Il regalo di nozze (parte 4)
di
Kugher
genere
sadomaso
Non sapeva quanti anni avesse il Padrone o l’età, cosa facesse e perché l’avesse acquistata.
Le interessava solo ed unicamente il suo orgasmo, attenta a percepire ogni più piccola sensazioni di fastidio o di piacere e dedicarsi con tutta sé stessa, dimentica anche della sua situazione che, invece, era quella che la costringeva a succhiare quel cazzo.
Si rese nemmeno conto che era diversa la motivazione del pompino che stava facendo in quel momento, rispetto alle volte che era costretta a fare la stessa cosa al centro di addestramento.
Infatti, pur nel timore della punizione, al momento dell’insegnamento sapeva che avrebbe anche potuto sbagliare, che sarebbe stata corretta, punita, ma che avrebbe potuto recuperare.
Adesso no, adesso sapeva che non avrebbe potuto permettersi di sbagliare in quanto quello non era un pompino, ma un test.
Sapeva che un Padrone può restituire la schiava entro il primo mese se non fosse stato soddisfatto. In quel caso la schiava avrebbe avuto un segno negativo sulla sua scheda. I mercanti sarebbero stati costretti a rendere nota la circostanza ai futuri acquirenti e, quindi, a vendere la schiava ad un prezzo più basso, con la conseguenza che quella bestia sarebbe stata di poco interesse per loro in quanto non adeguatamente remunerativa e, quindi, destinataria delle loro frustrazioni con tanto dolore che le sarebbe stato procurato.
Non seppe quanto tempo durò il suo impegno.
Sentì, invece, arrivare il culmine del piacere del Padrone che, in quel momento, costituiva anche il premio del suo lavoro e della sua abilità di schiava sessuale.
Era pronta quando il primo getto di sperma le arrivò in bocca, quale testimonianza della sua utilità.
Bevve tutto e, mentre ingoiava, continuava a lavorare con la lingua, sia per pulire sia per agevolare l’uscita di tutto il liquido del piacere.
Quando tutto uscì, lo tenne ancora un attimo in bocca, in attesa che assumesse le misure tipiche del membro a riposo così da bere ed ingoiare anche le ultime gocce in quanto, adesso, la sua preoccupazione era quella di lasciarlo il più pulito possibile in modo da non sporcare l’intimo del Padrone.
Appoggiò la fronte a terra ed iniziò a leccare le scarpe del Padrone dopo avere riposto il cazzo ormai molle nei pantaloni, imitando la sua collega di schiavitù che non aveva mai cambiato posizione e attenzione verso i piedi della sua Signora.
Anna percepì tensione nella schiava accanto quando la Padrona le rivolse la parola e quella domanda che, forse, i due schiavi temevano ma che, nonostante questo, non aveva impedito loro di comportarsi in maniera arrogante con lei.
“Come si sono comportati con te i due schiavi?”
Fu allora che capì quel sesto senso che da lieve sussurro iniziò a udire quale forte voce che le stava urlando nelle orecchie di vendicarsi, vendicarsi di quelle inutili umiliazioni da parte di coloro che erano sullo stesso piano, da coloro che l’avevano fatta sentire ancor più sola, ultima dopo gli ultimi, che le avevano rubato quella residua speranza coltivata al centro di addestramento.
“Mi hanno frustata con asciugamani bagnati e calpestata a piedi nudi, camminando sopra di me fino a farmi piangere”.
Sapeva, aveva intuito che avrebbe dovuto essere portata davanti a loro senza segni e aveva giocato su questa sensazione nel decidere, in pochissimi attimi, quale menzogna raccontare.
Capì che aveva colto nel segno quando la schiava prostrata accanto a lei supplicò e spergiurò che non era vero, ricoprendo Anna di insulti impauriti il cui unico effetto fu quello di confermare la bugia ai Padroni, convinti anche dalla reazione scomposta dello schiavo sul quale erano seduti ed il cui respiro era da tempo affaticato e corto per lo sforzo di reggere il peso su di sé.
La fronte a terra di Anna impedì a tutti di osservare il sorriso di vendetta che le nacque dallo stomaco, dove aveva sedimentato quel senso di paura e di definitiva solitudine mentre le facevano inseguire il cibo a terra che gli schiavi spostavano continuamente col piede, ridendo di lei.
Si stupì di provare una emozione positiva quando la schiava, appesa alle caviglie, con le cosce larghe e a testa in giù, veniva frustata dal Padrone mentre lei doveva leccare la figa della Padrona.
Riusciva a provare soddisfazione anche mentre si concentrava interamente sulle sensazioni e pulsazioni della figa e, anzi, traendo maggior energia da dedicare al piacere di colei che l’aveva comprata.
Sapeva che dopo sarebbe toccata analoga sorte allo schiavo/divano e comprese che la vendetta sa essere un buona medicina.
Aveva anche compreso che nei confronti delle altre due bestie, aveva opa un certo potere, quello di mentire ai Padroni e farli frustare, potere che avrebbe usato con parsimonia e attenzione.
Provò brividi di piacere, diversi da quelli erotici ma non per questo di minor soddisfazione, quando evidentemente la frusta colpiva la figa della schiava, immaginandola mentre si contorceva fortemente in quella posizione scomoda che aveva avuto il tempo di vedere appena poco prima di dedicarsi al sesso della Padrona.
Le dispiacque non poter vedere la punizione dello schiavo, dovendo restare fronte a terra davanti alla donna alla quale aveva fatto avere un soddisfacente orgasmo, a giudicare da come le sue cosce si erano strette sul suo viso durante il culmine del piacere.
Sulla testa aveva distrattamente posato il piede della Padrone che si stava divertendo della punizione dello schiavo.
Quel peso sulla testa, in quel momento, le era leggero, ricco di quelle poche soddisfazioni che avrebbe potuto avere quale schiava.
Il rumore di un liquido versato nel bicchiere che aveva modo di vedere posato sul tavolino tra le poltrone dei Padroni, le ricordò che aveva sete ma che, anche la soddisfazione di quella piccola necessità, non dipendeva da lei, facendole sentire ancor più corta quella catena che le legava l’anima e la costringeva a vedere in maniera sfocata il tessuto del tappeto sul quale aveva poggiata la fronte.
Non riusciva a vedere dove fosse l’altra schiava.
Sentiva, però, il pianto dello schiavo.
Le interessava solo ed unicamente il suo orgasmo, attenta a percepire ogni più piccola sensazioni di fastidio o di piacere e dedicarsi con tutta sé stessa, dimentica anche della sua situazione che, invece, era quella che la costringeva a succhiare quel cazzo.
Si rese nemmeno conto che era diversa la motivazione del pompino che stava facendo in quel momento, rispetto alle volte che era costretta a fare la stessa cosa al centro di addestramento.
Infatti, pur nel timore della punizione, al momento dell’insegnamento sapeva che avrebbe anche potuto sbagliare, che sarebbe stata corretta, punita, ma che avrebbe potuto recuperare.
Adesso no, adesso sapeva che non avrebbe potuto permettersi di sbagliare in quanto quello non era un pompino, ma un test.
Sapeva che un Padrone può restituire la schiava entro il primo mese se non fosse stato soddisfatto. In quel caso la schiava avrebbe avuto un segno negativo sulla sua scheda. I mercanti sarebbero stati costretti a rendere nota la circostanza ai futuri acquirenti e, quindi, a vendere la schiava ad un prezzo più basso, con la conseguenza che quella bestia sarebbe stata di poco interesse per loro in quanto non adeguatamente remunerativa e, quindi, destinataria delle loro frustrazioni con tanto dolore che le sarebbe stato procurato.
Non seppe quanto tempo durò il suo impegno.
Sentì, invece, arrivare il culmine del piacere del Padrone che, in quel momento, costituiva anche il premio del suo lavoro e della sua abilità di schiava sessuale.
Era pronta quando il primo getto di sperma le arrivò in bocca, quale testimonianza della sua utilità.
Bevve tutto e, mentre ingoiava, continuava a lavorare con la lingua, sia per pulire sia per agevolare l’uscita di tutto il liquido del piacere.
Quando tutto uscì, lo tenne ancora un attimo in bocca, in attesa che assumesse le misure tipiche del membro a riposo così da bere ed ingoiare anche le ultime gocce in quanto, adesso, la sua preoccupazione era quella di lasciarlo il più pulito possibile in modo da non sporcare l’intimo del Padrone.
Appoggiò la fronte a terra ed iniziò a leccare le scarpe del Padrone dopo avere riposto il cazzo ormai molle nei pantaloni, imitando la sua collega di schiavitù che non aveva mai cambiato posizione e attenzione verso i piedi della sua Signora.
Anna percepì tensione nella schiava accanto quando la Padrona le rivolse la parola e quella domanda che, forse, i due schiavi temevano ma che, nonostante questo, non aveva impedito loro di comportarsi in maniera arrogante con lei.
“Come si sono comportati con te i due schiavi?”
Fu allora che capì quel sesto senso che da lieve sussurro iniziò a udire quale forte voce che le stava urlando nelle orecchie di vendicarsi, vendicarsi di quelle inutili umiliazioni da parte di coloro che erano sullo stesso piano, da coloro che l’avevano fatta sentire ancor più sola, ultima dopo gli ultimi, che le avevano rubato quella residua speranza coltivata al centro di addestramento.
“Mi hanno frustata con asciugamani bagnati e calpestata a piedi nudi, camminando sopra di me fino a farmi piangere”.
Sapeva, aveva intuito che avrebbe dovuto essere portata davanti a loro senza segni e aveva giocato su questa sensazione nel decidere, in pochissimi attimi, quale menzogna raccontare.
Capì che aveva colto nel segno quando la schiava prostrata accanto a lei supplicò e spergiurò che non era vero, ricoprendo Anna di insulti impauriti il cui unico effetto fu quello di confermare la bugia ai Padroni, convinti anche dalla reazione scomposta dello schiavo sul quale erano seduti ed il cui respiro era da tempo affaticato e corto per lo sforzo di reggere il peso su di sé.
La fronte a terra di Anna impedì a tutti di osservare il sorriso di vendetta che le nacque dallo stomaco, dove aveva sedimentato quel senso di paura e di definitiva solitudine mentre le facevano inseguire il cibo a terra che gli schiavi spostavano continuamente col piede, ridendo di lei.
Si stupì di provare una emozione positiva quando la schiava, appesa alle caviglie, con le cosce larghe e a testa in giù, veniva frustata dal Padrone mentre lei doveva leccare la figa della Padrona.
Riusciva a provare soddisfazione anche mentre si concentrava interamente sulle sensazioni e pulsazioni della figa e, anzi, traendo maggior energia da dedicare al piacere di colei che l’aveva comprata.
Sapeva che dopo sarebbe toccata analoga sorte allo schiavo/divano e comprese che la vendetta sa essere un buona medicina.
Aveva anche compreso che nei confronti delle altre due bestie, aveva opa un certo potere, quello di mentire ai Padroni e farli frustare, potere che avrebbe usato con parsimonia e attenzione.
Provò brividi di piacere, diversi da quelli erotici ma non per questo di minor soddisfazione, quando evidentemente la frusta colpiva la figa della schiava, immaginandola mentre si contorceva fortemente in quella posizione scomoda che aveva avuto il tempo di vedere appena poco prima di dedicarsi al sesso della Padrona.
Le dispiacque non poter vedere la punizione dello schiavo, dovendo restare fronte a terra davanti alla donna alla quale aveva fatto avere un soddisfacente orgasmo, a giudicare da come le sue cosce si erano strette sul suo viso durante il culmine del piacere.
Sulla testa aveva distrattamente posato il piede della Padrone che si stava divertendo della punizione dello schiavo.
Quel peso sulla testa, in quel momento, le era leggero, ricco di quelle poche soddisfazioni che avrebbe potuto avere quale schiava.
Il rumore di un liquido versato nel bicchiere che aveva modo di vedere posato sul tavolino tra le poltrone dei Padroni, le ricordò che aveva sete ma che, anche la soddisfazione di quella piccola necessità, non dipendeva da lei, facendole sentire ancor più corta quella catena che le legava l’anima e la costringeva a vedere in maniera sfocata il tessuto del tappeto sul quale aveva poggiata la fronte.
Non riusciva a vedere dove fosse l’altra schiava.
Sentiva, però, il pianto dello schiavo.
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