La hot pot di Hòlmavìk (prima parte)

di
genere
saffico

Una di quelle pozze termali, quelle oasi calde, discretamente frequenti tra i ghiacci e il vento gelido islandese.
La “hot pot” è posta come sentinella, all’entrata del fiordo di Steingrìmsfjörður. A quattro metri dal freddo oceano atlantico e due passi dalla guest house di Hòlmavìk, offre seduzioni tiepide a chi ha attraversato le zone vulcaniche del nord dell’isola, sfidando le correnti di aria artica.
In accappatoio e infradito mi avvicino colma di attese e bisogno di tiepide tenerezze; lascio gli indumenti e, in bikini, mi introduco nel suadente specchio d’acqua, immergendomi fino al collo.
Il sole calante si riflette sull’acqua increspata del fiordo.
Solo un ricordo del tepore mediterraneo, la nostra stella scalda poco, bassa sull'orizzonte e velata dalle nubi di cristalli di ghiaccio che colorano di riflessi di argento e nichel le onde smosse dal vento impietoso.
I capelli arrotolati e infilzati sopra la nuca, protetta dalla coltre termale, mi godo lo scenario delle glaciali correnti lasciando che l’acqua riscaldata da indomiti vulcani mi tempri accarezzandomi la pelle, quand’ecco che una ragazza si avvicina alla hot pot, ricoperta da un soffice accappatoio bianco, vaporoso e spesso come la pelliccia di una volpe artica.
“Hi”
“Hi”
Fugace scambio di formali saluti; storie personali, nazioni, forse anche continenti ci separano e, riunite per caso in quest’isola agli estremi confini dell’Europa, incrociando solo temporaneamente le nostre vite, non c’è esigenza di socializzare.
Lei si spoglia e, in bikini bianco con vistose farfalle colorate, si immerge, proprio di fronte a me.
Bella ragazza, giovane e formosa, anzi, anche un po’ abbondante, ma aggraziata. La pelle chiarissima, le gote rosa che contrastano con la cute pallida, capelli biondo scuro riuniti in trecce annodate sulla nuca, occhi castano chiari: ha tutto l’aspetto di una islandese come già ne ho viste parecchie in questi giorni.
Le mi ricambia lo sguardo incuriosito, ma discreto. Non sono rari gli orientali su questo angolo strappato ai ghiacci polari, sia tra i residenti che tra i turisti, anche se, in mezzo ai molti cinesi e coreani, di giapponesi ne ho incontrati pochi.
Torno a contemplare i riflessi di ingannevole tepore che il sole promette, ma non mantiene: la sensazione di freddo metallo liquido viene ampiamente compensata dall’energia calorica che dall’acqua termale mi tonifica la pelle e i muscoli.
Allargo le braccia appoggiandole ai bordi della vasca; il calore che mi permea tutto il corpo al di sotto delle ascelle è sufficiente a consentirmi di esporre le spalle all’aria fresca che ormai non arreca disturbo, quando, inaspettatamente, mi sento toccare un piede, la sotto, sul fondo della vasca.
Alzo lo sguardo verso la ragazza che mi risponde imbarazzata: “Sorry”
“It’s ok”, la rassicuro con un sorriso.
Ma quando mi rilasso di fronte alla distesa oceanica, sento ancora il suo piede sul mio, questa volta in una specie di carezza che mi risale fino alla caviglia.
“Excuse me!” ripete la bionda giovane, sorridendo confusa e portandosi una mano alla bocca.
Le sorrido anch’io senza bisogno di aggiungere altre parole.
Neanche un minuto dopo la punta del suo piede mi sfiora nuovamente sotto il livello dell’acqua; un leggero movimento che dalla caviglia mi risale fino al ginocchio, in una carezza che non può essere accidentale.
Di nuovo la giovane si scusa con un nuovo sorriso.
“Sono dispiaciuta” prosegue in un accurato inglese, “la vasca è troppo scivolosa!”
Il tono della voce sarebbe anche convincente, ma questa ragazza inizia a guardarmi con un’insistente curiosità che combacia con la sensazione che il contatto fosse, almeno questa volta, voluto e ricercato.
Non rispondo nulla, ma con un indulgente sorriso comincio a considerare questa compagnia che cerca di imporsi alla mia attenzione con quello che mi sembra di riconoscere come un accenno di seducente interesse nei miei confronti.
Il contatto subacqueo è stato ossequioso e piacevole e decido di prestarmi alle premure che questa nuova venuta mi sta palesando.
La fisso, senza spostare le gambe dalla mia posizione e la guardo negli occhi quando ancora, più sfacciatamente, allunga il suo piede ad accarezzarmi sott’acqua.
Gli occhi le brillano, lucidi di emozione, quando si accorge del mio movimento mentre allargo le cosce, eliminando ogni ostacolo al suo cauto progredire.
Lei mi vede attraverso lo spessore liquido, un gesto di chiaro incoraggiamento, ma non osa approfittare dell’occasione che le offro, timorosa di avere frainteso.
Allora prendo io l’iniziativa e sondo il terreno sfiorandola a mia volta nelle tiepide correnti termali.
Con la punta del mio piede cerco il suo e risalgo accarezzando la sua pelle, superando la caviglia, oltre il polpaccio, fino al ginocchio, e mentre lei si perde nello stupore delle immagini, rese tremolanti attraverso il velo azzurrino, del mio lento avanzare, prolungo la mia carezza toccandole le cosce fino ad arrivare al suo costume.
Il suo viso si anima di sorpresa inattesa mentre alza gli occhi dal mio piede, ormai fermo sul suo pube, per incrociare di nuovo il mio sguardo in un accattivante espressione di intesa.
Lei allarga le gambe per lasciarmi spazio e con le dita del piede inizio a tormentarle la mutandina trapuntata di farfalle, spostandomi dal suo monte di Venere verso regioni più profonde e più sensibili.
Solo un piccolo scatto del suo ventre, segno che le mie stimolazioni sono efficaci, e anche lei allunga una sua estremità per raggiungermi lo slip e iniziare una convincente stimolazione alla vulva.
Restiamo così per qualche secondo, guardando crescere nei nostri volti la reciproca eccitazione sessuale, ma di più, con i soli piedi non si può.
Solo per un breve assaggio, allungo il piede al suo seno affondando le dita in una soffice consistenza, cercando di aggirare il suo reggiseno, rendendo manifesta la mia intenzione di proseguire l’escalation, ma poi appare chiaro a entrambe che, se vogliamo concretizzare, occorre avvicinarci per poter usare le mani.
“Come here” “Vieni qui. Come ti chiami?” tocca a me prendere in mano l’iniziativa per vedere fino dove vuole arrivare questa giovane sconosciuta.
Lei non se lo fa ripetere, e, leggera come le ali di una farfalla, attraversa lo stretto spazio che ci separa nella vasca, depositandosi al mio fianco,
“Hjalta”, mi risponde, “e tu?”
“Io sono Yuko.”

(continua)
di
scritto il
2022-09-20
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