Schiavo per amore. Diciannovesimo episodio

di
genere
dominazione

Diana bevve il caffà e mi diede poi la tazzina vuota, dopodiché schioccò semplicemente le dita. Mi guardavo intorno senza comprendere cosa volesse, mentre Alberto scattò improvvisamente. Lui sapeva cosa fare. Prese una sigaretta, glie l’accese e si rimise nella posizione che aveva precedentemente. La nostra padrona aspirò voluttuosamente poi mi fece cenno di mettermi di lato. Avevo capito, anche se ancora speravo che non fosse ciò che avevo pensato. E invece, mi afferrò il viso costringendomi ad aprire la bocca
“Tira fuori la lingua.” mi ordinò.
Esitai. Tremavo, scuotevo la testa, ma non riuscivo a tirare fuori la lingua. Non volevo essere il suo portacenere. Io volevo essere il suo uomo, volevo fare l’amore con lei. Solo pochi istanti prima mi ero detto che avrei potuto tollerare tutto, ma forse non era vero. E non potevo nemmeno scappare. Diana era stata chiara. Fino a che sarei rimasto in quella villa, avrei dovuto obbedirle. Dovevo farlo. Ma era troppo tardi. Non aveva tollerato quel mio tentennamento. Si alzò, si mise la sua sigaretta in bocca e mi afferrò per i capelli costringendomi ad alzarmi. Cosa dovevo fare? Scossi la testa. Avevo paura
“Lo faccio, padrona. Lo faccio, la prego.” la implorai. Con nessun risultato se non forse quello di far aumentare la sua sensazione di onnipotenza. Il primo ceffone mi arrivò sul lato sinistro, il secondo, un manrovescio, su quello destro e fu devastante. Caddi a un paio di metri di distanza, mezzo tonto. Il sangue mi colava dal labbro che evidentemente mi aveva rotto. E poi la vidi avanzare verso di me. Cosa dovevo fare? Scappare? Ero nudo e non potevo andare da nessuna parte. Mi avrebbe preso, prima o poi, e sarebbero stati guai maggiori per me. Per l’ennesima volta mi inginocchiai ai suoi piedi nella speranza di suscitare in lei un briciolo di pietà.
Lei mi mise il suo piede sul collo aumentando in me il terrore. “Vuoi che continui, Paolo?”
“No, padrona. No. Faccio tutto quello che lei mi ordina.” piagnucolai senza ritegno. Il mio orgoglio non esisteva più. Lo aveva annichilito, estirpato, disintegrato. Dovevo accettare qualsiasi cosa, almeno per quella sera, e l’indomani me ne sarei andato. Lo promisi a me stesso. Tutto quello che stavo vivendo non faceva per me. Lei, intanto, continuava a rimanere in quella posizione, con quel tacco che cominciava a farmi sentire dolore. Poi, per fortuna, lo tolse e tornò indietro rimettendosi seduta sul divano. Sorrideva in modo sadico
“Bene Paolo. Vedi che con le buone maniere si ottiene tutto? Vieni qui a farmi da portacenere.” Mi avvicinai a lei tremando. Dovevo star tranquillo. Dovevo soltanto far trascorrere quella sera e il giorno dopo sarei tornato ad essere un uomo libero. Senza Diana, senza poter far l’amore con la donna che continuava ad essere l’oggetto dei miei desideri, e tutto questo sarebbe stato solo un brutto ricordo. Tirai fuori la lingua come mi aveva ordinato e lei vi depositò la cenere. Pensavo che mi avrebbe bruciato la lingua e invece mi accorsi che non sentivo niente. Ma l’umiliazione era totale. Molto maggiore di quella che, probabilmente, aveva provato Alberto facendo quello che stavo facendo io. Lui era uno schiavo e, sicuramente, si eccitava nell’obbedire a sua moglie. Io no. Le mie lacrime intanto, si mescolavano al sangue che continuava a scorrere dal labbro e alcune di quelle lacrime entrarono nella bocca mescolandosi in modo assurdo al sangue e alla cenere. Ingoiai tutto e, per strano che potesse sembrare, la salinità delle lacrime e la dolcezza del mio sangue resero la cenere quasi insapore al mio gusto, a parte lasciarmi con la gola secca. Finalmente, terminò di fumare. Finalmente? Non proprio. Afferrò la mia mano girandola con il palmo in su, ci fece scendere la sua saliva, e vi spense quella sua maledetta sigaretta. Il dolore fu attutito dalla liquidità della sua saliva e non fu atroce, ma comunque non mi mossi. Lei invece mi accarezzo il viso in modo quasi materno
“Devi imparare e capire cosa significhi veramente essere uno schiavo, Paolo. Tu e Alberto non servite solo per soddisfarmi sessualmente. Sarebbe troppo semplice. Tu soprattutto, non sei convinto del tuo ruolo. Se vuoi, domani mattina te ne potrai andare, ma per stasera sarai il mio schiavo in modo totale. Sai, in questi giorni mi sono documentata, ho cercato di comprendere cose mi piacesse e cosa invece non avrei potuto tollerare. Ho capito che avevi ragione sul fatto che ero sempre stata dominante e che mi ero dovuta frenare. Avevi pienamente ragione. Ma adesso che so che con alcuni uomini posso anche andare a ruota libera, il mio lato sadico ha preso il sopravvento. Ho scoperto che è esaltante umiliare un uomo, è straordinario vederlo strisciare pieno di paura, ed è meraviglioso poter fare qualunque cosa. Anche una cosa apparentemente inutile come usare la tua bocca come posacenere. E adesso capisci perché fin da ragazzina ho voluto fare del mio corpo un’arma tale che mi consentisse di essere in grado di incutere terrore? Perché io sono nata dominante. Nel mio caso non è un modo di dire. E voglio dominare nella vita e non solo come gioco. Certo, non costringerò nessuno. Non voglio essere mica denunciata. Ma chi accetta, non deve avere tentennamenti o saranno guai. E tu devi essere punito, Paolo. In modo che, se poi decidessi di restare, saprai cosa ti aspetta. E se te ne dovessi andare, pazienza. So già che potrei sostituirti con altri cento, altri mille che invece non si farebbero problemi. Proprio come non se ne fa mio marito. Non è vero, Alberto?”
“Si, padrona. Per me conta solo obbedirle. E’ il solo e unico scopo della mia vita.”
“Perché allora ha voluto me come suo schiavo?” le domandai.
Scoppiò a a ridere. “Perché con te è più divertente. Tu non hai i desideri dello schiavo. Tu non vuoi soddisfare me, ma vuoi soddisfare te stesso. E per soddisfare te stesso hai accettato questa situazione. L’unico scopo che hai sempre avuto nella tua vita è stare con me, anche se per farlo sei costretto ad obbedirmi, e questo ti rende atipico ma anche uno schiavo affascinante da plasmare.”
“Io accetto tutto perché sono innamorato di lei, padrona. Ma non so fino a che punto potrò resistere. Fino a che punto il mio amore nei suoi confronti può costringermi ad accettare tutto.” le dissi con sincerità.
Lei sorrise di nuovo e prese la mia mano ancora dolorante per la bruciatura dovuta allo spegnimento della sua sigaretta portandola verso la bocca. Sapevo che avrei dovuto ingoiare quella cicca. Chiusi gli occhi e lo feci. Sensazione sgradevole ma tutto sommato meno peggio di quello che avrei potuto immaginare.
“Una cicca ogni tanto la potete ingoiare senza conseguenze. Per quanto riguarda il nostro futuro rapporto, scopriremo insieme fino a che punto sarai in grado di resistere. Te lo dico sinceramente, Paolo. Se te ne vai, ci metterò dieci minuti a rimpiazzarti, ma se decidessi di rimanere, ovviamente alle mie condizioni, non nascondo che ne sarei felice. Tra te e un altro preferisco te, ma non ti farò sconti. Non sarò magnanima con te solo per farti restare. Adesso basta parlare. E’ di nuovo il momento di agire. Devi essere punito, Paolo. E lo sarai in modo doloroso.” concluse facendomi venire i brividi di paura. Cosa mi avrebbe fatto? Lo scoprii immediatamente quando si rivolse al marito. “Alberto, vai a prendere il mio frustino nella mia camera. Paolino ha bisogno di essere educato per il suo comportamento sbagliato nei confronti della sua padrona. Una buona dose di frustate sul culo gli farà ricordare chi comanda.”

Cercavo di non pensare a niente tranne che a contare come mi era stato ordinato. Dovevo farlo e ringraziare ogni volta. Il dolore cominciava a farsi insopportabile. Non ero mai stato un uomo che assorbiva il dolore in modo tranquillo, ma dubitavo che ci potesse essere qualcuno che avrebbe potuto accettare quella punizione dolorosissima senza mettersi a urlare e a piangere. Il frustino che aveva già punito Alberto continuava ad abbattersi con violenza sul mio povero sedere. Fui costretto a contare fino a cinquanta e, anche quando Diana smise, continuai a singhiozzare senza ritegno. Continuavo a dirmi che dovevano trascorrere poche ore e tutto sarebbe terminato. Ero convinto che il mio punto di non ritorno fosse stato raggiunto. Ma doveva passare quella serata e non sarebbe stato semplice. Diana mi stava mettendo alla prova, ma io non ero Alberto. Non potevo accettare tutto come lui.
Comunque, le seguenti due ore le trascorsi senza ulteriori danni massaggiandomi in continuazione il mio sedere martoriato che ancora mi faceva male. La padrona aveva voluto che la servissimo a tavola e, per fortuna, Maria e Josè avevano lasciato un’ottima cena fredda che potemmo mangiare anche io e Alberto, sia pur in cucina e non nel salone dove invece sedeva Diana. Era una scena surreale. Io e Alberto nudi con i nostri membri che ballonzolavano mentre camminavamo per la casa. Lui addirittura in quasi costante erezione, a riprova di come tutto quello che stava vivendo lo eccitasse oltre misura. Lei ci dava secchi ordini che noi ci apprestavamo ad eseguire alla velocità della luce. Però... Che donna! Si, era sadica, violenta, ma non potevo fare a meno di ammirarla. Ci aveva ridotto davvero a due schiavi che tremavano al suo sguardo, ma era davvero una donna fuori dall’ordinario e al solo pensiero che da domani non l’avrei più rivista, perché quelle erano le condizioni nel caso io me ne fossi andato, mi fece quasi star male. Quel suo caschetto biondo sempre in ordine, quei suoi occhi azzurri e intensi, quella sua bocca sempre rossa, quel suo corpo atletico e forte, la sua voce profonda... Come avrei potuto vivere senza di lei? Perché continuavo ad amarla in quel modo anche dopo quello che mi aveva fatto? E’ strana la mente. Scossi la testa. Non volevo pensarci. Dopo la pausa della cena si preannunciava la tempesta. Lo sapevo, lo percepivo e un brivido prolungato ricoprì interamente il mio corpo.

Ero stato facile profeta. Come i giorni scorsi Diana si era accanita soprattutto col marito, quella sera sembrava avercela soltanto con me. Dopo la cena e dopo essersi rifatta il trucco, mi ordinò di nuovo di farle da posacenere e stavolta non ebbi esitazioni. Spalancai la bocca e tirai fuori la lingua osservando la sua soddisfazione nel vedermi così docile. La osservavo mentre fumava lentamente. Era sensuale anche in quei gesti, quando il fumo fuoriusciva dalla sua bocca disegnata magnificamente di rosso. Avrei voluto baciarla quella bocca. Come avevo fatto innumerevoli volte due sere prima, come avrei voluto fare migliaia di volte, milioni di volte in futuro, senza mai stancarmi di assaporare quelle labbra, quella lingua che lei usava per esplorare sapientemente la mia bocca. E invece, probabilmente non l’avrei più fatto.
Quella volta, senza il sangue e senza le lacrime, il sapore della cenere fu tremendo, aspro e mi fece tossire più volte ma ingurgitai tutto. Non dovevo fare arrabbiare la mia padrona e subire punizioni inutili. Anche perché il sadismo di Diana non ne aveva bisogno. Per fortuna, comunque, non mi fece ingoiare la cicca e dovetti ringraziarla con enfasi per la sua bontà. Terminato di fumare, si alzò e s’incamminò verso l’uscita del salone.
“Seguitemi a quattro zampe e in silenzio,” ci ordinò. Passammo davanti alla cucina e si rivolse a me “Prendi un bicchiere capiente, schiavo, ti servirà” aggiunse infatti accennando un sorriso cattivo. Non c’era bisogno di un indovino per capire cosa volesse fare. Mi apprestai ad obbedirle. Non potevo fare niente. Se avessi obiettato mi avrebbe picchiato e ormai avevo il terrore di Diana. Presi il bicchiere, mi rimisi a quattro zampe, e seguii di nuovo Diana che cominciò a fare le scale per salire al piano superiore. Il ritmico ticchettio dei suoi tacchi che salivano le scale nel silenzio totale era l’unico rumore che accompagnava la nostra fatica improba di salire quelle maledette scale in ginocchio, aiutandoci soprattutto con le mani. Era talmente faticoso che non riuscivo nemmeno a godere della straordinaria visione di lei, della nostra padrona e del suo perfetto sedere strizzato nei pantaloni di lattice che ci sovrastava, considerando le posizioni in cui ci trovavamo. Ogni tanto si voltava sorridendo, quasi godendo della nostra fatica, ma finalmente giungemmo al primo piano dove c’era il suo bagno personale, la meta del nostro faticoso cammino. Si sedette su un piccolo sgabello posizionato dinanzi allo specchio che forse le serviva quando doveva truccarsi o pettinarsi, e quindi mi ordinò di toglierle gli stivali. Feci rapidamente quanto mi era stato ordinato e, senza alcun tipo di vergogna, iniziò a sfilarsi gli aderentissimi pantaloni. Non aveva abbigliamento intimo e la sua fica completamente depilata apparve ai nostri occhi. Si alzò, prese il bicchiere, allargò le sue cosce e poi orinò nel bicchiere riempiendolo tutto, malgrado fosse decisamente capiente. Sempre sorridendo disse al marito di pulirla con la sua lingua, cosa che Alberto fece con dovizia e passione, talmente passione che probabilmente fece raggiungere un orgasmo a sua moglie che rimase per diversi secondi addosso al muro in estasi. Poi fu il turno mio. E sapevo ormai quale sarebbe stato il mio compito.
“Bevi, Paolo.” disse semplicemente. Afferrai il bicchiere. Alcune gocce di urina fuoriuscita durante il momento in cui aveva riempito il bicchiere impregnarono la mia mano che tremava vistosamente, ma non potevo avere alcuna titubanza e ingurgitai la sua urina tutta d’un fiato, cercando di non sorseggiarla. Era calda e leggermente salata. Di certo non un buon sapore, e il mio palato avrebbe necessitato di qualcosa di buono e dissetante per togliermi quel senso di disgusto.
Diana aveva assistito a tutta la scena divertita e tronfia e mi afferrò il volto per costringermi a guardarla negli occhi. “Allora, Paolo, com’è bere la pipì della tua padrona?”
“Buona, padrona.” mentii. Non avevo idea di come comportarmi e sperai che accettasse la mia bugia senza punirmi. Dirle la verità mi sembrava peggio. Dovetti aver scelto l’opzione giusta perché si fece una gran risata.
“E’ un’ottima bevanda. Contiene sali minerali, e ho letto che è una delle pratiche più ricercate dagli schiavi e più gettonata dalle padrone. E devo dire ch,e per quanto mi riguarda, la trovo affascinante, soprattutto con uno come te che non la ama ma che è costretta a berla se non vuole farmi incazzare. E tu lo sai che non ti conviene farmi incazzare, vero Paolino?”
“Ce...Certo padrona.” balbettai impaurito
“Bravo, Paolo, così mi piaci. Devi tremare di fronte a me. Devi fartela sotto. Invece scommetto che il mio dolce maritino l’avrebbe bevuta volentieri. Non è così Alberto?”
“Si, padrona. Ho invidiato Paolo per aver bevuto il suo nettare.”
“Beh, siete in due. Non puoi essere troppo egoista. Una vera padrona deve saper gestire la situazione quando possiede più di uno schiavo e cercare i modo di soddisfarli tutti,” ironizzò nei nostri confronti “Comunque, adesso fuori dalle palle che ho da fare in bagno. Aspettatemi nel salone. La serata è ancora lunga.” aggiunse dopo qualche secondo.

Continua...

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scritto il
2025-07-03
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