La contadina

di
genere
dominazione

Non avevo mai lasciato il podere.
Venticinque anni, mezza vita spesa tra galline e letame, mani spaccate, gambe dure come legna.
Quando mi dissero che cercavano una cameriera alla villa, non ci credevo.
«Ma la signora è strana,» mi avvertì il fornaio.
Non me ne fregava. A me bastava uscire da quel fango.

Arrivai con la valigia di cartone e il grembiule della domenica.
Mi aprì lei. La padrona.
Alta, secca, vestita di seta anche a mezzogiorno.
Mi guardò da capo a piedi come si guarda un cane bagnato.

«Mi sembri grezza. Ma ho visto carne peggiore.»



Il primo giorno mi fece lavare i pavimenti in ginocchio.
Il secondo, mi fece strofinare i suoi stivali con la lingua.
Il terzo, mi tolse la divisa e disse:
«Da oggi lavori nuda sotto il grembiule. Voglio vedere se sei disposta a imparare.»

Ero confusa. Ma eccitata.
Avevo sempre obbedito a tutti. Per paura, per abitudine.
Ma con lei era diverso.
Quando mi dava ordini, mi bagnavo.



Una notte mi chiamò in camera.
Era sdraiata sul letto, coperta solo da una vestaglia trasparente.
Mi fece inginocchiare.
«Hai mai toccato una donna, contadina?»
Scossi la testa.
Lei sorrise.
«Imparerai. Cominceremo da me.»

Mi prese la testa tra le mani e me la spinse tra le cosce.
Era già bagnata.
Profumava di sapone e desiderio.
Mi disse come leccarla. Dove fermarmi. Quando succhiare.
Io eseguivo.
Sudavo.
E venivo senza che nessuno mi toccasse.



Le notti divennero lezioni.
Mi insegnò a usare la lingua, le mani, il culo.
Mi faceva sdraiare sul tavolo nuda e mi puniva con il manico della scopa.
«Non devi godere. Devi servire.»
Mi legava le tette con lo spago.
Mi faceva inginocchiare sulla ghiaia.

Io gemevo.
Ma non scappavo mai.



Una mattina mi vestì.
Calze, tacchi, collare.
Mi truccò come una puttana da salotto.
«Oggi servi il padrone,» disse.

Quando lui entrò, alto, silenzioso, con lo sguardo freddo, tremavo.
La padrona mi spinse a terra.
Mi fece inginocchiare davanti a lui.
Aprì i pantaloni.

«Offrile il cazzo. Le piace succhiare. E io voglio vederla mentre lo fa.»

Lo presi in bocca.
Era grosso, duro, già pronto.
La padrona mi guidava:
«Leccalo bene. Guarda in su. Sì, così.»

Mi scopò in bocca. Poi mi mise a quattro zampe.
Mi prese senza chiedere.
Mi riempì la figa e poi il culo.
Io gemevo come una vacca in calore.



Quando venne, mi riempì dentro.
E la padrona gli leccò le dita mentre mi accarezzava.

«Ha imparato bene, vero?»
Lui annuì.
Io restai lì, nuda, sporca, col seme che colava.

E capii che non ero più una contadina.
scritto il
2025-05-31
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