Alla mamma non far sapere quanto è bello un cazzo nella fica e l'altro nel sedere 5
di
Troy2a
genere
incesti
Un sabato mattina come tanti, di un mese di giugno insolitamente piovoso. Mio marito, nonostante il tempo inclemente, era andato a pescare. Io avevo preferito sedermi in poltrona a leggere un libro, stranissimo, ma coinvolgente. Un libricino di uno scrittore francese, di cui non ricordo il nome, ambientato in un paesaggio fiabesco del Giapponi:NEVE!
La voce di Mirko mi ridestò dal trance.
“Mamma!”
“Che c’è, tesoro!”
“Un’emergenza!”
Sollevai lo sguardo e mi rasserenai: non era la faccia di un’emergenza seria. Ma pur sempre mergenza era.+
“Di che si tratta?”
“Un mio amico… Un ragazzo della Repubblica Centrafricana...Insomma, da quando è qui non riesce a fare sesso con nessuna. Eppure è un bel ragazzo, simpatico.”
“Qual è, allora, il problema?”
“Ecco… le dimensioni. Ha un cazzo spropositato e, quando lo vedono, si tirano tutte indietro. Anche quelle più navigate,”
Lo guardo pensierosa.
“E io, cosa centro?”
“Pensavo che tu, magari, potessi dargli una mano.”
Ci pensai su, prima di rispondere.
“Sai, Mirko. Il pensiero che tante ragazze giovani, molto più aperte mentalmente di me, si titino indietro mi fa preoccupare.” la delusione si dipinse sul suo volto.
“Ma ti voglio bene. Lo sai. Non voglio dirti di no: fammelo conoscere, ma sarò io a decidere. Ok?”
“Cero, mamma! Ti adoro!” Mi diede un bacio, affondando la lingua nella mia bocca, fino quasi a togliermi il respiro.
“Conviene che scegliamo un giorno che papà non è in casa: avremo bisogno di tempo.”
“Parte lunedì, per un convegno. Fallo venire lunedì sera!”
“Grazie, mamma!”
Lui si allontanò ed io accesi la Tv, in uno dei soliti salotti, c’era uno psicologo che parlava.
“...Nel posto di lavoro, come in famiglia, il segreto dell’armonia risiede nella parità. Così come i i figli vanno d’accordo se si sentono trattati tutti allo stesso modo, anche i dipendenti devono avere la sensazione di un trattamento equo. Equo nella quotidianità, ma anche nelle gratificazioni e nelle penalizzazioni.”
Io penso di trattare i miei figli in maniera equa, ed ecco il motivo della nostra armonia.
Quello continuava
“...occorre che gli obiettivi di tutti siano sfidanti, che siano, cioè raggiungibili, ma non senza sacrificio. Questo genera autostima nel momento in cui vengono raggiunti, ma non ci deprimono se falliamo, perché consapevoli di aver afftontato un ostacolo vermente serio.”
Stava parlando forse della proposte di Mirko? E lui come lo aveva saputo?
Mi abbandonai ad una risata: ridevo di me stessa e mi rendevo conto di non aver mai avuto, nella mia vita, un periodo così delice. Un lungo, lunghissimo periodo di felicità.
Il lunedì mattina, salutai senza entusiasmo, come sempre, ormai, mio marito, consapevole che non lo avrei visto per qualche giorno. Riuscii a mascherare la giaia che questo pensiero mi dava ed andai al lavoro. Tornata a casa, in serata, feci una doccia e sedetti a guardare la tv. Con me c’erano Giovanni e Federico. Squillò il mio telefono.
“Ciao, mamma! Arriviamo!”
“D’accordo, vi aspetto!”
Giovanni mi guardò sornione.
“Che hai da guardare?”
“Niente, ma’!” Solo che pensiamo che solo tu puoi farcela.”
“Staremo a vedere!”
Dopo una manciata di mminuti, arrivarono. Andai loro incontro e mi ritrovai di fronte un ragazzo nero come la notte, molto giovane, sul metro e settantacinque.
“Lui è Andrè!” lo presentò Mirko.
“Piacere, Andrè!”
“Piacere mio, signora!”
Lo anticipai verso i divani e lui sedette di fronte a me.
“Dunque, Mirko mi ha parlato del tuo problema, forse sarebbe meglio dare un’occhiata. “
La presenza dei miei figli non mi infastidiva certo. E neanche a lui, sembrò. Fu sufficiente che abbassasse i pantaloni per capire di fronte a quale grosso problema mi trovassi di fronte: una gran parte del cazzo debordava dagli slip, che volarono via in un attimo. Mi ritrovai ad un palmo da un cazzo enorme per lunghezza, ma ancora più per circonferena.
“Allora, mamma? Che ne pensi?”
Guardavo quel cazzo estasiata: mi intimoriva, ma mi eccitava ad un tempo.
“La lunghezza non è un problema: quello che non entra resta fuori. Credo che in fica si possa fare, ma in culo….”
“Mamma, senza culo è una scopata a metà!”
“Si, tanto parliamo del mio! Ascolt, André! Io voglio davvero aiutarti, ma non so se ne sarò capace. Possiamo provarci, se vuoi, ma senza impegno.” lo sguardo sofferente e speranzoso del ragazzo mi colpì come una frustata. Avvicinai la bocca, ma, nonostante la spalancassi, faticavo ad accoglierlo tutto. Optai per lavorarci di lingua, di cui ero un’esperta, d’altronde. Eppure era così bello, anche se faticoso, sentirsi la bocca così piena. Ero sinceramente spaventata, anzi terrorizzata, ma tremendamente eccitata: avevo la possibilità di dimostrare di essere più capace di tante sgualdrinelle dell’età dei miai figli ed anche di moltissime mie coetanee. Lo fissai negli occhi, mentre continuavo a lappare la cappella con la lingua: mi sorpresi a pensare che quella, più che una cappella, era una cattedrale. Una magnifica cattedrale di carne che sfidava me ed i miei orifizi. Mi distesi in un tacito invito a penetrarmi, ma avevo sbagliato i miei calcoli. Ero convinta che la mia fica, almeno quella, si sarebbe dilatata a sufficienza, per accoglierlo senza dolori. Invece, nonostante spalancassi le gambe all’inverosimile, lo sfintere uretrale opponeva resistenza. Andrè continuava a spingere con dolcezza: fui io a prendere l’iniziativa e, con uno scatto di reni, forzai le mie pareti genitali sul suo cazzi, fino a farmelo scivolare dentro, non senza dolore. Fortunatamente non durò molto, anche se un rivolo di sangue fuoriuscì, come se fossi stata deflorata di nuovo: una piccola lacerazione, probabilmente. André, ora, mi scopava con passione, pur facendo attenzione a non spingere troppo forte, intorno a noi, i miei bambini ci osservavano ipnotizzati, come di fronte ad un inedito porno coinvolgente.
Ka domanda che tanto temevo, infine, arrivò.
“Posso provare a farti il culo?” chiese, sfilandosi dalla mia fica e presentandomi un cazzo ricoperto dai miei umori e da un goccio di sangue.
Non risposi, ma mi sistemai carponi sul tavolino: avevo calcolato che sarei stata all’altezza giusta perché fosse comodo per incularmi e ci avevo preso.
“Aspetta, mamma! Ti preparo io!” servizievole come sempre, Mirko prese a leccarmi il buco del culo ed io non potei non pensare che avrei voluto fosse lui ad incularmi: le sue erano le misure giuste. Ma mi tornò in mente quella frase sugli obiettivi sfidanti. Dovevo sfidarmi, dovevo provare a superare i miei limiti, consapevole che avrei potuto non farcela. Mirko, ora, mi passava della crema lubrificante fin dentro l’intestino. Mi diede una pacca sul sedere e mi sollecitò
“Dacci dentro, bel culo tondo! Rendici fieri di te!”
Poi sentii battere un colpo, come due che si danno il cinque e…
André cominciò a premere sul mio buchino posteriore: il lubrificante faceva si che scivolasse tra le chiappe senza incontrare resistenza, ma poi lo sfintere anale opponeva il suo diniego ad una atto in fin dei conti innaturale. Lui continuava a dimostrarsi deciso, ma sempre in modo gentile, attento alle mie reazioni. E che reazioni avrei potuto avere? Più il suo cazzo avanzava all’interno del mio corpo, più mi procurava dolori lancinanti. Io continuavoa sperare che entrasse presto la prima parte: avevo notato che dopo, sia pur di poco, il suo cazzo si restringeva. Ma non avevo fatto i conti che, violato o sfintere, anche il retto avrebbe dovuto dilatarsi oltre quello che era solito fare. Lacrime di sincero dolore colavano sulle mie guance, che Giovanni venne ad asciugare con un fazzolettino e a rincuorarmi con una carezza. Provai a sorridergli, ma il tentativo fallì miseramente, al punto che anche lui si commosse.
“Vai, tesoro! Grazie!”
Lo invitai ad andarsene e lasciare che proseguissi con il mio tentativo. Entrava: in maniera maledettamente lenta e dolorosa, ma quel cazzo stava riuscendo ad intrufolarsi nel mio intestino, fino a che non mi resi conto che ora si, era il retto a dover fare la sua parte. Lo sfintere si era arreso e aveva lasciato la battaglia. La cosa strana fu che, nonostante il dolore, non ci fu alcuna lacerazione ed André prese ad andare avanti ed indietro, sempre lentamente e sempre procurandomi dolore, ma ora misto ad una sensazione di piacere fisisco, che andava a sommarsi alla soddisfazione cerebrale che vivevo. Non sapevo, in realtà, quanto desiderassi che quel rapporto impossibile finisse e quanto, invece, durasse all’infinito. Quando fu il momento, André si sfilò e, con due colpi di mano, aiutò il suo uccello ad eruttarmi sulla schiena una quantità di calda sborra in linea con il vulcano che la sputava. Accompagnò la sborrata con un grugnito animalesco e con un incessante litania di finalmente.
Stesi la mano e raccolsi un po’ di quella sborra, per assaggiarla.
“Non sperare ti ripulisca con la bocca: questa non è stata un’inculata, ma una colonscopia!”
Lacrimavo ancora, mentre mi allontanavo per andare a lavarmi. E lacrimavo anche al mio ritorno, dopo la doccia.
“Mamma, fa ancora male?” chiese Giovanni.
“No, amore! Non più!”
“E allora perché piangi ancora?”
“Sono lacrime di gioia, amore! Sono così orgogliosa di me stessa. E lo devo a voi. Quindi sarò sempre in debito! André… ora sappiamo che si può fare. Quando hai bisogno, parla con loro e, se c’è la possibilità...”
La voce di Mirko mi ridestò dal trance.
“Mamma!”
“Che c’è, tesoro!”
“Un’emergenza!”
Sollevai lo sguardo e mi rasserenai: non era la faccia di un’emergenza seria. Ma pur sempre mergenza era.+
“Di che si tratta?”
“Un mio amico… Un ragazzo della Repubblica Centrafricana...Insomma, da quando è qui non riesce a fare sesso con nessuna. Eppure è un bel ragazzo, simpatico.”
“Qual è, allora, il problema?”
“Ecco… le dimensioni. Ha un cazzo spropositato e, quando lo vedono, si tirano tutte indietro. Anche quelle più navigate,”
Lo guardo pensierosa.
“E io, cosa centro?”
“Pensavo che tu, magari, potessi dargli una mano.”
Ci pensai su, prima di rispondere.
“Sai, Mirko. Il pensiero che tante ragazze giovani, molto più aperte mentalmente di me, si titino indietro mi fa preoccupare.” la delusione si dipinse sul suo volto.
“Ma ti voglio bene. Lo sai. Non voglio dirti di no: fammelo conoscere, ma sarò io a decidere. Ok?”
“Cero, mamma! Ti adoro!” Mi diede un bacio, affondando la lingua nella mia bocca, fino quasi a togliermi il respiro.
“Conviene che scegliamo un giorno che papà non è in casa: avremo bisogno di tempo.”
“Parte lunedì, per un convegno. Fallo venire lunedì sera!”
“Grazie, mamma!”
Lui si allontanò ed io accesi la Tv, in uno dei soliti salotti, c’era uno psicologo che parlava.
“...Nel posto di lavoro, come in famiglia, il segreto dell’armonia risiede nella parità. Così come i i figli vanno d’accordo se si sentono trattati tutti allo stesso modo, anche i dipendenti devono avere la sensazione di un trattamento equo. Equo nella quotidianità, ma anche nelle gratificazioni e nelle penalizzazioni.”
Io penso di trattare i miei figli in maniera equa, ed ecco il motivo della nostra armonia.
Quello continuava
“...occorre che gli obiettivi di tutti siano sfidanti, che siano, cioè raggiungibili, ma non senza sacrificio. Questo genera autostima nel momento in cui vengono raggiunti, ma non ci deprimono se falliamo, perché consapevoli di aver afftontato un ostacolo vermente serio.”
Stava parlando forse della proposte di Mirko? E lui come lo aveva saputo?
Mi abbandonai ad una risata: ridevo di me stessa e mi rendevo conto di non aver mai avuto, nella mia vita, un periodo così delice. Un lungo, lunghissimo periodo di felicità.
Il lunedì mattina, salutai senza entusiasmo, come sempre, ormai, mio marito, consapevole che non lo avrei visto per qualche giorno. Riuscii a mascherare la giaia che questo pensiero mi dava ed andai al lavoro. Tornata a casa, in serata, feci una doccia e sedetti a guardare la tv. Con me c’erano Giovanni e Federico. Squillò il mio telefono.
“Ciao, mamma! Arriviamo!”
“D’accordo, vi aspetto!”
Giovanni mi guardò sornione.
“Che hai da guardare?”
“Niente, ma’!” Solo che pensiamo che solo tu puoi farcela.”
“Staremo a vedere!”
Dopo una manciata di mminuti, arrivarono. Andai loro incontro e mi ritrovai di fronte un ragazzo nero come la notte, molto giovane, sul metro e settantacinque.
“Lui è Andrè!” lo presentò Mirko.
“Piacere, Andrè!”
“Piacere mio, signora!”
Lo anticipai verso i divani e lui sedette di fronte a me.
“Dunque, Mirko mi ha parlato del tuo problema, forse sarebbe meglio dare un’occhiata. “
La presenza dei miei figli non mi infastidiva certo. E neanche a lui, sembrò. Fu sufficiente che abbassasse i pantaloni per capire di fronte a quale grosso problema mi trovassi di fronte: una gran parte del cazzo debordava dagli slip, che volarono via in un attimo. Mi ritrovai ad un palmo da un cazzo enorme per lunghezza, ma ancora più per circonferena.
“Allora, mamma? Che ne pensi?”
Guardavo quel cazzo estasiata: mi intimoriva, ma mi eccitava ad un tempo.
“La lunghezza non è un problema: quello che non entra resta fuori. Credo che in fica si possa fare, ma in culo….”
“Mamma, senza culo è una scopata a metà!”
“Si, tanto parliamo del mio! Ascolt, André! Io voglio davvero aiutarti, ma non so se ne sarò capace. Possiamo provarci, se vuoi, ma senza impegno.” lo sguardo sofferente e speranzoso del ragazzo mi colpì come una frustata. Avvicinai la bocca, ma, nonostante la spalancassi, faticavo ad accoglierlo tutto. Optai per lavorarci di lingua, di cui ero un’esperta, d’altronde. Eppure era così bello, anche se faticoso, sentirsi la bocca così piena. Ero sinceramente spaventata, anzi terrorizzata, ma tremendamente eccitata: avevo la possibilità di dimostrare di essere più capace di tante sgualdrinelle dell’età dei miai figli ed anche di moltissime mie coetanee. Lo fissai negli occhi, mentre continuavo a lappare la cappella con la lingua: mi sorpresi a pensare che quella, più che una cappella, era una cattedrale. Una magnifica cattedrale di carne che sfidava me ed i miei orifizi. Mi distesi in un tacito invito a penetrarmi, ma avevo sbagliato i miei calcoli. Ero convinta che la mia fica, almeno quella, si sarebbe dilatata a sufficienza, per accoglierlo senza dolori. Invece, nonostante spalancassi le gambe all’inverosimile, lo sfintere uretrale opponeva resistenza. Andrè continuava a spingere con dolcezza: fui io a prendere l’iniziativa e, con uno scatto di reni, forzai le mie pareti genitali sul suo cazzi, fino a farmelo scivolare dentro, non senza dolore. Fortunatamente non durò molto, anche se un rivolo di sangue fuoriuscì, come se fossi stata deflorata di nuovo: una piccola lacerazione, probabilmente. André, ora, mi scopava con passione, pur facendo attenzione a non spingere troppo forte, intorno a noi, i miei bambini ci osservavano ipnotizzati, come di fronte ad un inedito porno coinvolgente.
Ka domanda che tanto temevo, infine, arrivò.
“Posso provare a farti il culo?” chiese, sfilandosi dalla mia fica e presentandomi un cazzo ricoperto dai miei umori e da un goccio di sangue.
Non risposi, ma mi sistemai carponi sul tavolino: avevo calcolato che sarei stata all’altezza giusta perché fosse comodo per incularmi e ci avevo preso.
“Aspetta, mamma! Ti preparo io!” servizievole come sempre, Mirko prese a leccarmi il buco del culo ed io non potei non pensare che avrei voluto fosse lui ad incularmi: le sue erano le misure giuste. Ma mi tornò in mente quella frase sugli obiettivi sfidanti. Dovevo sfidarmi, dovevo provare a superare i miei limiti, consapevole che avrei potuto non farcela. Mirko, ora, mi passava della crema lubrificante fin dentro l’intestino. Mi diede una pacca sul sedere e mi sollecitò
“Dacci dentro, bel culo tondo! Rendici fieri di te!”
Poi sentii battere un colpo, come due che si danno il cinque e…
André cominciò a premere sul mio buchino posteriore: il lubrificante faceva si che scivolasse tra le chiappe senza incontrare resistenza, ma poi lo sfintere anale opponeva il suo diniego ad una atto in fin dei conti innaturale. Lui continuava a dimostrarsi deciso, ma sempre in modo gentile, attento alle mie reazioni. E che reazioni avrei potuto avere? Più il suo cazzo avanzava all’interno del mio corpo, più mi procurava dolori lancinanti. Io continuavoa sperare che entrasse presto la prima parte: avevo notato che dopo, sia pur di poco, il suo cazzo si restringeva. Ma non avevo fatto i conti che, violato o sfintere, anche il retto avrebbe dovuto dilatarsi oltre quello che era solito fare. Lacrime di sincero dolore colavano sulle mie guance, che Giovanni venne ad asciugare con un fazzolettino e a rincuorarmi con una carezza. Provai a sorridergli, ma il tentativo fallì miseramente, al punto che anche lui si commosse.
“Vai, tesoro! Grazie!”
Lo invitai ad andarsene e lasciare che proseguissi con il mio tentativo. Entrava: in maniera maledettamente lenta e dolorosa, ma quel cazzo stava riuscendo ad intrufolarsi nel mio intestino, fino a che non mi resi conto che ora si, era il retto a dover fare la sua parte. Lo sfintere si era arreso e aveva lasciato la battaglia. La cosa strana fu che, nonostante il dolore, non ci fu alcuna lacerazione ed André prese ad andare avanti ed indietro, sempre lentamente e sempre procurandomi dolore, ma ora misto ad una sensazione di piacere fisisco, che andava a sommarsi alla soddisfazione cerebrale che vivevo. Non sapevo, in realtà, quanto desiderassi che quel rapporto impossibile finisse e quanto, invece, durasse all’infinito. Quando fu il momento, André si sfilò e, con due colpi di mano, aiutò il suo uccello ad eruttarmi sulla schiena una quantità di calda sborra in linea con il vulcano che la sputava. Accompagnò la sborrata con un grugnito animalesco e con un incessante litania di finalmente.
Stesi la mano e raccolsi un po’ di quella sborra, per assaggiarla.
“Non sperare ti ripulisca con la bocca: questa non è stata un’inculata, ma una colonscopia!”
Lacrimavo ancora, mentre mi allontanavo per andare a lavarmi. E lacrimavo anche al mio ritorno, dopo la doccia.
“Mamma, fa ancora male?” chiese Giovanni.
“No, amore! Non più!”
“E allora perché piangi ancora?”
“Sono lacrime di gioia, amore! Sono così orgogliosa di me stessa. E lo devo a voi. Quindi sarò sempre in debito! André… ora sappiamo che si può fare. Quando hai bisogno, parla con loro e, se c’è la possibilità...”
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