Anastasia e Martina. Capitolo 9: Al Limite della Discrezione
di
SofiaMariani
genere
saffico
Il ronzio delle vibrazioni dell'ovetto dentro di me era diventato un'orchestra impetuosa, un crescendo che mi assorbiva completamente. Il piacere era così intenso da farmi vacillare sulla sedia, e ogni fibra del mio corpo urlava di liberazione. La mia mano sinistra, nascosta sotto il banco, si strinse con forza sulla mia stessa coscia, le unghie si conficcarono nella carne attraverso la stoffa della gonna plissettata. Era un tentativo disperato di ancorarmi alla realtà, di contenere la marea di sensazioni che mi stavano travolgendo, ma ogni pressione, ogni piccolo graffio, serviva solo ad amplificare la scarica elettrica che correva nelle mie vene.
La mano destra, invece, era stretta in un pugno attorno alla penna che avrei dovuto usare per prendere appunti. La stringevo così forte che le nocche erano bianche, e sentivo il rischio concreto che il fusto di plastica potesse spezzarsi sotto la pressione. Non riuscivo a prendere nemmeno una singola nota; le parole della professoressa erano un brusio lontano, un rumore di fondo privo di significato. Il mio cervello era occupato solo ed esclusivamente a gestire quel piacere proibito, a non far trapelare nulla.
Mi mordevo il labbro inferiore con una tale forza che potevo quasi sentire il sapore metallico del sangue, un piccolo prezzo da pagare per soffocare i gemiti che minacciavano di sfuggirmi. Ogni muscolo del mio viso era teso in uno sforzo eroico di mantenere una maschera di indifferenza, di noia scolastica. Sentivo il calore irradiarsi dal basso ventre, la chiazza umida sotto di me che si allargava, e la consapevolezza che le mie mutandine rosse, un piccolo tocco di ribellione quotidiana, erano ora completamente impregnate.
Martina si voltò di nuovo, la sua espressione un misto di curiosità e preoccupazione. "Stai davvero bene, Ana?" mi chiese sottovoce, la sua mano che si allungava quasi a toccarmi il braccio. Fu in quel momento che la paura mi colpì più forte del piacere. La sua vicinanza, la sua intuizione. Sapeva che c'era qualcosa che non andava, anche se non poteva mai immaginare cosa. Riuscii a tirare fuori un "Sì, solo... mal di testa," la mia voce un po' roca. Distolsi lo sguardo, terrorizzata che i miei occhi verdi potessero rivelare troppo.
Sentii le gambe tremare, non solo per il piacere ma per l'adrenalina di quel rischio. Era una sensazione esilarante e terrificante allo stesso tempo. La mia pelle era percorsa da brividi, i capezzoli ormai turgidi e doloranti sotto la camicetta. Stavo giocando un gioco pericoloso, spingendo i limiti non solo del mio corpo ma anche della mia capacità di nascondere un segreto così grande, così viscerale, proprio accanto alla persona che lo ispirava. L'ovetto vibrò un'ultima volta con un'intensità quasi insostenibile, prima che il mio corpo si arrendesse a una serie di piccole contrazioni, un orgasmo silenzioso ma potente, quasi un sussulto che si propagò in tutto il mio essere. La sensazione era travolgente, ma fui costretta a soffocarla, a reprimerla, a farla morire dentro di me prima che potesse tradirmi.
Il sollievo che seguì fu immediato, ma anche la consapevolezza della situazione. Dovevo trovare un modo per gestire quella sedia bagnata, per nascondere le mie mutandine umide, per far finta che nulla fosse accaduto. E soprattutto, dovevo affrontare lo sguardo intuitivo di Martina, sapendo che, anche se non capiva, qualcosa le era arrivato.
La mano destra, invece, era stretta in un pugno attorno alla penna che avrei dovuto usare per prendere appunti. La stringevo così forte che le nocche erano bianche, e sentivo il rischio concreto che il fusto di plastica potesse spezzarsi sotto la pressione. Non riuscivo a prendere nemmeno una singola nota; le parole della professoressa erano un brusio lontano, un rumore di fondo privo di significato. Il mio cervello era occupato solo ed esclusivamente a gestire quel piacere proibito, a non far trapelare nulla.
Mi mordevo il labbro inferiore con una tale forza che potevo quasi sentire il sapore metallico del sangue, un piccolo prezzo da pagare per soffocare i gemiti che minacciavano di sfuggirmi. Ogni muscolo del mio viso era teso in uno sforzo eroico di mantenere una maschera di indifferenza, di noia scolastica. Sentivo il calore irradiarsi dal basso ventre, la chiazza umida sotto di me che si allargava, e la consapevolezza che le mie mutandine rosse, un piccolo tocco di ribellione quotidiana, erano ora completamente impregnate.
Martina si voltò di nuovo, la sua espressione un misto di curiosità e preoccupazione. "Stai davvero bene, Ana?" mi chiese sottovoce, la sua mano che si allungava quasi a toccarmi il braccio. Fu in quel momento che la paura mi colpì più forte del piacere. La sua vicinanza, la sua intuizione. Sapeva che c'era qualcosa che non andava, anche se non poteva mai immaginare cosa. Riuscii a tirare fuori un "Sì, solo... mal di testa," la mia voce un po' roca. Distolsi lo sguardo, terrorizzata che i miei occhi verdi potessero rivelare troppo.
Sentii le gambe tremare, non solo per il piacere ma per l'adrenalina di quel rischio. Era una sensazione esilarante e terrificante allo stesso tempo. La mia pelle era percorsa da brividi, i capezzoli ormai turgidi e doloranti sotto la camicetta. Stavo giocando un gioco pericoloso, spingendo i limiti non solo del mio corpo ma anche della mia capacità di nascondere un segreto così grande, così viscerale, proprio accanto alla persona che lo ispirava. L'ovetto vibrò un'ultima volta con un'intensità quasi insostenibile, prima che il mio corpo si arrendesse a una serie di piccole contrazioni, un orgasmo silenzioso ma potente, quasi un sussulto che si propagò in tutto il mio essere. La sensazione era travolgente, ma fui costretta a soffocarla, a reprimerla, a farla morire dentro di me prima che potesse tradirmi.
Il sollievo che seguì fu immediato, ma anche la consapevolezza della situazione. Dovevo trovare un modo per gestire quella sedia bagnata, per nascondere le mie mutandine umide, per far finta che nulla fosse accaduto. E soprattutto, dovevo affrontare lo sguardo intuitivo di Martina, sapendo che, anche se non capiva, qualcosa le era arrivato.
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