La coppia a tre

Scritto da , il 2022-02-21, genere sadomaso

Monica era eccitata e non aveva riposato benissimo. Si avvicinò a Diego baciandogli il petto per svegliarlo.
L’uomo fece finta di nulla e, anzi, si girò dall’altra parte, benché anche lui fosse già sveglio ed eccitato. Gli piaceva provocarla e divertirsi con la sua reazione.
La donna faceva fatica a trattenersi, vista l’esperienza erotica che stava vivendo. L’orologio a led rossi sul comodino segnava le 15.00 passate e lei riteneva che si fossero riposati a sufficienza dopo il pranzo e, soprattutto, dopo le eccitazioni della mattinata.
“Svegliati, dai”.
La mano della donna era andata ai testicoli.
“No dai, ho ancora sonno”.
Voleva tenerla sulle corde e divertirsi un po’ con il desiderio di lei, che poi era anche il suo.
La lingua di Monica gli accarezzava il collo anticipandogli il piacere che la stessa lingua avrebbe potuto dare al suo cazzo che stava già prendendo vigore.
Sapeva che il collo e l’orecchio, per lui, erano zone erogene.
Diego aprì gli occhi e le sorrise. Il respiro della donna tradiva l’eccitazione che, in ogni caso, lei non faceva nulla per nascondere mentre gli strofinava una gamba sulle sue in modo che sentisse la figa bagnata contro la coscia.
Lo sguardo di Diego era colmo di complicità per ciò che l’umido a contatto della sua pelle gli stava anticipando.
Monica fece scorrere le labbra sul corpo dell’uomo fino ad arrivare a baciargli il cazzo già turgido.
“Allora sei uno stronzo. Sei eccitato anche tu e vuoi fare finta di niente per tenermi sulle spine”.
Per tutta risposta Diego le indirizzò la testa sul membro per farglielo prendere in bocca.
Quando raggiunse un soddisfacente livello di eccitazione, Monica si interruppe e con la lingua salì fino alle sue labbra, sorridendogli in maniera provocatoria.
“Dai, andiamo in sala così tu porti la tua compagna ai miei piedi”.
“Non so se ho voglia di fare tutta questa fatica”.
“Sei uno stronzo, dai, voglio che la umili e sottometti davanti a me”.
Infilò il cazzo in bocca mentre gli accarezzava i testicoli.
“Continuerò solo dopo che Anna mi avrà leccato i piedi”.
“Sporca ricattatrice”.
* * *
Diego ed Anna si conoscevano da un tempo che non era definibile in quanto, nei rapporti umani, esso si misura in emozioni vissute e trasmesse, non in settimane o mesi.
Condividevano tra loro quella parte di anima che in sé raccoglie desideri erotici e pensieri segreti anche per il proprio partner, ma non per l’amante perchè…perchè l’amante serve anche e soprattutto per fare respirare la parte nascosta che il proprio partner non vuole ascoltare, magari perché ne è causa o se la sua formazione non glielo consente.
Si erano conosciuti in un giorno di maggio quando, col primo caldo, entrambi sentirono il bisogno di sole sulla pelle e nelle ossa, dopo un inverno che sembrava non volesse finire mai.
Quel giorno la temperatura era particolarmente alta. Diego, giunto sugli scogli piatti che caratterizzavano quella località di mare, aveva notato quella bella donna in costume che stava leggendo un libro.
Scelse uno scoglio vicino ma la ignorò. Ebbe così modo di vedere gli inutili tentativi di approccio da parte di alcuni uomini, respinti con tanta grazia e fermezza. Qualcuno, più insistente, incassò qualche battuta che diede modo di apprezzare l’intelligenza della donna.
In un momento in cui Anna riuscì a leggere senza essere disturbata, decise di tentare un approccio, diverso da quelli ai quali aveva assistito, tutti uguali tra loro al punto da essere noiosi.
“Si tolga il reggiseno altrimenti quando farà sesso sarà inguardabile con i diversi colori sulla pelle. Già sarà imbarazzante il pube, ma per quello non si può fare niente, qui”.
Mentre lo disse non la guardò nemmeno. Voleva che la frase aggressiva (al limite della maleducazione) ed il riferimento sessuale fossero in contrasto con il totale disinteresse, come se le avesse detto che le erano caduti gli occhiali dalla borsetta.
Di sicuro Diego venne notato, a differenza degli altri approcci per i quali Anna guardava il corteggiatore senza osservarlo, dimenticando ogni sua fattezza una volta che lo sguardo fosse nuovamente ritornato al libro.
La donna non volle dargli la soddisfazione di un “vaffanculo” e, con assoluta naturalezza, si tolse il reggiseno per provocarlo, infastidita perché non era nemmeno stata guardata mentre glielo diceva.
“Ecco fatto!”.
Ancora Diego non la guardò.
“L’ubbidienza è una dote”.
Anna, donna che prova eccitazione nella sottomissione, riconobbe la specularità, raccogliendo il sasso che l’uomo le aveva lanciato.
Quella sera andarono a cena dopo un pomeriggio a parlare di tutto tranne che di sesso, cosa che la meravigliò in quanto lei si aspettava il tipico comportamento maschile, restando tutt’altro che delusa.
Scoparono la volta successiva, quando si diedero appuntamento per una cena che non consumarono se non dopo la reciproca soddisfazione sessuale nell’ambito dei rispettivi ruoli che portarono Anna a strisciare a terra e ad avere qualche segno sulla schiena.
Dopo alcuni mesi e tante emozioni erotiche, si trovavano al ristorante.
Diego sorrideva alla irrequietezza di Anna che non riusciva a trovare una posizione comoda sulla sedia rigida.
“Ho temuto che godessi mentre mi frustavi il culo”.
Risero entrambi per quella intimità scambiata sottovoce a contrasto con l’ambiente pieno di persone.
“Molto uomini ti stanno guardando”.
“Sarà perchè sono bella”.
“Sarà che dalla scollatura si vede il segno di una cinghiata”.
La risata di Diego, che seguì al suo sguardo fulminante, la contagiò.
“Tu non ce la fai a non essere uno stronzo”.
Anna, però, non fece nulla per coprire la parte visibile dei seni segnati.
Nei mesi che dividevano la conoscenza sugli scogli da quella sera al ristorante si erano confessati le loro fantasie inconfessabili e avevano cercato di dar loro corpo, vivendo quelle esperienze che, anche se note, divengono nuove nelle emozioni per la diversa complicità col partner, in quanto è questa a rendere erotico ed eccitante il singolo gesto o la situazione vissuta.
Fu in quella occasione che Anna espresse la fantasia di essere dominata da lui in coppia con un'altra donna.
Diego le parlò allora di Monica, un'amica Mistress con la quale aveva fatto sesso una volta, con scarso piacere di entrambi posto che tutti e due godevano nel dominio.
Gliela descrisse come una persona gradevole, intelligente, bella e, come la definì provocando una risata in Anna, una “gran porca”.
A differenza di Diego ed Anna, che coltivavano il loro rapporto anche fuori dal letto (limitandosi alla forte complicità ed all’affetto, senza sconfinare nell’amore), Monica odiava ogni tipo di legame, forse scottata da un matrimonio finito troppo presto e male.
Gli uomini e le donne per lei erano strumenti di piacere. Non aveva problemi a trovare qualche sottomesso che soddisfacesse ogni sua fantasia senza il peso di parole o circostanze da dover sopportare dopo l’orgasmo, quando lo schiavo (o la schiava) di turno o se ne andava, oppure veniva legato a terra in attesa di tornare utile qualche ora dopo o al mattino successivo.
Monica di buon grado accettò la proposta di Diego, soprattutto dopo aver visto una fotografia di Anna.
Quella era la prima volta tra loro tre. Diego non fece conoscere le due donne prima dell’incontro, nel quale ciascuna delle due entrò direttamente nel proprio ruolo senza il filtro della preventiva informale conoscenza “alla pari”. Voleva che per Monica, Anna fosse solo un giocattolo sessuale, non un’amica o altro. Avrebbe dovuto esserci distacco e non quella confidenza che si crea a tavola.
Anna, quindi, avrebbe avuto davanti una persona che avrebbe potuto dominarla, aumentando così il suo senso di sottomissione in quanto usata come un oggetto di piacere.
La scelta (della persona e dell’incontro diretto) si rivelò giusta. Tra tutti e tre si accese immediatamente la scintilla.
Anna venne fatta trovare, nuda, in piedi e legata alla parete, dando la schiena all’ospite. Diego, dopo averla legata, accanto aveva sistemato il frustino perché lei lo vedesse bene ed era uscito, lasciandola in attesa, per andare a prendere la Padrona.
I 20 minuti di attesa accrebbero in tutti e tre la tensione e l’eccitazione. Per Anna era l’attesa del dolore che il frustino lì accanto le prometteva per ogni minuto che la separava dall’arrivo dei due Padroni. Per questi ultimi, vi era il piacere futuro del dolore procurato e del potere di lasciare legata una donna.
L’arrivo in casa non fu liberatorio per la schiava ma, anzi, le fece aumentare la tensione. Monica, appena entrata, si approcciò a lei così come la situazione era stata costruita, cioè come ad un oggetto. La guardò, la accarezzò come se fosse un mobile, poi si sistemarono sul divano per bere un po’ di champagne, godendo di quella schiena e quel culo che prometteva una giornata di eccitazione.
I dominanti non seppero dire se alla loro eccitazione durante l’uso del frustino, contribuì più la paura evidente della schiava, che tremava dalla tensione accumulata, o il singolo colpo.
La sciolsero solo quando i segni rossi furono sufficienti per alimentare ulteriore eccitazione. Anna, sfinita per la tensione e per il dolore, si accasciò a terra ai loro piedi.
Era il momento in cui doveva prendere conoscenza del sapore di Monica che, per affermare il proprio dominio, le aveva posato una scarpa sul capo, ammirando il bel corpo a terra.
Non ci fu bisogno per la Padrona di spostare le mutandine che non indossava quando si accovacciò sul viso di Anna, ancora a terra, per farsi leccare la figa già bagnata.
Avevano “giocato” per la restante parte della mattina e, dopo il pranzo servito da Anna, nuda e “molestata” durante il pasto, avevano deciso di riposarsi.
* * *
Si erano appena svegliati.
“Dai Diego, svegliati, andiamo in sala così tu mi porti la tua compagna ai miei piedi”.
“Non so se ho voglia di fare tutta questa fatica”.
Quella donna lo eccitava terribilmente, “odorava” di dominio che trasmetteva al poveretto o poveretta che capitava sotto i suoi tacchi.
La sintonia creatasi immediatamente tra tutti e tre era esplosiva e lui si sentiva già eccitato nonostante l’orgasmo avuto prima di pranzo.
Anna, che avrebbe dovuto essere solo un oggetto sessuale, aveva riposato a terra, legata ai piedi del letto.
Diego la prese per i capelli portandola a 4 zampe fino a portarla davanti a Monica.
Quest’ultima era bellissima, seduta in poltrona in una posa molto aristocratica, con le lunghe gambe accavallate, vestita solo di una vestaglia il cui compito era di eccitare con la poca pelle rimasta coperta.
Mentre Anna si stava avvicinando, accavallò le gambe in modo che la donna potesse vederle la figa ed immaginarla umida, in attesa della sua lingua.
Monica voleva umiliare, dominare, schiacciare la schiava o schiavo di turno con la sua personalità forte ed autoritaria. Voleva vedere la sottomissione prima di goderne, voleva che la sottomessa percepisse la differenza tra lei e la Padrona.
Monica chiese a Diego di fermarsi a qualche metro da lei.
“Falla strisciare fino ai miei piedi”.
Anna rimase bloccata ed il piede dell’uomo la fece stendere a terra dopo un colpo di quell’immancabile frustino, costante monito di dominio.
Fu eccitante vedere quella bella donna che avanzava strisciando, andando incontro al destino che il pomeriggio ancora le stava riservando, per il piacere nei rispettivi ruoli.
Monica le schiacciò la testa a terra mettendole un piede sulla nuca che tolse solo per infilarlo nella bocca della donna davanti a lei.
La osservò per un tempo che le parve infinito, durante il quale tutte le sensazioni che attengono il dominio le passarono nello stomaco fino a raggiungere la figa. Aveva la schiena aderente allo schienale della poltrona e giocava col piede nella bocca di Anna.
La vestaglia si era spostata e lasciava definitivamente scoperte le lunghe gambe.
Diego passò il collo del piede tra le gambe della schiava trovandole la figa bagnata. Si sedette accanto a Monica e si sporse per arrivare a baciarla.
L’umiliazione per Anna era forte e se ne sentiva schiacciata.
Era l’umiliazione che lei cercava, la eccitava, la tormentava nello stomaco fino a scendere tra le gambe per lasciare tracce della sua eccitazione, in attesa di poter leccare quella figa bagnata e avere dentro sé il cazzo dell’uomo.
Non si chiese nemmeno se l’avrebbero frustata ancora.

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