Asian on a solitary beach (1/2)
di
Yuko
genere
trio
Asian on a solitary beach
Spiaggia isolata con fine sabbiolina bianca e una cornice di mare color zaffiro.
L'accesso in canoa mi garantisce l'esclusività della rena, protetta da rocce a picco che oggi riescono a domare perfino il Mistral.
Contorsionismi per spalmarsi la crema solare sulla schiena.
Assurdo come certi punti del dorso siano accessibili solo con la punta delle unghie, ma finalmente mi convinco di essermi impomatata abbastanza.
La mia pelle chiara forse stasera non sarà viola.
Slaccio il reggiseno controllando che non sia comparsa anima viva nei paraggi, e mi sdraio sul telo spugna immolandomi allo sciame di raggi ultravioletti che attende impaziente il mio sacrificio.
Pochi minuti di irraggiamento balsamico ed ecco che un vocicchio irregolare mi riconduce alla consapevolezza che nessuna spiaggia sia veramente inaccessibile a chi è determinato.
Alzo la tesa del cappello di paglia e attraverso le spesse lenti scure osservo con disappunto due ragazzoni che sono tranquillamente arrivati alla spiaggetta deserta da qualche accesso che evidentemente non avevo considerato.
Ma non ho voglia di alzarmi e cambiare luogo di cremazione, dopo tutto il casino per la protezione solare.
Mi giro dall'altra parte, arrotolo un poco lo slip e lascio che i raggi elettromagnetici ammaestrino la mia melanina.
Le esclamazioni dei due si fanno concitate. Percepisco una parlata francese e qualche bisbiglio che forse è riferito alla mia presenza, tra le urla giocose che accompagnano il loro gioco alla palla.
Li sento nominare con una certa insistenza lo stilista Louis Vitton e per un attimo mi immagino che mi abbiano preso per Jung Ho Yeon, la famosa modella orientale che ha lavorato con l'artista.
Ma sfortunatamente non sono così bella e sensuale e sono giapponese.
Obnubilata dal calore forse per un attimo mi addormento, quando una pallonata mi colpisce in mezzo alla schiena.
Mi sollevo inviperita stringendo il costume sul petto e faccio appena in tempo a scorgere uno dei due giovani che con volto da penitente mi si avvicina in una specie di inchino.
“Pardon, madame!”
Lo sguardo contrito è sincero, mentre già stringe il pallone insabbiato, il corpo del reato.
Non rispondo nulla all'inizio, ma contraggo i muscoli del volto per esprimere la mia contrarietà.
Mi alzo in piedi mentre anche l'altro ragazzo corre verso di me alzando le mani per implorare perdono.
Non voglio far capire loro che parlo il francese, né che sono italiana e mi nascondo dietro la mia facies orientale.
Cerco di sbirciare il danno sulla mia schiena, quasi inaccessibile ai miei sguardi.
Giusto un'isola di sabbia sulla superficie imbibita di crema solare.
In un inglese di circostanza faccio capire loro che ci avevo messo un quarto d'ora a spalmarmi la schiena e ora mi tocca lavare via la sabbia e ripetere l'operazione.
“Sorry...”
“Je suis desolé”
Rispondono i due, e, con espressione convincente, fanno per allontanarsi.
“No! You two!” li chiamo all'appello. “Ora mi date una mano!”
Col dito indice gli comando di tornare indietro, mentre entro nell'acqua fino alle ginocchia.
“Tu! Lava via la sabbia!”
Il primo che mi è capitato a tiro, mesto mesto, obbedisce.
Passo in rassegna la schiena col dorso della mano finchè non sento più tracce di sabbia.
Torniamo a riva e mi asciugo. Ma ora anche le cosce sono da ricoprire di nuova crema. Non avevo il detergente resistente all'acqua.
Sì, per quello ci metterei anche poco a spalmarmi un nuovo strato, ma quei due la devono pagare e così spiego a uno che mi deve ricoprire la schiena e all'altro che mi deve spalmare le cosce.
Quelli si guardano. Un cenno di intesa. Poteva andar peggio; in fondo la punizione non è poi così insopportabile.
“C'est pas mal, tu vois?” dice uno all'altro, pensando che io non capisca.
“Thailandia?” mi chiede quello più vicino.
Non so come, ma in Europa le turiste orientali vengono spesso prese per tailandesi.
“Japan!” rispondo, con il piglio severo del samurai, quello che non ammette replica.
E con un gesto perentorio li metto al lavoro.
Io mi sdraio e, quando sono ben appoggiata, mi slaccio di nuovo il reggiseno che avevo rimesso per lavarmi.
Almeno mi godo un bel massaggio. I due sono anche belli tonici e giovani.
Uno è un biondino scuro, ricciolino, la barbetta da nazareno. L'altro un moretto dagli occhi vivaci, barba di un paio di giorni, mandibola un po' sporgente.
Tutti e due hanno un fisico statuario. Pochi muscoli, ma ottima coreografia. Non un filo di grasso e degli addominali che ci potresti giocare alle montagne russe.
Rimetto occhiali da sole e cappello di paglia e mi trasformo di nuovo in un ammasso di cellule rilasciato sulla spiaggia.
I due schiavetti al lavoro.
Il fresco della crema sulla schiena. Il liquido che cola sui polpacci.
E queste quattro mani che vagano sul mio corpo, questa forza che profuma di testosterone e sudore di maschio, variante giocatore di beach volley.
Ammetto che più di un pensiero indicibile si fa strada nella mia mente maiala.
Sulla schiena la crema gocciola dalla regione lombare fino al dorso.
Sento le mani giunte che risalgono tra le scapole e poi si allargano sulle spalle, ben oltre la zona da sottoporre al trattamento protettivo.
Ormai è un palese massaggio, e devo dire che il ragazzo ci sa fare e che proprio ho voglia che continui. Nuova crema sulle sue mani, sento i palmi che mi scivolano ancora oltre le scapole, e poi le punte delle dita che indugiano sfiorandomi i seni, ma che, rispettose, se ne allontanano per proseguire sulla vita e riallargarsi sui fianchi, arrestandosi all'orlo del costume.
Sì, concludo tra me, il giovane sa fare i massaggi e anche bene. Lo capisco dalla pressione dei pollici sulle logge paravertebrali.
L'altro invece è più grezzo. In qualche modo mi ha spalmato i polpacci e i popliti, dietro alle ginocchia, e, senza farsi troppi problemi, si è già spinto sulle cosce.
Probabilmente una parte è stata al contato con l'acqua, ma quello ci ha preso gusto e non ha troppo indugiato per risalire fino al costume, che palesemente è asciutto. Non ho toccato l'acqua.
Asciutto?
Mmmh...
La sensazione interna, se devo essere sincera, è ben diversa e quando sento lo schiavo adibito alle cosce che sussurra all'altro un chiaro “elle est mouillée!” capisco che ho bagnato il costume, ma non di acqua di mare.
L'imbarazzo mi arroventa il viso, ma non voglio allontanarli proprio ora. Capirebbero che ho compreso le loro parole e, vedendomi rossa in volto, farei proprio una figura da stupida.
E poi, che devo dire, sono davvero eccitata e curiosa di capire fin dove si spingeranno i due manzi, fino a che punto oseranno.
La spiaggia è silenziosa e l'insano progetto di farmeli tutti e due si sta impadronendo della mia mente, facendo vacillare la mia volontà.
Ma non voglio essere io a provocare.
Il ragazzo adibito alla schiena, credo di aver capito che si chiami Marc, prosegue il suo massaggio con gesti professionali, anche se le dita a ogni passaggio si allungano sempre di più sui seni. Ma d'altra parte ci sono appoggiata sopra e più che una simmetrica convessità, sotto i polpastrelli, non può certo percepire. Di più non può proprio spingersi.
Anche se, ne sono sicura, il contatto con la schiena e con la piccola parte delle mammelle che gli è accessibile, avrà già prodotto effetti che potrei apprezzare anche senza occhiali da vista.
Non posso verificarlo essendo girata dall'altra parte, ma percepisco un impegno crescente e le dita che cominciano a lambire il bordo del costume, alla base della schiena.
L'altro ci sta dando dentro in modo ormai irriverente.
Con le dita si infila abbondantemente sotto il costume.
Anzi, si è messo proprio a cavalcioni delle mie gambe e si spinge a impomatarmi in zone in cui difficilmente batte il sole.
Spalma il lattice sulle cosce e insinua i pollici così sotto al costume che ormai lo sento sulle grandi labbra. Mi chiedo se si sia accorto di essere già sui peli, se ne sia cosciente e che effetto questo stia provocando su di lui.
Sta di fatto che su di me gli effetti sono devastanti e incontrollati.
I respiri sono cadenzati e profondi e la mia bocca si apre in sospiri che cerco di nascondere.
Trattengo i gemiti, ma ho una tale voglia di essere sbattuta da questi due che presto, ne sono già certa, perderò ogni controllo e inibizione.
Mentre Marc, non potendo toccarmi le tette più di quanto stia già facendo, si sta infilando così tanto sotto il costume da arrivare alla piega tra le natiche, che, ne sono sicura, ha già ben apprezzato, Maurice, l'altro, comincia ad attardarsi in modo inequivocabile alla radice delle mie cosce, con quei due pollici che ormai si toccano tra loro massaggiandomi perineo e porzione posteriore della vulva.
Credo che ormai sia chiaro a tutti che mi sto lasciando toccare nelle mie parti più intime, che ne sono ben conscia e che mi va molto bene; come pure sono convinta che la stessa percezione ce l'abbiano anche i tue maiali.
Non che io abbia impedito in alcun modo che la cosa evolvesse, devo riconoscere, a ragion del vero.
Marc non solo ci sa fare come massaggiatore, ma sa anche come far godere una donna.
Mi sfiora le ascelle, con delicatezza, mentre sui muscoli lombari esercita più pressione, per ritornare delicato quando mi lambisce il sedere, sotto la linea del segno del costume.
L'altro invece è proprio un bel porco.
Mi immagino la sua faccia, il suo bel grugno proprio sotto la passera, ad annusare quella chiazza di bagnato che si sta allargando tra le mie cosce.
Sento le sue dita che quasi mi stanno entrando dentro e che indugiano, insolenti, sulle morbide tumescenze delle mie grandi labbra.
Ora, o vado in orgasmo così, iniziando a gemere esplicitamente, oppure cerco di riprendere in mano la situazione.
“Ok, stop!”
Ingiungo, sollevandomi in posizione seduta, reggendo con una mano il reggiseno a coprirmi il petto e con l'altra il cappello di paglia.
Protetta dagli scuri occhialoni da sole posso concedermi un'attenta ispezione sugli effetti che il massaggio ha prodotto sui due vitelloni, visto che quello che ha provocato in me è già stato palesato e condiviso.
I due mi guardano con espressione veramente dispiaciuta. Sanno essere molto convincenti.
Ma quello che più attira la mia intenzione è il rigonfiamento che entrambi palesano in zona pacco genitale.
Marc ce l'ha ancora piegato sotto, una torsione che deve risultare insostenibile, una verga ripiegata su sé stessa con un litro di sangue per corpo cavernoso che sta per spezzare l'apparato riproduttivo. Sento anch'io parte del dolore che deve provare il povero francesino.
L'altro, Maurice, invece se l'è sistemato in posizione più fisiologica e comoda.
D'altra parte lui si trovava in una posizione più arretrata e protetta e ha avuto tutto l'agio di assecondarlo.
Una sbarra come quella di un passaggio a livello in fase di apertura, o di chiusura, si staglia inclinata a 45°, ricca di particolari anatomici. Chiara la delimitazione tra glande e pene.
Tipo maglia di calcio della nazionale del Perù.
Una bella ipotenusa su cui costruire dei bei quadrati. Di figa, “ça va sans dire”.
Li guardo con espressione di rimprovero, ma quando Marc accenna ad alzarsi riprendendo il pallone li blocco con sadismo. L'indice alzato, perentorio.
“Ha, Ha! This side, now!”
Da questa parte, ora!
E mi sdraio pancia all'aria.
Perentoria, inequivocabile.
Come ormai è evidente che fra poco qua finiremo a giocare con due mazze.
I due sussurrano frasi di approvazione per la proposta che io riesco a comprendere a loro insaputa.
“À moi la chatte, maintenant!” si impone ora Marc, senza mezzi termini.
'Chatte', micia, la micetta, la pussy. Insomma, un linguaggio internazionale. Ora tocca a lui frollarmela.
“À toi la poitrine!” continua, lui, con un tono che non ammette replica. Il petto, le tette, vengono cedute a Maurice.
Faccio sempre finta di non capire i loro palesi sotterfugi e, impettita, col reggiseno appoggiato sulle rotondità, mi rilasso curiosa di sentirli spingersi fin dove oseranno.
Il massaggio ricomincia con timidezza su zone che non destano sospetti.
Gambe, cosce, il ventre e le spalle vengono passati in rispettosa rassegna.
Ma ormai è assodato un tacito accordo e, in mancanza di mie reazioni di controllo, ben presto le dita di Maurice sfidano il bordo del pezzo di sopra.
Non più schiacciate dal mio peso, le tette fanno bella mostra di loro e non dubito che i capezzoli siano testimoni di quanto il mio volto non vuol lasciare intendere.
I polpastrelli con nuove ondate di crema scivolano intorno al mio ombelico, risalgono il pendio come ligi salmoni e cozzano contro l'ostacolo del seno, assediando sempre più, a ogni passaggio, il rilievo che si staglia sull'uniformità del mio torace.
Dita da prestigiatore sfiorano le mie tette, affrontando i ripidi pendii, finché mi accorgo che il reggiseno, penultimo baluardo alla mia nudità, ormai è stato scalzato dalle cime che ricopriva.
Solo i capezzoli sono ancora coperti, ma già quei tentacoli ossessivi li lambiscono, come un'inarrestabile ondata di progressiva marea.
E quando, al passaggio successivo, le dita mi accarezzano, lente e rispettose, i vertici acuminati, le mie labbra si socchiudono lasciando intravedere la fila dei denti.
Sono sicura di avere lo sguardo del massaggiatore fisso al volto, pronto a cogliere ogni mia minima manifestazione di apprezzamento, come pure cerco di immaginare le sue sensazioni nel sentire sotto i polpastrelli le irregolarità affilate e provocanti delle mie tette.
Marc è meno audace, ma, seguendo l'esempio del compagno di giochi, si è già spinto sotto il bordo del costume, anche se ancora lontano dal punto di convergenza delle cosce.
Tocca le anche sporgendosi oltre lo stretto lembo di tessuto che unisce la parte anteriore dello slip a quella posteriore, ma, non potendo spingersi troppo centralmente, lo sfioramento sulla passera è ancora molto primordiale.
Dietro, sulle chiappe, era più facile infilarsi, ma davanti, intuisco il suo pensiero, non si può andare troppo dirette proprio sulla figa.
Un gesto inopportuno, troppo precoce o troppo azzardato, al momento sbagliato, lo sanno bene i due manzi, potrebbe interrompere l'intero processo di seduzione ed eccitazione reciproca.
In fondo sono una donna appena conosciuta e da un momento all'altro potrebbe bloccarsi di colpo tutto il gioco.
Ma, senza proferir verbo, sbirciando di sottecchi le loro reazioni, con noncuranza mi prendo il reggipetto e lo sposto. Indumento ormai inutile.
continua
Spiaggia isolata con fine sabbiolina bianca e una cornice di mare color zaffiro.
L'accesso in canoa mi garantisce l'esclusività della rena, protetta da rocce a picco che oggi riescono a domare perfino il Mistral.
Contorsionismi per spalmarsi la crema solare sulla schiena.
Assurdo come certi punti del dorso siano accessibili solo con la punta delle unghie, ma finalmente mi convinco di essermi impomatata abbastanza.
La mia pelle chiara forse stasera non sarà viola.
Slaccio il reggiseno controllando che non sia comparsa anima viva nei paraggi, e mi sdraio sul telo spugna immolandomi allo sciame di raggi ultravioletti che attende impaziente il mio sacrificio.
Pochi minuti di irraggiamento balsamico ed ecco che un vocicchio irregolare mi riconduce alla consapevolezza che nessuna spiaggia sia veramente inaccessibile a chi è determinato.
Alzo la tesa del cappello di paglia e attraverso le spesse lenti scure osservo con disappunto due ragazzoni che sono tranquillamente arrivati alla spiaggetta deserta da qualche accesso che evidentemente non avevo considerato.
Ma non ho voglia di alzarmi e cambiare luogo di cremazione, dopo tutto il casino per la protezione solare.
Mi giro dall'altra parte, arrotolo un poco lo slip e lascio che i raggi elettromagnetici ammaestrino la mia melanina.
Le esclamazioni dei due si fanno concitate. Percepisco una parlata francese e qualche bisbiglio che forse è riferito alla mia presenza, tra le urla giocose che accompagnano il loro gioco alla palla.
Li sento nominare con una certa insistenza lo stilista Louis Vitton e per un attimo mi immagino che mi abbiano preso per Jung Ho Yeon, la famosa modella orientale che ha lavorato con l'artista.
Ma sfortunatamente non sono così bella e sensuale e sono giapponese.
Obnubilata dal calore forse per un attimo mi addormento, quando una pallonata mi colpisce in mezzo alla schiena.
Mi sollevo inviperita stringendo il costume sul petto e faccio appena in tempo a scorgere uno dei due giovani che con volto da penitente mi si avvicina in una specie di inchino.
“Pardon, madame!”
Lo sguardo contrito è sincero, mentre già stringe il pallone insabbiato, il corpo del reato.
Non rispondo nulla all'inizio, ma contraggo i muscoli del volto per esprimere la mia contrarietà.
Mi alzo in piedi mentre anche l'altro ragazzo corre verso di me alzando le mani per implorare perdono.
Non voglio far capire loro che parlo il francese, né che sono italiana e mi nascondo dietro la mia facies orientale.
Cerco di sbirciare il danno sulla mia schiena, quasi inaccessibile ai miei sguardi.
Giusto un'isola di sabbia sulla superficie imbibita di crema solare.
In un inglese di circostanza faccio capire loro che ci avevo messo un quarto d'ora a spalmarmi la schiena e ora mi tocca lavare via la sabbia e ripetere l'operazione.
“Sorry...”
“Je suis desolé”
Rispondono i due, e, con espressione convincente, fanno per allontanarsi.
“No! You two!” li chiamo all'appello. “Ora mi date una mano!”
Col dito indice gli comando di tornare indietro, mentre entro nell'acqua fino alle ginocchia.
“Tu! Lava via la sabbia!”
Il primo che mi è capitato a tiro, mesto mesto, obbedisce.
Passo in rassegna la schiena col dorso della mano finchè non sento più tracce di sabbia.
Torniamo a riva e mi asciugo. Ma ora anche le cosce sono da ricoprire di nuova crema. Non avevo il detergente resistente all'acqua.
Sì, per quello ci metterei anche poco a spalmarmi un nuovo strato, ma quei due la devono pagare e così spiego a uno che mi deve ricoprire la schiena e all'altro che mi deve spalmare le cosce.
Quelli si guardano. Un cenno di intesa. Poteva andar peggio; in fondo la punizione non è poi così insopportabile.
“C'est pas mal, tu vois?” dice uno all'altro, pensando che io non capisca.
“Thailandia?” mi chiede quello più vicino.
Non so come, ma in Europa le turiste orientali vengono spesso prese per tailandesi.
“Japan!” rispondo, con il piglio severo del samurai, quello che non ammette replica.
E con un gesto perentorio li metto al lavoro.
Io mi sdraio e, quando sono ben appoggiata, mi slaccio di nuovo il reggiseno che avevo rimesso per lavarmi.
Almeno mi godo un bel massaggio. I due sono anche belli tonici e giovani.
Uno è un biondino scuro, ricciolino, la barbetta da nazareno. L'altro un moretto dagli occhi vivaci, barba di un paio di giorni, mandibola un po' sporgente.
Tutti e due hanno un fisico statuario. Pochi muscoli, ma ottima coreografia. Non un filo di grasso e degli addominali che ci potresti giocare alle montagne russe.
Rimetto occhiali da sole e cappello di paglia e mi trasformo di nuovo in un ammasso di cellule rilasciato sulla spiaggia.
I due schiavetti al lavoro.
Il fresco della crema sulla schiena. Il liquido che cola sui polpacci.
E queste quattro mani che vagano sul mio corpo, questa forza che profuma di testosterone e sudore di maschio, variante giocatore di beach volley.
Ammetto che più di un pensiero indicibile si fa strada nella mia mente maiala.
Sulla schiena la crema gocciola dalla regione lombare fino al dorso.
Sento le mani giunte che risalgono tra le scapole e poi si allargano sulle spalle, ben oltre la zona da sottoporre al trattamento protettivo.
Ormai è un palese massaggio, e devo dire che il ragazzo ci sa fare e che proprio ho voglia che continui. Nuova crema sulle sue mani, sento i palmi che mi scivolano ancora oltre le scapole, e poi le punte delle dita che indugiano sfiorandomi i seni, ma che, rispettose, se ne allontanano per proseguire sulla vita e riallargarsi sui fianchi, arrestandosi all'orlo del costume.
Sì, concludo tra me, il giovane sa fare i massaggi e anche bene. Lo capisco dalla pressione dei pollici sulle logge paravertebrali.
L'altro invece è più grezzo. In qualche modo mi ha spalmato i polpacci e i popliti, dietro alle ginocchia, e, senza farsi troppi problemi, si è già spinto sulle cosce.
Probabilmente una parte è stata al contato con l'acqua, ma quello ci ha preso gusto e non ha troppo indugiato per risalire fino al costume, che palesemente è asciutto. Non ho toccato l'acqua.
Asciutto?
Mmmh...
La sensazione interna, se devo essere sincera, è ben diversa e quando sento lo schiavo adibito alle cosce che sussurra all'altro un chiaro “elle est mouillée!” capisco che ho bagnato il costume, ma non di acqua di mare.
L'imbarazzo mi arroventa il viso, ma non voglio allontanarli proprio ora. Capirebbero che ho compreso le loro parole e, vedendomi rossa in volto, farei proprio una figura da stupida.
E poi, che devo dire, sono davvero eccitata e curiosa di capire fin dove si spingeranno i due manzi, fino a che punto oseranno.
La spiaggia è silenziosa e l'insano progetto di farmeli tutti e due si sta impadronendo della mia mente, facendo vacillare la mia volontà.
Ma non voglio essere io a provocare.
Il ragazzo adibito alla schiena, credo di aver capito che si chiami Marc, prosegue il suo massaggio con gesti professionali, anche se le dita a ogni passaggio si allungano sempre di più sui seni. Ma d'altra parte ci sono appoggiata sopra e più che una simmetrica convessità, sotto i polpastrelli, non può certo percepire. Di più non può proprio spingersi.
Anche se, ne sono sicura, il contatto con la schiena e con la piccola parte delle mammelle che gli è accessibile, avrà già prodotto effetti che potrei apprezzare anche senza occhiali da vista.
Non posso verificarlo essendo girata dall'altra parte, ma percepisco un impegno crescente e le dita che cominciano a lambire il bordo del costume, alla base della schiena.
L'altro ci sta dando dentro in modo ormai irriverente.
Con le dita si infila abbondantemente sotto il costume.
Anzi, si è messo proprio a cavalcioni delle mie gambe e si spinge a impomatarmi in zone in cui difficilmente batte il sole.
Spalma il lattice sulle cosce e insinua i pollici così sotto al costume che ormai lo sento sulle grandi labbra. Mi chiedo se si sia accorto di essere già sui peli, se ne sia cosciente e che effetto questo stia provocando su di lui.
Sta di fatto che su di me gli effetti sono devastanti e incontrollati.
I respiri sono cadenzati e profondi e la mia bocca si apre in sospiri che cerco di nascondere.
Trattengo i gemiti, ma ho una tale voglia di essere sbattuta da questi due che presto, ne sono già certa, perderò ogni controllo e inibizione.
Mentre Marc, non potendo toccarmi le tette più di quanto stia già facendo, si sta infilando così tanto sotto il costume da arrivare alla piega tra le natiche, che, ne sono sicura, ha già ben apprezzato, Maurice, l'altro, comincia ad attardarsi in modo inequivocabile alla radice delle mie cosce, con quei due pollici che ormai si toccano tra loro massaggiandomi perineo e porzione posteriore della vulva.
Credo che ormai sia chiaro a tutti che mi sto lasciando toccare nelle mie parti più intime, che ne sono ben conscia e che mi va molto bene; come pure sono convinta che la stessa percezione ce l'abbiano anche i tue maiali.
Non che io abbia impedito in alcun modo che la cosa evolvesse, devo riconoscere, a ragion del vero.
Marc non solo ci sa fare come massaggiatore, ma sa anche come far godere una donna.
Mi sfiora le ascelle, con delicatezza, mentre sui muscoli lombari esercita più pressione, per ritornare delicato quando mi lambisce il sedere, sotto la linea del segno del costume.
L'altro invece è proprio un bel porco.
Mi immagino la sua faccia, il suo bel grugno proprio sotto la passera, ad annusare quella chiazza di bagnato che si sta allargando tra le mie cosce.
Sento le sue dita che quasi mi stanno entrando dentro e che indugiano, insolenti, sulle morbide tumescenze delle mie grandi labbra.
Ora, o vado in orgasmo così, iniziando a gemere esplicitamente, oppure cerco di riprendere in mano la situazione.
“Ok, stop!”
Ingiungo, sollevandomi in posizione seduta, reggendo con una mano il reggiseno a coprirmi il petto e con l'altra il cappello di paglia.
Protetta dagli scuri occhialoni da sole posso concedermi un'attenta ispezione sugli effetti che il massaggio ha prodotto sui due vitelloni, visto che quello che ha provocato in me è già stato palesato e condiviso.
I due mi guardano con espressione veramente dispiaciuta. Sanno essere molto convincenti.
Ma quello che più attira la mia intenzione è il rigonfiamento che entrambi palesano in zona pacco genitale.
Marc ce l'ha ancora piegato sotto, una torsione che deve risultare insostenibile, una verga ripiegata su sé stessa con un litro di sangue per corpo cavernoso che sta per spezzare l'apparato riproduttivo. Sento anch'io parte del dolore che deve provare il povero francesino.
L'altro, Maurice, invece se l'è sistemato in posizione più fisiologica e comoda.
D'altra parte lui si trovava in una posizione più arretrata e protetta e ha avuto tutto l'agio di assecondarlo.
Una sbarra come quella di un passaggio a livello in fase di apertura, o di chiusura, si staglia inclinata a 45°, ricca di particolari anatomici. Chiara la delimitazione tra glande e pene.
Tipo maglia di calcio della nazionale del Perù.
Una bella ipotenusa su cui costruire dei bei quadrati. Di figa, “ça va sans dire”.
Li guardo con espressione di rimprovero, ma quando Marc accenna ad alzarsi riprendendo il pallone li blocco con sadismo. L'indice alzato, perentorio.
“Ha, Ha! This side, now!”
Da questa parte, ora!
E mi sdraio pancia all'aria.
Perentoria, inequivocabile.
Come ormai è evidente che fra poco qua finiremo a giocare con due mazze.
I due sussurrano frasi di approvazione per la proposta che io riesco a comprendere a loro insaputa.
“À moi la chatte, maintenant!” si impone ora Marc, senza mezzi termini.
'Chatte', micia, la micetta, la pussy. Insomma, un linguaggio internazionale. Ora tocca a lui frollarmela.
“À toi la poitrine!” continua, lui, con un tono che non ammette replica. Il petto, le tette, vengono cedute a Maurice.
Faccio sempre finta di non capire i loro palesi sotterfugi e, impettita, col reggiseno appoggiato sulle rotondità, mi rilasso curiosa di sentirli spingersi fin dove oseranno.
Il massaggio ricomincia con timidezza su zone che non destano sospetti.
Gambe, cosce, il ventre e le spalle vengono passati in rispettosa rassegna.
Ma ormai è assodato un tacito accordo e, in mancanza di mie reazioni di controllo, ben presto le dita di Maurice sfidano il bordo del pezzo di sopra.
Non più schiacciate dal mio peso, le tette fanno bella mostra di loro e non dubito che i capezzoli siano testimoni di quanto il mio volto non vuol lasciare intendere.
I polpastrelli con nuove ondate di crema scivolano intorno al mio ombelico, risalgono il pendio come ligi salmoni e cozzano contro l'ostacolo del seno, assediando sempre più, a ogni passaggio, il rilievo che si staglia sull'uniformità del mio torace.
Dita da prestigiatore sfiorano le mie tette, affrontando i ripidi pendii, finché mi accorgo che il reggiseno, penultimo baluardo alla mia nudità, ormai è stato scalzato dalle cime che ricopriva.
Solo i capezzoli sono ancora coperti, ma già quei tentacoli ossessivi li lambiscono, come un'inarrestabile ondata di progressiva marea.
E quando, al passaggio successivo, le dita mi accarezzano, lente e rispettose, i vertici acuminati, le mie labbra si socchiudono lasciando intravedere la fila dei denti.
Sono sicura di avere lo sguardo del massaggiatore fisso al volto, pronto a cogliere ogni mia minima manifestazione di apprezzamento, come pure cerco di immaginare le sue sensazioni nel sentire sotto i polpastrelli le irregolarità affilate e provocanti delle mie tette.
Marc è meno audace, ma, seguendo l'esempio del compagno di giochi, si è già spinto sotto il bordo del costume, anche se ancora lontano dal punto di convergenza delle cosce.
Tocca le anche sporgendosi oltre lo stretto lembo di tessuto che unisce la parte anteriore dello slip a quella posteriore, ma, non potendo spingersi troppo centralmente, lo sfioramento sulla passera è ancora molto primordiale.
Dietro, sulle chiappe, era più facile infilarsi, ma davanti, intuisco il suo pensiero, non si può andare troppo dirette proprio sulla figa.
Un gesto inopportuno, troppo precoce o troppo azzardato, al momento sbagliato, lo sanno bene i due manzi, potrebbe interrompere l'intero processo di seduzione ed eccitazione reciproca.
In fondo sono una donna appena conosciuta e da un momento all'altro potrebbe bloccarsi di colpo tutto il gioco.
Ma, senza proferir verbo, sbirciando di sottecchi le loro reazioni, con noncuranza mi prendo il reggipetto e lo sposto. Indumento ormai inutile.
continua
9
voti
voti
valutazione
3.7
3.7
Continua a leggere racconti dello stesso autore
racconto precedente
Mirror jap loverracconto sucessivo
Asian on a solitary beach (2/2)
Commenti dei lettori al racconto erotico