La festa delle madri 2
di
AngelicaBellaWriter
genere
incesti
Claudia mi è arrivata addosso come un’onda calda. Profumo di sesso e alcol sulla pelle, labbra umide, occhi lucidi di lussuria e consapevolezza.
Si è piegata su di me, mi ha presa per il mento e mi ha guardata come si guarda una puttana che ancora non sa di esserlo.
«Lasciati andare» ha detto.
Poi mi ha baciata.
La sua lingua si è infilata tra le mie labbra senza chiedere il permesso, decisa, sporca. Sapeva di vodka e sperma. L’ho sentita scivolarmi dentro mentre le mani mi slacciavano il vestito.
Non ho opposto resistenza.
L’abito è sceso sulle spalle, ha carezzato i fianchi, poi giù, fino ai piedi.
L’ha raccolto con eleganza e l’ha consegnato a una cameriera in topless che è sparita tra le stanze senza dire una parola.
Rimasta in reggiseno e mutandine, mi sentivo più esposta che nuda. Il corpo teso, il respiro corto. Il cazzo del ragazzo davanti a me era in erezione piena, duro come un bastone, palpitante, sfacciato.
Claudia mi ha presa per mano e mi ha guidata verso il tappeto nero davanti al camino.
Mi ha fatto sdraiare, come si stende una bambola su un letto disfatto.
Poi ha affondato la faccia tra le mie cosce.
Senza preamboli, mi ha spostato le mutandine da un lato e ha iniziato a leccarmi.
Aveva una lingua esperta, famelica. Mi scavava come se cercasse qualcosa dentro di me. Un senso, un’urgenza, un peccato.
Ho gemuto. Forte.
Il ragazzo si è inginocchiato accanto. Mi ha preso per i capelli e senza dire nulla mi ha fatto aprire la bocca.
Il suo cazzo me l’ha riempita subito, caldo e salato, mentre Claudia affondava la lingua più in basso, più dentro. Sentivo il suo respiro corto, i suoi gemiti femminili che si confondevano coi miei.
Mi muovevano come una cosa.
Un buco da riempire, una carne da mordere.
Ma io lo volevo.
Lo volevo con tutta me stessa.
Mi sentivo viva, sporca, vera.
Più vera di quanto non fossi da anni.
Il ragazzo si muoveva avanti e indietro con ritmo deciso, controllato. Le sue mani mi tenevano ferma la testa. Io lo prendevo tutto, senza pensare, con le labbra che scivolavano, con la gola che si adattava.
Claudia, sotto, godeva del mio sapore.
Mi leccava con avidità, con rabbia, come se volesse umiliarmi e salvarmi allo stesso tempo.
Mi stavo sciogliendo.
Tutto il corpo tremava.
Non ero più madre, né donna, né ospite.
Ero una bocca.
Ero una figa bagnata.
Ero un istinto.
Quando il ragazzo ha cominciato a gemere, ho capito che stava per venire.
E io non avevo nessuna intenzione di fermarlo.
Lui gemeva a denti stretti, gli occhi chiusi, le mani strette sulla mia nuca. Spingeva sempre più in fondo, come se volesse conficcarmi dentro quel cazzo fino a farmelo passare per la gola.
E io glielo lasciavo fare.
Sentivo la lingua di Claudia ancora tra le cosce, più frenetica, più ruvida. Mi succhiava il clitoride con foga, come se dovesse rubarmi l’orgasmo. Come se volesse nutrirsene. E io glielo davo. Tutto.
Il giovane ha scosso i fianchi. Mi ha affondato dentro un’ultima volta, poi ha cominciato a venirmi in bocca. Un getto caldo, amaro, abbondante. L’ho preso tutto. Senza sputare. Senza staccarmi. Solo deglutendo. Era come ingoiare la mia stessa vergogna. E amarla.
Lui si è tirato indietro lentamente. Il cazzo lucido, gonfio, colato.
Mi ha schiaffeggiato la guancia con l’estremità ancora tesa, come se volesse marchiarmi.
«Brava troia» ha detto.
Non l’ho neanche guardato. L’ho pensato anch’io, in quel momento. Sì. Una troia. Finalmente.
Claudia è risalita dal mio sesso, aveva la faccia bagnata, lucida, sfatta. Mi ha leccato una goccia di sperma che mi colava dall’angolo della bocca. Poi mi ha baciata, ancora. Un bacio sporco, mescolato di umori.
«Hai un sapore meraviglioso» ha sussurrato.
Io non rispondevo. Ansimavo. Sudavo.
Non ero più io.
Ci siamo rialzate insieme. Claudia mi ha tirata su per un braccio, come si tira su una puttana da un vicolo.
Un altro ragazzo ci aspettava.
Nudo, tatuato, con l’anello al naso. Avrà avuto ventidue anni. Il cazzo già in mano.
Claudia mi ha messa in ginocchio.
«Continua» ha detto.
Io ho obbedito.
Dietro di me sentivo altre donne gridare, ridere, chiamarsi per nome. Alcune erano sdraiate sui tavoli. Una cavalcava due ragazzi insieme. Le ragazze giovani si lasciavano andare alle madri dei loro amici. Qualcuna urlava. Qualcuna piangeva mentre godeva.
Lì, in ginocchio, con il cazzo del nuovo arrivato sulle labbra e la bocca ancora piena del sapore del precedente, ho capito che non c’era più ritorno.
La festa era diventata un inferno.
Ma era l’unico posto in cui volevo stare.
Si è piegata su di me, mi ha presa per il mento e mi ha guardata come si guarda una puttana che ancora non sa di esserlo.
«Lasciati andare» ha detto.
Poi mi ha baciata.
La sua lingua si è infilata tra le mie labbra senza chiedere il permesso, decisa, sporca. Sapeva di vodka e sperma. L’ho sentita scivolarmi dentro mentre le mani mi slacciavano il vestito.
Non ho opposto resistenza.
L’abito è sceso sulle spalle, ha carezzato i fianchi, poi giù, fino ai piedi.
L’ha raccolto con eleganza e l’ha consegnato a una cameriera in topless che è sparita tra le stanze senza dire una parola.
Rimasta in reggiseno e mutandine, mi sentivo più esposta che nuda. Il corpo teso, il respiro corto. Il cazzo del ragazzo davanti a me era in erezione piena, duro come un bastone, palpitante, sfacciato.
Claudia mi ha presa per mano e mi ha guidata verso il tappeto nero davanti al camino.
Mi ha fatto sdraiare, come si stende una bambola su un letto disfatto.
Poi ha affondato la faccia tra le mie cosce.
Senza preamboli, mi ha spostato le mutandine da un lato e ha iniziato a leccarmi.
Aveva una lingua esperta, famelica. Mi scavava come se cercasse qualcosa dentro di me. Un senso, un’urgenza, un peccato.
Ho gemuto. Forte.
Il ragazzo si è inginocchiato accanto. Mi ha preso per i capelli e senza dire nulla mi ha fatto aprire la bocca.
Il suo cazzo me l’ha riempita subito, caldo e salato, mentre Claudia affondava la lingua più in basso, più dentro. Sentivo il suo respiro corto, i suoi gemiti femminili che si confondevano coi miei.
Mi muovevano come una cosa.
Un buco da riempire, una carne da mordere.
Ma io lo volevo.
Lo volevo con tutta me stessa.
Mi sentivo viva, sporca, vera.
Più vera di quanto non fossi da anni.
Il ragazzo si muoveva avanti e indietro con ritmo deciso, controllato. Le sue mani mi tenevano ferma la testa. Io lo prendevo tutto, senza pensare, con le labbra che scivolavano, con la gola che si adattava.
Claudia, sotto, godeva del mio sapore.
Mi leccava con avidità, con rabbia, come se volesse umiliarmi e salvarmi allo stesso tempo.
Mi stavo sciogliendo.
Tutto il corpo tremava.
Non ero più madre, né donna, né ospite.
Ero una bocca.
Ero una figa bagnata.
Ero un istinto.
Quando il ragazzo ha cominciato a gemere, ho capito che stava per venire.
E io non avevo nessuna intenzione di fermarlo.
Lui gemeva a denti stretti, gli occhi chiusi, le mani strette sulla mia nuca. Spingeva sempre più in fondo, come se volesse conficcarmi dentro quel cazzo fino a farmelo passare per la gola.
E io glielo lasciavo fare.
Sentivo la lingua di Claudia ancora tra le cosce, più frenetica, più ruvida. Mi succhiava il clitoride con foga, come se dovesse rubarmi l’orgasmo. Come se volesse nutrirsene. E io glielo davo. Tutto.
Il giovane ha scosso i fianchi. Mi ha affondato dentro un’ultima volta, poi ha cominciato a venirmi in bocca. Un getto caldo, amaro, abbondante. L’ho preso tutto. Senza sputare. Senza staccarmi. Solo deglutendo. Era come ingoiare la mia stessa vergogna. E amarla.
Lui si è tirato indietro lentamente. Il cazzo lucido, gonfio, colato.
Mi ha schiaffeggiato la guancia con l’estremità ancora tesa, come se volesse marchiarmi.
«Brava troia» ha detto.
Non l’ho neanche guardato. L’ho pensato anch’io, in quel momento. Sì. Una troia. Finalmente.
Claudia è risalita dal mio sesso, aveva la faccia bagnata, lucida, sfatta. Mi ha leccato una goccia di sperma che mi colava dall’angolo della bocca. Poi mi ha baciata, ancora. Un bacio sporco, mescolato di umori.
«Hai un sapore meraviglioso» ha sussurrato.
Io non rispondevo. Ansimavo. Sudavo.
Non ero più io.
Ci siamo rialzate insieme. Claudia mi ha tirata su per un braccio, come si tira su una puttana da un vicolo.
Un altro ragazzo ci aspettava.
Nudo, tatuato, con l’anello al naso. Avrà avuto ventidue anni. Il cazzo già in mano.
Claudia mi ha messa in ginocchio.
«Continua» ha detto.
Io ho obbedito.
Dietro di me sentivo altre donne gridare, ridere, chiamarsi per nome. Alcune erano sdraiate sui tavoli. Una cavalcava due ragazzi insieme. Le ragazze giovani si lasciavano andare alle madri dei loro amici. Qualcuna urlava. Qualcuna piangeva mentre godeva.
Lì, in ginocchio, con il cazzo del nuovo arrivato sulle labbra e la bocca ancora piena del sapore del precedente, ho capito che non c’era più ritorno.
La festa era diventata un inferno.
Ma era l’unico posto in cui volevo stare.
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