Cena a sorpresa

di
genere
corna

Erano vent'anni o forse più che provavo a convincere mia moglie Ada ad incontrare altri uomini, per fare sesso con loro, ma senza successo. Avevo ormai perso ogni speranza, anche se, durante i sempre meno frequenti nostri rapporti, sotto la spinta degli ormoni, provavo a parlargliene.
Avevo, allora, sessantuno anni ed Ada cinquantotto; come detto, le mie capacità amatorie calavano sensibilmente, anche se non accennavano a deflettere le mie fantasie sessuali, che coinvolgevano mia moglie. Anzi, oserei dire che queste fantasie andavano a colmare il deficit di potenza erogena. La sua risposta all'ennesima mia sollecitazione mi lasciò incredulo e quasi deluso.
“E sia! Ma non credere che diventi una puttana: se riesci a trovare uno che mi sappia coinvolgere, rimarrà solo lui!”
La delusione derivava dal fatto di essere impreparato a ricevere una risposta positiva., ma anche dal fatto che, pensavo, uno che mi coinvolga sarebbe significato corna vere.

Adottai uno stratagemma: visto che lei mi aveva investito del compito di trovare e scegliere quello giusto, avrei fatto in modo di sceglierne uno che giusto non era: non uno brutto, ma uno giovane, visto che aveva sempre detto che non avrebbe mai potuto farlo con un ragazzino.
Solo chi non vuol trovare nessuno non trova nessuno: non misi alcun annuncio, ma cercai tra quelli presenti tra diversi siti di incontri e trovai un ragazzo, a dir suo sui trenta, che usava un linguaggio forbito, ma soprattutto non triviale. Fui chiaro fin da principio che il primo incontro, conoscitivo, sarebbe stato con me solo. Non sembrò entusiasta della cosa, ma non chiuse la porta. Così ci incontrammo in un parco: non c'è luogo migliore per non dare nell'occhio che stare nel mezzo di tanta gente. Parlammo di tutto, tranne che di sesso: era un ragazzo davvero brillante, ricco di interessi e di passioni. Aveva un fisico statuario e lunghi riccioli biondi che scendevano fin quasi sul collo, due occhi verdi molto espressivi e due labbra che sembravano disegnate. Mise in chiaro da subito che lui era Marcello: non era il suo nome, ma sarebbe stato quello che avrebbe usato con noi, sempre. Mi sembrò una misura precauzionale forse un po' troppo pesante, ma accettai e ricambiai allo stesso modo. Io, che ero Sandro, diventai Cesare e mia moglie Ada diventò Sonia.
“Quindi? Ora dovremo incontrarci per conoscere lei?”
“Non credo che ci sarà bisogno: se ci incontreremo ancora sarà “conclusiva”, se così si può dire!”
“Io ho una casa, al mare...”
“Non ci diciamo i nomi, ma ci incontriamo in casa? Sarà meglio un campo neutro, tipo un b&b.”
“Concordo e so anche dove andare!”
Concordammo il modo per rimanere in contatto e ci salutammo.

Quando provai a parlarne a mia moglie, mi zittì subito.
“Ho detto che non mi interessa. Organizza e fammi sapere! Lo faccio p
er accontentarti.”
Quindi, in breve, informai Marcello che poteva considerare fatta la cosa: quando e dove ce lo doveva dire lui.
Mentre andavamo all'incontro, tra me pensavo che Marcello non avrebbe trovato nulla da ridire su mia moglie: corrispondeva al tipo di donna che aveva detto gli interessasse. Matura, tanto, con un seno grande, 4 misura, intelligente e simpatica, e non la batteva nessuna. Non ero altrettanto convinto che Marcello sarebbe piaciuto a lei, ed era quello che volevo: troppo giovane. Mi immaginavo già cosa avrebbe detto, mentre, rimasti soli, tornavamo a casa nostra: avrebbe potuto essere suo figlio.
Il b&b scelto da Marcello non era uno qualsiasi: per accedervi, occorreva percorrere un cortile, contornato da aiuole perfettamente curate; l'interno non era da meno, con quadri alle pareti, mobili di fattura artigianale ed un profumo di fresco che sembrava di essere all'aperto. Quando Ada vide Marcello, mi fulminò con lo sguardo ed era quello che mi aspettavo. Dentro di me, gongolavo, mentre lei si presentava e lui ricambiava con un galante baciamano che mi sembrò fuori luogo, nel contesto del nostro incontro. Prese, dal frigobar della camera, una bottiglia di Moet e Chandon, che di certo aveva portato lui. Riempì tre bicchieri e ne porse uno a lei ed uno a me, tenendone uno per se.
“Al nostro primo incontro, con il sincero augurio che non sia l'ultimo!” brindò.
Osservai Ada: sapevo che avrebbe detto qualcosa e lo fece.
“Al nostro incontro: sperando che la classe ed il rispetto delle premesse siano confermate dal prosieguo!”
Lui tornò a baciarle la mano, poi, come già al nostro primo incontro, trovò mille appassionanti argomenti di cui parlare. Ada lo guardava affascinata, più dal suo acume che dalla sua bellezza. Lui le si avvicinò, senza mai arrivare a contatto : parlavano fitto fitto, che quasi non riuscivo a trovare spazio per intromettermi anch'io. Sembrava un incontro tra membri dello stesso circolo culturale, al punto che mi colse strano, quando vidi il dorso delle dita di lui sfiorare quello della mano di lei. Puntai lo sguardo su Ada, convinto che avrebbe sottratto l'arto e quindi frustrato le premesse del giovane bull. Invece, vidi solo uno sguardo brillante, estasiato, ammaliato. Ecco,finalmente, la parola giusta: ammaliato. Ada era totalmente presa dalla voce di quel ragazzo, dai suoi racconti: forse non aveva sentito proprio il tocco di quelle dita. O forse sì! Ora le dita dei due si intrecciavano ed i loro volti si avvicinavano pericolosamente, fino a congiungersi in un bacio. Provai una fitta di gelosia indicibile, mentre le loro bocche si alimentavano di passione vicendevolmente. Che strano: avevo atteso quel momento per oltre vent'anni ed ora che era arrivato sentivo lo stomaco contorcersi ed il mio respiro diventare più pesante del loro, mentre la mano di Ada, lentamente, ma con decisione, scivolava lungo il corpo di lui, fino a raggiungere i pantaloni, indugiare sulla cerniera, percorrendola in su ed in giù, sollecitando la crescita di qualcosa che, sotto quella stoffa, denunciava una mirabolante vitalità, unità ad una consistenza ed ad una dimensione eccezionale.
“Beata giovinezza!” pensai tra me, prima di incocciare con la vista di un bastone di dimensioni eccezionali, che io non avevo avuto neanche nei miei vent'anni. Ada ne aveva preso possesso e quello sguardo un po' smarrito, quasi schifato che aveva all'inizio, dettato dalla giovane età del lui che le avevo trovato, era scomparso. I suoi occhi, ora, brillavano di meraviglia frammista a lussuria, il suo petto si gonfiava e sgonfiava come un mantice, come se avesse corso e, sotto sotto, immaginavo il lago di umori che, ora, impregnavano la sua fica, inzuppando il piccolo perizoma che le avevo visto indossare a casa.
Provate ad immaginare una donna, con in mano un cazzo che sega lentamente, mentre parla all'uomo di viaggi realizzati, ma ancor più di quelli sognati. E a lui, che le accarezza il seno, mentre sciorina aneddoti sulle culture di quei luoghi, che sembra conoscere. Tutti! Quasi mi scappa da ridere: mi chiedo se vogliano scopare, o dar vita ad un seminario scientifico. La gonna di lei si solleva, tirata su da una mano di lui che si muove bradipicamente, al punto da sembrare ferma e che l'indumento si muova per vita propria. Eppure, quasi impercettibilmente, qualcosa sta cambiando: sulle guance di entrambi si diffonde un colore più acceso ed ora le parole, che continuano a raccontare storie di vita e non di sesso, inciampano nei fremiti sempre più frequenti. E le mani, ora, sono sempre più audaci: si intrufolano ovunque, ansiose di raggiungere ogni parte del corpo. Comincio a riconoscere i prodromi della lussuria, del rapporto sessuale ed ecco che si manifesta nella bocca di Ada che si zittisce, per aprirsi ad accogliere il cazzo di lui. Ed anche lui, ora, tace: sospira solo e si abbandona al piacere che mia moglie le sta offrendo. Si muove anche lui: l'attira a se e la bacia ancora; lei si abbandona totalmente alla sua volontà, lascia che lui la sollevi e la trasporti sul letto e, piano, la privi di ogni indumento per poi fermarsi, quasi estasiato, a rimirarne la bellezza. Recita? Non lo so, ma se così fosse sarebbe un attore fantastico. Si lascia cadere in ginocchio ed affonda la testa tra le sue cosce, prende possesso della sua fica. Provo a partecipare, avvicinandomi a lei col cazzo in mano. Mi ignora totalmente ed io, frustrato, torno ad occupare un posto più defilato, da dove posso solo guardare. Probabilmente, nel sesso non è rimasto nulla che non sia stato già sperimentato. Ma tra fare e fare bene ne corre. Questa è la differenza: pare che Marcello lo sappia fare proprio bene, qualsiasi cosa faccia. Lei si dimena, sospira, mugola, a tratti impreca, incita. In altre parole gode; e si vede lontano un miglio che non finge: sulle lenzuola si allarga sempre più una chiazza di umido e lui non l'ha ancora penetrata. La sta solo preparando. È il momento: si avvicina, la bacia ancora, le punta il glande e spinge piano. Lei allarga le cosce ancor di più, per fargli posto ed è dentro. Comincia fotterla piano, fissando lo sguardo nel suo, mentre le sue gambe, ora, lo avvolgono alle spalle, per non lasciarselo sfuggire. Tutta la cultura di prima si è perduta nel gesto più naturale ed antico del mondo: un uomo ed una donna che fondono in un corpo solo. Tutto il sapere dell'umanità si traduce nelle voci della lussuria e del piacere. Il ritmo dei colpi aumenta: mi sto eccitando e non posso fare a meno di segarmi. Lui spinge: sembra quasi che voglia sfondarla, che voglia uscire da dietro, ma lei si abbandona a lui, gli sorride, quando riesce a vincere se stessa ed il suo volto le consente di non palesare più di tanto quanto sta godendo. Il ritmo si è fatto forsennato: lei lo asseconda e lo accompagna, nei momenti che anticipano l'acme. Le viene dentro, senza porsi problemi e lei lo guarda soddisfatta, felice. La bacia ancora, sulle labbra, sul seno, sulla pancia, poi le si stende accanto e la attira a se, l'abbraccia e la tiene stretta, sussurrandole non so cosa. Io rinfoderò il mio cazzo: ho sborrato in un fazzoletto, come l'ultimo degli sfigati. Penso che siamo alla fine, che tra poco si rivestiranno anche loro, che torneremo a casa e tuttio sarà solo un ricordo.
Rimango in piedi, in attesa. Un'attesa che, sto prendendo consapevolezza, è vana: le mani di lui sono tornate a percorrere il corpo di Ada ed è lei ora a cercare le sue labbra. Sta tornando vigoroso il cazzo di Marcello, sta di nuovo prendendolo in mano lei. Sto perdendo la pazienza io! Meglio che vada: il mio sogno è diventato il peggiore degli incubi. Ed ancora peggio è sapere che non potrò mai dirlo a lei, che dovrò fingere di aver avuto il massimo del piacere, di non aver desiderato invano. Fanno l'amore di nuovo. Ho detto fare l'amore? Già: ho l'impressione che una semplice scopata sia qualcosa di diverso. I lor corpi non si uniscono, si fondono; i loro sguardi si promettono l'uno all'altra; le loro bocche si sussurrano ed è evidente che l'escluso sono io. Ho la tentazione di scappare, ma mi sembrerebbe di fare la figura del pirla: non accetterò mai di dire che mi ero sbagliato, che non ho nessuna voglia di essere cornuto, anche se sto realizzando che questo è solo il primo di tanti incontri.

Lei non aspetta neanche che torniamo a casa: me lo dice seduta accanto a me in macchina:
“Avevi ragione: è stato davvero bello. Lo rifaremo, ma sempre con lui!”
Così, gli incontri sono diventati sempre più frequenti e cadenzati, fino a diventare un rito settimanale, ogni venerdì. E poi due: martedì e venerdì, tutte le settimane, di tutti questi anni., fino ad oggi, quando lui ci ha chiamato per dirci che ha un impegno. Sarà il primo venerdì senza vederlo: io alle mie corna ci ho fatto l'abitudine, ma non mi pesa farne a meno. Ada, invece, è visibilmente contrariata, anche se è l'occasione giusta per soddisfare una richiesta di nostra figlia:
“Ceniamo insieme, stasera? Ho una sorpresa”
Mia figlia Cinzia ha 31 anni e lavora in uno studio medico di una cittadina poco lontana dalla nostra. La chiave che gira nella toppa ci dice che è arrivata: restiamo seduti ad aspettarla.
“Papà, mamma lui è Riccardo. È il titolare dello studio dove lavoro, ma anche il mio ragazzo. Il mese prossimo andremo a convivere!”
Riccardo! Tale e quale a Marcello... Troppo uguale perché ci siano dubbi!
di
scritto il
2025-09-30
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