Oltre la soglia
di
Ironwriter2025
genere
etero
Non sapeva bene quando fosse iniziato quel cambiamento. Forse dopo l’ultimo compleanno, o forse era qualcosa che covava da tempo, silenzioso, sotto la superficie apparentemente perfetta della loro relazione. Eppure non c’era nulla che non andasse. Anna e Marco erano sempre stati una coppia intensa, affiatata, in sintonia su tutto. Anche sotto le lenzuola.
Soprattutto sotto le lenzuola.
Avevano fatto l’amore in ogni modo possibile, esplorandosi senza mai smettere di desiderarsi. Anche dopo la nascita della loro bambina – che ora aveva cinque anni e riempiva la casa con la sua voce limpida – avevano saputo proteggere il loro spazio. Intimità e passione non erano mai state un problema. Si cercavano ancora con fame, si stuzzicavano con sguardi, battute, sfioramenti improvvisi in cucina o sotto il tavolo. Ma da qualche tempo Marco aveva cominciato a proporre qualcosa di più.
Non tanto nei gesti, ma nelle intenzioni.
“Ti piacerebbe essere guardata?” le aveva detto un giorno, mentre le infilava piano le dita tra le cosce, senza staccarle gli occhi di dosso. Lei aveva scosso la testa, ma il suo corpo aveva tremato.
Poi erano arrivate altre domande. Più dirette. “E se ti legassi?”, “E se tu non potessi toccarmi?”, “E se io decidessi tutto, e tu solo... accettassi?”
Lei lo amava. Lo desiderava come il primo giorno, forse di più. Ma si sentiva spiazzata. Perché ogni sua proposta era come un passo verso un bordo invisibile. Eppure, ogni volta che pensava di non essere pronta, finiva col scivolare dentro quella tensione nuova, lasciandosi guidare da lui. Con cautela, ma senza opporsi davvero.
E ora era lì.
Nuda.
Il respiro quieto, profondo. Bendata. Le mani legate alla testata del letto da morbide fascette nere, lo stesso alle caviglie. Era stata lei a dargli il permesso. Anzi, a chiederlo. Dopo settimane di pensieri, sogni, sussulti notturni.
Il suo corpo, immobile ma vivo, sembrava parlare al posto suo.
Chi l’avesse vista in quel momento avrebbe incontrato una donna dalla bellezza magnetica e piena.
Anna era alta un metro e settantacinque, il fisico tonico, scolpito da anni di corsa e allenamenti. I muscoli sottili le disegnavano le gambe con precisione, il ventre era piatto ma morbido, i fianchi pieni ma sodi. Il seno, grande e rotondo, sembrava un regalo lasciatole dalla maternità: orgoglioso, pesante, ma perfettamente proporzionato alla sua figura atletica.
La pelle era chiara, levigata, con una lieve ombra dorata dal sole primaverile. I capelli, lunghi e lisci, di un rosso profondo, si spargevano sul cuscino come una fiamma, contrastando con la benda nera che le copriva gli occhi grandi. Occhi che chi non conosceva avrebbe scoperto essere verdi, luminosi, inquieti, capaci di sorridere e ferire con un solo sguardo.
Le labbra, carnose e rosa intenso, erano socchiuse, come se stessero ancora sussurrando qualcosa. Una preghiera, forse. O un invito.
Le gambe, ben separate, lasciavano che la posizione forzata esponesse tutta la sua vulnerabilità.
Ogni respiro, ogni fremito del seno, ogni tensione nei polsi legati raccontava una storia: la storia di una donna che amava suo marito e che, pur con mille dubbi, aveva deciso di lasciarsi attraversare da lui. Di essere, per una notte, solo corpo. Solo attesa.
Il silenzio venne spezzato da un suono lieve, ma inconfondibile.
Passi.
Lenti, decisi. Il rumore di piedi nudi sul parquet, un ritmo morbido che si avvicinava al letto. Anna trattenne il fiato per un istante, poi lo lasciò andare in un sospiro profondo. Sentì l’aria muoversi, cambiata dalla sua presenza. Marco era lì.
Il materasso si abbassò appena, quando lui salì. Il peso distribuì una tensione familiare sulle molle, e lei sentì il calore del suo corpo avvicinarsi. Il profumo – quel misto di pelle calda, sapone e desiderio – le riempì le narici con forza improvvisa, facendole fremere le cosce, che restavano aperte e inermi, nella loro prigione scelta.
Poi arrivò il bacio.
Le labbra di Marco si posarono sulle sue, piene, affamate, e in un attimo le divorarono il fiato. Non era un bacio gentile. Era intenso, profondo, come se volesse marchiarla dall’interno. Lei gli rispose senza pensarci, aprendo le labbra e accogliendolo come se fosse aria, come se da troppo tempo non respirasse. Il suo mugolio era dolce e selvaggio insieme, un suono gutturale che veniva dal ventre e si scioglieva contro la sua bocca.
Le mani di lui arrivarono subito, decise, a cercare. Salirono dal fianco, sfiorando la pelle del ventre teso, poi risalirono ancora, accarezzando con i pollici le costole e infine trovando i seni, pieni, sodi, offerti senza resistenza. Le prese con entrambe le mani, come se li avesse attesi troppo a lungo. Li strinse, li accarezzò, li pesò con voluttà, mentre i polpastrelli ruotavano sui capezzoli che si indurivano istantaneamente sotto il tocco.
«Sei bellissima, Anna…» mormorò lui, con quella voce bassa, vellutata, che le scivolava tra le gambe più delle dita stesse. «Un capolavoro… ed è quasi un peccato che possa vederlo solo io.»
Lei sorrise, e mugolò ancora, con le labbra dischiuse e bagnate dal bacio. «Dovresti ritenerti fortunato,» sussurrò in risposta, «di poter godere di questo capolavoro… e soprattutto di godertelo a pieno. Soprattutto ora. Prendimi, Marco…»
E fu allora che lui cominciò a cercare davvero.
La privazione della vista, per Anna, era una porta aperta sull’abisso dei sensi. Ogni suono era più netto, ogni tocco un’esplosione. Il tessuto che sfiorava la pelle le sembrava seta incandescente, il respiro di lui contro il suo collo un fremito che le scendeva lungo la spina dorsale come un sussurro liquido.
Le mani frugavano, esploravano la sua nudità con avidità contenuta. Una scivolò sotto il seno, lungo il ventre, dove il respiro tremava già. Le dita passarono sopra l’ombelico, poi oltre, tracciando una linea di calore tra i fianchi. L’altra mano salì al collo, piegandole leggermente la testa di lato, e lì si fermò, a sentire il battito sotto la pelle tesa. Il cuore di Anna batteva forte, quasi a voler fuggire dalla gabbia del petto.
Le dita si fecero più audaci. Toccavano, frugavano, come se stessero cercando il punto in cui la sua volontà cedeva del tutto. Lo trovarono. Lì, tra le gambe spalancate, la sua intimità si era già fatta bagnata, accogliente. Un invito muto e potente.
Marco lo sentì. Sorrise, lo sentì anche lei, in quell’istante. Poi lo baciò ancora, perché non voleva parole. Solo mani, pelle, respiro. Solo lui.
Il materasso si alleggerì all’improvviso.
Anna sentì Marco scendere, i suoi passi appena percettibili sul pavimento. Trattenne il respiro, ancora una volta. Poi il letto si piegò di nuovo, questa volta davanti a lei, tra le sue gambe legate e aperte. Lo sentì salire in ginocchio, sistemarsi con calma, con una lentezza studiata che le fece tremare l’interno coscia. Le mani di lui si posarono ai lati del suo corpo, calde, salde, come colonne vive che la circondavano. Era lì, davanti a lei, e anche se non poteva vederlo, lo sentiva ovunque.
Poi avvenne.
Lo sentì premere contro di lei, un tocco pieno, diretto. E quando la penetrò, il mondo si dissolse. Non fu un ingresso lento. Fu deciso, irruente, profondo. E lei lo accolse tutta, senza esitazione. Un gemito le sfuggì dalle labbra, profondo, gutturale, quasi un ringhio di piacere.
La sensazione della sua carne che si spalancava per lui, cieca e tesa, la investì come un’onda. Era tutto più forte. Ogni dettaglio – la pressione, il calore, il modo in cui lui riempiva ogni spazio – era amplificato dall’oscurità. Non potendo vedere, sentiva. Dio, se sentiva.
I muscoli pelvici risposero da soli, come un riflesso primitivo. Lo avvolse, lo strinse dentro di sé, lo trattenne con quella forza intima che solo lei sapeva usare. Lo sentì fremere, un suono basso, trattenuto, che le fece stringere ancora di più. Lo massaggiava da dentro, lo stuzzicava, mentre il suo corpo restava legato e immobile. Era un paradosso meraviglioso: lei era ferma, ma lo conduceva. Lo guidava con la forza segreta della sua carne.
Marco si mosse. Lento, poi più profondo. Poi ancora. Il ritmo cresceva, misurato, inesorabile. Ogni affondo era un colpo che le toglieva il respiro e glielo restituiva sotto forma di calore liquido. La frizione tra i loro corpi, la pelle contro pelle, il suono umido e ritmato dell’unione, si fondeva con i respiri, con le frasi spezzate, con le imprecazioni sussurrate tra i denti.
Anna non vedeva nulla. Ma vedeva tutto dentro di sé. Sentiva i suoi occhi su di lei, immaginava lo sguardo che la divorava, che seguiva ogni tremore, ogni sussulto dei seni, ogni contrazione dei muscoli mentre si stringeva attorno a lui. Si sentiva bella. Potente. Sua.
Un brivido le attraversò la schiena, e poi un altro, più profondo. Il piacere saliva lento, come un’onda che prende forma e poi si rompe all’improvviso. Il corpo di Marco si tendeva sopra il suo, i muscoli duri, tesi, il fiato sempre più caldo contro il suo petto.
Lei sussurrò appena, con voce spezzata: «Non fermarti… prendimi tutta…»
Marco non rallentava.
Ogni colpo era più profondo, più feroce, più pieno. I suoi movimenti scuotevano l’intero letto, che cigolava sotto il peso dei corpi legati in quell’assalto perfetto. Le mani di lui stringevano i seni di Anna con decisione, affondando nelle curve gonfie con dita dure e precise, mentre i fianchi non smettevano di muoversi, colpo dopo colpo.
Lei ansimava, si tendeva, si inarcava quanto le corde glielo permettevano. E in mezzo a quell’uragano, un pensiero si fece strada, limpido, tagliente come un raggio nel buio.
Non mi ha mai presa così. Mai con questa intensità.
Era vero. O almeno così sembrava. Eppure, qualcosa dentro di lei esitava. Forse era davvero Marco a essersi lasciato andare come mai prima, forse era la sua fame che, con il tempo, era cresciuta fino a diventare quasi primitiva. Ma forse… forse era lei.
Forse era quella benda sugli occhi.
Privata della vista, ogni sensazione era amplificata. Ogni colpo sembrava più profondo. Ogni carezza, ogni presa, ogni affondo aveva una potenza moltiplicata. Le pareva di sentirlo più grande, più duro, più instancabile. Come se l’assenza dello sguardo avesse liberato la sua immaginazione e incatenato i sensi a qualcosa di più intenso, più nudo.
Era disorientante. Eppure era bellissimo.
Il piacere che provava, scuro e dilagante, non era fatto solo di carne. Era fatto di illusioni, di percezioni, di vuoti colmati da respiro e ritmo. Marco la stava assalendo, sì, ma era anche la sua mente a portarla lì, più in là di dove era mai arrivata. La sua mente bendata, sorda al controllo, ma sveglissima nel desiderio.
Il ritmo si fermò. Improvvisamente. Marco rimase immobile dentro di lei per un istante, poi si ritirò lentamente, fino a lasciarla vuota, col respiro ancora spezzato e le labbra socchiuse in un muto gemito di protesta. Sentì il suo corpo tremare di desiderio irrisolto, ancora palpitante per il piacere che si era appena affacciato, ma che non era stato ancora lasciato esplodere.
Nel buio forzato della benda, ogni pausa aveva il peso del mistero. Ogni attesa era uno stimolo in più. Anna non sapeva cosa sarebbe accaduto, ma lo intuiva. Lo sentiva nel respiro di lui, ancora vicino, ancora affamato.
Lo sentiva nel modo in cui le mani si posarono sui suoi fianchi, salde, quasi solenni, come se stesse per compiere un gesto antico e sacro.
Poi un lieve movimento, un’aggiustata alla posizione tra le sue gambe, e il calore di lui che tornava a premerle contro. Ma non più dove si aspettava.
Fu un tocco lento, paziente, che esplorava l’altra porta, quella più intima, quella che raramente avevano varcato insieme, e mai in quel modo. Eppure, non ci fu resistenza nel suo corpo. Solo un respiro profondo, che sembrò aprirle anche la mente.
Lo sentì premere con calma, con attenzione. Le mani di Marco la trattenevano saldamente, guidandola, sorreggendola, controllando ogni millimetro. Lei si rilassò, si affidò. C’era qualcosa di profondo in quel gesto: non era solo piacere, non era solo sfida. Era fiducia cieca. Era l’accettazione di essere completamente sua.
Il contatto era diverso. Più stretto. Più lento. Più invasivo, e per questo più eccitante.
Ogni fibra del suo corpo reagiva. Sentiva il cuore salire in gola, le gambe tremare, i muscoli interni tendersi per accoglierlo, poi rilassarsi, aprendosi poco a poco. Marco non parlava. Non ce n’era bisogno. Il suo corpo parlava per lui: era dolce, ma inarrestabile. Era padrone del tempo, del ritmo, di lei.
E quando fu completamente dentro, la sensazione la travolse.
Un’ondata calda, scura, un fremito nuovo e profondo, che non era dolore, ma qualcosa di più arcaico. Una pienezza diversa, che si irradiava in ogni punto del suo essere. Anna ansimò forte, e un mugolio basso le sfuggì dalle labbra. Era come se il piacere, trattenuto fino a quel momento, avesse trovato una nuova via per esplodere.
Ogni spinta era un colpo sordo di elettricità che le attraversava la spina dorsale. Le mani di lui si erano spostate sui suoi fianchi, poi una sul ventre, a tenerla ferma, e l’altra ancora sui seni, che ormai pulsavano come se avessero un cuore proprio.
Marco si muoveva ora con ritmo crescente.
Non c’erano più esitazioni, né pause. Solo il battito regolare e sempre più veloce del suo corpo che affondava dentro di lei, con colpi pieni, decisi, che la attraversavano completamente. Ogni spinta era un’esplosione, un’onda che partiva dal basso ventre e le risaliva la colonna come un fremito caldo, denso, inarrestabile.
Anna non riusciva più a distinguere i confini tra dolore e piacere, tra tensione e abbandono. Era solo sensazione. Solo carne viva, pelle tesa, nervi accesi. Il suo corpo si apriva con ogni affondo, accogliendo tutto di lui con una fame sempre più feroce. Le gambe legate tremavano sotto quella danza furiosa, mentre le braccia si tendevano verso l’alto, strette alle cinghie, come se il suo intero corpo fosse sospeso in un’estasi ininterrotta.
E godeva.
Continuava a godere, senza pudore, senza parole.
Un piacere liquido, denso e inarrestabile, scendeva da lei, si mescolava al sudore, scivolava tra le cosce, inumidiva ogni centimetro della pelle dove il calore di Marco si faceva più intenso. Facilitava ogni affondo, rendeva tutto più fluido, più selvaggio. Lui ne era consapevole, e la prendeva ancora più a fondo, ancora più forte, come se volesse farsi strada dentro di lei fino all’anima.
Anna gemeva, senza più voce.
Ogni colpo era un’apertura, un richiamo, un’invocazione.
Ogni colpo era lui. Solo lui.
Marco non si fermava.
Il ritmo era diventato forsennato, brutale nella sua precisione. Ogni spinta era un colpo violento, calibrato al millimetro, che la sollevava letteralmente dal materasso. Il suo bacino, costretto dalle cinghie, reagiva per quanto poteva, ma era lui a condurre tutto, a dominarla con la forza del corpo e del desiderio.
E lei… si lasciava portare.
Ogni affondo faceva scricchiolare il letto, scosso dal peso e dalla furia con cui Marco la prendeva. I colpi erano così profondi da toglierle il respiro, da svuotarla e riempirla in un unico gesto, ripetuto, ossessivo.
Le mani di lui ora stringevano i suoi fianchi con forza brutale, affondando nella pelle, e quando la tirava a sé, ogni impatto faceva rimbalzare i suoi seni, ancora umidi, ancora tesi e palpitanti.
Anna gridava.
Non sussurrava più. Non gemeva.
Urlava il suo piacere, con voce roca, spezzata, che le usciva dalla gola come un canto liberatorio. Il viso era ruotato, la bocca aperta, la saliva che le bagnava le labbra e colava appena sul cuscino.
Ogni urlo era una dichiarazione: “Sì, prendimi. Sono tua.”
Era al limite. Il piacere era così profondo, così feroce, che le sembrava di non poterlo contenere. Ma non voleva che finisse. Voleva che lui continuasse, ancora, e ancora, fino a quando non ci sarebbe stato più niente da dire, né da pensare. Solo sensazione. Solo carne. Solo appartenenza.
E Marco continuava.
Un ritmo infernale. Ritmico. Perfetto.
Il suo respiro era greve, gutturale, il corpo teso all’estremo. Le spinte si fecero ancora più forti, come se volesse travolgerla del tutto, superare ogni limite del piacere e imprimere dentro di lei qualcosa di eterno.
Poi, all’improvviso, lo sentì uscire.
Un gemito lungo, quasi un lamento, riempì la stanza.
E subito dopo, una cascata di calore.
Gocce dense, bollenti, esplosero sul suo ventre, sui seni, sul pube. Anna sentì il piacere di lui schizzarle addosso in fiotti irregolari, sentì la pelle bagnarsi, avvertì ogni singolo impatto con una lucidità impressionante. Alcune gocce la colpirono alla base del collo, scivolando lente verso la clavicola. Altre scesero tra i seni, insinuandosi nelle curve tese dal respiro.
Rimase così. Immobile.
Il corpo ancora contratto, ancora vibrante, il cuore impazzito nel petto.
Poi udì il materasso muoversi di nuovo.
Marco si alzava.
Silenzioso. Esausto.
Pochi secondi dopo, lo sentì sedersi accanto a lei.
Il letto si abbassò leggermente.
La sua presenza, ancora calda e possente, ora si faceva quieta, attenta.
Le labbra di Marco si posarono sulle sue in un bacio caldo, languido, appassionato.
Il sapore salato del sudore e del desiderio ancora fresco si mescolava a quello della pelle e delle emozioni che danzavano sotto la superficie. La baciava come se volesse suggellare tutto ciò che avevano appena condiviso: l’abbandono, l’intensità, la potenza.
«Sei stata fantastica,» mormorò contro la sua bocca. «Memorabile. Un capolavoro di bellezza… in una moglie troia il giusto.»
Anna sorrise. Era ancora stordita, fradicia di sensazioni, il corpo caldo e lento come dopo un lungo sonno. Ma la parola troia le fece vibrare qualcosa dentro, tra l’eccitazione e lo smarrimento.
Mentre parlava, Marco le accarezzava il ventre e i seni, e con le dita spargeva lentamente quel piacere ancora caldo sul suo corpo, come fosse un olio sacro, un sigillo indelebile.
Poi le sfilò la benda con un gesto lento. La luce della stanza, soffusa ma presente, le esplose negli occhi. Lampeggiò le palpebre, confusa, cercando il suo sguardo.
Lui la guardava. Con gli occhi pieni, profondi, sinceri.
«Tu… tu sei stato un animale,» sussurrò lei, ansimando ancora. «Mi hai usata come un pezzo di carne. Non mi hai mai presa così. Se è tutto merito della benda… bendami tutte le volte.»
Un sorriso gli increspò le labbra, tenero, pericoloso, quasi intimo.
Le sfiorò il volto con la punta delle dita, dolcemente, come se volesse consolarla da qualcosa che ancora non conosceva.
Poi la baciò di nuovo, con infinita lentezza, mentre con le mani le slegava i polsi, uno alla volta, sfregandoli appena per far tornare il sangue. Le mani libere scivolarono giù lungo i fianchi, ma le caviglie restarono legate.
Lei lo guardava, stanca ma presente. Il cuore si stava placando.
E fu allora che Marco le sussurrò, a pochi centimetri dalle labbra:
«E se invece… non fossi stato io ad usarti come una vera troia? Ti sarebbe piaciuto lo stesso?»
Anna lo fissò. Il tempo sembrò fermarsi.
Il suo corpo era ancora scosso di fremiti, ma qualcosa dentro di lei si ghiacciò per un istante. Le pupille si dilatarono, gli occhi si spalancarono increduli, come se avesse appena risvegliato una parte di sé che non voleva domande. Fece per parlare, per chiedere, per chiedergli cosa diavolo volesse dire.
Ma lui le mise un dito sulle labbra.
Silenzio.
Poi si alzò, calmo, come se nulla fosse, e si diresse verso il bagno.
La porta si chiuse con un clic lieve.
Anna rimase lì. Legata solo alle caviglie, il resto del corpo ancora intriso di liquido, di calore, di piacere e ora... di dubbio.
Un dubbio che bruciava più del sesso stesso.
Il cuore cominciò a batterle più forte.
Rivide mentalmente ogni attimo. Ogni respiro. Ogni parola.
Poi, con un gesto lento, quasi ipnotico, sollevò un dito e lo fece scivolare lungo il ventre, dove il piacere di lui le segnava ancora la pelle. Raccolse una goccia. La osservò.
La portò alla bocca.
Sfiorò le labbra.
Assaggiò.
Deglutì.
Un brivido le attraversò la schiena.
Lo conosceva bene, il sapore di Marco.
Così bene da riconoscerlo…
O da sapere quando non era il suo.
E quello...
Avrebbe potuto non essere suo.
Il silenzio sembrava diventato materia. Anna restava immobile, ancora legata alle caviglie, il corpo impregnato di piacere… e ora, di allarme.
E mentre il dubbio prendeva forma, nitido, impossibile da ignorare, i suoi pensieri cominciarono a scorrere come una pellicola spezzata.
Frammenti.
Istanti.
Flash.
Il rumore dei suoi passi sul parquet.
Lui che sale sul letto, il materasso che si piega.
Ma… nessuna parola.
Non un saluto. Non un sospiro. Non un “sei pronta?”, come diceva sempre.
Solo mani, solo corpo.
Silenzio.
Flash.
La penetrazione.
Netta. Decisa. Violenta.
Era diversa.
La pressione all’ingresso, la profondità, la tensione.
Sembrava più grosso. Più pesante. Più ruvido.
Ma lei, nel buio, aveva accolto tutto senza pensare.
Flash.
Il ritmo.
Martellante. Preciso. Bestiale.
Marco era passionale, intenso, dominante.
Ma così? Mai.
Non l’aveva mai presa con quella brutalità sistematica.
Senza pause.
Senza rallentamenti per ascoltarla.
Flash.
Le mani sui seni.
Non si erano soffermate come al solito.
Nessuna carezza sul capezzolo, nessun lento disegno con il pollice.
Solo strette. Morsi. Gesti di chi vuole solo possedere.
Flash.
Il viso.
Non l’ha baciata.
Neanche una volta.
Marco la baciava sempre. Sempre.
Un bacio lento appena dentro, uno rapido mentre la guardava, uno sulle labbra tra un respiro e l’altro.
Era la loro cosa.
Un modo per dirsi “sei mia” anche nei momenti più crudi.
Questa volta…
Niente.
Solo un corpo contro il suo.
Solo un respiro sconosciuto sul collo.
Flash.
Il finale.
Lo ha sempre chiesto. Sempre.
“Dove lo vuoi?”
Una voce roca, eccitata, ma presente.
Era la chiusura perfetta. Una forma di rispetto, quasi di devozione.
Oggi, invece…
Solo un gesto. Una scarica.
Una cascata calda.
Senza preavviso.
Senza il suo consenso.
Senza il suo nome.
Anna deglutì, ma aveva la bocca secca.
Ogni pezzo si incastrava in modo inquietante.
Era come se il corpo l’avesse avvertita, ma lei, bendata e vulnerabile, avesse ignorato ogni allarme.
Fino ad ora.
La porta del bagno era ancora chiusa. Nessun rumore.
Nel silenzio, le sue dita toccarono di nuovo il ventre.
Il liquido era lì. Caldo. Appiccicoso.
Ancora fresco.
Lo guardò per un attimo, tremando.
Poi portò una goccia alla bocca.
La assaporò.
Il cuore accelerò di colpo.
Lo conosceva.
Quel sapore.
Quella consistenza.
Quella firma che apparteneva a Marco.
Ma adesso…
non ne era più sicura.
Il cuore di Anna scoppiò nel petto.
Le gambe ancora molli, le caviglie doloranti per la tensione delle cinghie, ma la rabbia era un’esplosione acida che le diede forza. Si liberò in un attimo, urlando, inciampando, nuda, lucida di piacere e sudore.
Scattò verso la porta del bagno.
Cominciò a picchiarla con violenza, con i pugni, con i palmi, con il corpo.
«Apri! Marco, apri subito!»
La porta si spalancò di colpo.
Lui era lì, ancora bagnato, ancora con il vapore addosso, nudo. Ma non fece in tempo a parlare.
Lo schiaffo arrivò secco, violento, in pieno volto.
Il colpo della carne sul viso riecheggiò nella stanza. Marco non si mosse. La guardò soltanto, per un attimo senza parole.
Anna era una furia.
«Sei un porco! Un maledetto bastardo! Chi diavolo c’era nel letto con me?!»
La voce le si spezzava per la rabbia. «Da chi mi hai fatto scopare?! Da chi mi hai fatto inculare come un animale, legata, cieca, senza difese?! Ma come hai potuto?! Come ti sei permesso di concedere tua moglie a un altro uomo?!»
Marco cercò di intervenire, ma lei lo spinse al petto, lo colpì ancora con il fianco, urlando parole che le uscivano a raffica. Il volto bagnato di lacrime e sudore, il corpo tremante di rabbia e umiliazione.
«Non provare a giustificarti! Non parlare! Non hai il diritto!»
Ma lui afferrò i suoi polsi. Non con violenza, ma con decisione.
Le bloccò le braccia.
«Anna. Calmati.»
Il tono era fermo. La guardava dritto negli occhi.
«Anna, ascoltami. Sei impazzita? Ma ti pare che potrei fare una cosa del genere senza dirtelo? Senza avere il tuo consenso? Senza il tuo sguardo?»
La voce era sincera. O almeno… lo sembrava.
Lei respirava affannosamente.
Scalza, nuda, ancora scossa. Ma i suoi occhi lo fissavano, e qualcosa in lei vacillò.
La stretta dei polsi si sciolse.
Lui la attirò a sé, lentamente.
Le braccia le si piegarono. E si lasciò andare. Appoggiò la fronte al suo petto, tremando.
La voce di Marco divenne un sussurro. Calda. Soffice.
«Amore… io ti amo. Lo sai, no?»
Lei annuì appena.
Rimase così. Abbracciata.
Le mani di lui le accarezzavano la schiena, poi i capelli, poi la nuca.
E quando sembrava finita, quando lei si era lasciata cullare in quella tregua emotiva, Marco piegò il capo.
Le sfiorò l’orecchio con le labbra.
E sussurrò:
«E se invece fosse stato un altro…? Ti ha fatto venire cinque volte. Sicura che avresti davvero qualcosa di cui lamentarti?»
Il gelo.
Lei si irrigidì di colpo. Lo sguardo fisso nel vuoto. La bocca si aprì leggermente, senza riuscire a emettere suono. Il cuore riprese a battere all’impazzata.
Lui si staccò.
Le diede una pacca secca sul sedere.
Sorrise.
«Dai, troietta. Preparati. Andiamo dai miei a prendere la bimba.»
E uscì dalla stanza.
Anna rimase lì. Immobile.
Nuda. Umida.
Ancora piena di piacere.
E adesso…
di incertezza.
Di paura.
E, forse,
di qualcosa che non voleva ammettere nemmeno a sé stessa.
Spero che vi stia piacendo. Se avete commenti li leggerò volentieri qui o via mail a mogliemonella2024@gmail.com
Soprattutto sotto le lenzuola.
Avevano fatto l’amore in ogni modo possibile, esplorandosi senza mai smettere di desiderarsi. Anche dopo la nascita della loro bambina – che ora aveva cinque anni e riempiva la casa con la sua voce limpida – avevano saputo proteggere il loro spazio. Intimità e passione non erano mai state un problema. Si cercavano ancora con fame, si stuzzicavano con sguardi, battute, sfioramenti improvvisi in cucina o sotto il tavolo. Ma da qualche tempo Marco aveva cominciato a proporre qualcosa di più.
Non tanto nei gesti, ma nelle intenzioni.
“Ti piacerebbe essere guardata?” le aveva detto un giorno, mentre le infilava piano le dita tra le cosce, senza staccarle gli occhi di dosso. Lei aveva scosso la testa, ma il suo corpo aveva tremato.
Poi erano arrivate altre domande. Più dirette. “E se ti legassi?”, “E se tu non potessi toccarmi?”, “E se io decidessi tutto, e tu solo... accettassi?”
Lei lo amava. Lo desiderava come il primo giorno, forse di più. Ma si sentiva spiazzata. Perché ogni sua proposta era come un passo verso un bordo invisibile. Eppure, ogni volta che pensava di non essere pronta, finiva col scivolare dentro quella tensione nuova, lasciandosi guidare da lui. Con cautela, ma senza opporsi davvero.
E ora era lì.
Nuda.
Il respiro quieto, profondo. Bendata. Le mani legate alla testata del letto da morbide fascette nere, lo stesso alle caviglie. Era stata lei a dargli il permesso. Anzi, a chiederlo. Dopo settimane di pensieri, sogni, sussulti notturni.
Il suo corpo, immobile ma vivo, sembrava parlare al posto suo.
Chi l’avesse vista in quel momento avrebbe incontrato una donna dalla bellezza magnetica e piena.
Anna era alta un metro e settantacinque, il fisico tonico, scolpito da anni di corsa e allenamenti. I muscoli sottili le disegnavano le gambe con precisione, il ventre era piatto ma morbido, i fianchi pieni ma sodi. Il seno, grande e rotondo, sembrava un regalo lasciatole dalla maternità: orgoglioso, pesante, ma perfettamente proporzionato alla sua figura atletica.
La pelle era chiara, levigata, con una lieve ombra dorata dal sole primaverile. I capelli, lunghi e lisci, di un rosso profondo, si spargevano sul cuscino come una fiamma, contrastando con la benda nera che le copriva gli occhi grandi. Occhi che chi non conosceva avrebbe scoperto essere verdi, luminosi, inquieti, capaci di sorridere e ferire con un solo sguardo.
Le labbra, carnose e rosa intenso, erano socchiuse, come se stessero ancora sussurrando qualcosa. Una preghiera, forse. O un invito.
Le gambe, ben separate, lasciavano che la posizione forzata esponesse tutta la sua vulnerabilità.
Ogni respiro, ogni fremito del seno, ogni tensione nei polsi legati raccontava una storia: la storia di una donna che amava suo marito e che, pur con mille dubbi, aveva deciso di lasciarsi attraversare da lui. Di essere, per una notte, solo corpo. Solo attesa.
Il silenzio venne spezzato da un suono lieve, ma inconfondibile.
Passi.
Lenti, decisi. Il rumore di piedi nudi sul parquet, un ritmo morbido che si avvicinava al letto. Anna trattenne il fiato per un istante, poi lo lasciò andare in un sospiro profondo. Sentì l’aria muoversi, cambiata dalla sua presenza. Marco era lì.
Il materasso si abbassò appena, quando lui salì. Il peso distribuì una tensione familiare sulle molle, e lei sentì il calore del suo corpo avvicinarsi. Il profumo – quel misto di pelle calda, sapone e desiderio – le riempì le narici con forza improvvisa, facendole fremere le cosce, che restavano aperte e inermi, nella loro prigione scelta.
Poi arrivò il bacio.
Le labbra di Marco si posarono sulle sue, piene, affamate, e in un attimo le divorarono il fiato. Non era un bacio gentile. Era intenso, profondo, come se volesse marchiarla dall’interno. Lei gli rispose senza pensarci, aprendo le labbra e accogliendolo come se fosse aria, come se da troppo tempo non respirasse. Il suo mugolio era dolce e selvaggio insieme, un suono gutturale che veniva dal ventre e si scioglieva contro la sua bocca.
Le mani di lui arrivarono subito, decise, a cercare. Salirono dal fianco, sfiorando la pelle del ventre teso, poi risalirono ancora, accarezzando con i pollici le costole e infine trovando i seni, pieni, sodi, offerti senza resistenza. Le prese con entrambe le mani, come se li avesse attesi troppo a lungo. Li strinse, li accarezzò, li pesò con voluttà, mentre i polpastrelli ruotavano sui capezzoli che si indurivano istantaneamente sotto il tocco.
«Sei bellissima, Anna…» mormorò lui, con quella voce bassa, vellutata, che le scivolava tra le gambe più delle dita stesse. «Un capolavoro… ed è quasi un peccato che possa vederlo solo io.»
Lei sorrise, e mugolò ancora, con le labbra dischiuse e bagnate dal bacio. «Dovresti ritenerti fortunato,» sussurrò in risposta, «di poter godere di questo capolavoro… e soprattutto di godertelo a pieno. Soprattutto ora. Prendimi, Marco…»
E fu allora che lui cominciò a cercare davvero.
La privazione della vista, per Anna, era una porta aperta sull’abisso dei sensi. Ogni suono era più netto, ogni tocco un’esplosione. Il tessuto che sfiorava la pelle le sembrava seta incandescente, il respiro di lui contro il suo collo un fremito che le scendeva lungo la spina dorsale come un sussurro liquido.
Le mani frugavano, esploravano la sua nudità con avidità contenuta. Una scivolò sotto il seno, lungo il ventre, dove il respiro tremava già. Le dita passarono sopra l’ombelico, poi oltre, tracciando una linea di calore tra i fianchi. L’altra mano salì al collo, piegandole leggermente la testa di lato, e lì si fermò, a sentire il battito sotto la pelle tesa. Il cuore di Anna batteva forte, quasi a voler fuggire dalla gabbia del petto.
Le dita si fecero più audaci. Toccavano, frugavano, come se stessero cercando il punto in cui la sua volontà cedeva del tutto. Lo trovarono. Lì, tra le gambe spalancate, la sua intimità si era già fatta bagnata, accogliente. Un invito muto e potente.
Marco lo sentì. Sorrise, lo sentì anche lei, in quell’istante. Poi lo baciò ancora, perché non voleva parole. Solo mani, pelle, respiro. Solo lui.
Il materasso si alleggerì all’improvviso.
Anna sentì Marco scendere, i suoi passi appena percettibili sul pavimento. Trattenne il respiro, ancora una volta. Poi il letto si piegò di nuovo, questa volta davanti a lei, tra le sue gambe legate e aperte. Lo sentì salire in ginocchio, sistemarsi con calma, con una lentezza studiata che le fece tremare l’interno coscia. Le mani di lui si posarono ai lati del suo corpo, calde, salde, come colonne vive che la circondavano. Era lì, davanti a lei, e anche se non poteva vederlo, lo sentiva ovunque.
Poi avvenne.
Lo sentì premere contro di lei, un tocco pieno, diretto. E quando la penetrò, il mondo si dissolse. Non fu un ingresso lento. Fu deciso, irruente, profondo. E lei lo accolse tutta, senza esitazione. Un gemito le sfuggì dalle labbra, profondo, gutturale, quasi un ringhio di piacere.
La sensazione della sua carne che si spalancava per lui, cieca e tesa, la investì come un’onda. Era tutto più forte. Ogni dettaglio – la pressione, il calore, il modo in cui lui riempiva ogni spazio – era amplificato dall’oscurità. Non potendo vedere, sentiva. Dio, se sentiva.
I muscoli pelvici risposero da soli, come un riflesso primitivo. Lo avvolse, lo strinse dentro di sé, lo trattenne con quella forza intima che solo lei sapeva usare. Lo sentì fremere, un suono basso, trattenuto, che le fece stringere ancora di più. Lo massaggiava da dentro, lo stuzzicava, mentre il suo corpo restava legato e immobile. Era un paradosso meraviglioso: lei era ferma, ma lo conduceva. Lo guidava con la forza segreta della sua carne.
Marco si mosse. Lento, poi più profondo. Poi ancora. Il ritmo cresceva, misurato, inesorabile. Ogni affondo era un colpo che le toglieva il respiro e glielo restituiva sotto forma di calore liquido. La frizione tra i loro corpi, la pelle contro pelle, il suono umido e ritmato dell’unione, si fondeva con i respiri, con le frasi spezzate, con le imprecazioni sussurrate tra i denti.
Anna non vedeva nulla. Ma vedeva tutto dentro di sé. Sentiva i suoi occhi su di lei, immaginava lo sguardo che la divorava, che seguiva ogni tremore, ogni sussulto dei seni, ogni contrazione dei muscoli mentre si stringeva attorno a lui. Si sentiva bella. Potente. Sua.
Un brivido le attraversò la schiena, e poi un altro, più profondo. Il piacere saliva lento, come un’onda che prende forma e poi si rompe all’improvviso. Il corpo di Marco si tendeva sopra il suo, i muscoli duri, tesi, il fiato sempre più caldo contro il suo petto.
Lei sussurrò appena, con voce spezzata: «Non fermarti… prendimi tutta…»
Marco non rallentava.
Ogni colpo era più profondo, più feroce, più pieno. I suoi movimenti scuotevano l’intero letto, che cigolava sotto il peso dei corpi legati in quell’assalto perfetto. Le mani di lui stringevano i seni di Anna con decisione, affondando nelle curve gonfie con dita dure e precise, mentre i fianchi non smettevano di muoversi, colpo dopo colpo.
Lei ansimava, si tendeva, si inarcava quanto le corde glielo permettevano. E in mezzo a quell’uragano, un pensiero si fece strada, limpido, tagliente come un raggio nel buio.
Non mi ha mai presa così. Mai con questa intensità.
Era vero. O almeno così sembrava. Eppure, qualcosa dentro di lei esitava. Forse era davvero Marco a essersi lasciato andare come mai prima, forse era la sua fame che, con il tempo, era cresciuta fino a diventare quasi primitiva. Ma forse… forse era lei.
Forse era quella benda sugli occhi.
Privata della vista, ogni sensazione era amplificata. Ogni colpo sembrava più profondo. Ogni carezza, ogni presa, ogni affondo aveva una potenza moltiplicata. Le pareva di sentirlo più grande, più duro, più instancabile. Come se l’assenza dello sguardo avesse liberato la sua immaginazione e incatenato i sensi a qualcosa di più intenso, più nudo.
Era disorientante. Eppure era bellissimo.
Il piacere che provava, scuro e dilagante, non era fatto solo di carne. Era fatto di illusioni, di percezioni, di vuoti colmati da respiro e ritmo. Marco la stava assalendo, sì, ma era anche la sua mente a portarla lì, più in là di dove era mai arrivata. La sua mente bendata, sorda al controllo, ma sveglissima nel desiderio.
Il ritmo si fermò. Improvvisamente. Marco rimase immobile dentro di lei per un istante, poi si ritirò lentamente, fino a lasciarla vuota, col respiro ancora spezzato e le labbra socchiuse in un muto gemito di protesta. Sentì il suo corpo tremare di desiderio irrisolto, ancora palpitante per il piacere che si era appena affacciato, ma che non era stato ancora lasciato esplodere.
Nel buio forzato della benda, ogni pausa aveva il peso del mistero. Ogni attesa era uno stimolo in più. Anna non sapeva cosa sarebbe accaduto, ma lo intuiva. Lo sentiva nel respiro di lui, ancora vicino, ancora affamato.
Lo sentiva nel modo in cui le mani si posarono sui suoi fianchi, salde, quasi solenni, come se stesse per compiere un gesto antico e sacro.
Poi un lieve movimento, un’aggiustata alla posizione tra le sue gambe, e il calore di lui che tornava a premerle contro. Ma non più dove si aspettava.
Fu un tocco lento, paziente, che esplorava l’altra porta, quella più intima, quella che raramente avevano varcato insieme, e mai in quel modo. Eppure, non ci fu resistenza nel suo corpo. Solo un respiro profondo, che sembrò aprirle anche la mente.
Lo sentì premere con calma, con attenzione. Le mani di Marco la trattenevano saldamente, guidandola, sorreggendola, controllando ogni millimetro. Lei si rilassò, si affidò. C’era qualcosa di profondo in quel gesto: non era solo piacere, non era solo sfida. Era fiducia cieca. Era l’accettazione di essere completamente sua.
Il contatto era diverso. Più stretto. Più lento. Più invasivo, e per questo più eccitante.
Ogni fibra del suo corpo reagiva. Sentiva il cuore salire in gola, le gambe tremare, i muscoli interni tendersi per accoglierlo, poi rilassarsi, aprendosi poco a poco. Marco non parlava. Non ce n’era bisogno. Il suo corpo parlava per lui: era dolce, ma inarrestabile. Era padrone del tempo, del ritmo, di lei.
E quando fu completamente dentro, la sensazione la travolse.
Un’ondata calda, scura, un fremito nuovo e profondo, che non era dolore, ma qualcosa di più arcaico. Una pienezza diversa, che si irradiava in ogni punto del suo essere. Anna ansimò forte, e un mugolio basso le sfuggì dalle labbra. Era come se il piacere, trattenuto fino a quel momento, avesse trovato una nuova via per esplodere.
Ogni spinta era un colpo sordo di elettricità che le attraversava la spina dorsale. Le mani di lui si erano spostate sui suoi fianchi, poi una sul ventre, a tenerla ferma, e l’altra ancora sui seni, che ormai pulsavano come se avessero un cuore proprio.
Marco si muoveva ora con ritmo crescente.
Non c’erano più esitazioni, né pause. Solo il battito regolare e sempre più veloce del suo corpo che affondava dentro di lei, con colpi pieni, decisi, che la attraversavano completamente. Ogni spinta era un’esplosione, un’onda che partiva dal basso ventre e le risaliva la colonna come un fremito caldo, denso, inarrestabile.
Anna non riusciva più a distinguere i confini tra dolore e piacere, tra tensione e abbandono. Era solo sensazione. Solo carne viva, pelle tesa, nervi accesi. Il suo corpo si apriva con ogni affondo, accogliendo tutto di lui con una fame sempre più feroce. Le gambe legate tremavano sotto quella danza furiosa, mentre le braccia si tendevano verso l’alto, strette alle cinghie, come se il suo intero corpo fosse sospeso in un’estasi ininterrotta.
E godeva.
Continuava a godere, senza pudore, senza parole.
Un piacere liquido, denso e inarrestabile, scendeva da lei, si mescolava al sudore, scivolava tra le cosce, inumidiva ogni centimetro della pelle dove il calore di Marco si faceva più intenso. Facilitava ogni affondo, rendeva tutto più fluido, più selvaggio. Lui ne era consapevole, e la prendeva ancora più a fondo, ancora più forte, come se volesse farsi strada dentro di lei fino all’anima.
Anna gemeva, senza più voce.
Ogni colpo era un’apertura, un richiamo, un’invocazione.
Ogni colpo era lui. Solo lui.
Marco non si fermava.
Il ritmo era diventato forsennato, brutale nella sua precisione. Ogni spinta era un colpo violento, calibrato al millimetro, che la sollevava letteralmente dal materasso. Il suo bacino, costretto dalle cinghie, reagiva per quanto poteva, ma era lui a condurre tutto, a dominarla con la forza del corpo e del desiderio.
E lei… si lasciava portare.
Ogni affondo faceva scricchiolare il letto, scosso dal peso e dalla furia con cui Marco la prendeva. I colpi erano così profondi da toglierle il respiro, da svuotarla e riempirla in un unico gesto, ripetuto, ossessivo.
Le mani di lui ora stringevano i suoi fianchi con forza brutale, affondando nella pelle, e quando la tirava a sé, ogni impatto faceva rimbalzare i suoi seni, ancora umidi, ancora tesi e palpitanti.
Anna gridava.
Non sussurrava più. Non gemeva.
Urlava il suo piacere, con voce roca, spezzata, che le usciva dalla gola come un canto liberatorio. Il viso era ruotato, la bocca aperta, la saliva che le bagnava le labbra e colava appena sul cuscino.
Ogni urlo era una dichiarazione: “Sì, prendimi. Sono tua.”
Era al limite. Il piacere era così profondo, così feroce, che le sembrava di non poterlo contenere. Ma non voleva che finisse. Voleva che lui continuasse, ancora, e ancora, fino a quando non ci sarebbe stato più niente da dire, né da pensare. Solo sensazione. Solo carne. Solo appartenenza.
E Marco continuava.
Un ritmo infernale. Ritmico. Perfetto.
Il suo respiro era greve, gutturale, il corpo teso all’estremo. Le spinte si fecero ancora più forti, come se volesse travolgerla del tutto, superare ogni limite del piacere e imprimere dentro di lei qualcosa di eterno.
Poi, all’improvviso, lo sentì uscire.
Un gemito lungo, quasi un lamento, riempì la stanza.
E subito dopo, una cascata di calore.
Gocce dense, bollenti, esplosero sul suo ventre, sui seni, sul pube. Anna sentì il piacere di lui schizzarle addosso in fiotti irregolari, sentì la pelle bagnarsi, avvertì ogni singolo impatto con una lucidità impressionante. Alcune gocce la colpirono alla base del collo, scivolando lente verso la clavicola. Altre scesero tra i seni, insinuandosi nelle curve tese dal respiro.
Rimase così. Immobile.
Il corpo ancora contratto, ancora vibrante, il cuore impazzito nel petto.
Poi udì il materasso muoversi di nuovo.
Marco si alzava.
Silenzioso. Esausto.
Pochi secondi dopo, lo sentì sedersi accanto a lei.
Il letto si abbassò leggermente.
La sua presenza, ancora calda e possente, ora si faceva quieta, attenta.
Le labbra di Marco si posarono sulle sue in un bacio caldo, languido, appassionato.
Il sapore salato del sudore e del desiderio ancora fresco si mescolava a quello della pelle e delle emozioni che danzavano sotto la superficie. La baciava come se volesse suggellare tutto ciò che avevano appena condiviso: l’abbandono, l’intensità, la potenza.
«Sei stata fantastica,» mormorò contro la sua bocca. «Memorabile. Un capolavoro di bellezza… in una moglie troia il giusto.»
Anna sorrise. Era ancora stordita, fradicia di sensazioni, il corpo caldo e lento come dopo un lungo sonno. Ma la parola troia le fece vibrare qualcosa dentro, tra l’eccitazione e lo smarrimento.
Mentre parlava, Marco le accarezzava il ventre e i seni, e con le dita spargeva lentamente quel piacere ancora caldo sul suo corpo, come fosse un olio sacro, un sigillo indelebile.
Poi le sfilò la benda con un gesto lento. La luce della stanza, soffusa ma presente, le esplose negli occhi. Lampeggiò le palpebre, confusa, cercando il suo sguardo.
Lui la guardava. Con gli occhi pieni, profondi, sinceri.
«Tu… tu sei stato un animale,» sussurrò lei, ansimando ancora. «Mi hai usata come un pezzo di carne. Non mi hai mai presa così. Se è tutto merito della benda… bendami tutte le volte.»
Un sorriso gli increspò le labbra, tenero, pericoloso, quasi intimo.
Le sfiorò il volto con la punta delle dita, dolcemente, come se volesse consolarla da qualcosa che ancora non conosceva.
Poi la baciò di nuovo, con infinita lentezza, mentre con le mani le slegava i polsi, uno alla volta, sfregandoli appena per far tornare il sangue. Le mani libere scivolarono giù lungo i fianchi, ma le caviglie restarono legate.
Lei lo guardava, stanca ma presente. Il cuore si stava placando.
E fu allora che Marco le sussurrò, a pochi centimetri dalle labbra:
«E se invece… non fossi stato io ad usarti come una vera troia? Ti sarebbe piaciuto lo stesso?»
Anna lo fissò. Il tempo sembrò fermarsi.
Il suo corpo era ancora scosso di fremiti, ma qualcosa dentro di lei si ghiacciò per un istante. Le pupille si dilatarono, gli occhi si spalancarono increduli, come se avesse appena risvegliato una parte di sé che non voleva domande. Fece per parlare, per chiedere, per chiedergli cosa diavolo volesse dire.
Ma lui le mise un dito sulle labbra.
Silenzio.
Poi si alzò, calmo, come se nulla fosse, e si diresse verso il bagno.
La porta si chiuse con un clic lieve.
Anna rimase lì. Legata solo alle caviglie, il resto del corpo ancora intriso di liquido, di calore, di piacere e ora... di dubbio.
Un dubbio che bruciava più del sesso stesso.
Il cuore cominciò a batterle più forte.
Rivide mentalmente ogni attimo. Ogni respiro. Ogni parola.
Poi, con un gesto lento, quasi ipnotico, sollevò un dito e lo fece scivolare lungo il ventre, dove il piacere di lui le segnava ancora la pelle. Raccolse una goccia. La osservò.
La portò alla bocca.
Sfiorò le labbra.
Assaggiò.
Deglutì.
Un brivido le attraversò la schiena.
Lo conosceva bene, il sapore di Marco.
Così bene da riconoscerlo…
O da sapere quando non era il suo.
E quello...
Avrebbe potuto non essere suo.
Il silenzio sembrava diventato materia. Anna restava immobile, ancora legata alle caviglie, il corpo impregnato di piacere… e ora, di allarme.
E mentre il dubbio prendeva forma, nitido, impossibile da ignorare, i suoi pensieri cominciarono a scorrere come una pellicola spezzata.
Frammenti.
Istanti.
Flash.
Il rumore dei suoi passi sul parquet.
Lui che sale sul letto, il materasso che si piega.
Ma… nessuna parola.
Non un saluto. Non un sospiro. Non un “sei pronta?”, come diceva sempre.
Solo mani, solo corpo.
Silenzio.
Flash.
La penetrazione.
Netta. Decisa. Violenta.
Era diversa.
La pressione all’ingresso, la profondità, la tensione.
Sembrava più grosso. Più pesante. Più ruvido.
Ma lei, nel buio, aveva accolto tutto senza pensare.
Flash.
Il ritmo.
Martellante. Preciso. Bestiale.
Marco era passionale, intenso, dominante.
Ma così? Mai.
Non l’aveva mai presa con quella brutalità sistematica.
Senza pause.
Senza rallentamenti per ascoltarla.
Flash.
Le mani sui seni.
Non si erano soffermate come al solito.
Nessuna carezza sul capezzolo, nessun lento disegno con il pollice.
Solo strette. Morsi. Gesti di chi vuole solo possedere.
Flash.
Il viso.
Non l’ha baciata.
Neanche una volta.
Marco la baciava sempre. Sempre.
Un bacio lento appena dentro, uno rapido mentre la guardava, uno sulle labbra tra un respiro e l’altro.
Era la loro cosa.
Un modo per dirsi “sei mia” anche nei momenti più crudi.
Questa volta…
Niente.
Solo un corpo contro il suo.
Solo un respiro sconosciuto sul collo.
Flash.
Il finale.
Lo ha sempre chiesto. Sempre.
“Dove lo vuoi?”
Una voce roca, eccitata, ma presente.
Era la chiusura perfetta. Una forma di rispetto, quasi di devozione.
Oggi, invece…
Solo un gesto. Una scarica.
Una cascata calda.
Senza preavviso.
Senza il suo consenso.
Senza il suo nome.
Anna deglutì, ma aveva la bocca secca.
Ogni pezzo si incastrava in modo inquietante.
Era come se il corpo l’avesse avvertita, ma lei, bendata e vulnerabile, avesse ignorato ogni allarme.
Fino ad ora.
La porta del bagno era ancora chiusa. Nessun rumore.
Nel silenzio, le sue dita toccarono di nuovo il ventre.
Il liquido era lì. Caldo. Appiccicoso.
Ancora fresco.
Lo guardò per un attimo, tremando.
Poi portò una goccia alla bocca.
La assaporò.
Il cuore accelerò di colpo.
Lo conosceva.
Quel sapore.
Quella consistenza.
Quella firma che apparteneva a Marco.
Ma adesso…
non ne era più sicura.
Il cuore di Anna scoppiò nel petto.
Le gambe ancora molli, le caviglie doloranti per la tensione delle cinghie, ma la rabbia era un’esplosione acida che le diede forza. Si liberò in un attimo, urlando, inciampando, nuda, lucida di piacere e sudore.
Scattò verso la porta del bagno.
Cominciò a picchiarla con violenza, con i pugni, con i palmi, con il corpo.
«Apri! Marco, apri subito!»
La porta si spalancò di colpo.
Lui era lì, ancora bagnato, ancora con il vapore addosso, nudo. Ma non fece in tempo a parlare.
Lo schiaffo arrivò secco, violento, in pieno volto.
Il colpo della carne sul viso riecheggiò nella stanza. Marco non si mosse. La guardò soltanto, per un attimo senza parole.
Anna era una furia.
«Sei un porco! Un maledetto bastardo! Chi diavolo c’era nel letto con me?!»
La voce le si spezzava per la rabbia. «Da chi mi hai fatto scopare?! Da chi mi hai fatto inculare come un animale, legata, cieca, senza difese?! Ma come hai potuto?! Come ti sei permesso di concedere tua moglie a un altro uomo?!»
Marco cercò di intervenire, ma lei lo spinse al petto, lo colpì ancora con il fianco, urlando parole che le uscivano a raffica. Il volto bagnato di lacrime e sudore, il corpo tremante di rabbia e umiliazione.
«Non provare a giustificarti! Non parlare! Non hai il diritto!»
Ma lui afferrò i suoi polsi. Non con violenza, ma con decisione.
Le bloccò le braccia.
«Anna. Calmati.»
Il tono era fermo. La guardava dritto negli occhi.
«Anna, ascoltami. Sei impazzita? Ma ti pare che potrei fare una cosa del genere senza dirtelo? Senza avere il tuo consenso? Senza il tuo sguardo?»
La voce era sincera. O almeno… lo sembrava.
Lei respirava affannosamente.
Scalza, nuda, ancora scossa. Ma i suoi occhi lo fissavano, e qualcosa in lei vacillò.
La stretta dei polsi si sciolse.
Lui la attirò a sé, lentamente.
Le braccia le si piegarono. E si lasciò andare. Appoggiò la fronte al suo petto, tremando.
La voce di Marco divenne un sussurro. Calda. Soffice.
«Amore… io ti amo. Lo sai, no?»
Lei annuì appena.
Rimase così. Abbracciata.
Le mani di lui le accarezzavano la schiena, poi i capelli, poi la nuca.
E quando sembrava finita, quando lei si era lasciata cullare in quella tregua emotiva, Marco piegò il capo.
Le sfiorò l’orecchio con le labbra.
E sussurrò:
«E se invece fosse stato un altro…? Ti ha fatto venire cinque volte. Sicura che avresti davvero qualcosa di cui lamentarti?»
Il gelo.
Lei si irrigidì di colpo. Lo sguardo fisso nel vuoto. La bocca si aprì leggermente, senza riuscire a emettere suono. Il cuore riprese a battere all’impazzata.
Lui si staccò.
Le diede una pacca secca sul sedere.
Sorrise.
«Dai, troietta. Preparati. Andiamo dai miei a prendere la bimba.»
E uscì dalla stanza.
Anna rimase lì. Immobile.
Nuda. Umida.
Ancora piena di piacere.
E adesso…
di incertezza.
Di paura.
E, forse,
di qualcosa che non voleva ammettere nemmeno a sé stessa.
Spero che vi stia piacendo. Se avete commenti li leggerò volentieri qui o via mail a mogliemonella2024@gmail.com
8
voti
voti
valutazione
8.1
8.1
Continua a leggere racconti dello stesso autore
racconto precedente
Runner 8racconto sucessivo
Oltre la soglia - Seconda parte
Commenti dei lettori al racconto erotico