Meglio tardi 5
di
Troy2a
genere
incesti
Era una bella giornata di sole, piuttosto calda. Faceva seguito ad un periodo di pioggia, vento, ma soprattutto freddo che faceva pensare che l'inverno fosse già giunto. Avevo proprio voglia di uscire per fare una passeggiata in centro, quindi mi preparai accuratamente, senza, tuttavia, adottare l'abbigliamento audace che era diventato il mio preferito. Tracciai un filo di trucco intorno ai miei occhi ed alle mie labbra e mi incamminai, immersa nel frastuono di motori e clacson, ma che quel giorno mi sembravano musica. Guardavo, con neanche tanta attenzione, le vetrine ai bordi delle strade: non ero uscita per fare shopping, ma, come si dice, solo per prendere una boccata d'aria.
Le nuvole cominciarono ad addensarsi all'improvviso: nere e minacciose, non lasciavano dubbi sulle reali intenzioni che avessero. Affrettai il passo verso casa, ma non ebbi tempo: lo scroscio arrivò senza alcun altra avvisaglia; mi precipitai in un bar poco distante, ma lo trovai gremito di altri che, come me, avevano pensato bene di trovare ricovero lì. Non c'era un tavolino libero ed anche al bancone c'era una ressa indicibile: mi feci coraggio e chiesi ad un signore, seduto quasi in fondo alla sala, se potessi sedere con lui. Mi guardò stranito, come non avesse compreso quel che gli avevo detto; poi sembrò riscuotersi e diventò gentile:
“Ma certo, signora! Sieda pure.”
Era un uomo poco oltre la quarantina, ben vestito e curato nell'aspetto, ma aveva un'ombra negli occhi che non mi sfuggì. Non fu facile avere un caffè, ma ancor più difficile fu intavolare una conversazione con quell'uomo che, più che timido, sembrava confuso. Non provai assolutamente a sedurlo: quello che ora mi interessava di lui, che pure non sarebbe passato inosservato a qualsiasi donna, era scoprire quale ombra si celasse dietro quello sguardo perso nell'infinito di un bar, in quella solitudine immersa in una moltitudine variegata di persone.
Partii da dove, normalmente, si parte: gli dissi il mio nome e lui rispose col suo, per poi tornare a tacere, mentre io cercavo il bandolo della matassa nelle bizzarrie del tempo che lui si limitava a condividere con la sola mimica posturale. Le nostre voci, la mia voce lottava per farsi sentire da lui, contro una miriade di tazze e bicchieri che percorrevano all'infinito lo stesso giro: bancone/tavolini, lavello, lavastoviglie, scolapiatti, bancone/tavolini, ma era anche un vantaggio: nessuno avrebbe sentito, neanche lo avesse voluto. Fuori lo scroscio di pioggia si era trasformato in un temporale che sembrava non dovesse aver fine. Avevo capito bene? Mi sembrava di aver sentito dirgli che era un ingegnere, che stava aspettando che sua figlia uscisse da scuola per accompagnarla a casa. Mi era sembrato di avvertire un'emozione speciale nel dire la parola figlia, ma c'era così tanto baccano che poteva aver detto qualsiasi altra cosa. Decisi di fare una verifica.
“Come si chiama?”
“Chi?”
“Tua figlia!”
“Ah, sì! Si chiama Elisa, ha appena compiuto 18 anni. Lei è... tutto!”
Non avevo sbagliato: quella ragazza gli provocava uno tsunami di emozioni, che non riusciva a contenere o a nascondere. Ma quale padre non prova emozioni a parlare della figlia? Mi chiesi per cercare di allontanare un sospetto che mi montava, come un desiderio di cercare in altri lo stesso mio peccato, per sentirmi “normale”, forse per poter parlare anche con lui di quel mio peccaminoso segreto che, fino ad allora, avevo condiviso solo con Marta, oltre che con i miei amanti speciali.
I miei pensieri furono interrotti dall'arrivo di una bella ragazza mora, giovanissima e audace. Se era contrariata di trovare il padre con una donna, lo seppe dissimulare abilmente.
“Papà! Sono bagnata fradicia: sarà meglio che andiamo. Piacere: sono Elisa... sono sua figlia!” concluse, rivolgendosi a me.
“Il piacere è mio: sono Olga ed ho appena conosciuto il tuo meraviglioso papà.”
“Meraviglioso è riduttivo, signora. È insostituibile!”
“Ora andiamo, tesoro! È stato un piacere, Olga!”
“Ciao... Scusami, ma, con il frastuono, non sono sicura di aver capito bene il tuo nome. Ingegner...?”
“Vito! Solo Vito.”
“Ok, Vito! Spero di rivederti.”
Notai una nota di disappunto nel sorriso di Elisa, ma ancora una volta pensai di costruire castelli su sensazioni. Scarabocchiai velocemente il mio numero di cellulare su un tovagliolino e, approfittando di un attimo di distrazione della figlia, lo feci scivolare nella tasca di Vito.
Fuori dal bar, fui accolta da un rinnovato sole: faceva ancor più caldo di prima dell'acquazzone. Presi la strada di casa e lessi i messaggi che, nel frattempo erano arrivati: di tutti, me ne interessavano solo 2. Uno era di Marta, entusiasta del nuovo rapporto con Sebastiano, ma che, al tempo stesso, non voleva considerare concluso il nostro nuovo rapporto, ne quello con i ragazzi. L'altro era di mio figlio: Mirko mi chiedeva di poterci vedere da soli, perché doveva parlarmi. La cosa mi allarmò: di cosa mai doveva parlarmi a quattr'occhi? Lo chiamai e la sua voce mi rassicurò: nulla di gravissimo, ma d'importante sì, mi disse. Avrebbe preso qualche ora di permesso e ci saremmo visti a casa, approfittando degli impegni degli altri. Mi affrettai, quindi: più tranquilla, va bene, ma anche curiosa di sapere che cosa ci fosse di così importante da doverne parlare presto e solo io e lui. Arrivammo a casa quasi contemporaneamente: lui parcheggiava mentre io aprivo il portone del condominio. Mi raggiunse e mi salutò con un bacio sulle labbra: pensai che fosse bellissimo anche vestito. Lo guardai con aria interrogativa:
“Saliamo a farci un caffè!” rispose.
Seduti, uno di fronte all'altro, tornai ad interrogarlo.
“Ho voglia di fare l'amore con te!” lo fulminai.
“Mi hai fatto preoccupare e tu volevi solo scopare? Ma non ti basta mai?”
“Non voglio scopare: voglio fare l'amore con te. Ma prima devo dirti qualcosa che solo oggi ho trovato il coraggio di fare. Se avessi lasciato passare, forse sarebbe tornato ad essere impossibile. Io ti amo da sempre, Olga!” trasalì a sentirmi chiamare col mio nome da lui. “Questo è il vero motivo per cui sono andato via da casa: ero geloso di papà!”
“Geloso di papà? Quindi, ora, sei geloso dei tuoi amici!?!”
“No! Per niente, anzi! Vedi, mamma; papà tu lo amavi, con i miei amici ci scopi. Anzi, sei proprio come ti ho sempre sognata: troia e mia. O meglio: troia! Mia, vorrei che lo diventassi. Vorrei che tu fossi la mia donna, vorrei che io e te facessimo l'AMORE!”
Non mi poteva certo sfuggire l'enfasi che mise in quella parola: ero disorientata. Ripensai a quando mi ero detta che non mi interessava diventare la moglie di mio figlio, ma solo il sesso che ora lui rappresentava e che non avevo mai conosciuto. Continuavo a fissarlo: il suo sguardo sicuro mi trasmetteva messaggi che non avevo mai colto prima, ma che non mi lasciavano indifferente.
“Cosa dovrei fare?” chiesi, ancora più incredula che indecisa.
“Devi solo pensare se mi puoi accettare come il tuo uomo.”
“E...”
“E non cambierebbe quasi nulla: potrai continuare a fare la tua vita, scopare quando vuoi e con chi vuoi. Per me sarà un onore essere il tuo cornuto, oltre che tuo figlio.”
Lo ascoltavo e lentamente prendevo coscienza che quello che mi proponeva era quello che avrei voluto da sempre: essere la troia del mio uomo, farlo cornuto, mostrare a lui quanto sapevo essere porca in sua presenza. Mio marito non me lo aveva mai proposto, ma, probabilmente, era quello che avrei desiderato . Ed ora me lo proponeva mio figlio, l'uomo che più amavo al mondo, l'unico che amassi. E, allora, cosa c'era di male ad essere la sua donna, la sua troia? Mi alzai ed andai a sedermi sulle sue gambe. Non c'era bisogno di parlare: avrei dato coi fatti la mia risposta e le nostre lingue si intrecciarono in un linguaggio universale, mentre le sue mani scivolavano sulle mie gambe. Credo che entrambi non prendemmo minimamente in considerazione di farlo lì, in cucina: mi alzai e lasciai che la sua mano, scivolata nella mia, mi conducesse nella mia camera da letto. Ci stendemmo sul letto senza mai staccarci: i vestiti scivolarono via, ma come fosse un film in slow motion; le nostre mani cercavano i nostri corpi senza fretta, senza l'irruenza selvaggia di quando scopavamo con gli altri. Respiravo un'aria nuova, che non assaporavo più dal tempo che facevo l'amore con mio marito: era la gioia di donarsi completamente, di affidarsi all'altro, di essere con lui un'unica cosa, non solo nel sesso. Le nostre bocche non proferivano le solite frasi, dettate dalla libidine, condite di epiteti forti: raccontavano, invece, di pensieri dolci, di affetto, di voglia di essere importanti l'uno per l'altra. Mi abbandonai totalmente e lasciai che fosse lui a guidare: non avrei avuto alcun problema ad assecondarlo in tutto. Sentivo le sue carezze sil mio corpo, leggere, delicate, quasi avesse paura di farmi male. Le sue dita che si intrufolavano nella mia figa avevano qualcosa di nuovo: si muovevano lentamente, per darmi piacere senza farmi male. I nostri occhi non si lasciarono un istante. Era estasi pura! Si distese e mi invitò a cavalcarlo e, facendolo, io mi adeguai a quelli che erano i suoi ritmi . Mi dondolavo anch'io lentamente, col suo cazzo completamente immerso dentro di me, sempre guardandolo e sussurandogli quanto fossi felice di essere la sua donna, di amarlo come figlio e come uomo. Le sue mani artigliarono i miei fianchi, accompagnandomi in quel delicato movimento con cui i nostri corpi andavano verso il piacere.
“Voglio il tuo seme in bocca! Voglio riempirmi della tua vita!”
“Mamma, sei l'unica donna che io abbia mai amato.”
Quest'ultima frase mi strappò una lacrima che riuscii a nascondere serrando le palpebre. In poco tempo, mio figlio aveva saputo rendermi dapprima appagata e nuova come femmina. Ed ora stava riempiendo quell'unico spazio ancora vuoto, mi stava offrendo al sua vita in cambio della mia. Aveva davvero ragione lui: fare l'amore era così diverso da scopare. Il secondo rendeva la vita piacevole, il primo la rendeva piena: io e lui, ora, avevamo entrambe le cose. Era bello sapere di avere un uomo che mi amava e che mi avrebbe lasciato soddisfare i miei istinti più animaleschi. Ancora più bello diventava sapere che quell'uomo era mio figlio, che ra mio da sempre: ed io ero sua dal momento stesso che lo avevo concepito.
“Mamma, vengo!”
Mi precipitai ad accogliere il suo nettare in bocca e, sempre guardandolo negli occhi, glielo mostrai prima di inghiottirlo, come sapevo gli facesse piacere. Poi, restammo a coccolarci ancora a lungo, a parlare di tutto a sorriderci senza apparente motivo, a fissarci in silenzio, incuranti del tempo che passava.
“Vorrei che ufficializzassimo il nostro fidanzamento. Magari solo ai nostri amici intimi.” disse lui.
“Per me va benissimo. Magari facciamo una festicciola delle nostre.”
“Era proprio quello a cui stavo pensando, mamma! Ti amo!
“Ti amo anch'io, Mirko! Che ne diresti di invitare anche Marta: proprio oggi mi chiedeva di rivederci? Magari riusciamo a festeggiare anche il suo di fidanzamento.”
“Certo, mamma: Marta è simpatica, oltre che una bella donna. E sai che a me piace molto allargare il giro.!”
“Siamo proprio fatti della stessa pasta io e te! Ricominciamo?”
Le nuvole cominciarono ad addensarsi all'improvviso: nere e minacciose, non lasciavano dubbi sulle reali intenzioni che avessero. Affrettai il passo verso casa, ma non ebbi tempo: lo scroscio arrivò senza alcun altra avvisaglia; mi precipitai in un bar poco distante, ma lo trovai gremito di altri che, come me, avevano pensato bene di trovare ricovero lì. Non c'era un tavolino libero ed anche al bancone c'era una ressa indicibile: mi feci coraggio e chiesi ad un signore, seduto quasi in fondo alla sala, se potessi sedere con lui. Mi guardò stranito, come non avesse compreso quel che gli avevo detto; poi sembrò riscuotersi e diventò gentile:
“Ma certo, signora! Sieda pure.”
Era un uomo poco oltre la quarantina, ben vestito e curato nell'aspetto, ma aveva un'ombra negli occhi che non mi sfuggì. Non fu facile avere un caffè, ma ancor più difficile fu intavolare una conversazione con quell'uomo che, più che timido, sembrava confuso. Non provai assolutamente a sedurlo: quello che ora mi interessava di lui, che pure non sarebbe passato inosservato a qualsiasi donna, era scoprire quale ombra si celasse dietro quello sguardo perso nell'infinito di un bar, in quella solitudine immersa in una moltitudine variegata di persone.
Partii da dove, normalmente, si parte: gli dissi il mio nome e lui rispose col suo, per poi tornare a tacere, mentre io cercavo il bandolo della matassa nelle bizzarrie del tempo che lui si limitava a condividere con la sola mimica posturale. Le nostre voci, la mia voce lottava per farsi sentire da lui, contro una miriade di tazze e bicchieri che percorrevano all'infinito lo stesso giro: bancone/tavolini, lavello, lavastoviglie, scolapiatti, bancone/tavolini, ma era anche un vantaggio: nessuno avrebbe sentito, neanche lo avesse voluto. Fuori lo scroscio di pioggia si era trasformato in un temporale che sembrava non dovesse aver fine. Avevo capito bene? Mi sembrava di aver sentito dirgli che era un ingegnere, che stava aspettando che sua figlia uscisse da scuola per accompagnarla a casa. Mi era sembrato di avvertire un'emozione speciale nel dire la parola figlia, ma c'era così tanto baccano che poteva aver detto qualsiasi altra cosa. Decisi di fare una verifica.
“Come si chiama?”
“Chi?”
“Tua figlia!”
“Ah, sì! Si chiama Elisa, ha appena compiuto 18 anni. Lei è... tutto!”
Non avevo sbagliato: quella ragazza gli provocava uno tsunami di emozioni, che non riusciva a contenere o a nascondere. Ma quale padre non prova emozioni a parlare della figlia? Mi chiesi per cercare di allontanare un sospetto che mi montava, come un desiderio di cercare in altri lo stesso mio peccato, per sentirmi “normale”, forse per poter parlare anche con lui di quel mio peccaminoso segreto che, fino ad allora, avevo condiviso solo con Marta, oltre che con i miei amanti speciali.
I miei pensieri furono interrotti dall'arrivo di una bella ragazza mora, giovanissima e audace. Se era contrariata di trovare il padre con una donna, lo seppe dissimulare abilmente.
“Papà! Sono bagnata fradicia: sarà meglio che andiamo. Piacere: sono Elisa... sono sua figlia!” concluse, rivolgendosi a me.
“Il piacere è mio: sono Olga ed ho appena conosciuto il tuo meraviglioso papà.”
“Meraviglioso è riduttivo, signora. È insostituibile!”
“Ora andiamo, tesoro! È stato un piacere, Olga!”
“Ciao... Scusami, ma, con il frastuono, non sono sicura di aver capito bene il tuo nome. Ingegner...?”
“Vito! Solo Vito.”
“Ok, Vito! Spero di rivederti.”
Notai una nota di disappunto nel sorriso di Elisa, ma ancora una volta pensai di costruire castelli su sensazioni. Scarabocchiai velocemente il mio numero di cellulare su un tovagliolino e, approfittando di un attimo di distrazione della figlia, lo feci scivolare nella tasca di Vito.
Fuori dal bar, fui accolta da un rinnovato sole: faceva ancor più caldo di prima dell'acquazzone. Presi la strada di casa e lessi i messaggi che, nel frattempo erano arrivati: di tutti, me ne interessavano solo 2. Uno era di Marta, entusiasta del nuovo rapporto con Sebastiano, ma che, al tempo stesso, non voleva considerare concluso il nostro nuovo rapporto, ne quello con i ragazzi. L'altro era di mio figlio: Mirko mi chiedeva di poterci vedere da soli, perché doveva parlarmi. La cosa mi allarmò: di cosa mai doveva parlarmi a quattr'occhi? Lo chiamai e la sua voce mi rassicurò: nulla di gravissimo, ma d'importante sì, mi disse. Avrebbe preso qualche ora di permesso e ci saremmo visti a casa, approfittando degli impegni degli altri. Mi affrettai, quindi: più tranquilla, va bene, ma anche curiosa di sapere che cosa ci fosse di così importante da doverne parlare presto e solo io e lui. Arrivammo a casa quasi contemporaneamente: lui parcheggiava mentre io aprivo il portone del condominio. Mi raggiunse e mi salutò con un bacio sulle labbra: pensai che fosse bellissimo anche vestito. Lo guardai con aria interrogativa:
“Saliamo a farci un caffè!” rispose.
Seduti, uno di fronte all'altro, tornai ad interrogarlo.
“Ho voglia di fare l'amore con te!” lo fulminai.
“Mi hai fatto preoccupare e tu volevi solo scopare? Ma non ti basta mai?”
“Non voglio scopare: voglio fare l'amore con te. Ma prima devo dirti qualcosa che solo oggi ho trovato il coraggio di fare. Se avessi lasciato passare, forse sarebbe tornato ad essere impossibile. Io ti amo da sempre, Olga!” trasalì a sentirmi chiamare col mio nome da lui. “Questo è il vero motivo per cui sono andato via da casa: ero geloso di papà!”
“Geloso di papà? Quindi, ora, sei geloso dei tuoi amici!?!”
“No! Per niente, anzi! Vedi, mamma; papà tu lo amavi, con i miei amici ci scopi. Anzi, sei proprio come ti ho sempre sognata: troia e mia. O meglio: troia! Mia, vorrei che lo diventassi. Vorrei che tu fossi la mia donna, vorrei che io e te facessimo l'AMORE!”
Non mi poteva certo sfuggire l'enfasi che mise in quella parola: ero disorientata. Ripensai a quando mi ero detta che non mi interessava diventare la moglie di mio figlio, ma solo il sesso che ora lui rappresentava e che non avevo mai conosciuto. Continuavo a fissarlo: il suo sguardo sicuro mi trasmetteva messaggi che non avevo mai colto prima, ma che non mi lasciavano indifferente.
“Cosa dovrei fare?” chiesi, ancora più incredula che indecisa.
“Devi solo pensare se mi puoi accettare come il tuo uomo.”
“E...”
“E non cambierebbe quasi nulla: potrai continuare a fare la tua vita, scopare quando vuoi e con chi vuoi. Per me sarà un onore essere il tuo cornuto, oltre che tuo figlio.”
Lo ascoltavo e lentamente prendevo coscienza che quello che mi proponeva era quello che avrei voluto da sempre: essere la troia del mio uomo, farlo cornuto, mostrare a lui quanto sapevo essere porca in sua presenza. Mio marito non me lo aveva mai proposto, ma, probabilmente, era quello che avrei desiderato . Ed ora me lo proponeva mio figlio, l'uomo che più amavo al mondo, l'unico che amassi. E, allora, cosa c'era di male ad essere la sua donna, la sua troia? Mi alzai ed andai a sedermi sulle sue gambe. Non c'era bisogno di parlare: avrei dato coi fatti la mia risposta e le nostre lingue si intrecciarono in un linguaggio universale, mentre le sue mani scivolavano sulle mie gambe. Credo che entrambi non prendemmo minimamente in considerazione di farlo lì, in cucina: mi alzai e lasciai che la sua mano, scivolata nella mia, mi conducesse nella mia camera da letto. Ci stendemmo sul letto senza mai staccarci: i vestiti scivolarono via, ma come fosse un film in slow motion; le nostre mani cercavano i nostri corpi senza fretta, senza l'irruenza selvaggia di quando scopavamo con gli altri. Respiravo un'aria nuova, che non assaporavo più dal tempo che facevo l'amore con mio marito: era la gioia di donarsi completamente, di affidarsi all'altro, di essere con lui un'unica cosa, non solo nel sesso. Le nostre bocche non proferivano le solite frasi, dettate dalla libidine, condite di epiteti forti: raccontavano, invece, di pensieri dolci, di affetto, di voglia di essere importanti l'uno per l'altra. Mi abbandonai totalmente e lasciai che fosse lui a guidare: non avrei avuto alcun problema ad assecondarlo in tutto. Sentivo le sue carezze sil mio corpo, leggere, delicate, quasi avesse paura di farmi male. Le sue dita che si intrufolavano nella mia figa avevano qualcosa di nuovo: si muovevano lentamente, per darmi piacere senza farmi male. I nostri occhi non si lasciarono un istante. Era estasi pura! Si distese e mi invitò a cavalcarlo e, facendolo, io mi adeguai a quelli che erano i suoi ritmi . Mi dondolavo anch'io lentamente, col suo cazzo completamente immerso dentro di me, sempre guardandolo e sussurandogli quanto fossi felice di essere la sua donna, di amarlo come figlio e come uomo. Le sue mani artigliarono i miei fianchi, accompagnandomi in quel delicato movimento con cui i nostri corpi andavano verso il piacere.
“Voglio il tuo seme in bocca! Voglio riempirmi della tua vita!”
“Mamma, sei l'unica donna che io abbia mai amato.”
Quest'ultima frase mi strappò una lacrima che riuscii a nascondere serrando le palpebre. In poco tempo, mio figlio aveva saputo rendermi dapprima appagata e nuova come femmina. Ed ora stava riempiendo quell'unico spazio ancora vuoto, mi stava offrendo al sua vita in cambio della mia. Aveva davvero ragione lui: fare l'amore era così diverso da scopare. Il secondo rendeva la vita piacevole, il primo la rendeva piena: io e lui, ora, avevamo entrambe le cose. Era bello sapere di avere un uomo che mi amava e che mi avrebbe lasciato soddisfare i miei istinti più animaleschi. Ancora più bello diventava sapere che quell'uomo era mio figlio, che ra mio da sempre: ed io ero sua dal momento stesso che lo avevo concepito.
“Mamma, vengo!”
Mi precipitai ad accogliere il suo nettare in bocca e, sempre guardandolo negli occhi, glielo mostrai prima di inghiottirlo, come sapevo gli facesse piacere. Poi, restammo a coccolarci ancora a lungo, a parlare di tutto a sorriderci senza apparente motivo, a fissarci in silenzio, incuranti del tempo che passava.
“Vorrei che ufficializzassimo il nostro fidanzamento. Magari solo ai nostri amici intimi.” disse lui.
“Per me va benissimo. Magari facciamo una festicciola delle nostre.”
“Era proprio quello a cui stavo pensando, mamma! Ti amo!
“Ti amo anch'io, Mirko! Che ne diresti di invitare anche Marta: proprio oggi mi chiedeva di rivederci? Magari riusciamo a festeggiare anche il suo di fidanzamento.”
“Certo, mamma: Marta è simpatica, oltre che una bella donna. E sai che a me piace molto allargare il giro.!”
“Siamo proprio fatti della stessa pasta io e te! Ricominciamo?”
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