Schiavo per amore. Diciottesimo episodio
di
Davide Sebastiani
genere
dominazione
Malgrado la presenza di Alberto che all’inizio mi aveva quasi bloccato, avevo fatto il sesso più bello della mia vita. Meglio della prima volta. Non era nemmeno paragonabile al sesso che avevo fatto con le altre donne fino ad allora. No, Diana era la mia fissazione, il mio chiodo fisso, la mia malattia. Solo accanto a lei ero davvero felice e tutto aveva una valenza diversa. Era stato sesso sottomesso, naturalmente, con la mia paura di avere un’eiaculazione senza il suo ordine, dove avevo cercato di soddisfare prima di tutto le sue esigenze, ma che avevo vissuto con un’eccitazione mentale e fisica perenne. Questo era ciò che Diana mi faceva vivere.
Si alzò, ancora completamente nuda, e afferrò per un braccio Alberto che aveva assistito in completo silenzio all’atto amatorio tra me e sua moglie. “Andiamo. Il tuo sgabuzzino ti attende. Quella per adesso è la tua stanza. Forse capiterà che potrai dormire di nuovo con me ma, per adesso, tocca al mio amante dormirmi accanto.”
Li vidi scomparire dalla stanza, ancora incredulo per ciò che stavo vivendo e, dopo pochi secondi, Diana tornò nella stanza e si avvicinò a me baciandomi di nuovo,
“Grazie, padrona.” le dissi alla fine di quel bacio.
Lei mi guardò ancora con quel sorriso irresistibile. “Sei conscio che sei diventato il mio schiavo anche tu?”
“Si, padrona. Ne sono conscio.”
“E lo sai che farò a te tutto quello che ho fatto ad Alberto?”
Rimasi di stucco. “Lei vuol dire che...”
“Voglio dire che ti inculerò e che ti costringerò a bere la mia urina, ti userò come posacenere, ti sculaccerò e ti picchierò, se e quando ne avrò voglia ”
“Perché?” balbettai.
“Perché mi piace. E tu hai solo un modo per evitarlo. Andartene. Finché rimani dentro questa casa, farai tutto ciò che dico io. Dopo averlo fatto, se vuoi, potrai prendere le tue cose e sparire dalla mia vista. Te ne vuoi andare, Paolo? Vuoi rinunciare ad altre serate di sesso come questo? Perché lo faremo spesso. E’ una promessa, e sai che io mantengo le mie promesse.”
La guardai, guardai quel corpo interamente nudo, con i suoi seni duri e dritti dinanzi a me, e ancora una volta chinai la testa. Ero come drogato e a lei non potevo rinunciare. Per nessun motivo.
Avevo dormito male quella notte e alle sei ero già sveglio. Poco più di tre ore di sonno. Malgrado ciò, tirai comunque un sospiro di sollievo. Avevo messo la sveglia alle sette per andare al lavoro, ma avevo il terrore che il rumore potesse svegliare anche Diana. E avevo paura della sua reazione. Scossi la testa. C’era riuscita. Era riuscita ad instaurare nella mia mente il terrore per ogni sua eventuale reazione. Mi alzai e, per prima cosa, andai a liberare Alberto che dormiva nel suo sgabuzzino. Era stata naturalmente la nostra padrona, prima di addormentarsi, a darmi l’ordine di farlo, probabilmente per non lasciarlo trovare lì dentro dalla servitù. Era davvero un bugigattolo, il ripostiglio degli oggetti che Maria e Josè usavano per pulire la villa. Alberto era seduto col sedere per terra e la schiena poggiata sul muro, naturalmente interamente nudo. Appena aprii la porta, si spalancarono anche i suoi occhi, segno inequivocabile che aveva dormito male e peggio di me, visto che almeno io quelle poche ore le avevo fatte sopra un soffice letto.
“Alberto, ho avuto l’ordine di svegliarti.” esordii.
“Sono già sveglio.” mi rispose. Gli porsi la mano per aiutarlo a rialzarsi ma me la scansò e lo fece da solo. La luce accesa del corridoio lo costrinse a massaggiarsi gli occhi dopo tanto tempo nel buio più assoluto al quale lo aveva costretto Diana. Si stava vendicando in modo feroce di quell’uomo che aveva il solo e unico torto di averla sposata perché raffigurava esattamente il suo ideale di padrona. Camminammo comunque in silenzio fino verso la cucina.
“Vuoi che ti prepari la colazione?” gli chiesi conoscendo la sua inettitudine per tutto ciò che concerneva i lavori domestici.
Lui però mi guardò in modo interrogativo. “Non so se posso farla. La padrona non mi ha dato il permesso”.
Stavolta fui io ad osservarlo senza riuscire a comprenderlo totalmente. Quel poveretto non metteva niente in bocca dal giorno precedente a pranzo, a parte l’urina di Diana, e aveva bisogno di mangiare qualcosa. “Si, ma non te l’ha nemmeno negata, giusto?” obiettai dopo qualche istante di riflessione alla ricerca del modo più giusto per convincerlo.
“In effetti, no”
“E allora sei a posto. Credo che noi dobbiamo obbedirle se ci da un ordine, ma se non ce lo da significa che ci ha lasciato libera scelta.” dissi, ma poi tra me aggiunsi . Non avrei proprio voluto che, a causa mia, Diana lo picchiasse o lo punisse.
Mangiammo nel silenzio quasi totale. Io avevo poca fame mentre Alberto spazzolò tutta la tavola, compreso quello che avevo lasciato io, poi ognuno si diresse verso il proprio bagno. Ci aspettava una doccia e una rasatura perfetta per renderci presentabili al lavoro.
Diana era stata di parola. Aveva detto che avrebbe mandato Alberto al lavoro in bicicletta e così fece. Non sembrava che la cosa gli pesasse troppo. Anzi, sembrava quasi felice di poter obbedire a sua moglie, e mi disse che finalmente poteva usare quella bella bici che si era comprato alcuni anni prima e che non aveva quasi mai usato. Aggiunse che si sarebbe tenuto in forma e che avrebbe fatto molto trendy con gli impiegati della sua azienda. Mi chiesi soltanto come avrebbe fatto con il sellino della bici visto che il suo sederone non era più vergine ma poi, osservando le sue pedalate in scioltezza, pensai che evidentemente essere stato inculato da un fallo di gomma non pregiudicava una bella corsetta in bici.
Io potei invece recarmi in ufficio con la mia macchina, guidando nello scarso traffico che incontrai considerando l’orario ancora molto mattutino, avvolto completamente nei miei pensieri.
Fino a quel momento, il mio essere di Diana era stato abbastanza indolore, al contrario di Alberto. Qualche schiaffo, un paio di dolorose torsioni, molto timore ma, a parte l’obbligo di fare un pompino al suo fallo di gomma, mi era andata di lusso, e due notti d’amore, di passione, e di sesso sfrenato con Diana, valevano ampiamente ciò che avevo subito. Ma era il futuro a preoccuparmi. Era stata chiara; mi avrebbe obbligato a fare tutto quello che aveva fatto a suo marito. E non sapevo se ce l’avrei fatta a sopportarlo. Avevo sempre la possibilità di andarmene quando avrei voluto ma, finché fossi rimasto nella sua villa, non avrei potuto fare altro che accettare tutte le sue imposizioni. Era come se avessimo stabilito un accordo. Schiavo con lei o libero senza di lei. Mentre raggiungevo il mio posto di lavoro, un’ora prima di tutti gli altri, decisi che avrei rimandato la decisione. Anzi, l’avrei presa giorno per giorno. Se e quando avrei scoperto di non riuscire più a tollerare la dominazione di Diana, me ne sarei andato. Altrimenti, avrei accettato tutto se poi la ricompensa era come quella che avevo avuto quella notte.
Per tutto quel giorno, non accadde nulla di particolare. Beh, se per normale vogliamo considerare il fatto che Diana andò a cena con Alberto lasciandomi solo nella villa completamente nudo e chiuso nella mia camera, e che al loro ritorno mi costrinse a guardarli mentre facevano sesso. Ci usava come giocattoli sessuali e noi dovevamo accettare in silenzio. D’altronde, fin da ragazza Diana aveva sempre avuto un rapporto molto aperto col sesso. Se uno gli piaceva, se lo prendeva. Ma certo, quella situazione, al di là del piacere del sesso, le doveva regalare davvero una sensazione di potere enorme. Doveva essere grandioso avere due uomini adulti che le sbavavano dietro, entrambi pazzamente innamorati di lei, decidere cosa fare di loro e scegliere chi dei due portarsi a letto sotto lo sguardo patetico dell’escluso. Pertanto, la mia opinione era che si trattava di una dimostrazione di potere nei nostri confronti piuttosto che un vero e proprio bisogno di sesso. E lei, il suo potere, lo dimostrava anche in quel modo, scegliendo il proprio amante giornaliero dinanzi all’altro uomo.
Anche l’inizio del giorno seguente fu abbastanza nella norma. Anzi, dormendo di nuovo nella mia stanza senza il timore di svegliarla, ero riuscito a farmi sette ore di sonno di fila. Non avevo recuperato la notte quasi insonne precedente, ma mi svegliai abbastanza in forma. Alberto invece sembrava euforico. Aveva fatto sesso con la nostra padrona e aveva dormito accanto a lei. Questo mi fece pensare che Diana, furbissima come al suo solito, alternasse momenti dominanti che soddisfacevano la sua indole e momenti più teneri, momenti meravigliosi come potevano essere quelli dedicati al sesso, per tenerci ancor più soggiogati a lei, oltre che per il suo piacere personale.
Quando tornai a casa, però, il nostro rapporto a tre che fino a quel momento mi aveva visto meno sottomesso rispetto al mio < collega>, si riequilibrò almeno in parte. Mi venne ad aprire Alberto che, al contrario delle sue abitudini, era già in casa in perfetta tenuta da schiavo, ovvero completamente nudo. Mi fece cenno di seguirlo e lo feci, ma già cominciavo a stare in apprensione. Mi portò nel solito grande e bellissimo salone, ormai scena principale della dominazione di Diana, dove c’era lei, vestita come l’avevo vista un paio di giorni prima, ovvero con un aderentissimo pantalone di lattice nero, stivali al ginocchio e striminzito top nero che non riusciva a contenere il suo seno che usciva quasi completamente allo scoperto. Non avrei mai fatto l’abitudine a quella sua debordante e straordinaria sensualità, soprattutto da quando aveva cominciato a vestirsi in quel modo. Non che prima il suo abbigliamento fosse casto, ma adesso era diventato impossibile guardarla, ammirarla e non desiderarla. Per lei, e forse per Alberto, quegli abiti dovevano probabilmente far parte della dominazione stessa. Fin dall’inizio di questa storia, avevamo compreso come Alberto fosse particolarmente preso da quel tipo di abbigliamento, considerando le numerose foto che ci aveva fatto trovare sul suo computer, mentre a Diana dovevano piacere semplicemente perché si vedeva più bella, più sexy e più eccitante. Per me invece era soltanto un gran bel vedere. Insomma, non collegavo quegli abiti aderentissimi con la dominazione, ma mi eccitavano per la loro sensualità. Naturalmente, il fatto che mi avesse aperto Alberto completamente nudo e che lei era vestita in quel modo, mi faceva comunque intuire che i due filippini fossero già andati via dalla villa, e che eravamo quindi da soli. Con il risultato che si prospettava una serata impegnativa. Arrivato dinanzi a lei, mi gettai ai suoi piedi pensando che più le avessi dimostrato la mia devozione e maggiori sarebbero state le possibilità di cavarmela a buon mercato senza gravi danni e, soprattutto, di poterci fare l’amore nuovamente, cosa che era ciò che mi interessava maggiormente.
“ Buonasera, padrona” esordii. Lei rimase alcuni secondi in silenzio senza nemmeno curarsi di me, seduta sul divano con le gambe accavallate mentre suo marito si posizionò accanto a me, anche lui in ginocchio e testa china sul pavimento. Dopo quei lunghi momenti di silenzio, senza cambiare posizione mi indicò il piede che si trovava in alto. O meglio, lo stivale dal tacco altissimo che rivestiva il piede.
“Bacialo!” Mi ordinò. Le obbedii prontamente. Afferrai il suo piede avvolto da quello stivale lunghissimo e iniziai a baciarlo. Era un gesto classico delle scene di dominazione, quello più stereotipato, ma per me era veramente umiliante perché non era voluto, non sentivo nulla di eccitante nel baciare quello stivale, ma dovevo farlo se non volevo subire la reazione di Diana. Fui quindi costretto a farlo per alcuni interminabili minuti, nel silenzio quasi assordante della stanza, rotto solamente dal classico rumore di notifiche che arrivavano al telefonino che lei aveva in mano, con la mia paura che potessi fare dei gesti sbagliati. In quella situazione, anche azioni banalissime, azioni fatte o non fatte, potevano far scaturire in Diana reazioni violente. Dovevo ad esempio baciare solo quel piede o passare all’altro? Dilemma assurdo ma avevo imparato a capire che spesso la dominazione si basava anche su questi particolari, per farle poi trovare una scusa per punirmi. Optai comunque per baciarle anche l’altro stivale e, per mia fortuna, lei mi fece fare senza che ci fossero risvolti punitivi. Il tutto fino a quando lei alzò lo sguardo dal telefonino per incontrare il mio. “Spogliati, preparami un caffè e portamelo qui in salone. Di corsa.”
Andai immediatamente a spogliarmi nella mia camera e poi mi diressi in cucina per prepararle il caffè che, pochi istanti dopo, le portai nel salone dove lei aveva acceso la televisione, gambe ancora accavallate e sensualità al massimo grado. Ogni volta che la vedevo dimenticavo tutto. Mi voleva come suo schiavo? Ebbene l’avrei fatto. Tutto pur di avere poi la possibilità di toccare quel suo corpo strepitoso e di baciare quella sua bocca rossa e dolcissima. Certo, non era quello che avrei voluto. Io la amavo e la desideravo, ma avrei voluto un normale rapporto a due. Forse avrei accettato anche qualcosa che riguardava la dominazione. Per gioco, per rendere più sensuali certe serate, e un po’ anche per soddisfare le sue esigenze. Perché, inutile nasconderlo, lei aveva bisogno di avere un certo dominio con l’uomo che le stava a fianco. Quello che invece stava andando in scena era molto più pesante. A cominciare dai violenti ceffoni che avevo ricevuto. Però sembrava non ci fosse altra scelta se volevo continuare ad averla e dovevo accettare tutto. Ma, nel momento in cui le porsi quel caffè, non sapevo che la mia sicurezza di rimanere con lei avrebbe vacillato vistosamente.
Continua...
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davidmuscolo@tiscali.it
Si alzò, ancora completamente nuda, e afferrò per un braccio Alberto che aveva assistito in completo silenzio all’atto amatorio tra me e sua moglie. “Andiamo. Il tuo sgabuzzino ti attende. Quella per adesso è la tua stanza. Forse capiterà che potrai dormire di nuovo con me ma, per adesso, tocca al mio amante dormirmi accanto.”
Li vidi scomparire dalla stanza, ancora incredulo per ciò che stavo vivendo e, dopo pochi secondi, Diana tornò nella stanza e si avvicinò a me baciandomi di nuovo,
“Grazie, padrona.” le dissi alla fine di quel bacio.
Lei mi guardò ancora con quel sorriso irresistibile. “Sei conscio che sei diventato il mio schiavo anche tu?”
“Si, padrona. Ne sono conscio.”
“E lo sai che farò a te tutto quello che ho fatto ad Alberto?”
Rimasi di stucco. “Lei vuol dire che...”
“Voglio dire che ti inculerò e che ti costringerò a bere la mia urina, ti userò come posacenere, ti sculaccerò e ti picchierò, se e quando ne avrò voglia ”
“Perché?” balbettai.
“Perché mi piace. E tu hai solo un modo per evitarlo. Andartene. Finché rimani dentro questa casa, farai tutto ciò che dico io. Dopo averlo fatto, se vuoi, potrai prendere le tue cose e sparire dalla mia vista. Te ne vuoi andare, Paolo? Vuoi rinunciare ad altre serate di sesso come questo? Perché lo faremo spesso. E’ una promessa, e sai che io mantengo le mie promesse.”
La guardai, guardai quel corpo interamente nudo, con i suoi seni duri e dritti dinanzi a me, e ancora una volta chinai la testa. Ero come drogato e a lei non potevo rinunciare. Per nessun motivo.
Avevo dormito male quella notte e alle sei ero già sveglio. Poco più di tre ore di sonno. Malgrado ciò, tirai comunque un sospiro di sollievo. Avevo messo la sveglia alle sette per andare al lavoro, ma avevo il terrore che il rumore potesse svegliare anche Diana. E avevo paura della sua reazione. Scossi la testa. C’era riuscita. Era riuscita ad instaurare nella mia mente il terrore per ogni sua eventuale reazione. Mi alzai e, per prima cosa, andai a liberare Alberto che dormiva nel suo sgabuzzino. Era stata naturalmente la nostra padrona, prima di addormentarsi, a darmi l’ordine di farlo, probabilmente per non lasciarlo trovare lì dentro dalla servitù. Era davvero un bugigattolo, il ripostiglio degli oggetti che Maria e Josè usavano per pulire la villa. Alberto era seduto col sedere per terra e la schiena poggiata sul muro, naturalmente interamente nudo. Appena aprii la porta, si spalancarono anche i suoi occhi, segno inequivocabile che aveva dormito male e peggio di me, visto che almeno io quelle poche ore le avevo fatte sopra un soffice letto.
“Alberto, ho avuto l’ordine di svegliarti.” esordii.
“Sono già sveglio.” mi rispose. Gli porsi la mano per aiutarlo a rialzarsi ma me la scansò e lo fece da solo. La luce accesa del corridoio lo costrinse a massaggiarsi gli occhi dopo tanto tempo nel buio più assoluto al quale lo aveva costretto Diana. Si stava vendicando in modo feroce di quell’uomo che aveva il solo e unico torto di averla sposata perché raffigurava esattamente il suo ideale di padrona. Camminammo comunque in silenzio fino verso la cucina.
“Vuoi che ti prepari la colazione?” gli chiesi conoscendo la sua inettitudine per tutto ciò che concerneva i lavori domestici.
Lui però mi guardò in modo interrogativo. “Non so se posso farla. La padrona non mi ha dato il permesso”.
Stavolta fui io ad osservarlo senza riuscire a comprenderlo totalmente. Quel poveretto non metteva niente in bocca dal giorno precedente a pranzo, a parte l’urina di Diana, e aveva bisogno di mangiare qualcosa. “Si, ma non te l’ha nemmeno negata, giusto?” obiettai dopo qualche istante di riflessione alla ricerca del modo più giusto per convincerlo.
“In effetti, no”
“E allora sei a posto. Credo che noi dobbiamo obbedirle se ci da un ordine, ma se non ce lo da significa che ci ha lasciato libera scelta.” dissi, ma poi tra me aggiunsi . Non avrei proprio voluto che, a causa mia, Diana lo picchiasse o lo punisse.
Mangiammo nel silenzio quasi totale. Io avevo poca fame mentre Alberto spazzolò tutta la tavola, compreso quello che avevo lasciato io, poi ognuno si diresse verso il proprio bagno. Ci aspettava una doccia e una rasatura perfetta per renderci presentabili al lavoro.
Diana era stata di parola. Aveva detto che avrebbe mandato Alberto al lavoro in bicicletta e così fece. Non sembrava che la cosa gli pesasse troppo. Anzi, sembrava quasi felice di poter obbedire a sua moglie, e mi disse che finalmente poteva usare quella bella bici che si era comprato alcuni anni prima e che non aveva quasi mai usato. Aggiunse che si sarebbe tenuto in forma e che avrebbe fatto molto trendy con gli impiegati della sua azienda. Mi chiesi soltanto come avrebbe fatto con il sellino della bici visto che il suo sederone non era più vergine ma poi, osservando le sue pedalate in scioltezza, pensai che evidentemente essere stato inculato da un fallo di gomma non pregiudicava una bella corsetta in bici.
Io potei invece recarmi in ufficio con la mia macchina, guidando nello scarso traffico che incontrai considerando l’orario ancora molto mattutino, avvolto completamente nei miei pensieri.
Fino a quel momento, il mio essere di Diana era stato abbastanza indolore, al contrario di Alberto. Qualche schiaffo, un paio di dolorose torsioni, molto timore ma, a parte l’obbligo di fare un pompino al suo fallo di gomma, mi era andata di lusso, e due notti d’amore, di passione, e di sesso sfrenato con Diana, valevano ampiamente ciò che avevo subito. Ma era il futuro a preoccuparmi. Era stata chiara; mi avrebbe obbligato a fare tutto quello che aveva fatto a suo marito. E non sapevo se ce l’avrei fatta a sopportarlo. Avevo sempre la possibilità di andarmene quando avrei voluto ma, finché fossi rimasto nella sua villa, non avrei potuto fare altro che accettare tutte le sue imposizioni. Era come se avessimo stabilito un accordo. Schiavo con lei o libero senza di lei. Mentre raggiungevo il mio posto di lavoro, un’ora prima di tutti gli altri, decisi che avrei rimandato la decisione. Anzi, l’avrei presa giorno per giorno. Se e quando avrei scoperto di non riuscire più a tollerare la dominazione di Diana, me ne sarei andato. Altrimenti, avrei accettato tutto se poi la ricompensa era come quella che avevo avuto quella notte.
Per tutto quel giorno, non accadde nulla di particolare. Beh, se per normale vogliamo considerare il fatto che Diana andò a cena con Alberto lasciandomi solo nella villa completamente nudo e chiuso nella mia camera, e che al loro ritorno mi costrinse a guardarli mentre facevano sesso. Ci usava come giocattoli sessuali e noi dovevamo accettare in silenzio. D’altronde, fin da ragazza Diana aveva sempre avuto un rapporto molto aperto col sesso. Se uno gli piaceva, se lo prendeva. Ma certo, quella situazione, al di là del piacere del sesso, le doveva regalare davvero una sensazione di potere enorme. Doveva essere grandioso avere due uomini adulti che le sbavavano dietro, entrambi pazzamente innamorati di lei, decidere cosa fare di loro e scegliere chi dei due portarsi a letto sotto lo sguardo patetico dell’escluso. Pertanto, la mia opinione era che si trattava di una dimostrazione di potere nei nostri confronti piuttosto che un vero e proprio bisogno di sesso. E lei, il suo potere, lo dimostrava anche in quel modo, scegliendo il proprio amante giornaliero dinanzi all’altro uomo.
Anche l’inizio del giorno seguente fu abbastanza nella norma. Anzi, dormendo di nuovo nella mia stanza senza il timore di svegliarla, ero riuscito a farmi sette ore di sonno di fila. Non avevo recuperato la notte quasi insonne precedente, ma mi svegliai abbastanza in forma. Alberto invece sembrava euforico. Aveva fatto sesso con la nostra padrona e aveva dormito accanto a lei. Questo mi fece pensare che Diana, furbissima come al suo solito, alternasse momenti dominanti che soddisfacevano la sua indole e momenti più teneri, momenti meravigliosi come potevano essere quelli dedicati al sesso, per tenerci ancor più soggiogati a lei, oltre che per il suo piacere personale.
Quando tornai a casa, però, il nostro rapporto a tre che fino a quel momento mi aveva visto meno sottomesso rispetto al mio < collega>, si riequilibrò almeno in parte. Mi venne ad aprire Alberto che, al contrario delle sue abitudini, era già in casa in perfetta tenuta da schiavo, ovvero completamente nudo. Mi fece cenno di seguirlo e lo feci, ma già cominciavo a stare in apprensione. Mi portò nel solito grande e bellissimo salone, ormai scena principale della dominazione di Diana, dove c’era lei, vestita come l’avevo vista un paio di giorni prima, ovvero con un aderentissimo pantalone di lattice nero, stivali al ginocchio e striminzito top nero che non riusciva a contenere il suo seno che usciva quasi completamente allo scoperto. Non avrei mai fatto l’abitudine a quella sua debordante e straordinaria sensualità, soprattutto da quando aveva cominciato a vestirsi in quel modo. Non che prima il suo abbigliamento fosse casto, ma adesso era diventato impossibile guardarla, ammirarla e non desiderarla. Per lei, e forse per Alberto, quegli abiti dovevano probabilmente far parte della dominazione stessa. Fin dall’inizio di questa storia, avevamo compreso come Alberto fosse particolarmente preso da quel tipo di abbigliamento, considerando le numerose foto che ci aveva fatto trovare sul suo computer, mentre a Diana dovevano piacere semplicemente perché si vedeva più bella, più sexy e più eccitante. Per me invece era soltanto un gran bel vedere. Insomma, non collegavo quegli abiti aderentissimi con la dominazione, ma mi eccitavano per la loro sensualità. Naturalmente, il fatto che mi avesse aperto Alberto completamente nudo e che lei era vestita in quel modo, mi faceva comunque intuire che i due filippini fossero già andati via dalla villa, e che eravamo quindi da soli. Con il risultato che si prospettava una serata impegnativa. Arrivato dinanzi a lei, mi gettai ai suoi piedi pensando che più le avessi dimostrato la mia devozione e maggiori sarebbero state le possibilità di cavarmela a buon mercato senza gravi danni e, soprattutto, di poterci fare l’amore nuovamente, cosa che era ciò che mi interessava maggiormente.
“ Buonasera, padrona” esordii. Lei rimase alcuni secondi in silenzio senza nemmeno curarsi di me, seduta sul divano con le gambe accavallate mentre suo marito si posizionò accanto a me, anche lui in ginocchio e testa china sul pavimento. Dopo quei lunghi momenti di silenzio, senza cambiare posizione mi indicò il piede che si trovava in alto. O meglio, lo stivale dal tacco altissimo che rivestiva il piede.
“Bacialo!” Mi ordinò. Le obbedii prontamente. Afferrai il suo piede avvolto da quello stivale lunghissimo e iniziai a baciarlo. Era un gesto classico delle scene di dominazione, quello più stereotipato, ma per me era veramente umiliante perché non era voluto, non sentivo nulla di eccitante nel baciare quello stivale, ma dovevo farlo se non volevo subire la reazione di Diana. Fui quindi costretto a farlo per alcuni interminabili minuti, nel silenzio quasi assordante della stanza, rotto solamente dal classico rumore di notifiche che arrivavano al telefonino che lei aveva in mano, con la mia paura che potessi fare dei gesti sbagliati. In quella situazione, anche azioni banalissime, azioni fatte o non fatte, potevano far scaturire in Diana reazioni violente. Dovevo ad esempio baciare solo quel piede o passare all’altro? Dilemma assurdo ma avevo imparato a capire che spesso la dominazione si basava anche su questi particolari, per farle poi trovare una scusa per punirmi. Optai comunque per baciarle anche l’altro stivale e, per mia fortuna, lei mi fece fare senza che ci fossero risvolti punitivi. Il tutto fino a quando lei alzò lo sguardo dal telefonino per incontrare il mio. “Spogliati, preparami un caffè e portamelo qui in salone. Di corsa.”
Andai immediatamente a spogliarmi nella mia camera e poi mi diressi in cucina per prepararle il caffè che, pochi istanti dopo, le portai nel salone dove lei aveva acceso la televisione, gambe ancora accavallate e sensualità al massimo grado. Ogni volta che la vedevo dimenticavo tutto. Mi voleva come suo schiavo? Ebbene l’avrei fatto. Tutto pur di avere poi la possibilità di toccare quel suo corpo strepitoso e di baciare quella sua bocca rossa e dolcissima. Certo, non era quello che avrei voluto. Io la amavo e la desideravo, ma avrei voluto un normale rapporto a due. Forse avrei accettato anche qualcosa che riguardava la dominazione. Per gioco, per rendere più sensuali certe serate, e un po’ anche per soddisfare le sue esigenze. Perché, inutile nasconderlo, lei aveva bisogno di avere un certo dominio con l’uomo che le stava a fianco. Quello che invece stava andando in scena era molto più pesante. A cominciare dai violenti ceffoni che avevo ricevuto. Però sembrava non ci fosse altra scelta se volevo continuare ad averla e dovevo accettare tutto. Ma, nel momento in cui le porsi quel caffè, non sapevo che la mia sicurezza di rimanere con lei avrebbe vacillato vistosamente.
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