Ventesimo episodio

di
genere
dominazione

Rifacemmo i piani sempre rimanendo in ginocchio, col rischio di fare un pericoloso capitombolo, e tornammo nel salone. L’attesa fu all’incirca di un quarto d’ora, durante il quale io e Alberto rimanemmo in silenzio. Avrei voluto sapere quali fossero i suoi pensieri su di me. Mi odiava? Oppure era semplicemente costretto ad accettarmi come terzo incomodo? O addirittura era felice di sapere che la sua padrona era contenta di tenermi come schiavo? Credevo che la seconda ipotesi fosse quella più probabile considerando che nei nostri discorsi precedenti aveva detto che il suo ideale fosse quello di restare solo lui con Diana senza nessun altro, ma che comunque non poteva far altro che accettare serenamente ogni sua decisione.
Ma, intanto, la nostra padrona fece la sua apparizione sulle scale. Si era rivestita e si apprestava a scendere le scale. Lo faceva lentamente, forse a causa di quei tacchi assurdi ma, stranamente, quella lentezza nei movimenti amplificava la sua sensualità. Dopo esser scesa da quelle scale, si fermò proprio dinanzi a me. Mi afferrò per i capelli per farmi alzare la testa. Si chinò verso di me.
“Allora, Paolino, ti ricordi cosa ti ho detto l’altra volta dopo che ti ho scopato? Che per te sarebbe cominciato il periodo di vero schiavo e che ti avrei fatto tutto quello che avevo fatto ad Alberto. E cosa avevo fatto ad Alberto?”
“Qu...Quello che ho subito io, padrona.” balbettai. Per tutta risposta mi arrivo uno dei suoi violenti schiaffi che riaprì per l’ennesima volta la mia ferita.
“Risposta sbagliata. Manca ancora una cosa. Lo sai cosa manca?” Lo sapevo. Scoppiai in un pianto irrefrenabile
“La prego padrona, quello no.”
“Oh, quello si invece.”
“Non voglio.” dissi. E lo feci senza riflettere perché Diana spense il suo sorrisino ironico che aveva avuto durante quel breve scambio di parole e divenne improvvisamente seria. Mi alzò quasi di peso trascinandomi per alcuni metri fino a gettarmi verso il muro e poi mi afferrò per la gola.
“Cosa hai detto, stronzo? Tu non vuoi? Tu hai detto che non vuoi? Tu fai quello che io voglio. Te l’avevo avvertito, Paolo. Fino a che rimani nella mia casa le condizioni sono queste.” Stringeva sul mio collo. Conoscevo bene la sua forza. Sapevo che non sarei riuscito mai a liberarmi e nemmeno ci provai.
“Non ce la faccio più, la prego, mi lasci andare. Voglio andarmene.”
Lei sorrise ma strinse ancora più forte. La paura si stava facendo sempre più intensa.
“Non stai rispettando le regole. Tu sarai libero da domani mattina, se così hai deciso, ma, fino ad allora, rimango la tua padrona. Questo erano i patti. Ti avevo avvertito, Paolo. Con le buone o con le cattive, ricordi? Vorrà dire che ti inculerò con le cattive.” concluse lasciando la sua presa sulla gola. Mi guardai smarrito. Cosa potevo fare? Lottare contro di lei era un suicidio. Avrei potuto fuggire, col rischio di farla arrabbiare veramente.
Provai ad intenerirla e mi inginocchiai. “La prego, padrona. Mi guardi, sono io, Paolo, il suo migliore amico, l’uomo che è innamorato di lei dal primo giorno che l’ha vista. Non mi faccia questo.” le dissi baciandole devotamente i piedi in segno di ulteriore sottomissione.
Lei mi guardo e scosse la testa. “No, tu sei soltanto uno dei miei due schiavi. Te l’avevo avvertito. Eri libero di scegliere e l’hai fatto. Ora mi appartieni, almeno per questa sera, e pertanto rimani qui. I patti si rispettano, Paolo. Io l’ho fatto e ti ho fatto scopare con me. Adesso sta a te farlo e, se non vuoi farlo, te lo imporrò con la forza. Se provi a scappare giuro che ti riempio di botte e ti cambio i connotati. E alla fine sarai irriconoscibile pure per tua madre. Sai che posso farlo. Non mi mettere alla prova. Obbedisci e te la caverai.”
La vidi allontanarsi e scoppiai per l’ennesima volta in un pianto a dirotto.
Alberto mi raggiunse dandomi una pacca sulle spalle. “Stai calmo, Paolo. Non fare stupidaggini. Non far arrabbiare la nostra padrona.”
“Sta facendo una cosa contro la mia volontà. Questa non è dominazione, è schiavitù.“ gli risposi asciugandomi alcune lacrime.
“No, Paolo. Te l’ha detto anche lei. Rimanendo in questa casa tu sapevi quali sarebbero state le conseguenze. Lo sapevi perfettamente. E’ un gioco di cui tu hai accettato le regole, e adesso devi rispettarle.”
Scossi la testa. “E’ passibile di denuncia per violenze, lo capisci Alberto?”
Lui si fece serio. “Sarebbe un suicidio, credimi. Lo sarebbe per te. Io testimonierei a suo favore. Direi che tu eri consenziente. Con i nostri avvocati saremo noi a denunciarti dicendo che volevi approfittarti delle disponibilità economiche della nostra padrona per spillarle dei soldi. Credimi, ti ridurremmo sul lastrico e ti faremmo vendere pure quella casetta che possiedi. Ci sono anche Maria e Jose che testimonierebbero che tu eri libero di girare per casa e fare quello che volevi, direbbero che eri tu a raggiungere la nostra casa tutte le sere di tua spontanea volontà. Ci sono i camerieri del ristorante che hanno assistito al fatto che tu eri sottomesso alla signora Diana e che eri consenziente. E, se non bastasse, ci compreremmo qualche altro testimone. Che ne dici, Paolo? Pensi ancora che sia possibile denunciare la nostra padrona?”
Rimasi annichilito. No, non sarebbe stato possibile. Lui mi guardò sorridendo e proseguì “Adesso stai calmo. Ti farà male all’inizio, ma poi potrai anche provarci un certo piacere. Rilassati e non indurire i muscoli. Lubrificati per bene con le dita e poi non fare alcuna resistenza. Alla fine sarai umiliato ma felice di appartenere in modo totale a una dea. Sei un uomo fortunato, Paolo. Anzi, lo siamo entrambi.”
L’ingresso di Diana interruppe quel nostro breve discorso. La guardai terrorizzato, con quel suo fallo finto di uno strano color rossiccio che si ergeva sinistramente. Doveva essere all’incirca come quello usato su Alberto, a parte il colore, non enorme, sicuramente tre o quattro centimetri inferiore alla misura del mio pene. e anche leggermente meno grosso di circonferenza. ma questo non mi impediva di tremare al pensiero che fra poco sarebbe penetrato al mio interno. Mai avrei pensato nella mia vita di dover subire una cosa del genere. Ripensai a quel giorno quando Diana aveva scoperto la vera indole di suo marito, quando addirittura voleva ucciderlo. E i miei consigli su come diventare una dominatrice. Lo sapevo che mi stavo cacciando in un guaio di dimensioni gigantesche. ma per me era l’occasione per starle di nuovo accanto, accanto a quella donna dalla bellezza sfrontata, desiderata da sempre. Mi ricordavo il primo giorno che la incontrai. Aveva i capelli corti da maschiaccio ma un viso di una bellezza straordinaria. E quel corpo... Pensai subito che fosse la ragazza più bella che avessi mai incontrato ma non le feci mai capire i miei sentimenti. Sapevo di non essere adeguato a lei ma non m’importava. Per me contava anche esserle amico. Dopo pochi giorni che faceva parte del mio gruppo, aveva preso in mano le redini. Si faceva quello che diceva lei. Sempre e comunque, già prima che tutti noi venimmo a sapere che era una campionessa di arti marziali dotata di una forza fuori dal comune. E come le piaceva mettersi in mostra...Non picchiò mai nessuno di noi sul serio. Nessuno del gruppo aveva istinti suicidi tali da andarci a litigare davvero, ma giocava con tutti noi, dimostrandoci la sua superiorità. E, dopo averla vissuta sulla propria pelle quella sua superiorità, era ovvio che si faceva quello che lei ordinava.
Ecco, quella era Diana. Io la conoscevo bene, lo sapevo come era fatta e avrei dovuto immaginarlo che farla diventare una vera dominatrice avrebbe potuto essere pericoloso per una con quelle caratteristiche fisiche e mentali. Invece l’avevo fatto. Per amore suo. E adesso stava per incularmi, soltanto per il sadico piacere di avere in mano il potere assoluto, l’atto più umiliante che una donna possa fare ad un uomo. La osservai e, malgrado ciò che mi stava per fare, il mio cuore mi diceva che lei era ancora il mio unico amore. Un cuore che batteva alla velocità della luce anche e soprattutto per ciò che sarebbe avvenuto, per la mia paura. Era giunto il momento.

Mi afferrò per i capelli e mi mise in bocca il fallo. Riprovai ancora quelle sgradevoli sensazioni dell’altra volta, le forze di stomaco ma soprattutto l’umiliazione. Durò per circa una decina di minuti. Il fallo era pieno della mia bava. Cristo santo, come facevano le donne a fare un pompino e a trovarci piacere?
Mi fece poi rialzare dandomi il barattolo della vaselina senza dirmi neanche una parola. Memore del consiglio di Alberto, cercai di lubrificare l’ano nel miglior modo possibile, cercando anche di dilatarlo per sentire il meno dolore possibile quando mi avrebbe penetrato. E giunse anche per me il momento tanto temuto. Diana ripeté la stessa operazione fatta col marito, facendomi allargare le gambe e facendomi piegare in avanti col sedere di fuori. Sentivo il fallo strofinarsi sul mio sedere martoriato poco prima dalle frustate e ancora dolorante. Poi la penetrazione, dapprima lieve, per poi sentire un bruciore assurdo. Gridai, mordendomi poi la mano per alleviare quel dolore mai provato prima. Sentivo quel corpo estraneo che sembrava sconquassarmi il corpo intero. Ma poi, dopo un tempo che non riuscii a quantificare, incredibilmente anche uno strano piacere mai provato prima tanto che il membro iniziò incredibilmente a sollevarsi. Il dolore era ancora acuto ma avevo la sensazione che andasse un po’ scemando. Diana parlava ma era come se non la sentissi, quasi come se fossi in una bolla estraniato da tutto. Sentivo soltanto, oltre al fallo di gomma, la sua forte mano sul mio collo che mi costringeva a piegare il busto sempre di più, a pochi centimetri ormai dal mio cazzo sempre più dritto. Sembrava assurdo ma quello strano piacere era sempre più forte e quasi superava il dolore. Sempre più forte, soprattutto quando la sua mano iniziò a toccarmelo. A quel punto, eiaculai quasi senza accorgermene, in modo completamente diverso da una normale eiaculazione. Il primo schizzo fu talmente potente che mi arrivò in faccia, come era accaduto ad Alberto, mentre i successivi colarono sul membro e in parte anche sul pavimento. Diana si fermò. Quel corpo estraneo non mi stava più facendo male ma era diventato semplicemente fastidioso. E poi, finalmente, anche se con brutalità, lo estrasse e mi voltò per osservarmi. Un ennesimo, sadico sorriso le illuminò il volto
“Sei stato appena inculato, Paolo. Come ti senti?”
“Male, padrona. Mi sento male.” risposi con un filo di voce. Mi sentivo in effetti estremamente debole, con un gran mal di testa e dolori per tutto il corpo. Soprattutto, e questo era ovvio, fuori e dentro il mio povero culo, martoriato prima da una serie di frustate all’esterno e poi anche da quel maledetto fallo di gomma addirittura all’interno dell’ano. Ma, se pensavo che dicendole di star male lei potesse abbandonare la sua vena sadica, stavo sbagliando di grosso
“Male o bene che stai, adesso devi ripulire il cazzo che ti ha sverginato, Paolino. Fagli una bella pompa. Su, da bravo, apri la bocca e infilatelo tutto dentro. E dopo leccherai il tuo sperma caduto sul pavimento.” mi disse infatti concludendo poi con una sonora risata.

Lo specchio mi rimandava un’immagine sconosciuta. Davvero ero io quello? Sembravo irriconoscibile. La faccia gonfia sporca di sperma e lacrime, il labbro inferiore ferito che ancora emetteva sangue, gli occhi gonfi per gli schiaffi e per i pianti, i capelli spettinati che sembravano oleosi, forse per il sudore dovuto alla tensione. Come avevo potuto finire in quella maniera? Mi tolsi dallo specchio e mi misi sotto una doccia ristoratrice continuando però a riflettere su quella serata che sembrava non dovesse terminare mai. Mi dicevo che ero stato ingannato dalle sensazioni che avevo avuto fino al giorno precedente, ovvero che Diana se la riprendesse soprattutto con Alberto senza crearmi troppi problemi, a parte un po’ di timore nei suoi confronti a causa di qualche schiaffo. Nemmeno quando mi aveva detto che mi avrebbe fatto tutto ciò che aveva fatto al marito avevo pensato davvero a quell’eventualità. E invece Diana era stata di parola, purtroppo per me.
In quel momento comunque, sotto lo scosciare dell’acqua tiepida, iniziavo a sentirmi meglio. Il mal di testa era scomparso e molto attenuato anche il dolore all’interno dell’ano. Molto dolore invece mi dava ancora la parte esterna del sedere. Mi aveva fatto davvero il culo rosso come quello di una scimmia, e non erano segni che scomparivano dopo poche ore, tanto che Alberto, malgrado fosse stato frustato due sere prima, ancora ce li aveva. Dopo avermi costretto a pulire il fallo di gomma sporco dei miei stessi escrementi e dopo avermi fatto leccare lo sperma caduto sul pavimento, Diana mi aveva mandato a darmi una bella ripulita. E, naturalmente, per me era davvero di primaria importanza rinfrescarmi. Mi lavai anche accuratamente i denti. Nella mia bocca erano entrate più schifezze nelle ultime due ore che nel resto di tutta la mia vita. Ero stato costretto ad ingurgitare cenere, cicche, orina, sperma ed escrementi. Senza contare che avevo leccato scarpe e pavimenti.
Me li lavai addirittura due volte, a fondo, lungamente, nella speranza che avessi terminato di ingoiare cose che non fosse cibo commestibile. E, naturalmente, usai del collutorio. Mi riempii la bocca di collutorio, per meglio dire, cercando di eliminare anche il solo pensiero di ciò che avevo ingurgitato. Certo che se Diana voleva mettere alla prova il suo potere, doveva essersi resa conto che questo era davvero enorme, almeno con me e Alberto. Mi chiedevo, mentre cercavo di avere di nuovo un alito pulito, come lo avrebbe potuto gestire quel potere una donna come lei? Già quando non sapeva nulla di femdom e dominazione, metteva sull’attenti tutti noi con la sua naturale propensione al comando e alla stronzaggine. Ma adesso che sapeva che con certi uomini avrebbe potuto tutto? Ebbi addirittura un brivido per il corpo pensando a ciò che sarebbe potuto accadere se Diana non avesse saputo fermarsi. Il mio pensiero era che comunque per me erano gli ultimi istanti sotto la sua dominazione. Io non ero quel tipo di uomo e se mi ero sottomesso a lei era soltanto per poterla avere, per poterla baciare, per poterla toccare. Ma, con quello che mi aveva fatto, aveva superato i miei limiti.
Uscii dal bagno, ancora ovviamente nudo, e mi diressi verso il salone. La scena a cui assistetti appena entrato era perfettamente in linea con ciò che avevo vissuto in quell’interminabile serata; Diana stava fumando la sua ennesima sigaretta ma, anziché usare uno di noi come portacenere, come aveva fatto fino a quel momento, lo stava usando...come ramazza. Fumava, gettava la sua cenere in terra e Alberto doveva poi ripulire con la lingua. Alzò poi gli occhi verso di me che ero in piedi ad osservare la scena ed ebbi un brivido di paura. Mi affrettai ad andare di fronte a lei, di fianco ad Alberto e mi inginocchiai ai suoi piedi.
Lei terminò la sigaretta, la gettò a terra e la schiacciò con la punta degli stivali.
“Vediamo un po’. Sono ancora indecisa se fartela ingoiare o meno.”
“Quello che lei vuole è legge, mia padrona.” rispose Alberto in attesa dell’ordine di sua moglie che si toccò il mento per riflettere e poi sorrise.
“No, non te la farò mangiare. Come ho fatto con Paolino. Una basta e avanza. Forse sono troppo buona, non è vero Alberto?”
“Si, padrona. Lei non è solo di una bontà infinita. Lei è perfetta, è misericordiosa a preoccuparsi così dei suoi schiavi.”
Diana scoppiò a ridere. “Ovvio che io sia misericordiosa. Sono una dea e devo esserlo con i miei adoratori.”
Non sapevo quanto ci fosse di ironico in quell’ultima frase che aveva detto e quanto invece era semplicemente frutto delle idee che si era fatta in quegli ultimi giorni. Pensava veramente di essere diventata una divinita? Aveva sempre pensato di essere una spanna superiore a chiunque altro, ma forse essere diventata una dominatrice le aveva fatto perdere il senso della realtà. Non disse altro e si alzò. Deglutii nervosamente. Cos’altro aveva in mente?

Per commenti, scrivete a
davidmuscolo@tiscali.it
scritto il
2025-07-07
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