Sottomissione al Dominio (parte 6)

Scritto da , il 2022-10-08, genere sadomaso

Monica aveva aspettato quel messaggio per tutti i giorni che l’avevano divisa dagli eventi accaduti.
Arrivata a casa, si era masturbata subito, non riuscendo più a rinviare quella esigenza sempre più prepotente.
Aveva gli occhi chiusi mentre, con le dita sul clitoride, ripensava alla sua sottomissione verso Anna, ai suoi piedi da baciare, leccare, sentire su di sé.
Avrebbe desiderato anche essere frustata, portata al pianto pur di poter dimostrare quanto fosse forte il suo piacere nel dolore che rappresentava la sua schiavitù.
Aveva raggiunto l’orgasmo avendo davanti a sé l’immagine della Padrona in piedi su di lei, che la schiacciava con tutto il suo peso, usandola come un tappeto umano.
Si era interrogata spesso, in quei giorni, sui pensieri di Anna, chiedendosi se la lucidità dopo l’ondata di evidente piacere, l’avesse portata a pentirsi o anche solo a decidere che fosse il caso di interrompere tutto.
Aveva anche pensato di scriverle, andarla a trovare, chiamarla.
Pensò invece che avrebbe dovuto lasciare che fosse lei a contattarla, sicura che lo avrebbe fatto quando avesse deciso qualcosa.
Nell’attesa le davano quasi fastidio gli sms dei suoi amici, perché, ad ogni suono, aveva la speranza che fosse Anna.
Quando finalmente vide il suo nome accanto al messaggio ancora da aprire, ebbe un aumento dei battiti cardiaci per il timore, o la speranza, di leggere il contenuto.
“Domani, alle 15, da me”.
Non avrebbe potuto essere più chiaro quel messaggio. Era evidente che fosse un ordine, che la volesse ai suoi piedi, sua schiava.
Non la fece attendere per la risposta, voleva che vedesse l’immediata reazione quale testimonianza del suo interesse.
“Sì, Padrona”.
Fu presa da imminente eccitazione ed ebbe il pensiero di masturbarsi.
In quel momento provò una sensazione nuova, mai vissuta con altri Padroni, nemmeno con Maurizio, che l’aveva fatta sentire tanto schiava, ma solo quando erano assieme.
In quel momento no, avvertì una sensazione diversa, come se il gioco del dominio e della sottomissione annullasse lo spazio che le divideva ed il tempo che avrebbe dovuto attendere per andare da lei.
Con Anna non avrebbe avuto la penetrazione, il possesso tipico del maschio.
Immaginava che con quella donna avrebbe provato una sottomissione diversa, fatta di eccitazione ma anche di anima, come se un filo invisibile le unisse e lei le appartenesse.
Si rese conto che l’assenza della penetrazione sarebbe stata compensata da altra presa di possesso, da altro esercizio della proprietà.
Ancora non sapeva come sarebbe evoluto quel rapporto appena nato. Le sembrava, però, che se si fosse masturbata avrebbe sottratto ad Anna, la sua Padrona, l’esercizio di un potere che pensava le spettasse.
Così non si toccò la figa che già sentiva bagnata.
Dovette trattenersi con fatica per tutte le ore che la separavano dall’incontro.
Iniziò a prepararsi qualche ora prima, voleva essere bella per la sua Padrona, voleva che godesse anche della sua vista e non solo della sua sottomissione.
Scelse un vestito aderente che evidenziasse il suo corpo fresco, disegnando le linee delle anche e delle natiche, sapendo di avere un bellissimo culo.
Le scarpe dovevano trasmettere sensualità ed eccitazione ed il tacco di 12 centimetri, sul quel vestito che sapeva essere eccitante, sarebbero state benissimo.
Per un attimo si rese conto che quello sarebbe stato l’abbigliamento adatto per sedurre un uomo e si chiese se non fosse inopportuno per una donna.
Poi, però, pensò che la bellezza è sempre bella, anche se dedicata ad una donna.
Niente trucco. Non voleva che l’esercizio del dominio, comunque venisse svolto, la rendesse brutta sporcandole il viso.
L’eccitazione, quando arrivò davanti a quel campanello, aveva una forma diversa rispetto al momento in cui aveva iniziato a prepararsi. Le sembrava più piena, più calda ed il desiderio di essere dominata, schiavizzata, usata, picchiata, umiliata era andato sempre in crescendo.
Quando Anna le aprì, un secolo dopo aver suonato, riuscì a guardarla solo per una sola frazione di secondo. Abbassò subito lo sguardo come se questo fosse attratto a terra da una potente calamita, irresistibile per la sua forza di volontà.
La bellezza dell’atto fluido di inginocchiamento consistette nella sua naturalezza, come fosse cosa istintiva prima ancora che dovuta.
Abbassò il capo verso terra e le baciò le scarpe prima e i piedi poi.
Quattro baci in tutto.
La fronte si posò a terra, a pochissimi centimetri.
“Buongiorno, Padrona”.
Non ricevette alcun saluto, solo qualche secondo di silenzio.
La fronte a terra le impedì di vedere il movimento che ebbe però modo di avvertire, comprendendo cosa significasse solo quando sentì la scarpa posarsi sulla sua testa e schiacciare appena.


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krugher.1863@gmail.com

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