedere, con passione, con gusto, contro il mio culo morbido.
Sento poi che esce.
Già finito?
Mi giro e lo interrogo con lo sguardo.
"Eh! Se permetti, visto che hai davvero un culo stupendo, mentre ti scopo vorrei vederlo meglio che posso."
Nulla da eccepire. Finalmente prende una iniziativa.
Mi cala le mutandine fino al ginocchio e mi guarda per bene il culo.
"Puoi anche toccare, ok?"
Lui tocca, tasta, pizzica, prende a piene mani. Mi allarga le chiappe per vedere il mio buchetto. Mi accarezza e percepisco anche un dito che mi entra dentro, facendomi trasalire di piacere. Ma non mi sembra il caso di dargli già il culo alla prima esperienza. Manco so come si chiama. Sto per confessargli questa mia remora, ma lui mi anticipa. Sfila il suo dito dal mio culetto e se lo mette in bocca. Poi mi piega per bene sul cofano e si accinge a riprendere a scoparmi.
"Aspetta" mi sfilo calze e mutande da una gamba e mi sbarazzo dei tacchi.
Ora posso aprire bene le cosce e fargli vedere la mia figa da dietro.
Lui dirige l'uccello ed ecco che è dentro di me, ancora.
Viene avanti e indietro finché non mi prende per i capelli e a ogni sua spinta mi tira contro di sé.
Io inizio a godere come una porca e glielo faccio capire.
Gemo, ansimo e con una mano me lo tiro contro.
"Toccami le tette" lo imploro.
Lui si ferma, con la verga tutta dentro di me, e inizia ad armeggiare sul tessuto. Poi si stufa. Allunga le mani sul mio petto, mi abbassa di scatto il vestito e, tenendomi per le tette ricomincia a sbattermi.
La Audi si muove a ogni colpo. Ottime sospensioni.
Lui mi strizza i capezzoli e con una spinta più profonda mi manda in orgasmo.
Ululo e gemo, mentre lui mi sbatte più forte. Sento il rumore contro le mie chiappe e quello della Audi e dopo poche urla soffocate mi lascio andare.
Lui ancora resiste, anzi esce da me.
Mi alza e mi gira. Io con le tette al vento, sudata e arrossata in volto, i capelli appiccicati sulla fronte.
Mi sdraia di nuovo sul cofano, stavolta di schiena. Mi abbassa di più il vestito. Le mie tette sono completamente all'aria. I miei capezzoli scuri sono duri e contratti.
Mi alza la gonna. La mia figa è sotto ai suoi occhi, il mio pelo, le mie cosce.
Mi prende le gambe, le alza, le allarga. Ecco: sono con le cosce per aria; lui mi tiene per le caviglie, mi apre. La mia passera si dilatata. Lui si avvicina, mi dà una bella leccata al clitoride.
Ci sa fare veramente.
Poi si prende l'uccello in mano me lo passa sulla vulva, sfiorandomi due o tre volte il bocciolo, strappandomi nuovi gemiti. Poi mi penetra, entra ancora, lentamente. Una cosa che mi fa impazzire. Entra ed esce, mentre comincio a emettere schiuma fra le gambe, talmente sono eccitata. Sento il liquido uscire dalla vulva e colarmi sulle cosce, mentre lui continua a spingere, tenendomi con le cosce aperte, afferrata saldamente per le caviglie.
Le tette mi ballano a ogni spinta, io sospiro e gemo, come un lamento che a ogni colpo si rinnova.
E vederlo mentre mi scopa mi eccita ancora di più. I suoi peli che toccano i miei, le mie cosce aperte tenute nelle sue mani.
Mi sta facendo impazzire. Con una mano comincio ad accarezzarmi il clitoride mentre lui continua a scoparmi. La mia eccitazione cresce finché vedo che il ritmo rallenta. Lui dà ancora due affondi, più profondi e infine esplode dentro di me.
Sento il liquido caldo che si diffonde al mio interno e questo mi stimola ancora di più.
Vengo anch'io, mentre lo sento dentro, piena, espansa, riempita dal suo uccello e dal suo sperma. Mi contraggo e urlo. Stringo la figa sul suo cazzo che ancora entra ed esce da me, spremendomi gli ultimi urli soffocati, mentre lui, infine, si adagia sul mio corpo, il suo volto tra le mie tette, il cazzo ancora profondamente imprigionato nella mia figa.
Restiamo così, uno dentro l'altra, uno sopra l'altra, finchè sento il suo uccello scivolare fuori dal mio ventre. Sul cofano dell'Audi una bella sborrata mescolata con le mie secrezioni vaginali.
Molto bene. E ora?
Ci rivestiamo rapidamente, soprattutto io che sono praticamente nuda.
Chissà se qualcuno ci ha visti?
È il caso di farmi rivedere alla festa, manco da un po': la cena sta infatti per iniziare.
Jos è già al tavolo con i colleghi del mio posto di lavoro. Deve aver già congedato le puttanelle.
“Dove sei stata fino adesso?”
“A farmi i cazzi miei, va bene?” Rispondo io con un sorriso forzato. Più sincera di così non potrei essere. In una coppia l'importante è la chiarezza.
Lui tace e abbassa lo sguardo, ma non mi intenerisce.
“E tu? Hai inseminato?”
L'olandese contrae la mandibola e continua a tacere.
La cena passa rapidamente tra una portata e l'altra e forse bevo anche un po' troppo vino. E già non lo reggo anche se ne bevo poco.
Nessuna traccia dell'uomo cui mi sono concessa con passione e tanto gusto. Mi chiedo se riuscirò a ritrovarlo.
Passo le formalità di taglio della torta con annesso brindisi. Mi strafogo al buffet dei dolci e mi concedo anche un assaggio di moscato, poi ne ho pieni i coglioni e me ne voglio andare.
Saluto sposi e pochi conoscenti e mi congedo dallo stallone.
“Me ne vado a casa. Tu fai quel cazzo che vuoi.” W mi dirigo verso il parcheggio. Tanto le chiavi dell'auto le ho io.
“Scusa, ma non andiamo via insieme?” Risponde il tulipano dal pistillo ipertrofico, un po' seccato.
“No. Io vado a casa, tu arrangiati.”
“E come faccio a ritornare senza auto?”
“Non lo so e non me ne frega niente. Chiedi a qualcuna delle tue troiette, ma se stanotte non ti vedo, non ne farò una tragedia.” E me ne vado.
“Peggio per te, Yuko!” Risponde quello, tradito nel suo orgoglio.
“Non credo proprio.” La discussione è chiusa.
Vado al parcheggio, non c'è ancora nessuno che si è mosso dal party. Ma poi mi viene un'intuizione.
Riattraverso il boschetto orientandomi con la poca luce lunare e ritrovo la radura dove stava l'Audi.
Un uomo sta in piedi, proprio nel punto in cui mi sono concessa. Una camicia bianca.
Mi avvicino. È piegato verso il cofano, proprio dove stavo sdraiata poco fa, con le gambe aperte e per aria. Deve essere lui!
Sembra che cerchi di annusare, o che ne so? Forse leccare?
Esco dall'ombra e mi avvicino. Lui mi vede. I nostri visi sembrano illuminati dalla luce della luna che accentua le ombre e dà risalto alla mia pelle chiara.
Lui resta immobile, non dice nulla.
Lentamente inizio a spogliarmi davanti ai suoi occhi.
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