Mia cugina: Parte 22

di
genere
incesti

Il mattino seguente, sono in ufficio. Ho passato tutta la notte a fare l'amore con Ilaria e stasera mi trasferirò da lei. Penso che ci siamo finalmente avvicinati come si deve. Non abbiamo litigato. Anzi, abbiamo parlato a lungo. Non ricordo nemmeno di cosa. Gli argomenti erano disconnessi l’uno dall'altro mentre facevamo l’amore. Ma ricordo bene come mi sono sentito. Quella strana felicità e tranquillità che non provavo da tempo. Anzi, che forse non ho mai provato.
Federica entra nel mio ufficio e posa alcuni documenti sulla scrivania. Ha gli occhi cerchiati. — La signorina Neri vuole che li controlli entro la fine della giornata.
Do un’occhiata veloce e sollevo lo sguardo. — Tutto bene?
— Sì.
— Sicura? Se vuoi parlare…
— Davvero. Sto bene. Non preoccuparti.
Non sta bene per niente. Il tradimento di suo marito l’ha scossa più di quanto credessi. E forse non sta nemmeno dormendo bene. Pensavo lo stesse superando. — Va bene.
Federica fa un sorriso forzato e va via.
Torno a guardare i documenti e comincio a revisionarli. In mezzo, ci trovo un cliente facoltoso. I suoi investimenti sono peggiorati nell'ultimo semestre. Ha perso quasi più della metà del suo denaro. Com’è possibile?
Mi alzo, mi dirigo verso l’ufficio di Ilaria e busso alla porta.
— Avanti — dice lei
Entro, chiudo la porta alle spalle e appoggio i documenti sulla sua scrivania.
Lei mi sorride. — È successo qualcosa?
Gli mostro il fascicolo del cliente in questione. — Non lo trovi strano anche tu?
Lo legge, attentamente. — Mmh… Sì, è strano. Ma questi investimenti sono stati decisi dal cliente. Era a conoscenza dei rischi.
— Chi gli ha fatto consulenza?
— Veronica Luna. Ma lei non c'entra niente. Il cliente ha insistito. Noi non possiamo farci nulla.
— Sa che sta perdendo soldi?
— Sì, ma ha deciso di mantenere le posizioni.
Mi acciglio, turbato. — Quindi vuole perdere tutto?
— Non sono nella sua testa. Perché ti turba tanto?
— Beh, non sapevo che qui i clienti potessero fare di testa propria.
— Ora lo sai.
Non rispondo subito. — Immagino che non abbia molto senso revisionare i suoi investimenti.
— È un controllo che facciamo con tutti. Serve anche come incentivo per far capire a questi clienti che possono fidarsi di noi. E non di fare di testa propria.
Bussano alla porta. Una dipendente entra con alcuni documenti in mano. Ilaria li firma. La dipendente va via.
— Riguardo a ieri… — dice Ilaria — Verrai a vivere da me da stasera?
— Sì, penso di sì. Voglio dire, devo ancora impacchettare le mie cose, ma…
— Per quello c'è tempo.
Sorrido. — Quindi… dormiamo insieme?
Ricambia il sorriso. — C'è bisogno di chiedere?
— Beh…
Mi stringe una mano sotto la scrivania, mi guarda. — Mi sembra tutto così strano.
— Cosa?
— Che stiamo insieme.
— Ah, beh… per me non lo è.
— Eravamo amici.
— Non credo che siamo mai stati “solo amici.” Ci siamo piaciuti. Da sempre.
Arriccia le labbra con un sorriso. — Lo so, ma… è strano lo stesso.
Mi chino e le rubo un bacio a stampo.
— Ehi! — risponde con un sorrisetto, un occhio sulla porta. — Possono vederci.
— Che ci vedano pure.
Mi stringe di più la mano, il sorriso diventa più solare. — Ho sempre desiderato che tu diventassi il mio fidanzato. Ho perso il numero di tutti i miei film mentali che ho fatto su di te, negli anni.
Smorzo una risata. — Non ti facevo tipa da film mentali.
Mi molla uno schiaffetto sul braccio. — Scemo! È tutta colpa tua. Tu non hai mai fantasticato su di me?
— Beh, sì, ma… Non in quella maniera, se si può dire così.
Corruga le sopracciglia con finta rabbia. — Che vuoi dire? Che hai fantasticato su di me in modo…
Sorrido, nervoso. — Sì…
Mi tira un altro schiaffetto sul braccio. — Cretino!
— Ahia!
— Sei tutto scemo!
Bussano alla porta.
Ilaria ritrae la mano dalla mia, si ricompone. — Avanti.
La stessa dipendente di prima entra e ci guarda, stranita. Si avvicina a Ilaria. — Servono delle altre firme.
Guardo Ilaria. — Torno al mio ufficio.
Lei accenna un sorrisino.
La dipendente ci guarda di nuovo, stranita. Forse ha capito qualcosa?
Prendo i documenti sulla scrivania, esco dalla porta e torno al mio ufficio.


Alle cinque e mezza di pomeriggio, mi fermo davanti all’ascensore chiuso. Ilaria è già lì. Siamo solo noi due. Ci guardiamo con sorriso. In lontananza, il chiacchiericcio di alcuni dipendenti.
L’ascensore si apre, entriamo dentro. Appena le porte si chiudono, ci buttiamo uno nelle braccia dell'altro e cominciamo a baciarci, in modo selvaggio. La mia mano preme, in tutta fretta, il bottone per fermare l’ascensore. Con l’altra, le palpo il sedere. Le sue labbra sembrano volermi divorare.
La metto faccia al muro e le abbasso pantaloni e mutandine mentre continuiamo a baciarci. Faccio lo stesso con i miei pantaloni e boxer e infilo il pene nella sua vagina. Calda, bagnata.
Ilaria geme, mi stringe forte una mano. Inizio a colpirla con i fianchi, mentre inarca la schiena. Calo una mano sul suo clitoride, lo massaggio in senso circolare. Con l’altra, le strizzo le tette.
Lei ansima ancora più forte, le gambe cominciano a tremare. La stringo a me con un braccio mentre la martello con i miei fianchi, senza sosta. Si abbassa in avanti, in preda ai gemiti. Il suo corpo si irrigidisce finché inizia a tremare, come se avesse le convulsioni. Continuo così per un po'.
Le vengo dentro.
Ilaria si appoggia contro il muro dell'ascensore con il fiatone, la faccia rossa. — Sei come un coniglio in calore...
Sorrido. — Lo siamo entrambi.
Scuote la testa con un sorriso. Prende delle salviettine dalla borsetta e si pulisce la vagina. Faccio lo stesso con il mio pene. Ci rivestiamo. Pigio il bottone. L'ascensore comincia a scendere.
Ilaria si sistema i capelli scompigliati. — Non dobbiamo farlo qui.
— Perché no? È divertente.
— Se ci beccano…
— Non ti sei eccitata?
Mi guarda con un mezzo sorriso. Non risponde.
— Lo prendo come un sì — dico.
— Sono la vicepresidente. Se se venisse a sapere che…
Le rubo un bacio a stampo. — Adesso sei la mia donna. Non la vicepresidente.
Ilaria mi fissa, stordita. — Che…? Ripetilo.
— Sei la mia donna.
Il suo viso si illumina. Fa per baciarmi, ma le porte dell’ascensore si aprono. Usciamo. Attraversiamo fianco a fianco l'atrio, punteggiato di persone. Le dita si sfiorano, gli occhi una maschera di freddezza fissi in avanti.
scritto il
2025-06-26
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