La donna delle pulizie
di
AngelicaBellaWriter
genere
dominazione
Faccio le pulizie dove mi chiamano. Case diverse, uomini sempre uguali: all’inizio occhi bassi, poi lo sguardo si alza e mi fissa le tette, il culo, la bocca. Nell’appartamento di via Dei Mille vado due volte a settimana. È grande, sempre in penombra, odora di cazzo e solitudine. Lui, il padrone di casa, mi scruta ogni volta. Prima con qualche battuta da porco, poi con gli occhi, infine con le mani.
Oggi arriva prima. Io ho i guanti gialli, il grembiule tirato su, la scopa in mano. Chiude la porta, si appoggia allo stipite e mi fissa in silenzio. Non dico niente. Lo aspetto da giorni.
«Girati» sussurra. Obbedisco senza fiatare.
Mi afferra per i capelli. Forte. Mi trascina verso il tavolo della cucina. Il legno gelido mi schiaccia la guancia. Ha già i pantaloni abbassati. Il cazzo duro preme sulle mie labbra. Non esito. Sono zuppa, pronta. Quel cazzo lo sogno da settimane, ma non ho mai avuto il coraggio di chiederlo.
Lo prendo in bocca. Tutto. Me lo spinge in gola, mi tiene la testa. Io godo. Mi comanda i movimenti, su e giù, come se fossi una bestia da addestrare. Ma sono già domata. Sono la sua puttana.
Le sue mani mi tirano i capelli, mi usano. È quello che voglio. Nessuna dolcezza. Solo brutalità.
Si scosta di colpo. Alzo lo sguardo, ho gli occhi lucidi. Non dice nulla. Mi strappa il grembiule dalla vita. Sotto ho solo le mutandine, bagnate, trasparenti.
Mi gira, mi piega di nuovo sul tavolo. Il fiato mi brucia sul collo, la mano preme sulla schiena. Abbassa lentamente le mutandine, le fa scivolare sulle gambe, fino alle caviglie.
«Te lo meriti» sibila.
«Sì…» ansimo.
Mi penetra. Senza chiedere, senza avvertire. Io apro le gambe, lo accolgo. Ogni colpo è un pugno, un castigo. Ma anche una benedizione. Lo voglio dentro, profondo, animalesco. Lo incito. Lo imploro di non fermarsi.
Il tavolo scricchiola, il mio corpo geme. Le sue mani mi afferrano forte. Voglio sentirmi svuotata, violata, marchiata con il suo odore.
Quando viene dentro di me, stringo i muscoli per trattenerlo. Si piega addosso, ansimante. Restiamo così, pelle contro pelle, per lunghi secondi.
Poi si stacca. Mi dà uno schiaffo sul culo.
«Pulisci il pavimento. E resta in ginocchio.»
Lo guardo da sotto in su. Sorrido, felice. Mi inginocchio. Sento il suo sperma colare tra le cosce. Il pavimento è freddo, ma non importa. Non sono lì per il comfort. Lui lo sa.
Prendo lo straccio e il secchio. Le mani mi tremano, ma non per la fatica. La lingua pulsa, la gola brucia. Lui mi osserva, appoggiato al lavello, sigaretta tra le dita, patta aperta. Il cazzo ancora umido, mezzo duro.
«Ti piace, eh?» dice sputando il fumo.
Annuisco. Strofino il pavimento come ordinato, il culo in alto, la schiena arcuata. So che mi guarda. Muovo il bacino apposta, il sudore mi scivola tra le tette nude.
«Avanti, apriti da sola.»
Lascio lo straccio. Metto le mani sui glutei e li spalanco. Senza vergogna. Senza esitazione. Gli mostro tutto.
Sento i suoi passi avvicinarsi. Il piede nudo mi sfiora la figa. È bagnata, lurida di liquidi e godimento. Il contatto mi fa gemere.
«Sporca zoccola. Hai pulito per terra, ma guardati. Sei tu lo straccio.»
Non rispondo. Ha ragione. Sono la sua troia.
«Voglio vederti squirtare sul mio piede.»
Mi infilo due dita in figa, senza ritegno. L’altra mano sul clitoride, gonfio, teso. Lui mi tocca con l’alluce, spinge proprio lì, dove pulsano i nervi.
«Dai, troia. Fatti venire addosso. Fallo per me.»
Tre respiri. Il primo corto. Il secondo tremante. Il terzo è un urlo soffocato. Vengo. Spruzzo ovunque. Pavimento, piede, cosce.
Resto lì, distrutta. Lui mi tira su per i capelli, mi bacia con rabbia. Un bacio violento, famelico.
«Ora vai in bagno. Ti voglio pulita. Ma nuda. Poi torna. Abbiamo appena cominciato.»
Mi trascino in bagno. Le gambe molli. L’acqua fredda mi scuote appena. Mi lavo piano, con cura. Mi passo la spugna dentro. E dietro. Dove so che vorrà entrere.
Quando torno, lui è seduto in poltrona. Le gambe divaricate, il cazzo di nuovo duro nella mano. Lo sguardo feroce. L’odore del suo corpo è ovunque. Il salotto, con i libri ordinati e il design elegante, sembra un tempio profanato. Io voglio essere la sua messa nera.
Mi fermo nuda, tremante.
«Che vuoi adesso?» chiede, senza un sorriso.
Mi inginocchio, poi mi metto a quattro zampe davanti a lui. Le chiappe ben in vista.
«Prendimi lì… ti prego.»
Silenzio. Poi sento il rumore del lubrificante spremuto. Due dita fredde mi aprono piano. Un brivido. Un dolore breve. Subito piacere.
«Lo volevi, eh? Te lo sei preparata da sola?»
«Sì… l’ho lavato apposta. Per te.»
«Brava troia.»
Mi infila un dito. Poi due. Allarga, scava, domina. Io mordo il tappeto, spingo il bacino indietro, voglio di più.
Poi sento la punta del suo cazzo. Preme contro l’ano bagnato. Trattengo il fiato.
Entra. Lento ma senza pietà. Lo sento tutto. Le mani sulle anche, le spinte regolari, forti. Mi scopa come un animale.
«Più forte… fammi male… aprimi tutta…»
Ringhia. Mi monta con furia. L’ano brucia, ma la fiamma mi eccita. Mi sento invasa, presa, usata. E voglio di più.
Il suono delle carni che sbattono è osceno. Sono sua. Solo sua. Lo voglio più a fondo, più violento.
Quando viene, urla il mio nome. Mi crolla addosso. Sudato. Esausto. Io sotto, ancora aperta, ancora tremante.
Mi sussurra all’orecchio:
«Domani portati uno spazzolino. Resti qui a dormire.»
Oggi arriva prima. Io ho i guanti gialli, il grembiule tirato su, la scopa in mano. Chiude la porta, si appoggia allo stipite e mi fissa in silenzio. Non dico niente. Lo aspetto da giorni.
«Girati» sussurra. Obbedisco senza fiatare.
Mi afferra per i capelli. Forte. Mi trascina verso il tavolo della cucina. Il legno gelido mi schiaccia la guancia. Ha già i pantaloni abbassati. Il cazzo duro preme sulle mie labbra. Non esito. Sono zuppa, pronta. Quel cazzo lo sogno da settimane, ma non ho mai avuto il coraggio di chiederlo.
Lo prendo in bocca. Tutto. Me lo spinge in gola, mi tiene la testa. Io godo. Mi comanda i movimenti, su e giù, come se fossi una bestia da addestrare. Ma sono già domata. Sono la sua puttana.
Le sue mani mi tirano i capelli, mi usano. È quello che voglio. Nessuna dolcezza. Solo brutalità.
Si scosta di colpo. Alzo lo sguardo, ho gli occhi lucidi. Non dice nulla. Mi strappa il grembiule dalla vita. Sotto ho solo le mutandine, bagnate, trasparenti.
Mi gira, mi piega di nuovo sul tavolo. Il fiato mi brucia sul collo, la mano preme sulla schiena. Abbassa lentamente le mutandine, le fa scivolare sulle gambe, fino alle caviglie.
«Te lo meriti» sibila.
«Sì…» ansimo.
Mi penetra. Senza chiedere, senza avvertire. Io apro le gambe, lo accolgo. Ogni colpo è un pugno, un castigo. Ma anche una benedizione. Lo voglio dentro, profondo, animalesco. Lo incito. Lo imploro di non fermarsi.
Il tavolo scricchiola, il mio corpo geme. Le sue mani mi afferrano forte. Voglio sentirmi svuotata, violata, marchiata con il suo odore.
Quando viene dentro di me, stringo i muscoli per trattenerlo. Si piega addosso, ansimante. Restiamo così, pelle contro pelle, per lunghi secondi.
Poi si stacca. Mi dà uno schiaffo sul culo.
«Pulisci il pavimento. E resta in ginocchio.»
Lo guardo da sotto in su. Sorrido, felice. Mi inginocchio. Sento il suo sperma colare tra le cosce. Il pavimento è freddo, ma non importa. Non sono lì per il comfort. Lui lo sa.
Prendo lo straccio e il secchio. Le mani mi tremano, ma non per la fatica. La lingua pulsa, la gola brucia. Lui mi osserva, appoggiato al lavello, sigaretta tra le dita, patta aperta. Il cazzo ancora umido, mezzo duro.
«Ti piace, eh?» dice sputando il fumo.
Annuisco. Strofino il pavimento come ordinato, il culo in alto, la schiena arcuata. So che mi guarda. Muovo il bacino apposta, il sudore mi scivola tra le tette nude.
«Avanti, apriti da sola.»
Lascio lo straccio. Metto le mani sui glutei e li spalanco. Senza vergogna. Senza esitazione. Gli mostro tutto.
Sento i suoi passi avvicinarsi. Il piede nudo mi sfiora la figa. È bagnata, lurida di liquidi e godimento. Il contatto mi fa gemere.
«Sporca zoccola. Hai pulito per terra, ma guardati. Sei tu lo straccio.»
Non rispondo. Ha ragione. Sono la sua troia.
«Voglio vederti squirtare sul mio piede.»
Mi infilo due dita in figa, senza ritegno. L’altra mano sul clitoride, gonfio, teso. Lui mi tocca con l’alluce, spinge proprio lì, dove pulsano i nervi.
«Dai, troia. Fatti venire addosso. Fallo per me.»
Tre respiri. Il primo corto. Il secondo tremante. Il terzo è un urlo soffocato. Vengo. Spruzzo ovunque. Pavimento, piede, cosce.
Resto lì, distrutta. Lui mi tira su per i capelli, mi bacia con rabbia. Un bacio violento, famelico.
«Ora vai in bagno. Ti voglio pulita. Ma nuda. Poi torna. Abbiamo appena cominciato.»
Mi trascino in bagno. Le gambe molli. L’acqua fredda mi scuote appena. Mi lavo piano, con cura. Mi passo la spugna dentro. E dietro. Dove so che vorrà entrere.
Quando torno, lui è seduto in poltrona. Le gambe divaricate, il cazzo di nuovo duro nella mano. Lo sguardo feroce. L’odore del suo corpo è ovunque. Il salotto, con i libri ordinati e il design elegante, sembra un tempio profanato. Io voglio essere la sua messa nera.
Mi fermo nuda, tremante.
«Che vuoi adesso?» chiede, senza un sorriso.
Mi inginocchio, poi mi metto a quattro zampe davanti a lui. Le chiappe ben in vista.
«Prendimi lì… ti prego.»
Silenzio. Poi sento il rumore del lubrificante spremuto. Due dita fredde mi aprono piano. Un brivido. Un dolore breve. Subito piacere.
«Lo volevi, eh? Te lo sei preparata da sola?»
«Sì… l’ho lavato apposta. Per te.»
«Brava troia.»
Mi infila un dito. Poi due. Allarga, scava, domina. Io mordo il tappeto, spingo il bacino indietro, voglio di più.
Poi sento la punta del suo cazzo. Preme contro l’ano bagnato. Trattengo il fiato.
Entra. Lento ma senza pietà. Lo sento tutto. Le mani sulle anche, le spinte regolari, forti. Mi scopa come un animale.
«Più forte… fammi male… aprimi tutta…»
Ringhia. Mi monta con furia. L’ano brucia, ma la fiamma mi eccita. Mi sento invasa, presa, usata. E voglio di più.
Il suono delle carni che sbattono è osceno. Sono sua. Solo sua. Lo voglio più a fondo, più violento.
Quando viene, urla il mio nome. Mi crolla addosso. Sudato. Esausto. Io sotto, ancora aperta, ancora tremante.
Mi sussurra all’orecchio:
«Domani portati uno spazzolino. Resti qui a dormire.»
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