La fame di Marta
di
AngelicaBellaWriter
genere
confessioni
Marta aveva superato i quarant’anni da un pezzo, eppure qualcosa in lei si stava risvegliando. Una fame bastarda, viscerale, che la rosicchiava da dentro. Non era il sesso di sempre. Non era la solita cavalcata svogliata sul marito addormentato. Era una bestia con la bava alla bocca, che grattava le pareti del suo ventre.
Il primo segnale arrivò mentre stava sistemando il bagno, piegata davanti allo specchio. Passò lo straccio sul bordo della vasca e si guardò. Il suo culo era ancora lì, alto, sodo, come se aspettasse qualcosa. O qualcuno. Si morse il labbro e lo accarezzò. Non c’era pudore. Non c’era vergogna. Solo la voglia di essere presa. Lì. Dove nessuno l’aveva toccata davvero.
Quando vide Dario – ventitré anni, il figlio dei vicini che le portava le casse d’acqua ogni venerdì – gli occhi le si fecero di brace. Era rozzo, ignorante, ma aveva un culo da far bestemmiare le sante. E un’aria stupida che le faceva salire un’eccitazione nera, animalesca.
Quel giorno, Marta chiuse la porta alle sue spalle e lo spinse contro la parete della cucina. Gli mise le mani sui fianchi, gli abbassò i jeans senza una parola. Il ragazzo, all’inizio, restò immobile, come se non ci credesse. Ma quando sentì la lingua di lei insinuarsi tra le sue chiappe, emise un verso strozzato, mezzo gemito e mezzo bestemmia.
Marta lo leccava con la fame di una che aveva digiunato per anni. Gli teneva le natiche spalancate con forza, infilava la lingua come se volesse scavarci dentro, come se l’odore e il sapore la drogassero. Ogni scossa di piacere che lui lasciava uscire le faceva bagnare la lingua ancora di più. Lo voleva sudato, tremante, aperto. Voleva sentirlo cedere.
— Ti piace, eh? — ringhiava tra un affondo e l’altro. — Piccolo porco... guarda come ti muovi.
E lui, rosso in faccia, sudato, ormai piegato sul tavolo come una troia da retrobottega, si lasciava fare. Non diceva niente, ma il corpo parlava. Ogni tremito, ogni singhiozzo di piacere era una confessione.
Marta si alzò, si mise a cavalcioni su di lui, nuda, con la pelle che brillava di sudore e furore. Si girò, si chinò, gli mostrò il suo buco. Lento, sporco, impudico.
— Ora tocca a te — disse. — Fammelo anche tu, come un bravo ragazzo.
E lui obbedì. Aveva imparato bene. Marta non era più la moglie che faceva la spesa al mercato e salutava con un sorriso. Era diventata altro. Una che si faceva leccare l’anima dal fondo.
E non voleva più smettere.
Il primo segnale arrivò mentre stava sistemando il bagno, piegata davanti allo specchio. Passò lo straccio sul bordo della vasca e si guardò. Il suo culo era ancora lì, alto, sodo, come se aspettasse qualcosa. O qualcuno. Si morse il labbro e lo accarezzò. Non c’era pudore. Non c’era vergogna. Solo la voglia di essere presa. Lì. Dove nessuno l’aveva toccata davvero.
Quando vide Dario – ventitré anni, il figlio dei vicini che le portava le casse d’acqua ogni venerdì – gli occhi le si fecero di brace. Era rozzo, ignorante, ma aveva un culo da far bestemmiare le sante. E un’aria stupida che le faceva salire un’eccitazione nera, animalesca.
Quel giorno, Marta chiuse la porta alle sue spalle e lo spinse contro la parete della cucina. Gli mise le mani sui fianchi, gli abbassò i jeans senza una parola. Il ragazzo, all’inizio, restò immobile, come se non ci credesse. Ma quando sentì la lingua di lei insinuarsi tra le sue chiappe, emise un verso strozzato, mezzo gemito e mezzo bestemmia.
Marta lo leccava con la fame di una che aveva digiunato per anni. Gli teneva le natiche spalancate con forza, infilava la lingua come se volesse scavarci dentro, come se l’odore e il sapore la drogassero. Ogni scossa di piacere che lui lasciava uscire le faceva bagnare la lingua ancora di più. Lo voleva sudato, tremante, aperto. Voleva sentirlo cedere.
— Ti piace, eh? — ringhiava tra un affondo e l’altro. — Piccolo porco... guarda come ti muovi.
E lui, rosso in faccia, sudato, ormai piegato sul tavolo come una troia da retrobottega, si lasciava fare. Non diceva niente, ma il corpo parlava. Ogni tremito, ogni singhiozzo di piacere era una confessione.
Marta si alzò, si mise a cavalcioni su di lui, nuda, con la pelle che brillava di sudore e furore. Si girò, si chinò, gli mostrò il suo buco. Lento, sporco, impudico.
— Ora tocca a te — disse. — Fammelo anche tu, come un bravo ragazzo.
E lui obbedì. Aveva imparato bene. Marta non era più la moglie che faceva la spesa al mercato e salutava con un sorriso. Era diventata altro. Una che si faceva leccare l’anima dal fondo.
E non voleva più smettere.
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