La mia madrina
di
AngelicaBellaWriter
genere
incesti
Non avevo mai fatto una cosa del genere.
Non con donna. Non con un uomo sposato. Non con entrambi.
Soprattutto non lo avevo mai fatto con la mia madrina e suo marito.
Eppure, quella sera, quando lei mi baciò sulla bocca davanti a suo marito, non ebbi dubbi. Nessun freno. Nessun pudore. La lingua mi entrò tra le labbra come una domanda già decisa.
«Ti piaccio?» mi chiese.
Non risposi. La guardai. Mi fissava con quegli occhi neri, lucidi, pieni di qualcosa che non era semplice eccitazione. Era fame. Era dominio.
«Voglio mostrarti una cosa» sussurrò. «Ti va?»
Annuii. Bastò quello.
Mi prese per mano e mi portò in camera da letto, mentre lui ci seguiva in silenzio, un passo dopo l’altro. Si sedette, ci osservava. La luce era bassa, soffusa, calda. Lei si spogliò con lentezza, senza fretta, con l’arte di chi sa cosa vuole ottenere da ogni gesto.
Aveva il corpo pieno, maturo, provocante. Una donna che non chiede il permesso. Una puttana elegante. Una padrona.
Si stese sul letto e mi guardò.
«Ti piacerebbe farmi quello che ti ho fatto io?»
Non me lo feci ripetere. Mi inginocchiai. Avevo le mani che tremavano e la bocca asciutta. Ma quando le sfiorai la pelle con la lingua, la paura svanì.
Era calda. Bagnata. Viva.
Emise un gemito lungo, profondo.
«Sì… così. Brava. Più in fondo… leccami tutta.»
E io lo feci. Le aprii le cosce con le mani e ci affondai la lingua come se ci fosse qualcosa da conquistare. Lei gemeva, mi accarezzava i capelli, mi guidava. Mi parlava come una maestra che addestra la sua allieva.
«Prendi fiato e infilati dentro. Non ti fermare… leccami fino a svuotarmi.»
Io non capivo più nulla. Avevo il viso sporco, il mento bagnato, il cuore che esplodeva. Le parole che mi sussurrava erano come fruste sulla pelle.
Poi sentii lui avvicinarsi. Mi prese per la nuca e mi tirò su. Mi baciò con forza. Con violenza. Mi infilò la lingua in bocca come se volesse succhiare fuori il sapore di sua moglie.
«Fammi sentire. Voglio assaggiarla da te.»
Lo feci. Lo lasciai entrare. La mia bocca era aperta, la lingua viva, il respiro corto. Mi accarezzava il culo con una mano, con l’altra mi strinse i seni.
Ero un oggetto. Un’offerta.
Quando mi mise le mani sulle spalle e mi fece inginocchiare, sapevo già cosa voleva. Sfilò il boxer. Il suo cazzo era lì. Grosso, teso, vivo. Mi si avvicinò al viso, e lei fu dietro di me, a guidarmi.
«Apri bene. Leccalo prima. Prendilo con la lingua come ti piace il gelato più sporco.»
Lo feci. Prima con lentezza, poi con fame. Mi entrò in bocca e mi sentii riempita. Lei mi accarezzava la schiena, il culo, la figa. Mi sussurrava porcherie all’orecchio, mentre lui gemeva sopra di me.
«Brava troietta. Così. Faglielo venire duro.»
E io godevo.
Con la bocca piena.
Il cuore che batteva in gola.
E la voglia di essere presa.
Da entrambi.
Avevo la bocca piena, le mani che tremavano, il cuore che scoppiava.
Carlo mi scopava la faccia con un ritmo lento e cattivo, mentre lei mi teneva i capelli tirati, la bocca aperta, le cosce allargate. La lingua mi scivolava fuori tra le labbra come una cagna accaldata.
«Guarda come lo prende…» sussurrò lei. «Sembra nata per questo.»
Ero in ginocchio. Nuda. Umida ovunque. Ogni parte del mio corpo reclamava qualcosa. Una mano, una lingua, un cazzo. Qualsiasi cosa. Bastava che fosse sporca, bastarda, affondata in me.
«Spingi dentro, Carlo» disse. «Falle sentire che adesso è nostra.»
Lui grugnì. Con una mano mi afferrò la nuca, con l’altra guidava il cazzo dentro la mia gola. Spingeva. Io tossivo, mi colava saliva dalle labbra, ma non mi fermavo. Gli occhi che lacrimavano, il mento bagnato, la figa che pulsava.
«Dai troia, succhialo come se non ci fosse un domani» mi disse lei all’orecchio. «Fai vedere a mio marito che sei una vera bocchinara.»
Quelle parole mi accendevano come benzina sul fuoco. Mi veniva voglia di urlare con la bocca piena. Volevo essere usata, riempita, presa a calci dentro.
Quando lui si sfilò, ansimando, mi ritrovai con la faccia rossa, il respiro a scatti e le cosce tremanti. Lei si mise dietro di me, mi infilò due dita tra le gambe.
«Bagnata come una vacca in calore» disse. «Sei pronta per il prossimo passo, troietta?»
«Sì… fami tutto…» dissi. «Usatemi.»
Carlo mi fece stendere a pancia in giù, mi afferrò per i fianchi, mi tirò su a quattro zampe. Sentivo la sua pelle bollente contro la mia, il cazzo rigido che mi premeva tra le chiappe, la bocca di lei sul mio orecchio.
«Lo vuoi in figa o in culo per primo?»
«Tutti e due… insieme… voglio tutto…»
Li sentii ridere, e poi prepararci come una bestia da monta. Lei sputava e mi infilava le dita dietro, le girava, mi apriva.
«Brava… così… rilassati… ti facciamo godere come mai prima.»
Mi tenevano ferma. Le mani sulle anche. Le spinte cominciarono lente, decise, poi sempre più forti. Uno dentro. Poi le dita di lei. Alternati. Sovrapposti. La pelle che sbatteva. Le urla. I gemiti. Le bestemmie. Il letto che scricchiolava come se stesse per rompersi.
Mi stavano scopando come una troia da bordello. E io non volevo altro.
«Dai, piccola porca, spingiti contro di noi! Fatti spaccare!»
«Sì! Sì! Scopatemi forte! Di più! Riempitemi tutta!»
Venni come una pazza. Un orgasmo devastante. Urlato, tremato, vomitato fuori. Sentii i loro corpi esplodere insieme, due getti caldi che mi inondavano, che mi colavano dentro e fuori.
Caddi sul letto come un sacco vuoto. La pelle bruciava, la gola graffiata, la figa che pulsava. Ridevamo. Sporchi. Esausti. Soddisfatti.
E io pensavo solo a una cosa:
quando mi scopano di nuovo?
**
Ero ancora stesa sul letto, le cosce aperte, il respiro rotto, la bocca impastata di voglia. Lui si era alzato, nudo, e si accendeva una sigaretta con la lentezza di chi ha appena marchiato qualcosa che gli appartiene.
Lei mi accarezzava la schiena con due dita, come se mi stesse valutando.
«Dovremmo darle una lezione più completa» disse Carlo, con voce ferma.
Lei lo guardò. Sorrise. Capì subito.
«Chiamo Sandra e Luca. Sono a casa, li ho visti rientrare. Portano sempre quel loro cucciolo… come si chiama…? Ah, sì… Emil.»
Carlo rise. Soffiò il fumo in aria.
«Perfetto. Quello col collare. Fallo venire. Questa deve imparare a stare al centro. A essere osservata. Le voglio leccate, dita, sguardi ovunque. E voglio che veda cosa vuol dire essere inferiore a un animale.»
Io li ascoltavo, e ogni parola mi faceva pulsare la figa. Ero pronta a tutto. Volevo tutto. Non mi bastava più niente. Avevo bisogno di essere trattata come una puttana da addestrare. E loro lo sapevano.
Lei uscì dalla stanza e dopo pochi minuti tornò, soddisfatta.
«Stanno arrivando. Hanno già il guinzaglio in mano.»
Mi fecero alzare. Mi lavarono con una spugna bagnata. Mi vestirono con un kimono trasparente, niente sotto. Mi pettinarono i capelli, mi passarono il rossetto sulle labbra, come se fossi un oggetto da mettere in vetrina.
Carlo si sedette in poltrona. Lei accanto. Io in ginocchio tra loro, come un soprammobile pronto a essere acceso.
Il campanello suonò.
Il silenzio calò nella stanza.
La porta si aprì. E li vidi entrare.
Sandra: alta, bionda platino, corpo magro, nervoso, seni piccoli e sodi sotto un vestito rosso cortissimo. Luca: camicia aperta, tatuaggi sulle braccia, lo sguardo da bastardo e le mani già pronte a stringere.
E dietro di loro, Emil.
Un ragazzo poco più che ventenne. A petto nudo. Un collare di cuoio nero intorno al collo. Il guinzaglio legato al polso di Sandra. Occhi bassi. Passi lenti. Una bestiola addestrata.
Quando mi vide, alzò appena lo sguardo. Leccò le labbra.
Sandra sorrise.
«È questa la nuova troia?»
Carlo fece cenno di sì. Io rimasi in ginocchio, muta, eccitata da morire.
«Bene. Allora Emil si metterà sotto il tavolo. E voi vi sedete. Comincia la lezione.»
Mi misero in mezzo come un animale.
Carlo alla mia destra, Luca alla sinistra. Gli occhi addosso, i cazzi già duri, le mani che non aspettavano ordini. Avevo ancora la bocca sporca, le gambe molli, il culo segnato. Ma ne volevo ancora.
E lo dissi.
A voce alta.
Con la bava alla bocca e gli occhi fuori controllo.
«Fatelo. Prendetemi insieme. Voglio due cazzi. Uno davanti, uno dietro. Voglio essere riempita come una porca.»
Carlo mi prese per i capelli, mi tirò indietro la testa.
«Ripeti, troia. Dillo bene.»
«Voglio essere scopata in figa e in culo allo stesso tempo. Riempitemi tutta. Distruggetemi.»
Luca si avvicinò, mi slacciò la vestaglia con uno strappo. Nuda. Spalancata. Sottomessa.
Mi piegarono. Le mani sulle ginocchia. Il culo alto. La faccia bassa. Un pezzo di carne. Da possedere.
Sentivo i respiri alle mie spalle, le mani che mi aprivano, che tastavano, che spalmavano saliva. Mi trattavano come una puttana da sbattere. E io, cazzo, godevo. Godevo già prima che entrassero.
Quando lo fecero, insieme, emisi un grido bestiale.
Erano dentro.
Spingevano.
Mi schiantavano da entrambi i lati. Le spinte secche, le mani che affondavano nella mia pelle, le voci che urlavano addosso.
«Così, troia! Spingiti contro di noi! Prenditelo tutto!»
«Guarda come si spalanca! È nata per essere riempita!»
Non ero più umana. Ero un buco. Due. Tre. Una cosa da scopare, da usare, da far scoppiare.
Sandra si toccava. Sedeva davanti a me con le gambe aperte, la figa lucida e le dita affondate.
«Guarda come vi gode. È drogata di cazzo.»
E io lo ero. Drogata. Persa. Disfatta.
Le loro spinte diventavano frustate. La figa che sbatteva. Il culo che bruciava. La gola che urlava.
«Più forte! Spingete! Sfondatemi! Fate schifo di me!»
Venni così forte che persi il respiro. Un’onda di fuoco che mi prese tutta, che mi aprì le gambe, la bocca, l’anima. Lacrime, saliva, sudore.
E mentre venivo, loro vennero dentro di me.
Caldi. Pieni. Animaleschi.
Mi accasciai sul pavimento, tremando, il corpo ancora che si muoveva per inerzia, come se non volesse fermarsi mai.
Sandra si alzò, camminò a piedi nudi sul parquet, si chinò su di me.
Mi prese il viso tra le dita, mi sputò sulle labbra.
«Hai passato la prova, troia.»
Poi si voltò verso Carlo.
Non ci fu una pausa.
Appena i due uomini si staccarono da me, ansimanti e svuotati, Sandra batté le mani.
«Emil. Vieni qui. È il tuo turno.»
Il ragazzo obbedì senza parlare. Camminava a carponi, nudo, con il collare nero stretto intorno al collo e il guinzaglio che Sandra teneva ancora al polso. Sembrava un cane ben addestrato. Gli occhi bassi. La bocca aperta.
Carlo si sedette sul divano. Luca accanto. Le cosce larghe. I cazzi molli, madidi, sporchi di me.
«Lavami» disse Carlo, guardandomi dall’alto.
Mi inginocchiai tra le sue gambe, umida e tremante, la bocca ancora calda. Presi il suo cazzo tra le labbra, lo leccai piano. Tutto. Ogni goccia. Ogni piega. Lo pulivo come una schiava attenta, come una che vive per questo.
Luca mi afferrò per i capelli e mi tirò verso di sé.
«Ora il mio. Fammi brillare.»
Feci lo stesso. Lingua, bocca, baci. Come se volessi assaggiarmi attraverso lui. Sentivo il sapore di me stessa, l’odore del mio culo, della mia figa, del sudore, della saliva. Era nauseante. Era irresistibile. Mi sentivo una puttana sacra.
Dietro di me, Emil aveva già iniziato a leccare Sandra.
Lei era stesa sul tavolo, le gambe aperte, le labbra gonfie. Lo teneva per i capelli, lo muoveva come voleva.
«Più in fondo, cucciolo. Sei nato per stare sotto a una figa.»
La madrina si sedette accanto, le gambe spalancate, guardando. Poi si voltò verso Emil, con tono autoritario.
«E dopo tocca a me. Ti voglio con la lingua affondata. Niente fiato. Solo leccate.»
Il ragazzo si spostò con obbedienza, si inginocchiò davanti a lei. Infilò subito la faccia tra le sue cosce. Lei gli si sedette sopra come su una sedia.
«Tienilo fermo» disse. «Che impari a soffocare per far godere.»
Io, sempre in ginocchio tra Carlo e Luca, continuavo a succhiarli uno alla volta, leccando con attenzione, con cura. Le loro mani sul mio viso, i loro insulti sussurrati come carezze.
«Sei la nostra bocca. Il nostro lavandino. La nostra troia.»
Annuii, con il cazzo di Luca a premere sulle labbra.
Sandra cominciò a venire sopra Emil, con urla rauche, le cosce che gli stringevano la testa.
«Brava bestia… succhia bene… fammi svenire…»
Quando la madrina lo prese per sé, gli si sedette in faccia senza dir nulla. Solo gemette. Emil non si fermava. Leccava come se fosse nato per morire lì sotto.
E io, tra i due uomini, sentivo crescere un’altra ondata.
«Vi prego» dissi, con la lingua che colava. «Fatemi tornare al centro. Riempitemi ancora.»
Loro mi guardarono. E uno disse solo:
«Aspetta il tuo turno, troia. Prima viene il cucciolo.»
Emil era ancora lì, in ginocchio, con la faccia bagnata di umori femminili e il fiato corto. Il collare stringeva il collo, le guance erano arrossate, ma il suo cazzo era teso, grosso, duro come una bestia appena liberata dalla gabbia.
Sandra lo guardò e sorrise con una cattiveria lasciva. Si girò verso di me, ancora inginocchiata davanti a Carlo e Luca, con la bocca sporca del loro sapore.
«Guarda com’è duro il nostro cagnolino» disse. «E tu? Ti sei leccata il cazzo di tutti… adesso ti ci siedi sopra. E glielo fai sparare dentro.»
La frase mi colpì in mezzo alla pancia. Un brivido. Una scossa. Le gambe molli, la gola chiusa. Ma non dissi nulla.
Mi alzai.
Mi avvicinai a Emil.
Lui mi guardava dal basso, con lo sguardo vuoto di chi obbedisce senza capire. Il cazzo svettava tra le gambe. Non serviva toccarlo: bastava la scena. Bastava me.
Sandra mi prese per un fianco, mi guidò.
«Apri le gambe. Apriti. Siediti come si fa sulle cose inutili. Come su uno sgabello.»
Mi misi sopra di lui. A cavalcioni. Il cazzo premeva contro di me. Sentivo il battito, il calore, la tensione. Ero bagnata ovunque, sporca, dilatata.
«Siediti, troia» sussurrò la madrina alle mie spalle. «Affondalo tutto. Fallo impazzire.»
Chiusi gli occhi.
Mi abbassai.
Lento.
Il fiato mi uscì spezzato. Il corpo scosso da un tremito profondo. Le mani gli afferrarono le spalle. Lui mi tenne ferma per i fianchi, la bocca aperta come un cucciolo che non sa se morde o si lascia mordere.
Cominciai a muovermi.
Piano.
Poi più forte.
Poi senza controllo.
L’aria puzzava di figa e sudore, di legno caldo e pelle sbattuta. Le mani di Sandra sul mio culo mi guidavano, mi spingevano giù sempre di più. Carlo e Luca mi guardavano. Ridevano. Si toccavano. Si sussurravano frasi che non sentivo, ma che immaginavo.
«Guarda come si muove, sembra drogata» disse Sandra. «Si sta scopando il cane.»
Ed era vero.
Stavo scopando Emil come una cagna in calore. Gli graffiavo le spalle, gli affondavo le unghie nella pelle, mi muovevo come se stessi cavalcando la dannazione.
Quando lui iniziò a tremare, a gemere, a spingere verso l’alto, io accelerai. Volevo sentirlo esplodere dentro. Volevo essere usata fino all’ultima goccia.
«Vieni» gli dissi. «Vieni adesso. Riempimi tutta. Fallo davanti a tutti.»
E lui lo fece.
Con un grido spezzato, il viso contratto, il corpo che si irrigidiva sotto di me. Io sentii il calore, la pressione, la pienezza.
E venni anch’io.
Per l’ennesima volta. Sfondata, sudata, distrutta. Ma viva.
Sandra mi sollevò per i capelli, mi guardò negli occhi.
«Brava. Adesso leccalo. Puliscilo come sai fare.»
E io mi inginocchiai.
Di nuovo.
Non con donna. Non con un uomo sposato. Non con entrambi.
Soprattutto non lo avevo mai fatto con la mia madrina e suo marito.
Eppure, quella sera, quando lei mi baciò sulla bocca davanti a suo marito, non ebbi dubbi. Nessun freno. Nessun pudore. La lingua mi entrò tra le labbra come una domanda già decisa.
«Ti piaccio?» mi chiese.
Non risposi. La guardai. Mi fissava con quegli occhi neri, lucidi, pieni di qualcosa che non era semplice eccitazione. Era fame. Era dominio.
«Voglio mostrarti una cosa» sussurrò. «Ti va?»
Annuii. Bastò quello.
Mi prese per mano e mi portò in camera da letto, mentre lui ci seguiva in silenzio, un passo dopo l’altro. Si sedette, ci osservava. La luce era bassa, soffusa, calda. Lei si spogliò con lentezza, senza fretta, con l’arte di chi sa cosa vuole ottenere da ogni gesto.
Aveva il corpo pieno, maturo, provocante. Una donna che non chiede il permesso. Una puttana elegante. Una padrona.
Si stese sul letto e mi guardò.
«Ti piacerebbe farmi quello che ti ho fatto io?»
Non me lo feci ripetere. Mi inginocchiai. Avevo le mani che tremavano e la bocca asciutta. Ma quando le sfiorai la pelle con la lingua, la paura svanì.
Era calda. Bagnata. Viva.
Emise un gemito lungo, profondo.
«Sì… così. Brava. Più in fondo… leccami tutta.»
E io lo feci. Le aprii le cosce con le mani e ci affondai la lingua come se ci fosse qualcosa da conquistare. Lei gemeva, mi accarezzava i capelli, mi guidava. Mi parlava come una maestra che addestra la sua allieva.
«Prendi fiato e infilati dentro. Non ti fermare… leccami fino a svuotarmi.»
Io non capivo più nulla. Avevo il viso sporco, il mento bagnato, il cuore che esplodeva. Le parole che mi sussurrava erano come fruste sulla pelle.
Poi sentii lui avvicinarsi. Mi prese per la nuca e mi tirò su. Mi baciò con forza. Con violenza. Mi infilò la lingua in bocca come se volesse succhiare fuori il sapore di sua moglie.
«Fammi sentire. Voglio assaggiarla da te.»
Lo feci. Lo lasciai entrare. La mia bocca era aperta, la lingua viva, il respiro corto. Mi accarezzava il culo con una mano, con l’altra mi strinse i seni.
Ero un oggetto. Un’offerta.
Quando mi mise le mani sulle spalle e mi fece inginocchiare, sapevo già cosa voleva. Sfilò il boxer. Il suo cazzo era lì. Grosso, teso, vivo. Mi si avvicinò al viso, e lei fu dietro di me, a guidarmi.
«Apri bene. Leccalo prima. Prendilo con la lingua come ti piace il gelato più sporco.»
Lo feci. Prima con lentezza, poi con fame. Mi entrò in bocca e mi sentii riempita. Lei mi accarezzava la schiena, il culo, la figa. Mi sussurrava porcherie all’orecchio, mentre lui gemeva sopra di me.
«Brava troietta. Così. Faglielo venire duro.»
E io godevo.
Con la bocca piena.
Il cuore che batteva in gola.
E la voglia di essere presa.
Da entrambi.
Avevo la bocca piena, le mani che tremavano, il cuore che scoppiava.
Carlo mi scopava la faccia con un ritmo lento e cattivo, mentre lei mi teneva i capelli tirati, la bocca aperta, le cosce allargate. La lingua mi scivolava fuori tra le labbra come una cagna accaldata.
«Guarda come lo prende…» sussurrò lei. «Sembra nata per questo.»
Ero in ginocchio. Nuda. Umida ovunque. Ogni parte del mio corpo reclamava qualcosa. Una mano, una lingua, un cazzo. Qualsiasi cosa. Bastava che fosse sporca, bastarda, affondata in me.
«Spingi dentro, Carlo» disse. «Falle sentire che adesso è nostra.»
Lui grugnì. Con una mano mi afferrò la nuca, con l’altra guidava il cazzo dentro la mia gola. Spingeva. Io tossivo, mi colava saliva dalle labbra, ma non mi fermavo. Gli occhi che lacrimavano, il mento bagnato, la figa che pulsava.
«Dai troia, succhialo come se non ci fosse un domani» mi disse lei all’orecchio. «Fai vedere a mio marito che sei una vera bocchinara.»
Quelle parole mi accendevano come benzina sul fuoco. Mi veniva voglia di urlare con la bocca piena. Volevo essere usata, riempita, presa a calci dentro.
Quando lui si sfilò, ansimando, mi ritrovai con la faccia rossa, il respiro a scatti e le cosce tremanti. Lei si mise dietro di me, mi infilò due dita tra le gambe.
«Bagnata come una vacca in calore» disse. «Sei pronta per il prossimo passo, troietta?»
«Sì… fami tutto…» dissi. «Usatemi.»
Carlo mi fece stendere a pancia in giù, mi afferrò per i fianchi, mi tirò su a quattro zampe. Sentivo la sua pelle bollente contro la mia, il cazzo rigido che mi premeva tra le chiappe, la bocca di lei sul mio orecchio.
«Lo vuoi in figa o in culo per primo?»
«Tutti e due… insieme… voglio tutto…»
Li sentii ridere, e poi prepararci come una bestia da monta. Lei sputava e mi infilava le dita dietro, le girava, mi apriva.
«Brava… così… rilassati… ti facciamo godere come mai prima.»
Mi tenevano ferma. Le mani sulle anche. Le spinte cominciarono lente, decise, poi sempre più forti. Uno dentro. Poi le dita di lei. Alternati. Sovrapposti. La pelle che sbatteva. Le urla. I gemiti. Le bestemmie. Il letto che scricchiolava come se stesse per rompersi.
Mi stavano scopando come una troia da bordello. E io non volevo altro.
«Dai, piccola porca, spingiti contro di noi! Fatti spaccare!»
«Sì! Sì! Scopatemi forte! Di più! Riempitemi tutta!»
Venni come una pazza. Un orgasmo devastante. Urlato, tremato, vomitato fuori. Sentii i loro corpi esplodere insieme, due getti caldi che mi inondavano, che mi colavano dentro e fuori.
Caddi sul letto come un sacco vuoto. La pelle bruciava, la gola graffiata, la figa che pulsava. Ridevamo. Sporchi. Esausti. Soddisfatti.
E io pensavo solo a una cosa:
quando mi scopano di nuovo?
**
Ero ancora stesa sul letto, le cosce aperte, il respiro rotto, la bocca impastata di voglia. Lui si era alzato, nudo, e si accendeva una sigaretta con la lentezza di chi ha appena marchiato qualcosa che gli appartiene.
Lei mi accarezzava la schiena con due dita, come se mi stesse valutando.
«Dovremmo darle una lezione più completa» disse Carlo, con voce ferma.
Lei lo guardò. Sorrise. Capì subito.
«Chiamo Sandra e Luca. Sono a casa, li ho visti rientrare. Portano sempre quel loro cucciolo… come si chiama…? Ah, sì… Emil.»
Carlo rise. Soffiò il fumo in aria.
«Perfetto. Quello col collare. Fallo venire. Questa deve imparare a stare al centro. A essere osservata. Le voglio leccate, dita, sguardi ovunque. E voglio che veda cosa vuol dire essere inferiore a un animale.»
Io li ascoltavo, e ogni parola mi faceva pulsare la figa. Ero pronta a tutto. Volevo tutto. Non mi bastava più niente. Avevo bisogno di essere trattata come una puttana da addestrare. E loro lo sapevano.
Lei uscì dalla stanza e dopo pochi minuti tornò, soddisfatta.
«Stanno arrivando. Hanno già il guinzaglio in mano.»
Mi fecero alzare. Mi lavarono con una spugna bagnata. Mi vestirono con un kimono trasparente, niente sotto. Mi pettinarono i capelli, mi passarono il rossetto sulle labbra, come se fossi un oggetto da mettere in vetrina.
Carlo si sedette in poltrona. Lei accanto. Io in ginocchio tra loro, come un soprammobile pronto a essere acceso.
Il campanello suonò.
Il silenzio calò nella stanza.
La porta si aprì. E li vidi entrare.
Sandra: alta, bionda platino, corpo magro, nervoso, seni piccoli e sodi sotto un vestito rosso cortissimo. Luca: camicia aperta, tatuaggi sulle braccia, lo sguardo da bastardo e le mani già pronte a stringere.
E dietro di loro, Emil.
Un ragazzo poco più che ventenne. A petto nudo. Un collare di cuoio nero intorno al collo. Il guinzaglio legato al polso di Sandra. Occhi bassi. Passi lenti. Una bestiola addestrata.
Quando mi vide, alzò appena lo sguardo. Leccò le labbra.
Sandra sorrise.
«È questa la nuova troia?»
Carlo fece cenno di sì. Io rimasi in ginocchio, muta, eccitata da morire.
«Bene. Allora Emil si metterà sotto il tavolo. E voi vi sedete. Comincia la lezione.»
Mi misero in mezzo come un animale.
Carlo alla mia destra, Luca alla sinistra. Gli occhi addosso, i cazzi già duri, le mani che non aspettavano ordini. Avevo ancora la bocca sporca, le gambe molli, il culo segnato. Ma ne volevo ancora.
E lo dissi.
A voce alta.
Con la bava alla bocca e gli occhi fuori controllo.
«Fatelo. Prendetemi insieme. Voglio due cazzi. Uno davanti, uno dietro. Voglio essere riempita come una porca.»
Carlo mi prese per i capelli, mi tirò indietro la testa.
«Ripeti, troia. Dillo bene.»
«Voglio essere scopata in figa e in culo allo stesso tempo. Riempitemi tutta. Distruggetemi.»
Luca si avvicinò, mi slacciò la vestaglia con uno strappo. Nuda. Spalancata. Sottomessa.
Mi piegarono. Le mani sulle ginocchia. Il culo alto. La faccia bassa. Un pezzo di carne. Da possedere.
Sentivo i respiri alle mie spalle, le mani che mi aprivano, che tastavano, che spalmavano saliva. Mi trattavano come una puttana da sbattere. E io, cazzo, godevo. Godevo già prima che entrassero.
Quando lo fecero, insieme, emisi un grido bestiale.
Erano dentro.
Spingevano.
Mi schiantavano da entrambi i lati. Le spinte secche, le mani che affondavano nella mia pelle, le voci che urlavano addosso.
«Così, troia! Spingiti contro di noi! Prenditelo tutto!»
«Guarda come si spalanca! È nata per essere riempita!»
Non ero più umana. Ero un buco. Due. Tre. Una cosa da scopare, da usare, da far scoppiare.
Sandra si toccava. Sedeva davanti a me con le gambe aperte, la figa lucida e le dita affondate.
«Guarda come vi gode. È drogata di cazzo.»
E io lo ero. Drogata. Persa. Disfatta.
Le loro spinte diventavano frustate. La figa che sbatteva. Il culo che bruciava. La gola che urlava.
«Più forte! Spingete! Sfondatemi! Fate schifo di me!»
Venni così forte che persi il respiro. Un’onda di fuoco che mi prese tutta, che mi aprì le gambe, la bocca, l’anima. Lacrime, saliva, sudore.
E mentre venivo, loro vennero dentro di me.
Caldi. Pieni. Animaleschi.
Mi accasciai sul pavimento, tremando, il corpo ancora che si muoveva per inerzia, come se non volesse fermarsi mai.
Sandra si alzò, camminò a piedi nudi sul parquet, si chinò su di me.
Mi prese il viso tra le dita, mi sputò sulle labbra.
«Hai passato la prova, troia.»
Poi si voltò verso Carlo.
Non ci fu una pausa.
Appena i due uomini si staccarono da me, ansimanti e svuotati, Sandra batté le mani.
«Emil. Vieni qui. È il tuo turno.»
Il ragazzo obbedì senza parlare. Camminava a carponi, nudo, con il collare nero stretto intorno al collo e il guinzaglio che Sandra teneva ancora al polso. Sembrava un cane ben addestrato. Gli occhi bassi. La bocca aperta.
Carlo si sedette sul divano. Luca accanto. Le cosce larghe. I cazzi molli, madidi, sporchi di me.
«Lavami» disse Carlo, guardandomi dall’alto.
Mi inginocchiai tra le sue gambe, umida e tremante, la bocca ancora calda. Presi il suo cazzo tra le labbra, lo leccai piano. Tutto. Ogni goccia. Ogni piega. Lo pulivo come una schiava attenta, come una che vive per questo.
Luca mi afferrò per i capelli e mi tirò verso di sé.
«Ora il mio. Fammi brillare.»
Feci lo stesso. Lingua, bocca, baci. Come se volessi assaggiarmi attraverso lui. Sentivo il sapore di me stessa, l’odore del mio culo, della mia figa, del sudore, della saliva. Era nauseante. Era irresistibile. Mi sentivo una puttana sacra.
Dietro di me, Emil aveva già iniziato a leccare Sandra.
Lei era stesa sul tavolo, le gambe aperte, le labbra gonfie. Lo teneva per i capelli, lo muoveva come voleva.
«Più in fondo, cucciolo. Sei nato per stare sotto a una figa.»
La madrina si sedette accanto, le gambe spalancate, guardando. Poi si voltò verso Emil, con tono autoritario.
«E dopo tocca a me. Ti voglio con la lingua affondata. Niente fiato. Solo leccate.»
Il ragazzo si spostò con obbedienza, si inginocchiò davanti a lei. Infilò subito la faccia tra le sue cosce. Lei gli si sedette sopra come su una sedia.
«Tienilo fermo» disse. «Che impari a soffocare per far godere.»
Io, sempre in ginocchio tra Carlo e Luca, continuavo a succhiarli uno alla volta, leccando con attenzione, con cura. Le loro mani sul mio viso, i loro insulti sussurrati come carezze.
«Sei la nostra bocca. Il nostro lavandino. La nostra troia.»
Annuii, con il cazzo di Luca a premere sulle labbra.
Sandra cominciò a venire sopra Emil, con urla rauche, le cosce che gli stringevano la testa.
«Brava bestia… succhia bene… fammi svenire…»
Quando la madrina lo prese per sé, gli si sedette in faccia senza dir nulla. Solo gemette. Emil non si fermava. Leccava come se fosse nato per morire lì sotto.
E io, tra i due uomini, sentivo crescere un’altra ondata.
«Vi prego» dissi, con la lingua che colava. «Fatemi tornare al centro. Riempitemi ancora.»
Loro mi guardarono. E uno disse solo:
«Aspetta il tuo turno, troia. Prima viene il cucciolo.»
Emil era ancora lì, in ginocchio, con la faccia bagnata di umori femminili e il fiato corto. Il collare stringeva il collo, le guance erano arrossate, ma il suo cazzo era teso, grosso, duro come una bestia appena liberata dalla gabbia.
Sandra lo guardò e sorrise con una cattiveria lasciva. Si girò verso di me, ancora inginocchiata davanti a Carlo e Luca, con la bocca sporca del loro sapore.
«Guarda com’è duro il nostro cagnolino» disse. «E tu? Ti sei leccata il cazzo di tutti… adesso ti ci siedi sopra. E glielo fai sparare dentro.»
La frase mi colpì in mezzo alla pancia. Un brivido. Una scossa. Le gambe molli, la gola chiusa. Ma non dissi nulla.
Mi alzai.
Mi avvicinai a Emil.
Lui mi guardava dal basso, con lo sguardo vuoto di chi obbedisce senza capire. Il cazzo svettava tra le gambe. Non serviva toccarlo: bastava la scena. Bastava me.
Sandra mi prese per un fianco, mi guidò.
«Apri le gambe. Apriti. Siediti come si fa sulle cose inutili. Come su uno sgabello.»
Mi misi sopra di lui. A cavalcioni. Il cazzo premeva contro di me. Sentivo il battito, il calore, la tensione. Ero bagnata ovunque, sporca, dilatata.
«Siediti, troia» sussurrò la madrina alle mie spalle. «Affondalo tutto. Fallo impazzire.»
Chiusi gli occhi.
Mi abbassai.
Lento.
Il fiato mi uscì spezzato. Il corpo scosso da un tremito profondo. Le mani gli afferrarono le spalle. Lui mi tenne ferma per i fianchi, la bocca aperta come un cucciolo che non sa se morde o si lascia mordere.
Cominciai a muovermi.
Piano.
Poi più forte.
Poi senza controllo.
L’aria puzzava di figa e sudore, di legno caldo e pelle sbattuta. Le mani di Sandra sul mio culo mi guidavano, mi spingevano giù sempre di più. Carlo e Luca mi guardavano. Ridevano. Si toccavano. Si sussurravano frasi che non sentivo, ma che immaginavo.
«Guarda come si muove, sembra drogata» disse Sandra. «Si sta scopando il cane.»
Ed era vero.
Stavo scopando Emil come una cagna in calore. Gli graffiavo le spalle, gli affondavo le unghie nella pelle, mi muovevo come se stessi cavalcando la dannazione.
Quando lui iniziò a tremare, a gemere, a spingere verso l’alto, io accelerai. Volevo sentirlo esplodere dentro. Volevo essere usata fino all’ultima goccia.
«Vieni» gli dissi. «Vieni adesso. Riempimi tutta. Fallo davanti a tutti.»
E lui lo fece.
Con un grido spezzato, il viso contratto, il corpo che si irrigidiva sotto di me. Io sentii il calore, la pressione, la pienezza.
E venni anch’io.
Per l’ennesima volta. Sfondata, sudata, distrutta. Ma viva.
Sandra mi sollevò per i capelli, mi guardò negli occhi.
«Brava. Adesso leccalo. Puliscilo come sai fare.»
E io mi inginocchiai.
Di nuovo.
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