Nessun fastidio 1
di
Troy2a
genere
incesti
Inzuppai un biscotto nel caffellatte, mentre continuavo a fissarla, con quella domanda che aveva preso a girare nella mia testa di giovane adulto. Mia madre, canticchiando, continuava coi suoi mestieri domestici, prima di andare al lavoro.
Era cominciato appena qualche giorno prima; ma forse è meglio descriverci, sia pur sommariamente. Nella mia famiglia, la differenza d’età sembra essere la regola: mio padre ha 62 anni e, naturalmente, lavora ancora. Mia madre ne ha 51: lavora con un part time che le lascia liberi 3 giorni a settimana. Mio fratello, 31, lavora anche lui, di tanto in tanto passa da casa, ma spesso si ferma dalla sua ragazza. Io di anni ne ho 20. Ora!
L’inizio di cui accennavo è stato circa 2 anni fa. Sono stato sempre la pecora nera della famiglia: superviziato da tutti, tranne che da mio fratello, sempre pronto a cacciarmi in qualche guaio, anche se di piccolo cabotaggio, il re degli scherzi in famiglia. Insomma, non certo un ragazzo tranquillo. Così, 2 anni fa, ero all’ultimo anno del liceo, perché scavezzacollo sì, ma lo studio l’hi sempre preso sul serio, una mattina mi ero alzato. Al solito, mio padre e mio fratello erano andati al lavoro e mia madre si stava preparando per fare altrettanto. Davanti allo specchio, leggermente piegata in avanti, passava sul viso una crema. Le arrivai da dietro, credo mi avesse visto nello specchio, senza pensarci su le diedi una bella pacca su quel sedere leggermente grosso che si ritrova.
“Ciao, tesoro!” fu la sua risposta, mentre continuava a passarsi la crema “la colazione è sul tavolo: sbrigati o farai tardi!” Quella mancata reazione si trasformò, ai miei occhi, in una tacita autorizzazione a rifarlo il giorno dopo e poi il giorno successivo. Quel giorno, nella mia testa, la domanda si era fatta pressante e doveva uscire.
“Mamma, perché non dici niente?”
“Di cosa?”
“Delle pacche sul sedere! Mi aspettavo un rimprovero, o quanto meno un rimbrotto, invece…”
“Forse avrei dovuto. Ma la verità è che non mi dà fastidio… A dirla tutta un po’ mi piace essere considerata come “femmina”!”
“E se ti scoprissi per dartela?”
“Mi imbarazzi!”
“Era solo un’ipotesi.”
“Dovrebbe succedere, per poterlo sapere… Dovrebbe darmi fastidio, vero?”
“Non so! Sei tu la mamma!”
Fece spallucce e si allontanò, prendendo le chiavi dell’auto.
Quella risposta mi aveva lasciato scioccato. Ma, appena mi ripresi, un sovraffollamento di fantasie lussuriose e trasgressive si impossessò del mio cervello. Finii di fare colazione e corsi a scuola, anche se, quel giorno non quagliai molto: troppo preso dai miei pensieri. E la settimana di lavoro di mia madre era finita.
L’indomani, la trovai, al mio arrivo in cucina per la colazione, sempre allegra e canticchiando, intenta a pulire non so cosa. Indossava la sua tenuta domestica: un leggero vestitino, tipo prendisole che le arrivava poco sopra al ginocchio e legato in vita. Come fosse la cosa più naturale del mondo, lo sollevai e le diedi la solita pacca sul culo, restando alcuni istanti a fissare quel piccolo accenno di cellulite che non lo guastava. Rimasi in attesa, osservando il suo corpo che si era totalmente immobilizzato: non riuscivo a vedere il suo volto e non capivo quale fosse la sua reazione.
“Bene! Ora lo sappiamo: non mi dà fastidio!”
“Ottimo!” esclamai, senza saper dare un significato a quell’euforia. In fondo non era cambiato molto dal giorno innanzi: avevo dato una pacca su un paio di mutandine che, per quanto velate, nascondevano tutto o quasi. Ma per me era già un gran passo avanti e non vedevo l’ora di ripetere quel rito trasgressivo il giorno dopo. Mi sforzai che la giornata fosse proficua sotto il profilo dello studio ed, in qualche modo, ci riuscii. Mia madre, di tanto in tanto, mi passava una mano tra i capelli, o mi baciava il capo: nulla che non avesse fatto in passato, ma un po’ più spesso.
La notte, però, mi tornò difficile dormire e alle 6 del mattino avevo già gli occhi spalancati e l’orecchio teso per sentire quando mio fratello e mio padre sarebbero usciti. Mi fiondai fuori dalla mia stanza non appena ebbi la certezza che erano andati via, ma mia madre non era in cucina. Rientro poco dopo, con un mazzettino di fiori appena recisi. Prese un portafiori e, mentre lo riempiva d’acqua, io mi avvicinai a lei, per il solito saluto quotidiano. Le alzai il vestito, pronto a dare il solito colpo, ma la mano restò a mezz’aria ed io basito: non aveva le mutandine. Il suo culo imperiale si offriva alla mia vista completamente indifeso e desiderabile. Raccolsi le idee, per evitare di balbettare.
“Perché non hai le mutandine, mamma?”
“Volevo vedere se così poteva darmi fastidio e…”
“E?”
“Niente! No, non mi dà fastidio. Anzi, a dirla tutta mi eccita da morire che tu stia ancora lì a fissarmi il culo!”
Già; perché ero rimasto impietrito col suo vestito in mano e gli occhi fissi sul suo di dietro.
“Visto che ci sono, mi abbasso a dare un’occhiata più da vicino!” azzardai, ma lei non rispose.così mi inginocchiai sul pavimento, ma il vestito scendeva insieme a me. Lei afferrò il lembo, sostituendo la mia mano e tenendolo sollevato. Il suo buchino ed ora anche la sua fica si offrivano alla mia vista senza alcuna ritrosia e mi ritrovai a leccarli entrambi.
“Ti dà fastidio, mamma?”
“No, tesoro, per nulla! Mi piace da morire quello che stai facendo!”
“Potrei fare anche altro, se non ti dà fastidio!”
“Se non provi, non lo sapremo mai: né io né te. E sarebbe un peccato, non credi?”
Non ci pensai più e in men che non si dica il mio cazzo era sparito all’interno della sua fica e lei si era piegata in avanti per agevolarmi.
“Allora? Ti dà fastidio, mamma?”
“Mi darebbe fastidio se tu ora smettessi!”
“E se ti inculassi?”
“Vale sempre lo stesso criterio: se non lo fai, non so dirtelo!”
Insomma, avevo un lasciapassare completo per scoparmela in tutti i modi. E per essere ancora più chiara aggiunse.
“Andiamo a letto: tanto devo cambiare le lenzuola e quindi nessuno potrà mai accorgersi di nulla.”
Sul letto, fu lei a prendere l’iniziativa: d’altronde era certamente quella con più esperienza. Mi fece cose e provarne altre che le mie coetanee avrebbero avuto solo da imparare. Dosava sapientemente i tempi, impedendomi di venire. Quando lo prese in bocca, fissando nei miei occhi i suoi, amorevoli di madre, credetti di raggiungere il cielo. E pensare che, fino a quella prima pacca, non avevo mai pensato a lei come oggetto dei miei desideri sessuali. Ma ora, in pochi giorni, tutto era cambiato: la desideravo. E mi rendevo conto che non sarebbe stato il capriccio di una volta, mentre la sua fica avvolgeva il mio cazzo come una guaina. Poteva finire solo se lei avesse voluto. Ed io? Cosa avrei fatto io? L’avrei accettato? Mi sarei disperato? L’avrei ricattata? Non avevo tempo per pensare a queste cose negative, ora. Lei mi stava facendo godere come mai avevo goduto ed io sentivo il dovere di ricambiarla allo stesso modo. La ribaltai sul letto, puntai il cazzo sul suo buchino, ma era troppo secco e riuscii solo a strapparle un piccolo gemito di dolore. Mi abbassai con la testa tra le sue cosce e presi a lapparlo. Lo facevo di gusto, perché mi piaceva farlo, a me che non lo avevo mai fatto prima con nessuna. piaceva anche a lei, credo, dal modo in cui faceva roteare il culo. Riprovai e stavolta il cazzo scivolò nelle sue viscere, segno di una certa abitudine, credo. Il tempo passava: la scuola, era chiaro, mi avrebbe atteso invano, quel giorno. Quando lei raggiunse il suo primo orgasmo, guardai il suo volto trasfigurarsi nel piacere, mentre il suo corpo veniva attraversato da brividi incontrollabili. Restammo alcuni minuti distesi, uno accanto all’altro; guardavo il suo corpo nudo, i suoi seni abbandonati, pesanti sul torace, la sua pancia leggermente arrotondta, che sussultava ancora, la sua fica offerta oscenamente al mio sguardo, con quel triangolo di peli sul Monte di Venere, le sue cosce tornite, anch’esse leggermente più grosse di quelle misure standard che tutti sembrano prediligere, i suoi piede, con le unghie smaltate di un rosa confetto. Chissà quanti altri particolari avrebbero attirato il mio sguardo, se lei non mi avesse interrotto.
“Io sono pronta! Ricominciamo?”
E di nuovo le nostre bocche si cercarono avide, i nostri corpi si intrecciarono per fondersi , ma soprattutto le nostre menti sembrarono marciare all’unisono verso una destinazione comune, che esplose per entrambi in un urlo che dovemmo strozzare per non suscitare la curiosità dei vicini.
Quando ci fummo ripresi, entrambi non avevamo voglia di correre sotto la doccia.
“Vuoi sapere se mi ha dato fastidio?” mi chiese lei maliziosa “Mi darà fastidio il giorno in cui non vorrai più scoparmi. E grazie per avermi portata in paradiso!”
“Mamma, oggi ho scoperto che il paradiso sei tu!”
Ma non dimenticate che io resto sempre la pecora nera della famiglia!
Era cominciato appena qualche giorno prima; ma forse è meglio descriverci, sia pur sommariamente. Nella mia famiglia, la differenza d’età sembra essere la regola: mio padre ha 62 anni e, naturalmente, lavora ancora. Mia madre ne ha 51: lavora con un part time che le lascia liberi 3 giorni a settimana. Mio fratello, 31, lavora anche lui, di tanto in tanto passa da casa, ma spesso si ferma dalla sua ragazza. Io di anni ne ho 20. Ora!
L’inizio di cui accennavo è stato circa 2 anni fa. Sono stato sempre la pecora nera della famiglia: superviziato da tutti, tranne che da mio fratello, sempre pronto a cacciarmi in qualche guaio, anche se di piccolo cabotaggio, il re degli scherzi in famiglia. Insomma, non certo un ragazzo tranquillo. Così, 2 anni fa, ero all’ultimo anno del liceo, perché scavezzacollo sì, ma lo studio l’hi sempre preso sul serio, una mattina mi ero alzato. Al solito, mio padre e mio fratello erano andati al lavoro e mia madre si stava preparando per fare altrettanto. Davanti allo specchio, leggermente piegata in avanti, passava sul viso una crema. Le arrivai da dietro, credo mi avesse visto nello specchio, senza pensarci su le diedi una bella pacca su quel sedere leggermente grosso che si ritrova.
“Ciao, tesoro!” fu la sua risposta, mentre continuava a passarsi la crema “la colazione è sul tavolo: sbrigati o farai tardi!” Quella mancata reazione si trasformò, ai miei occhi, in una tacita autorizzazione a rifarlo il giorno dopo e poi il giorno successivo. Quel giorno, nella mia testa, la domanda si era fatta pressante e doveva uscire.
“Mamma, perché non dici niente?”
“Di cosa?”
“Delle pacche sul sedere! Mi aspettavo un rimprovero, o quanto meno un rimbrotto, invece…”
“Forse avrei dovuto. Ma la verità è che non mi dà fastidio… A dirla tutta un po’ mi piace essere considerata come “femmina”!”
“E se ti scoprissi per dartela?”
“Mi imbarazzi!”
“Era solo un’ipotesi.”
“Dovrebbe succedere, per poterlo sapere… Dovrebbe darmi fastidio, vero?”
“Non so! Sei tu la mamma!”
Fece spallucce e si allontanò, prendendo le chiavi dell’auto.
Quella risposta mi aveva lasciato scioccato. Ma, appena mi ripresi, un sovraffollamento di fantasie lussuriose e trasgressive si impossessò del mio cervello. Finii di fare colazione e corsi a scuola, anche se, quel giorno non quagliai molto: troppo preso dai miei pensieri. E la settimana di lavoro di mia madre era finita.
L’indomani, la trovai, al mio arrivo in cucina per la colazione, sempre allegra e canticchiando, intenta a pulire non so cosa. Indossava la sua tenuta domestica: un leggero vestitino, tipo prendisole che le arrivava poco sopra al ginocchio e legato in vita. Come fosse la cosa più naturale del mondo, lo sollevai e le diedi la solita pacca sul culo, restando alcuni istanti a fissare quel piccolo accenno di cellulite che non lo guastava. Rimasi in attesa, osservando il suo corpo che si era totalmente immobilizzato: non riuscivo a vedere il suo volto e non capivo quale fosse la sua reazione.
“Bene! Ora lo sappiamo: non mi dà fastidio!”
“Ottimo!” esclamai, senza saper dare un significato a quell’euforia. In fondo non era cambiato molto dal giorno innanzi: avevo dato una pacca su un paio di mutandine che, per quanto velate, nascondevano tutto o quasi. Ma per me era già un gran passo avanti e non vedevo l’ora di ripetere quel rito trasgressivo il giorno dopo. Mi sforzai che la giornata fosse proficua sotto il profilo dello studio ed, in qualche modo, ci riuscii. Mia madre, di tanto in tanto, mi passava una mano tra i capelli, o mi baciava il capo: nulla che non avesse fatto in passato, ma un po’ più spesso.
La notte, però, mi tornò difficile dormire e alle 6 del mattino avevo già gli occhi spalancati e l’orecchio teso per sentire quando mio fratello e mio padre sarebbero usciti. Mi fiondai fuori dalla mia stanza non appena ebbi la certezza che erano andati via, ma mia madre non era in cucina. Rientro poco dopo, con un mazzettino di fiori appena recisi. Prese un portafiori e, mentre lo riempiva d’acqua, io mi avvicinai a lei, per il solito saluto quotidiano. Le alzai il vestito, pronto a dare il solito colpo, ma la mano restò a mezz’aria ed io basito: non aveva le mutandine. Il suo culo imperiale si offriva alla mia vista completamente indifeso e desiderabile. Raccolsi le idee, per evitare di balbettare.
“Perché non hai le mutandine, mamma?”
“Volevo vedere se così poteva darmi fastidio e…”
“E?”
“Niente! No, non mi dà fastidio. Anzi, a dirla tutta mi eccita da morire che tu stia ancora lì a fissarmi il culo!”
Già; perché ero rimasto impietrito col suo vestito in mano e gli occhi fissi sul suo di dietro.
“Visto che ci sono, mi abbasso a dare un’occhiata più da vicino!” azzardai, ma lei non rispose.così mi inginocchiai sul pavimento, ma il vestito scendeva insieme a me. Lei afferrò il lembo, sostituendo la mia mano e tenendolo sollevato. Il suo buchino ed ora anche la sua fica si offrivano alla mia vista senza alcuna ritrosia e mi ritrovai a leccarli entrambi.
“Ti dà fastidio, mamma?”
“No, tesoro, per nulla! Mi piace da morire quello che stai facendo!”
“Potrei fare anche altro, se non ti dà fastidio!”
“Se non provi, non lo sapremo mai: né io né te. E sarebbe un peccato, non credi?”
Non ci pensai più e in men che non si dica il mio cazzo era sparito all’interno della sua fica e lei si era piegata in avanti per agevolarmi.
“Allora? Ti dà fastidio, mamma?”
“Mi darebbe fastidio se tu ora smettessi!”
“E se ti inculassi?”
“Vale sempre lo stesso criterio: se non lo fai, non so dirtelo!”
Insomma, avevo un lasciapassare completo per scoparmela in tutti i modi. E per essere ancora più chiara aggiunse.
“Andiamo a letto: tanto devo cambiare le lenzuola e quindi nessuno potrà mai accorgersi di nulla.”
Sul letto, fu lei a prendere l’iniziativa: d’altronde era certamente quella con più esperienza. Mi fece cose e provarne altre che le mie coetanee avrebbero avuto solo da imparare. Dosava sapientemente i tempi, impedendomi di venire. Quando lo prese in bocca, fissando nei miei occhi i suoi, amorevoli di madre, credetti di raggiungere il cielo. E pensare che, fino a quella prima pacca, non avevo mai pensato a lei come oggetto dei miei desideri sessuali. Ma ora, in pochi giorni, tutto era cambiato: la desideravo. E mi rendevo conto che non sarebbe stato il capriccio di una volta, mentre la sua fica avvolgeva il mio cazzo come una guaina. Poteva finire solo se lei avesse voluto. Ed io? Cosa avrei fatto io? L’avrei accettato? Mi sarei disperato? L’avrei ricattata? Non avevo tempo per pensare a queste cose negative, ora. Lei mi stava facendo godere come mai avevo goduto ed io sentivo il dovere di ricambiarla allo stesso modo. La ribaltai sul letto, puntai il cazzo sul suo buchino, ma era troppo secco e riuscii solo a strapparle un piccolo gemito di dolore. Mi abbassai con la testa tra le sue cosce e presi a lapparlo. Lo facevo di gusto, perché mi piaceva farlo, a me che non lo avevo mai fatto prima con nessuna. piaceva anche a lei, credo, dal modo in cui faceva roteare il culo. Riprovai e stavolta il cazzo scivolò nelle sue viscere, segno di una certa abitudine, credo. Il tempo passava: la scuola, era chiaro, mi avrebbe atteso invano, quel giorno. Quando lei raggiunse il suo primo orgasmo, guardai il suo volto trasfigurarsi nel piacere, mentre il suo corpo veniva attraversato da brividi incontrollabili. Restammo alcuni minuti distesi, uno accanto all’altro; guardavo il suo corpo nudo, i suoi seni abbandonati, pesanti sul torace, la sua pancia leggermente arrotondta, che sussultava ancora, la sua fica offerta oscenamente al mio sguardo, con quel triangolo di peli sul Monte di Venere, le sue cosce tornite, anch’esse leggermente più grosse di quelle misure standard che tutti sembrano prediligere, i suoi piede, con le unghie smaltate di un rosa confetto. Chissà quanti altri particolari avrebbero attirato il mio sguardo, se lei non mi avesse interrotto.
“Io sono pronta! Ricominciamo?”
E di nuovo le nostre bocche si cercarono avide, i nostri corpi si intrecciarono per fondersi , ma soprattutto le nostre menti sembrarono marciare all’unisono verso una destinazione comune, che esplose per entrambi in un urlo che dovemmo strozzare per non suscitare la curiosità dei vicini.
Quando ci fummo ripresi, entrambi non avevamo voglia di correre sotto la doccia.
“Vuoi sapere se mi ha dato fastidio?” mi chiese lei maliziosa “Mi darà fastidio il giorno in cui non vorrai più scoparmi. E grazie per avermi portata in paradiso!”
“Mamma, oggi ho scoperto che il paradiso sei tu!”
Ma non dimenticate che io resto sempre la pecora nera della famiglia!
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