Macarena

di
genere
corna

Macarena rientrò a casa con la gonna alzata sul culo e due uomini che le salivano dietro come cani in calore. Non li conosceva davvero. Javi forse si chiamava così. L’altro le aveva detto un nome, ma lei era troppo impegnata a leccargli l’orecchio per ricordarlo.
La porta si chiuse con un calcio. Lei si tolse i sandali al volo, buttandoli da una parte. La casa odorava di caldo e umido, di lenzuola sfatte e voglia repressa. Accese la musica, reggaeton lento, basso che batteva forte, come il cuore quando sei sul punto di venirti addosso.
Non disse una parola. Si girò, li guardò. Poi si piegò in avanti, fece scivolare la minigonna sulle cosce e la lasciò cadere a terra.
Era nuda sotto. Culo pieno, lucido. Rasata di fresco, profumata.
Una troia pronta a farsi usare.
«Guardatevi questo culo, stronzi.»
Lo disse ridendo, con voce impastata di gin e voglia. Javi si sbottonò subito. L’altro tremava.
Macarena si inginocchiò tra loro. Slacciò cinture, aprì pantaloni, tirò fuori due cazzi tesi. Li pesò con le mani.
«Uno per la bocca, uno per la fica. Poi si cambia.»
Aprì le labbra e inghiottì il primo, fino in fondo, senza grazia. Sbavava, ansimava, lo succhiava come fosse fame. Dietro, l’altro la apriva con due dita, poi tre, poi la punta del cazzo già madido.
«Spingilo dentro, dai. Non fare il gentile. Voglio sentirlo.»
La penetrò senza chiedere permesso. Un colpo secco, pieno. Lei gemette, il suono soffocato dal cazzo che aveva in gola.
Li voleva entrambi. Dentro. Forti. Sporchi.
Sputava. Si faceva scopare come una cagna. Ogni affondo le sbatteva le tette contro il petto. Le dita di uno le stringevano i capelli, l’altro la schiaffeggiava sul culo ogni volta che gemeva troppo forte.
Macarena godeva. Non per amore, non per affetto. Ma per la porca che era, quella che non aspetta nessuno.
S’infilava da sola, cavalcava con ferocia. Li montava come un animale in calore.
«Voglio il vostro sperma addosso. Voglio gocciolare da ogni buco.»
Lo disse ansimando, con la voce roca, le cosce bagnate, la fica che tremava. Uno la prese in faccia, lo schizzo caldo le colò sulle labbra, nell’occhio, giù tra le tette. L’altro glielo piantò dentro ancora una volta, e lei si venne con un urlo.
Crollò sul pavimento, ridendo, grondante di sudore e liquidi.
Il reggaeton ancora ballava nell’aria.
Macarena si accese una sigaretta.
«Ecco perché non sposo nessuno. Chi cazzo ha bisogno dell’amore, quando c’è il ritmo, la pelle e un buon cazzo duro?»

Macarena era distesa sul divano, a gambe larghe, dita tra le labbra, i seni ancora lucidi di saliva. Aveva la pelle incollata alla pelle. Uno dei due le leccava il collo come un cane affamato, l’altro cercava di rimettersi i jeans ma con poca convinzione.
«Non avete ancora finito, vero?»
La voce di Macarena era un comando.
Non una domanda.
Si tirò su, prese entrambi per mano, li trascinò in camera. Il letto era disfatto da ore prima. Le lenzuola ancora bagnate.
Li fece stendere uno accanto all’altro. Salì su Javi, cavalcò piano, con ritmo lento, quasi da danza. Intanto con la mano libera guidava l’altro verso la sua bocca. Lo leccava, lo succhiava, lo stuzzicava con la lingua ruvida come se fosse un dolce da assaporare.
Aveva un cazzo dentro e uno tra le labbra. E li voleva tutti e due, profondi, decisi, animaleschi.
Si muoveva come una puttana e una dea allo stesso tempo.
Li guardava negli occhi, li sfidava, li stava scopando lei.
Li stava usando.
Uno le schiaffeggiava le chiappe. L’altro le tirava i capelli e le veniva in faccia.
Macarena rideva.
Spalancava le cosce e diceva:
«Scopatemi come se foste stati mesi in galera. Fatelo per lui, fatelo meglio di lui.»
Il ritmo diventava più sporco, più viscerale. Si veniva e si ricominciava. I corpi si confondevano. Odore di sesso, di sudore, di pelle nuda sbattuta contro altra pelle.
Poi.
Un rumore.
La chiave nella serratura.
Macarena lo sentì subito. Sorrise, ma non smise. Si girò appena, col cazzo ancora dentro.
La porta si aprì.
Vitorino era lì. Divisa militare, zaino in spalla. Occhi fissi. Bocca serrata.
Davanti a lui: il letto sfatto, due uomini nudi, la sua donna che cavalcava l’ennesima scopata con lo sguardo fiero.
Silenzio.
Macarena si fermò.
Solo un attimo.
Poi si voltò verso Vitorino, nuda, aperta, bagnata, piena.
«Amore. Sei tornato. Ti aspettavo.»

Vitorino non disse una parola.
Gli occhi fissi su di lei, che ancora montava quel corpo sconosciuto, le tette che rimbalzavano, il sudore che brillava sul collo, le cosce spalancate, la fica che gocciolava.
Macarena non si coprì.
Non si vergognò.
Lo guardava, sfacciata, sfrontata, con il cazzo ancora dentro, come se stesse mettendolo alla prova.
«Ti aspettavo» ripeté.
Vitorino fece un passo. Un altro.
Poi afferrò la sedia accanto al letto e la lanciò contro il muro.
Il botto fece saltare entrambi gli uomini fuori dal letto.
«Fuori. Adesso. Prima che vi spacchi la testa.»
La voce era bassa. Tagliente. Senza urla.
Bastava il tono. Bastava lo sguardo.
I due non dissero niente. Raccolsero i pantaloni, le scarpe, e sparirono con le mutande ancora in mano.
La porta si richiuse.
Silenzio.
Macarena si alzò lentamente. Gli camminò incontro, ancora lucida dei loro liquidi. Il passo lento, provocante. Lo sguardo da puttana e regina.
«Volevi fedeltà? Dovevi tenermi stretta. Mi hai lasciata sola…»
Uno schiaffo.
Secco. Non sul viso. Sul culo.
«Stai zitta.»
Le strinse il polso. La girò di colpo. Le mani sbattute contro il muro. Una gamba tra le sue. Il fiato caldo sull’orecchio.
«Sei solo mia.»
Le abbassò la testa con forza. Le gambe tremavano, il cuore batteva forte, ma la fica era ancora più bagnata. Più viva. Più pronta.
Sfilò la cintura. La usò per legarle i polsi dietro la schiena.
Lei gemeva.
Non di paura.
Di attesa.
«Hai voglia di scopare? Ora ti faccio vedere come scopa un uomo che ti ama e ti odia allo stesso tempo.»
Il suono della zip fu l’unico preavviso.
Poi il cazzo di Vitorino le entrò dentro di scatto. Senza dolcezza. Senza domande.
Era già duro. Troppo. Da quando l’aveva vista.
La prese da dietro. Forte. Ogni colpo faceva tremare il muro.
Macarena ansimava, graffiava l’intonaco, lo insultava mentre godeva.
«Porco. Bastardo. Sì, così. Fammi tua. Fammi male.»
Lui le strinse i fianchi, le morse il collo, la scopava come se volesse punirla.
E forse sì, la stava punendo.
Ma lei lo voleva proprio così.
Dominante. Selvaggio. Animale.
Le venne dentro. Spingendo fino in fondo. Tenendola stretta con tutto il corpo.
E quando fu finita, la lasciò andare. Le sfilò la cintura.
Lei si accasciò sul pavimento. Sudata, esausta, sporca.
Si voltò. Sorrise.
Aveva le cosce lucide, i capelli arruffati, il respiro spezzato.
«Benvenuto a casa, soldato.»
Macarena era a terra, nuda e stremata, le cosce aperte, il corpo madido di sudore e liquidi. Ma Vitorino non aveva finito.
Non poteva.
Non voleva.
La guardava da sopra, le mani strette a pugno, il cazzo ancora duro, pulsante, sporco di lei.
«Pensavi che bastasse un giro, puttana?»
Le prese i capelli, la tirò su di scatto.
«Ti sei fatta montare come una vacca davanti ai miei occhi. Ora ti faccio male davvero.»
Macarena ansimava, ma non si oppose.
Lo voleva.
Così.
Crudo.
Spietato.
Dentro e oltre ogni limite.
La trascinò sul letto. Le mani sul materasso, il culo sollevato, le ginocchia aperte.
Le infilò due dita in bocca.
«Bagna bene, che quello che arriva adesso non ti entrerà facile.»
Macarena lo fece. Succhiava le dita con avidità. Godeva nell’umiliazione.
Godeva perché non c’era amore. Solo forza.
Solo dominio.
Vitorino le sputò sul buco.
La aprì con le dita, piano, ma senza dolcezza.
Poi le spinse la testa contro il cuscino.
«Stai ferma. E senti cosa vuol dire essere mia.»
Il cazzo le premette dietro.
Lei trattenne il fiato.
Lui spinse.
Una volta.
Forte.
Macarena urlò.
Un gemito misto a dolore e lussuria.
«Sì. Così. Fammi male. Spaccami.»
Vitorino affondava. A fondo. Sempre più dentro. Le mani sulle anche, le unghie che lasciavano segni rossi.
Ogni colpo era secco, deciso, animalesco. Il rumore del suo corpo che sbatteva contro il suo culo riempiva la stanza.
Niente musica, adesso. Solo fiato, gemiti, pelle.
«Ti piace? Questo è per ogni volta che hai aperto le gambe a qualcun altro.»
«Sì, scopami così. Non fermarti. Fammi tua.»
Le afferrò i capelli. Le sollevò la testa.
«Guarda il muro. Guarda la tua ombra mentre ti distruggo il culo.»
Lei gemeva.
Si muoveva contro di lui.
Lo voleva più dentro.
Lo voleva anche se bruciava.
La mano di lui le scese tra le gambe.
Le trovò il clitoride, gonfio.
La stuzzicò mentre la prendeva da dietro.
Macarena tremò.
Si venne con uno strappo profondo.
Si lasciò cadere, ma Vitorino non si fermò.
Ancora colpi. Ancora rabbia.
Poi venne anche lui. Dentro.
Profondo.
Con un ringhio che sembrava un urlo.
Come un animale in battaglia.
Quando si tirò fuori, Macarena crollò di lato. Le lacrime agli occhi, le gambe molli, il culo che pulsava.
Ma sorrideva.
«Adesso sì… adesso sono tua.»
Vitorino la guardava.
Ansava.
Ancora in piedi, ancora duro.
E la notte non era ancora finita.

scritto il
2025-06-05
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