Ultimo dell’anno

di
genere
incesti

Mio figlio Paolo aveva la faccia affondata nella mia fica come un cane affamato nella ciotola.
La lingua gli sgusciava fuori come un verme caldo e sudato, si perdeva tra le mie labbra gonfie, le succhiava, le leccava, ci sbavava sopra. Sembrava volesse infilarsi dentro, risalirmi fino al cuore.

Io gli tenevo la testa giù, con forza. Gliela schiacciavo contro, gli strofinavo la figa in faccia come fosse uno straccio.
«Lecca, stronzo. Non ti fermare.»

Le sue mani si aggrappavano alle mie cosce spalancate, alle chiappe sode. Ma ero io che comandavo, io che lo scopavo con la bocca.
Non disse una parola. Grugniva. Mugolava. Obbediva.

«Dai, Carlo… sì… così…» mormorai apposta, con la voce impastata, come se fossi mezza addormentata.
Volevo umiliarlo. Paolo lo sapeva che stavo fingendo, che lo chiamavo con un altro nome, ma continuava a leccare come una puttana ammaestrata.

La lingua si fece più veloce, più sporca, più disperata.
Mi succhiava il clitoride come fosse un capezzolo, mi risucchiava il piacere con la fame di uno che non mangia da giorni.

Mi venne da urlare.
Il ventre si contrasse, la figa si strinse in uno spasmo rovente. Gli venni in faccia, tutta, a fiotti, come un getto impazzito.
Lui lo bevve. Tutto. Senza staccarsi. Come se potesse sopravvivere solo con il mio orgasmo.

Ma non gli bastava.

Si alzò, ansimante, con la faccia bagnata del mio succo. Gli occhi sbarrati, lucidi di febbre. Il cazzo tirato a morte, gonfio come una vena pronta a scoppiare.
Lo afferrai, sentii il calore pulsare tra le dita, la punta già lucida, un filo di sborra che gli colava lento.

Me lo strusciai sulla figa ancora aperta, palpitante, infiammata.
«Fammi a pezzi. Distruggimi.»

Affondò dentro con uno schiocco violento, un colpo secco che mi aprì come una fessura.
Urlai.
Il cazzo mi riempiva, mi spaccava, mi spingeva le budella.

Mi aggrappai ai suoi fianchi, lo strinsi con le gambe, lo incitavo a scoparmi più forte, più sporco.
«Sì! Così! Scopami come una troia! Fammi male! Fammi godere, pezzo di merda!»

Lui ringhiava, colava sudore, le mani mi artigliavano le tette, me le strizzava come sacche da spremere.
Mi sbatteva con furia, senza grazia. Il cazzo entrava e usciva come un ariete impazzito, senza pietà.

«Ti piace, puttana?» sibilò.
«Sì, sono la tua puttana! Vienimi dentro, riempimi la figa, sporcami!»

E lo fece.
Si bloccò un attimo, gli occhi strabuzzati, il respiro che si fermava. Poi tremò, e mi sborro dentro.
Sentii il suo seme caldo esplodermi dentro, a ondate, a getti violenti, finché colava fuori insieme al mio piacere.

Rimase dentro. Il cazzo ancora duro, ancora vivo.
Lo spinsi via con un gesto pigro, mentre la sua sborra mi colava tra le cosce.

Mi leccai le labbra e dissi piano:

«Buon anno nuovo, Paolo.»

Poi mi alzai, nuda, con le gambe ancora tremanti.
Quella notte fu solo l’inizio.
E lui non smise mai di volermi appartenere.
scritto il
2025-06-02
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