Julia Roberts per sbaglio

Scritto da , il 2022-06-06, genere etero

Avrei scommesso qualsiasi cosa che l'avrei trovato lì dove in effetti lo trovo, sul divano. Del resto la casa è piccola e non è che ci siano tutti questi posti dove stare. Quello che non mi aspettavo, invece, è che fosse tornato da poco, una decina di minuti al massimo. Senza giacca, accaldato, le scarpe buttate lì in mezzo alla stanza e un bicchiere di birra in mano.

Un saluto normale, dei suoi. "Amore!", con il sorriso che gli illumina la faccia. Percorro i pochi passi che mi dividono da lui. Non so che faccia ho io, ma me la posso immaginare. Caldo della madonna e escursione termica al minimo. Boccheggio.

Mi avvicino a lui mormorando "madonna...". "Caldo, eh?". “Ma un po’ di aria condizionata? No?”. “Sì, sì, la accendo… anzi, la accendi tu?”. Vi spiego: è troppo pigro per alzarsi e prendere il telecomando una volta che si è buttato sul divano. Bacetto d'ordinanza, afferro il telecomando e accendo l’aria, "torno subito". Ma prima di andare a cambiarmi lo osservo un attimo. Cazzo quanto sei bello, Luca. Lo so, lo dico sempre e vi ho rotto il cazzo, non rompetelo voi a me però, ok? Gli sorrido. Se avevo anche un secondo motivo per avere caldo, e ce l’ho, guardarlo non può che peggiorare le cose. O migliorarle, dipende.

I maschietti non credo, ma le ragazze mi potranno capire: cosa succede al vostro appetito prima, durante e dopo il ciclo? Parlo di quell'appetito lì, non di calorie, zuccheri e proteine. A me di norma fa effetto prima, talora a dismisura. Ma in realtà non c'è una regola rigida, può anche darsi che non succeda nulla, o che la fame si faccia sentire dopo o durante. Esatto, avete capito. E' una di quelle volte che mi è venuta durante. Solo che a me non piace farlo quando ho le mestruazioni. Non che non mi sia mai successo, ma di sicuro non è al top alle mie preferenze. Quindi, di solito, aspetto.

- Nuovo? Molto fico - la sua voce mi colpisce alle spalle.

Mi volto, vedo che indica il vestito che indosso, gli sorrido un’altra volta. Mi compiaccio in modo persino eccessivo del suo complimento, ma forse mi compiacerei anche se mi dicesse "senti, me lo sapresti fare un uovo in camicia?". "Non ne sono sicura, ci posso provare... ma dopo". Probabilmente gli risponderei così, però rovinerebbe i miei piani.

- Ti piace? Mi è costato un'esagerazione - gli faccio.

- Quanto?

- Non te lo dico, sennò ti incazzi.

Non è vero. L'ho pagato quindici euro online. No, dico, quindici euro. Uno chemisier nero con la cintura, perfetto per quando voglio andare al lavoro in-tiro-ma-non-troppo.

Dopo nemmeno un minuto torno da lui. E’ lì dove l’ho lasciato, con una mano compulsa il telefono, nell’altra c’è sempre la birretta.

- Ma l'hai visto questo? - dice continuando a guardare l’iPhone.

Immagino, non lo saprò mai, che voglia farmi leggere qualcosa di spiritoso su un social. O qualcosa di tragicomico, ne sono pieni.

- No, però ho visto questi – gli faccio inespressiva.

Alza lo sguardo e osserva ciò che tengo tra le dita. Sono due dischetti di raso nero, anche se dubito fortemente che Luca capisca di che materiale sono fatti.

- Che sono? - domanda.

- Non so, dimmelo tu... - rispondo afferrando quei piccoli pezzi di tessuto uno per mano per mostrarglieli meglio.

- Ma che roba è? - domanda ancora Luca sforzandosi di guardare meglio.

- Copricapezzoli - sono fredda.

- E a che servono? - insiste.

- Secondo te? - sono gelida.

- Ah... – smette di fare il finto tonto.

- E dunque? - sono la calotta polare artica.

- E dunque... – esita, lo vedo un po' perso.

- Eh? - lo incalzo.

- Saranno tuoi!

- A parte che l’intimo da zoccola sei tu che me lo regali – gli dico anche se non è esattamente vero, ma è troppo impanicato per rendersene conto – a parte che stavano tra il comodino e la tua parte del letto, di certo non mi servono, né per le mie tette né per i miei capezzoli…

- Ma io non ne so un cazzo! – protesta sempre più veemente.

- No, eh? Guardali meglio – gli faccio porgendoglieli.

Non dico nulla, ma è lampante la domanda che ho negli occhi, nella mascella serrata, nei pugni: chi è la zoccola che ce li aveva addosso? Chi è la grandissima troia che ti sei portato a casa? Nella nostra casa, sul nostro letto. Chi è? Dovrebbe essere deficiente per non coglierla, quella domanda. E tutto è tranne che deficiente.

- Ma no! Non so da dove escono e non li voglio nemmeno… oh, ma sei scema? – fa come se improvvisamente avesse capito tutto.

Lo guardo e un po’, lo ammetto, mi fa pena. Impanicato di brutto, sì sì. Fa quasi fatica a parlare e si vede da un chilometro che sta cercando nella sua testa qualcosa di convincente da dire. Mi sembra anche più accaldato di prima. Decisamente più accaldato di prima nonostante l’aria condizionata.

Serro più forte i dischetti nel pugno, con un gesto di rabbia misurata. Ansimo un po’. Con l’altra mano mi sbottono il vestito, fino alla cintura. Lo apro, lo spalanco, rimanendo a petto nudo davanti a lui. Luca mi osserva, mi guarda le tette ma è come se non le vedesse. Cioè, non lo so che cosa vede, quello che so è che non capisce.

Io invece lo vedo benissimo, con uno sguardo if-looks-could-kill. Appoggio i copricapezzoli lì dove sono stati creati per stare. Sono ancora un po’ bagnati ma restano su anche senza fare pressione.

- Quindi che dici? Me li rimetto? – gli sorrido.

Per un paio di secondi continua ad avere la faccia di uno che ha appena preso una quindicina di botte in testa. Poi con un “ma vaffanculo!” si lascia andare sullo schienale del divano. E solo dopo sorride.

Io invece avanzo verso di lui mordendomi il labbro per non sghignazzare. Salgo in ginocchio sul cuscino, a cavallo delle sue gambe mentre mi dedica un decisamente più rilassato “sei proprio stronza”. Dovrei rispondere “me ne fai tanti tu, di scherzi”, ma il fatto è che non sono rilassata. Io sono arrapata di lui.

Apro ancora di più il vestito, me lo faccio calare un po’ sulle spalle, gli porto il seno davanti agli occhi e gli sussurro “toglimeli”. Mentre sta per farlo lo blocco e completo la mia recita da dittatrice: “No, con i denti”.

Sorride, esegue, mi bacia una tetta, la slinguazza, la risucchia praticamente tutta perché non è che gli ci voglia poi molto, mi fa anche un po’ male ma va benissimo così, mi mordicchia un capezzolo. Tutto questo per un bel po’, mentre tengo le mani intrecciate sulla sua nuca per tirarlo contro di me. Almeno fino a quando non ruoto un po’ il busto per fargli capire che anche l’altra gradirebbe lo stesso trattamento. Ansimo e miagolo perché ora sono davvero ipersensibile, sono una swamp girl.

- Quanto sei coglione amore mio… - gli sussurro prima di interrompere il tettalingus e baciarlo.

Bacio a cercare di soffocarci reciprocamente, con le mammelle adesso massacrate per ripicca dalle sue mani. Giusto un breve stop, il tempo di rifilarmi una sculacciata quando sente l’insulto. Fortina, come sculacciata, deve essersela davvero un po’ presa, oppure ha smaltito parecchio. Ma è un dolore delizioso, di quelli che se le nostre due bocche non tornassero a incollarsi verrebbe voglia di dire “dammene un’altra, anzi due”.

- Come Julia Roberts frega Clive Owen in quel film degli agenti segreti… - dice.

- Ah sì? Che film?

- L’abbiamo visto insieme!

- Ma quando?

- Boh, qui, qualche tempo fa.

- Mi sa che dormivo.

Sì, mi sa proprio che dormivo. C’è stato un periodo che dormivo tanto. Per spegnere tutto con l’unico conforto, davvero l’unico, di avere qualcuno vicino. Io quello che mi è stato vicino ce l’ho qui davanti a me, che mi stuzzica le tette e magari si stupisce che gli chieda un bacio romantico anziché essermi già messa giù a fargli un bocchino. I bocchini ovviamente vanno benissimo, ma in questo momento sono più importanti i baci.

- Lei però il giochino lo fa con le mutandine…

- Julia Roberts, eh? pensa te che troia… - gli dico sciogliendogli la cravatta - io comunque non potevo togliermele.

- Hai ancora le mestruazioni?

- Ahahahah, no... me le sono tolte prima di tornare a casa.

- Al lavoro?

- Al lavoro.

- Interessante...

- Volevo pensarti, soprattutto ai semafori, mi sa che ho sporcato il vestito.

- Anche il sedile, conoscendoti.

- Forse, non ho controllato.

E comunque, se posso, a sto punto vorrei dire una cosa: DIO GRAZIE PER QUESTO CALDO! E grazie anche a me per la paura che gli ho fatto prendere. Perché apro la sua camicia e sento il suo odore, aspiro la patina del suo sudore. Lo lecco, lo bacio, bacio il suo petto e trattengo tra le labbra la sua peluria. Vado in coma ormonale. Così come ho fatto con il mio vestito, allargo la sua camicia e gliela faccio calare sulle spalle, le scopro. Accarezzo leggera, quasi a sfioro, i muscoli del collo, il largo arco dei deltoidi, la piattaforma ampia dei pettorali. Bacio, lecco, annuso, sfioro. Soddisfo gusto, olfatto, tatto.

Poi sì, ok, il tatto vuole anche altro. Il metallo della sua fibbia, la pelle della sua cintura, la plastica del suo bottone, la stoffa dei suoi calzoni, il cotone dei suoi boxer. Dovrei tirarglieli giù usando i denti a mia volta, ecco ciò che dovrei fare. Ma per questa volta saltiamo il turno, ok? Non mi va di spostarmi. Mi va… mi va questo. Questa pelle, questo calore, questo ingombro solido che faccio quasi fatica a stringere. Perché certo, è vero che le dimensioni non sono importanti, ma è anche vero che tutte desideriamo un bel cazzo.

Ogni cosa è già scritta, ma essere ridondanti è bello. Per questo gli sussurro “vediamo se indovini cosa succede adesso”. La sua contromossa è “vediamo se te le sei tolte davvero”. Non è che non si fida, eh? E’ che gli piace andare sul velluto e gli piace anche quando gli bagno la mano, tuttavia... Tuttavia, vedete, io invece ho voglia di bagnargli l’uccello. Il mio desiderio in questo preciso momento è quello di sentirmi entrare il cazzo nella vagina. Esattamente e semplicemente questo. Si parla troppo poco dell’istante sublime della penetrazione. Ciò che avviene prima è importante, è ovvio, e quello che avviene dopo spesso ci travolge. Ma chissà perché io ho proprio voglia di provare questa cosa qui, questa sensazione che ogni ragazza conosce, desidera, a volte addirittura teme. Ho questa magnifica idea di restare tre o quattro secondi senza fiato e di strizzare gli occhi.

- Caaazzo Luca!

- Che c’è, eh? Cosa c’è? – fa lui, tornato stronzetto come sempre.

Perché questo è il momento dello stronzetto, è il momento di percularmi approfittando del fatto che lui è in controllo e io non più. E’ il momento in cui vuole sentirmi magnificare quant’è maschio, vuole sentire la sua cagna, vuole sentire la mia lagna.

- E’ duro, è enorme…

Proprio così, detto come se mi lamentassi. Una lagna. Ma chi si lamenta? Sarei matta. Che poi, esagero. Duro sì, grosso sì, ma enorme… no, dai, un bel cazzo, siamo d’accordo. Ma “enorme” è oggettivamente un’esagerazione. Vabbè, e allora? Ciò che è oggettivo a volte non è soggettivo. E per me adesso è “enorme”. Esagero, sì, ok, esagero. E’ pure bello esagerare, no?

- Ma quanta voglia hai, eh?

- Tanta...

- Voglia di cosa?

Vai avanti così, Luca. Con le domande sceme, con le risposte idiote. Diventiamo idioti, dai, diventiamo volgari, coatti, fammi essere sgualdrina.

- Del tuo grosso cazzo... dammelo tutto...

- Che ti fa il mio cazzo?

Le mani sulle sue spalle mentre mi muovo sopra di lui, il mio sguardo. In questo momento non riesco a dirlo ma tanto lo so che conosce la risposta: "mi sfonda e mi fa godere come una puttana". Tra un po' magari glielo dirò. Per eccitarlo e per eccitarmi, confessando quella che in fondo è la verità. Ma prima che la mia lucidità svanisca del tutto devo dire un'altra cosa. Non avevi detto che il mio vestito ti era piaciuto?

- Non venirmi dentro…

- La vuoi in bocca?

- No… no, sporcami.

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