Il regalo di mamma per il mio compleanno
di
AngelicaBellaWriter
genere
incesti
Mi inginocchiai sul pavimento della cucina mentre lui finiva il caffè.
Indossavo ancora la camicia del giorno prima, slacciata, senza reggiseno. Le tette libere, gonfie, pesanti. Il capezzolo sinistro era ancora arrossato: me l’ero tirato forte nel letto.
Le cosce brillavano. Non per il sudore.
Mi leccai due dita e iniziai a massaggiarmi piano, davanti a lui, come una cagna che vuole essere presa.
Lui non disse nulla, ma si tolse la cintura.
Quella con la fibbia spessa, fredda. Sapeva che mi faceva tremare.
Me la posò sulla lingua. La succhiai come fosse il suo cazzo.
― Sei sporca ― disse.
― Peggio ― mormorai. ― Sono bagnata per te da stamattina. Non ho messo le mutande. Mi sono lasciata colare la figa lungo le cosce tutto il giorno.
Mi afferrò per i capelli, con forza. Mi spinse la faccia contro la patta dei jeans.
Sentivo il suo cazzo duro che premeva sotto il tessuto, gonfio.
― Toglilo.
Ubbidii. Gli abbassai i pantaloni e gli scivolò fuori il cazzo più grosso che abbia mai avuto tra le labbra.
Sapeva già di lui: un misto di sapone e umido, l’odore che mi manda fuori di testa.
Lo succhiai con fame, con rabbia. Mi prendevo tutto. Fino in gola.
Mi sputò in faccia.
― Così ti piaccio, eh?
― Fammi ingoiare tutto. Sborra in faccia, ti prego ― lo implorai, mentre con la mano libera mi infilavo le dita in figa. Fradicia. Calda. Lurida.
Venne in fretta. Mi si rovesciò addosso: sulla lingua, sul mento, sul collo.
Uno zampillo caldo mi finì tra le tette e colò fino alla pancia.
Prese due dita, lo raccolse, me le infilò in bocca.
Le succhiai forte, come per tenerlo dentro.
Rimanemmo così. Io in ginocchio. Lui con la cintura ancora in mano.
Niente parole. Niente carezze. Solo sudore e vergogna.
Lo guardai.
E dissi, con un sorriso lurido:
― Buon compleanno.
Indossavo ancora la camicia del giorno prima, slacciata, senza reggiseno. Le tette libere, gonfie, pesanti. Il capezzolo sinistro era ancora arrossato: me l’ero tirato forte nel letto.
Le cosce brillavano. Non per il sudore.
Mi leccai due dita e iniziai a massaggiarmi piano, davanti a lui, come una cagna che vuole essere presa.
Lui non disse nulla, ma si tolse la cintura.
Quella con la fibbia spessa, fredda. Sapeva che mi faceva tremare.
Me la posò sulla lingua. La succhiai come fosse il suo cazzo.
― Sei sporca ― disse.
― Peggio ― mormorai. ― Sono bagnata per te da stamattina. Non ho messo le mutande. Mi sono lasciata colare la figa lungo le cosce tutto il giorno.
Mi afferrò per i capelli, con forza. Mi spinse la faccia contro la patta dei jeans.
Sentivo il suo cazzo duro che premeva sotto il tessuto, gonfio.
― Toglilo.
Ubbidii. Gli abbassai i pantaloni e gli scivolò fuori il cazzo più grosso che abbia mai avuto tra le labbra.
Sapeva già di lui: un misto di sapone e umido, l’odore che mi manda fuori di testa.
Lo succhiai con fame, con rabbia. Mi prendevo tutto. Fino in gola.
Mi sputò in faccia.
― Così ti piaccio, eh?
― Fammi ingoiare tutto. Sborra in faccia, ti prego ― lo implorai, mentre con la mano libera mi infilavo le dita in figa. Fradicia. Calda. Lurida.
Venne in fretta. Mi si rovesciò addosso: sulla lingua, sul mento, sul collo.
Uno zampillo caldo mi finì tra le tette e colò fino alla pancia.
Prese due dita, lo raccolse, me le infilò in bocca.
Le succhiai forte, come per tenerlo dentro.
Rimanemmo così. Io in ginocchio. Lui con la cintura ancora in mano.
Niente parole. Niente carezze. Solo sudore e vergogna.
Lo guardai.
E dissi, con un sorriso lurido:
― Buon compleanno.
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