Anastasia e Martina. Capitolo 5: Un Passo nel Proibito

di
genere
saffico

I giorni che seguirono quel pomeriggio in bagno a scuola furono un misto strano di sollievo e di una curiosità crescente. Il desiderio per Martina non diminuiva, anzi, ogni suo sguardo, ogni sorriso, sembrava alimentarlo. Ma c'era anche qualcos'altro che stava prendendo forma dentro di me: la consapevolezza di un piacere che potevo esplorare, qualcosa che andava oltre la semplice fantasia.
Un pomeriggio, mentre tornavo a casa da scuola, i miei piedi mi portarono quasi involontariamente lungo una strada secondaria che di solito evitavo. Lì, quasi nascosto tra un'edicola e un negozio di alimentari, c'era il sexy shop. Lo avevo notato mille volte, passando in autobus o in macchina con i miei genitori. Era sempre stato un luogo misterioso, un po' sordido ai miei occhi di ragazza di buona famiglia, con le luci soffuse e le vetrine appena oscurate. Non avevo mai avuto il coraggio di guardarci dentro veramente, figuriamoci di entrarci.
Ma quel giorno fu diverso. Forse la spinta del desiderio represso, forse la semplice curiosità, mi spinsero a rallentare il passo. Il mio cuore cominciò a battere forte, lo stesso ritmo accelerato che provavo quando Martina mi toccava per sbaglio. La mano mi tremava un po' mentre allungavo il braccio verso la maniglia della porta. Entrai.
L'interno era meno minaccioso di quanto immaginassi, ma comunque intimidatorio. L'aria era densa di profumi che non riuscivo a identificare, e le luci soffuse creavano lunghe ombre. C'erano scaffali pieni di oggetti dalle forme e dai colori più disparati, molti dei quali non sapevo nemmeno a cosa servissero. Mi sentii immediatamente avvampare, le guance in fiamme. La vergogna mi stringeva la gola, e temevo che ogni fibra del mio essere gridasse: "Sono qui per comprare qualcosa per masturbarmi!"
Una donna apparve da dietro uno scaffale, con un sorriso gentile e discreto. "Posso aiutarla?" mi chiese, la sua voce calma. Le sue parole mi diedero un barlume di coraggio. Inspirai profondamente. "Sì," riuscii a dire, la voce appena un sussurro. "Vorrei... un giocattolo. Il primo."
Non rise, non mi giudicò. I suoi occhi rimasero professionali, ma c'era una nota di comprensione. "Capisco," disse. "Per iniziare, le consiglio l'ovetto telecomandato. È discreto, facile da usare e molto versatile." Mi mostrò una piccola scatolina contenente un oggetto liscio, di silicone morbido, con un cavetto sottile che terminava in un piccolo telecomando. Sembrava innocuo, quasi un sasso levigato.
Comprai l'ovetto, nascondendolo nella borsa della scuola sotto i libri di testo, come se stessi contrabbandando qualcosa di illegale. Il viaggio di ritorno a casa fu un'agonia di anticipazione. Appena la porta si chiuse dietro di me e il silenzio riempì la casa – i miei genitori non c'erano ancora – corsi in camera mia.
Mi sdraiai sul letto, il cuore che batteva a mille. Tirai fuori l'ovetto. Era più piccolo di quanto sembrasse, e la sua superficie liscia e vellutata al tatto mi diede un brivido. Seguendo le istruzioni minime che la commessa mi aveva dato, lo posizionai sulla mia figa. Premetti il pulsante sul telecomando.
Una vibrazione sottile, quasi impercettibile all'inizio, si diffuse. Poi premetti di nuovo, e l'intensità aumentò. Era una sensazione completamente nuova, diversa dal tocco delle mie dita. Più profonda, più avvolgente. Le vibrazioni si propagavano, creando un formicolio piacevole che si irradiava ovunque. Chiusi gli occhi, e la sua immagine, quella di Martina, tornò prepotente. E capii che quel piccolo oggetto, discreto e silenzioso, sarebbe diventato un nuovo, eccitante segreto nel mio mondo.
scritto il
2025-07-08
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