Tutti quei ragazzi (e quelle ragazze) - La voglia di cazzo

di
genere
etero

- Annalisa!
- Ciao! Che ci fai qui?

Domanda un po' scema, è vero. Io entravo e lui usciva dalla Rina con un pacchetto in mano, cosa volete che ci facesse? Conoscerete però anche voi quei luoghi comuni cui si ricorre quando siete colte di sorpresa, no?

Anyway, questo non importa. Diciamo piuttosto un'altra cosa: se credete al caso siete liberi di farlo, perché in effetti una certa percentuale di caso è presente nelle nostre vite. Io invece ci credo molto meno, poiché spesso chiamiamo "caso" ciò che in effetti ha una sua spiegazione logica. Ad esempio: appartieni a un certo ambiente, provieni da certe famiglie, vivi in una certa zona, hai fatto lo stesso liceo... semmai era strano che per quattro anni non lo avessi mai incrociato! Sì, qualche volta l’avevo avvistato qua e là, ma mai così faccia a faccia.

Lele aveva il suo giro e io il mio, del resto. Aveva preso la maturità un paio d’anni prima di me e si era giustamente eclissato. E poi non è che a scuola ci fossimo frequentati moltissimo. Io un po' più di tante altre che ambivano a farlo, a dire il vero. Sì, era molto attenzionato e ne era consapevole. Oltre ad essere esteticamente medio/buono, era soprattutto affascinante, leaderistico, centro delle attenzioni senza però essere stronzo. Certo, era uno che le occasioni non se le lasciava scappare.

Una mia compagna di classe si era presa una bella scuffia per lui, di quelle che ti lasciano a terra per un bel po', ma il cazzo in bocca gliel'avevo preso io (ero davvero alle prime armi, lungi sia dall'essere brava che dall'essere seriale in quella nobile pratica).

Ero rimasta impigliata nella sua rete, e forse come immagine non ne potrei trovare una migliore: era uno da pesca a strascico, cambiava ragazze con una frequenza vertiginosa e soprattutto, a vederle, non avresti saputo dire che tipo gli piacesse. Sostanzialmente gli andava bene tutto, bastava non scendere sotto un certo standard. Per cui rimasi un po' stupita, ma non troppo, quando cominciò a provarci con me. E allo stesso modo non rimasi troppo stupita quando la nostra storiella finì. In tutto, un paio di settimane scarse. Mi dispiaceva, è chiaro, perché un po' mi ero infatuata di lui, come avrebbe potuto essere il contrario? Ma comunque non lo considerai mai davvero "il mio ragazzo", non ce n'erano proprio i presupposti classici: le dichiarazioni, il ciu-ciu-ciù, il mano-nella-mano o le smessaggiate fino a notte fonda. Men che meno farsi vedere insieme. A conti fatti, ciò che mi mancò di più, e continuò a mancarmi ancora per un po' di tempo, era il risvolto carnale del nostro rapporto. Quando la sera uscivamo non vedevo l'ora che mi portasse con il suo motorino in qualche luogo discreto e poco illuminato.

Volendo trovare una consolazione, l'ultimo pompino che gli feci fu completamente di mia iniziativa e decisamente migliore del primo. Questo mi rendeva abbastanza orgogliosa ma - vuoi per la piccola delusione, vuoi per assenza di altri che mi interessassero - per un bel po' me ne stetti buona. Lele dal canto suo si dimostrò davvero un figo nel non farmi mai pesare il fatto che non volessi dargliela (non l'avevo mai data a nessuno). Alla lunga, quando ormai le nostre strade si erano divise, fu una cosa che me lo fece rivalutare ancor di più. Avevo già imparato a mie spese come questo, con certi ragazzi, potesse essere un problema, ma non immaginavo quanto.

Cinque minuti. Di sicuro non di più, probabilmente anche meno. Tanto durò il nostro incontro davanti all'ingresso della Rina aspettando che spiovesse un po'. Cinque minuti di "che fai? chi vedi?" e poi ciao, senza nemmeno scambiarsi i contatti. Un po' perché forse eravamo convinti di averli già (ma poi avrei scoperto che non era così) e un po' perché nessuno dei due sembrava particolarmente coinvolto. Lui se ne andò con il suo pacchetto a una cena di famiglia, io mi diressi al reparto intimo. Però mi scoprii di buon umore, quell'incontro mi aveva fatto piacere.

Lo rividi a una festa. E qui il caso sì che potrebbe reclamare un suo ruolo. Non tanto per l'incontro in sé, perché più o meno vale quello che ho scritto qualche riga più sopra, quanto per il fatto che avvenne solo due giorni dopo. Scherzammo sui nostri "che fai, mi segui?" e "smettiamola di vederci così", ma finimmo per dedicarci l'una all'altro in maniera esclusiva ancorché molto rilassata: lui seduto su una poltrona e io sulle sue gambe, un po' protesa verso il suo viso ma senza esagerare. Poco più che amici, a guardarci, di quelli che sì, è vero, provano una certa attrazione ma non così tanta. Anche in questo caso cinque minuti di confidenze, appena più approfondite delle chiacchiere che avevamo fatto due giorni prima. Cinque minuti con i rispettivi bicchieri in mano, durante i quali appresi che era single da meno di un mese e gli rivelai che, a parte una breve parentesi dopo la maturità, single ero e single ero rimasta. Cinque minuti al termine dei quali mi disse una cosa che però, nonostante fossi lucida e completamente zen, mi destabilizzò al volo. Era una cosa che più o meno suonava così:

- Secondo te, perché stiamo qui a parlare senza dirci l'unica cosa che vorremmo ascoltare?

L'ho scritto diverse volte, c'è un suono che accompagna momenti come questo e che solo io posso sentire, e questo suono è SDENG! Restai senza granché da dire e anche un po' sulla difensiva, finché lui si congedò: doveva andare a un'altra festa. Io mi tradii abbastanza con un "ma devi sempre andar via?" che avrebbe voluto essere ironico, ma che in realtà suonò abbastanza lamentoso e anche un po' deluso. Lui disse "ti richiamo" e, per fortuna, si ricordò di verificare se aveva ancora i miei contatti. Ce li scambiammo lì per lì e mi salutò con un bacetto sulle labbra.

"E se stasera ti viene voglia di cazzo?". Ripensai alla domanda che Fernanda mi aveva rivolto nel pomeriggio a casa sua quando le avevo detto che la sera sarei andata a una festa. Avevo colto il tono scherzoso, ironico, di quella domanda, non quello possessivo. Del resto la conoscevo poco e quella appena conclusa era stata la nostra prima scopata. Io senza niente addosso, lei con mutandine e bra che avevo comprato per lei alla Rinascente.

"Direi che non c'è proprio questo pericolo", le avevo risposto in modo anche troppo sdolcinato osservandola mentre si assaporava le dita. Ero appena riemersa da un orgasmo fortissimo, mi aveva giustiziata con la mano guardandomi negli occhi dopo avere leccato, baciato, succhiato e reso zona altamente erotizzata ogni parte del mio corpo, unghie comprese. Un piacere insostenibile e interminabile che aveva lasciato il posto al rapido sciacquettìo delle sue dita dentro di me. Avevo sostenuto il suo sguardo sorridente e mi ero riempita le orecchie dei suoi "godi, adesso, godi" finché non ero esplosa in mille pezzi, strillando e scalciando. Ero uscita dal suo appartamentino completamente in pace con i miei sensi, salutandola e dandole appuntamento al pomeriggio successivo. Con l'ultimo bacio le avevo promesso che saremmo state insieme molto di più.

In quel momento invece, dopo che Lele se n'era andato, mi dissi che sia pure scherzando Fernanda ci aveva visto lungo. Il desiderio cominciava a farsi strada ed era una sensazione che conoscevo benissimo.

Assecondai la corte di un ragazzo, avevo notato che mi osservava prima ancora di incontrare Lele e di chiacchierare con lui. Assecondai il suo approccio e la sua mano finita "casualmente" sul fianco, accettai i due bicchieri che mi porse uno dopo l'altro. Ridacchiai persino tra me e me pensando che, magari inconsapevolmente, era un seguace della regola "la troia, prima, falla bere", anche se era roba troppo leggera per la sottoscritta. Al massimo poteva rendermi un po’ più allegra, ma non ce n'era bisogno.

No, non avevo proprio bisogno di alcol. Era come se la proposta di Lele - assolutamente non esplicita ma chiarissima - avesse acceso una fiamma per poi buttarci della benzina sopra. Anche in questo caso si tratta di un'immagine appropriata: avvertivo un certo calore. "Chi era quello con cui parlavi prima?", "Uh, un amico che non vedevo da anni". Finii a limonare con questo ragazzo ad un'ora abbastanza tarda, quando in giro per la festa c'era più gente che si baciava e strusciava di quella che teneva le mani a posto.

"Ti va di andare a pomiciare in bagno?", gli chiesi. I suoi occhi si illuminarono e rispose di sì, a quel punto era eccitato quanto me. Beh, difficile non esserlo quando una che hai conosciuto da un paio d'ore si lascia mettere la lingua in bocca e ti accarezza il pacco. Era esattamente quello che aspettavo e volevo. Volevo vedere il suo cazzo, volevo assaggiarlo, volevo sentirlo muoversi lentamente dentro e fuori dalla mia testa, volevo stringere con le mie labbra il duro-morbido della sua carne scivolando su e giù per tutta la sua lunghezza, slurpare la sua cappella dentro e fuori dalla mia bocca, farla schioccare mentre lui diventava cretino. Mi sarebbe bastato questo, non desideravo neanche essere contraccambiata. Perché a volte mi piace compiacere, mi piace così tanto che è difficile spiegarlo a parole, e ancora oggi ci sono momenti in cui traggo un godimento quasi esclusivo da quello. Quando ciò accadeva, magari pensavo a me stessa più tardi e prima di addormentarmi, nel mio letto. Ma le due cose sono sempre state abbastanza separate.

Trovammo il bagno e, con il gesto più delicato possibile, chiusi la porta dietro di noi. Non volevo sembrargli una troia, anche se Dio solo sa quanto non vedessi l’ora di esserlo. Un attimo dopo chiusi gli occhi. Immaginai un ragazzo sopra di me con lo sguardo assente e la bocca spalancata: poteva essere lui o anche Lele, non era poi così importante. Un attimo dopo ancora mi afferrò in modo molto piacevole e iniziarono i baci profondi. Non durarono molto ma, anche se non era nelle sue intenzioni, mi fecero sentire braccata e fatta prigioniera. E in momenti come quello il passo da preda a zoccola è davvero breve, datemi retta. Gli slacciai i pantaloni e li abbassai inginocchiandomi, poi fu la volta dei boxer. Dopo di che restai per qualche secondo in contemplazione di fronte al suo cazzo storto. Lui era gentile, la sua mano scendeva lungo il mento e mi avvolgeva la mascella, lasciava che accadesse e non cercava di forzarmi o altro, non mi spingeva la testa. Abbastanza romantico per un bocchino inaspettato e fatto all'improvviso. E anche se potendo scegliere avrei optato per una versione più rude con qualche insulto a fare da contrappunto, mi piacque tantissimo per tutto il tempo, dall’inizio sino a quando si lasciò andare. Lo ingoiai e poi lo ripulii sentendolo ansimare sopra di me. Tutto perfetto, compreso il carico di cui si era liberato e compreso il timing: non eravamo stati disturbati e non mi facevano male né le ginocchia né la mandibola. Perfetto persino quando uscimmo dal bagno e tornammo a mescolarci separatamente con i ragazzi e le ragazze presenti alla festa. Ci incrociammo un altro paio di volte con sorrisi leggeri, privi entrambi di qualsiasi imbarazzo, prima che lui se ne filasse via senza code o insistenze di alcun tipo. Se andava bene a lui, a me andava strabene: mi sarebbe dispiaciuto confessargli che, più che al suo flirt, avevo ceduto a quella che era già stata appropriatamente definita da Fernanda "voglia di cazzo". Come del resto mi dispiacerebbe, oggi, confessargli che non ricordo nemmeno il suo nome. Non se lo meriterebbe.



scritto il
2025-01-04
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