Deepthroat estremo

di
genere
dominazione

Era una sera come tante. Stavamo guardando un film stupido, io e lui, sul divano. Il ragazzo di mia sorella. Lei era appena uscita per andare a comprare le sigarette, dicendo che sarebbe tornata in dieci minuti. Io restai lì, gambe piegate sotto di me, vestita con un pantaloncino sottile e una maglietta larga. Non indossavo il reggiseno.

La stanza era fioca, illuminata solo dallo schermo. A un certo punto, senza pensarci troppo, appoggiai la testa sulla sua gamba. Era un gesto innocente, quasi automatico. Un modo per cercare un po’ di contatto, forse, o forse no. Non lo so davvero. Ma quello che sentii sotto la mia guancia fu tutt’altro che innocente.

Il rigonfiamento nei suoi pantaloni era chiaro, caldo, palpitante. E io… io mi bagnai. Immediatamente. Mi morse dentro, tra le gambe, una fame improvvisa, bruciante. Lui non si mosse per un momento. Ma poi lo sentii piegarsi lentamente verso di me, la sua mano sulla mia nuca.

«Lo vuoi?» sussurrò. La sua voce era più roca del solito, lenta, sicura. Dominante.
Io non risposi. Mi limitai ad alzare lo sguardo verso di lui.
Lui mi fissò negli occhi. «Allora succhiamelo.»

Mi prese la testa e la sollevò dolcemente dal suo ginocchio. Poi sbottonò i pantaloni, senza fretta, con la sicurezza di chi sa di avere il controllo. Il suo cazzo non era ancora del tutto duro, ma grosso, carnoso. Lo presi in mano. Caldo. Pulsante. Vivo.

Me lo portai alle labbra e lo baciai piano, lasciando la lingua sfiorargli la punta.
«Brava ragazza,» sussurrò. «Adesso apri bene quella bocca.»

Lo feci scivolare dentro lentamente, assaporandone ogni centimetro. Sentii la sua mano sulla mia nuca che mi guidava, mi teneva lì. Cominciò a crescere nella mia bocca, e più cresceva, più mi eccitavo. Il mio respiro si fece pesante, le cosce si strinsero.

«Guarda come lo fai diventare duro… puttanella.»

Quel tono… mi faceva vibrare. Mi sentivo piccola, controllata, umiliata in un modo che mi accendeva. Lui si alzò, mi fece cenno di sdraiarmi sul divano, con la testa verso il bracciolo. Lo feci. Mi sentivo esposta, vulnerabile, ma eccitata da morire.

Mi lasciò la testa penzolare leggermente, poi si avvicinò e me lo mise di nuovo in bocca. Questa volta tutto. Fino in fondo.

Il colpo fu forte. Mi prese alla gola. Sentii il riflesso del vomito salire, le lacrime agli occhi. Ma non mi fermai. Mi aggrappai con le mani ai cuscini, mentre lui cominciava a spingere, a muoversi dentro di me, più in profondità.

«Allena quella gola per me,» disse con un ghigno crudele, ma soddisfatto. «Sei brava, vero? Tanto brava…»

Continuò così, affondando a fondo, riempiendomi completamente. La gola si ribellava, ma io stringevo i denti, mi lasciavo andare. Le lacrime mi rigavano le guance, la saliva mi colava giù dal mento, ma ogni colpo mi faceva sentire più viva, più sua.

Mi teneva per i capelli ora, tirando leggermente all’indietro, controllando il ritmo, il respiro, me.
«Guarda quanto stai godendo… sei tutta bagnata, lo sento. Ti eccita essere usata così, eh?»

Io non potevo rispondere. Avevo la bocca piena. Ma lo guardai negli occhi, e la mia espressione parlava per me.

I colpi diventavano più profondi. Più violenti. Ogni affondo mi faceva vibrare la testa contro il bracciolo. I suoi fianchi battevano contro il mio viso, ritmici, decisi, implacabili. Sentivo il cazzo scendere in gola, ogni volta un po’ più a fondo, fino a farmi mancare il respiro.

La mia gola si stringeva, si ribellava. Le lacrime ormai scorrevano senza sosta. Ero completamente bagnata in viso, tra saliva e lacrime, e non riuscivo nemmeno a deglutire. L’aria mi mancava.

Istintivamente, portai le mani all’indietro. Cercavo di afferrarlo per le cosce, non per fermarlo… solo per chiedere un attimo. Una pausa. Un respiro. Solo un secondo.
Le mie dita si chiusero attorno alla sua pelle calda, tesa. Ma appena lo feci, sentii le sue mani afferrare le mie. Forti. Decise.

«Oh no, piccola. Tu resti lì.»

Le spinse all’indietro, bloccandole contro il mio ventre. Mi immobilizzò del tutto, usando il suo corpo per tenermi giù. Ora non potevo più muovermi. E lui continuava.
Continuava.

Affondava con più forza, con più decisione. Il ritmo era spietato. Mi prendeva completamente. Non c’era spazio per l’aria, per i pensieri. Solo la sua volontà. Solo il suono umido e sporco dei suoi colpi contro la mia bocca.

Facevo fatica. Il mio corpo si contorceva, cercando una via di fuga, un respiro, una tregua. Ma lui non me la dava.
«Ti ho detto di allenarla, quella gola. Sei mia adesso, capito? Tu mi servi così. Con la bocca piena.»

Mi tremavano le gambe. Il cuore martellava. La mia mente era un misto di panico e piacere. Non riuscivo più a capire dove finiva uno e cominciava l’altro. E mentre lui continuava a scoparmi la bocca come se fosse l’unico scopo della mia esistenza, sentii il mio corpo cedere. Non in segno di resa. Ma di accettazione.

Mi lasciai andare completamente. La gola si aprì un po’ di più. Il respiro si fece più debole. Ma dentro, qualcosa bruciava.

Un bisogno. Una dipendenza.

Non ce la facevo più. La gola mi bruciava, il respiro era spezzato, le lacrime scendevano senza sosta. Ogni colpo era un affondo profondo e spietato, e il mio corpo cominciava a tremare. Avevo provato a tirarmi indietro, ad allontanarlo, ma lui mi aveva bloccata, inchiodata lì, tenendomi ferma come se il mio corpo fosse suo. E lo era. In quel momento, lo era davvero.

Ero sua. E lui lo sapeva.

Provai ancora a muovermi, ma fu solo un gesto istintivo. Perché la verità… è che ne avevo bisogno. Di lui. Di quella sensazione estrema, sporca, totale. Di essere ridotta a una bocca da riempire. Di perdere il controllo. Di lasciarmi portare oltre ogni limite.

E quando provai ad alzare leggermente il busto, lui affondò con forza.

Tutto dentro. Fino in fondo.
Il suo cazzo mi riempì completamente la gola. Rimase così. Immobile.
Uno. Due. Tre secondi.
Io tossivo. I piedi si attorcigliavano. Il mio respiro era interrotto. Ma non lo odiavo. No. Ero eccitata da morire. Sentivo le mie mutandine completamente fradice, il cuore che batteva impazzito, il ventre che si stringeva.

Lui non si muoveva. Rimaneva lì, dentro. Profondo. Forte. Dominante.
Mi teneva giù con una mano sulla fronte, l’altra ancora a bloccarmi i polsi.
Cinque… sei… sette secondi.
La gola si stringeva intorno a lui, il corpo mi mandava segnali, ma la mente… la mente urlava di più.
Di più.
Toccami ancora. Distruggimi.

Quando finalmente si ritirò, la mia bocca si aprì con un suono umido, profondo. Tossii forte. Mi mancava l’aria, ma i miei occhi lo cercavano ancora.
Lo guardai dal basso, il trucco colato, la saliva che mi scendeva dal mento, le labbra gonfie, aperte.
Lui mi sorrise.
Quel sorriso bastardo. Quel sorriso che diceva: sei mia.

«Guarda come sei messa,» disse con voce bassa. «Ti piace, eh? Lo vuoi ancora?»

Io annuii. Non riuscivo ancora a parlare. Ma il mio corpo sì. Il mio corpo lo urlava.

Lui mi guardava dall’alto, il petto che si alzava lentamente, il cazzo ancora gonfio, bagnato della mia saliva, duro e pulsante. Io ero lì, con la testa ancora appoggiata al bracciolo, il collo allungato, la bocca aperta e la gola ancora calda, dilatata, dolorante… viva.

«Adesso ti riempio tutta, piccola,» mormorò. «Non ti muovere.»

Non avevo nessuna intenzione di farlo.

Lo vidi portarsi una mano alla base del cazzo, stringerlo, mentre con l’altra mi teneva ancora giù per la fronte. Poi spinse. Tutto dentro. Fino all’ultima spinta. Fino all’ultimo centimetro.

Mi sentii scivolare di nuovo oltre il limite, il suo cazzo piantato in fondo alla gola. E fu in quel momento che lo sentii fremere.

Una scossa.

E poi l’esplosione.

Il caldo riempì ogni spazio. Una colata densa e violenta mi invase la gola. Non un singolo gemito, solo il respiro spezzato e il suo corpo che tremava leggermente mentre eiaculava dentro di me, profondo, trattenendomi giù. Non lasciandomi andare.
Rimase così. Dentro. Ferocemente dentro.

Io stringevo le cosce, il cuore in gola, il fiato assente. Tossivo. Non potevo deglutire.
E lui continuava a venirmi dentro. Getto dopo getto. Forte. Lento. Pieno.

Quando finalmente si tirò fuori, lo fece con un gemito sommesso, come se stesse lasciando andare qualcosa di enorme.

Io tossii subito, piegandomi leggermente su me stessa.
L’aria tornava a fatica nei polmoni, mentre la gola ancora palpitava, calda, invasa. E fu allora che sentii il liquido salire di nuovo.

Uno sbuffo. E un filo spesso mi uscì… dal naso.

Sì.
Sperma. Denso. Salato. Scivolava lento lungo il labbro superiore, mentre un altro gocciolava ancora dalle labbra gonfie e aperte. Mi pulii col dorso della mano, tremando, tossendo ancora, eppure… eccitata come non lo ero mai stata.

Mi guardò.
E io lo guardai tornare a sedersi.

Sapeva esattamente cosa mi aveva fatto.
E io sapevo esattamente quanto mi era piaciuto.

Rimasi lì, per qualche secondo, con la testa appoggiata al bracciolo, il respiro ancora spezzato, la gola piena di sensazioni, il viso impiastricciato. Tossivo ancora piano, deglutendo a fatica. Sentivo lo sperma caldo ancora colare lentamente verso le labbra, mentre un altro filo scivolava giù dal naso, umiliante, inevitabile, indelebile.

Lui mi guardava dall’alto, soddisfatto. Rilassato.
«Brava,» disse. «Così si succhia un cazzo.»
Mi passò una mano tra i capelli rossi, accarezzandoli con una calma spaventosa, mentre io cercavo ancora di rimettermi insieme.

Poi sentii il clic dell’accendino fuori dalla porta finestra.
La voce della mia sorella che ridacchiava con qualcuno al telefono, proprio davanti al portone.

Lui si alzò subito, sistemandosi i pantaloni.
Mi afferrò per un braccio, con fermezza, ma senza brutalità.
«Vai in bagno,» ordinò. «Sistemati prima che entri. Guardati in faccia… sei un disastro.»

Mi alzai in fretta, con le gambe ancora molli e la gola che pulsava.
Sentivo il liquido che mi colava in gola, giù nello stomaco, e un retrogusto amaro in bocca. Lo sperma nel naso mi dava ancora fastidio. Il viso era bagnato, il trucco colato, e il cuore… ancora in pieno battito.

Feci per andarmene, ma lui mi afferrò per il polso e mi sussurrò piano, all’orecchio:
«E non pulirti tutta. Lasciati un ricordo. Dentro. Così, quando starai davanti a lei a fare la brava sorellina… saprai di avere la mia sborra ancora in gola.»

Mi morsi il labbro.
Annuii.
E corsi verso il bagno, mentre la porta d’ingresso si apriva con un clic secco.
scritto il
2025-07-13
7 2 8
visite
1 0
voti
valutazione
6.3
il tuo voto

Continua a leggere racconti dello stesso autore

racconto precedente

Io e Lara I (Saffico)
Segnala abuso in questo racconto erotico

Commenti dei lettori al racconto erotico

cookies policy Per una migliore navigazione questo sito fa uso di cookie propri e di terze parti. Proseguendo la navigazione ne accetti l'utilizzo.