Marisa 1

di
genere
tradimenti

Io e Marisa siamo cresciuti assieme: lei un anno più piccola di me, abbiamo frequentato le stesse scuole e gli stessi gruppi, i cosiddetti centri di aggregazione. Lei era timida, impacciata, graziosa, ma non bellissima: il primo bacio, tra di noi, fu la conclusione di una festa di compleanno, di quelle di una volta, con tanti lenti da ballare stretti stretti. Diventammo una coppia fissa che eravamo ancora adolescenti e, per qualche anno, di sesso non parlammo proprio. Ma i miei ormoni scalpitavano e così, il giorno dopo del suo diciottesimo compleanno, glielo chiesi. Lei si rabbuiò, quasi fino a piangere e non se ne fece nulla. Ma gli argini erano rotti e così la mia richiesta diventò una costante, fino a che lei non cedette. Era una sera d'estate e scegliemmo un prato poco fuori l'abitato: una coperta stesa sull'erba ed i nostri corpi inesperti che si cercavano fino a fondersi, con l'immancabile lacrima di dolore misto a senso di colpa da parte sua. Un attimo prima di abbandonarsi totalmente ed inaspettatamente al piacere, le sue unghia che si fissavano nelle mie carni ed un incredibile urlo liberatorio, quando raggiunse il suo primo orgasmo. Quasi non mi diede tempo di riprendermi, che volle subito ricominciare.
Tornati a casa, mi chiamò dopo un paio d'ore: era passata la mezzanotte ed i miei si allarmarono. Ridendo mi disse che era tutto a posto, ma che aveva avuto bisogno di masturbarsi, per poter godere ancora.
Da quel giorno, mi chiedeva sempre più spesso di fare l'amore, anche quando era il suo periodo: diceva che godeva anche di bocca.
Fuori dal letto, Marisa continuava ad essere la ragazza timida, disponibile ed educata nei confronti di tutti: non mancava giorno che non mi sentissi dire che uomo fortunato fossi ad avere una fidanzata così. Qualcuno aggiungeva che fossimo una coppia perfetta: due bravi ragazzi. E ci auguravano tanta fortuna.
Alcuni mesi dopo, approfittando dell'assenza dei miei genitori, lo facemmo per la prima volta nel mio letto: un letto vero, comodo e soprattutto senza il timore di essere visti o sentiti da qualcuno. Non posso dire che Marisa fosse più scatenata del solito: quando faceva sesso lei era incapace di avere limiti. Ma, quella situazione di sicurezza e di, oserei dire, normalità, ci portò a trattenerci a letto anche dopo il rapporto. Lei abbandonata sul mio petto, diceva di ascoltare il mio cuore e di lasciarsi cullare da lui, io... beh, io ero al settimo cielo.
Poi, d'improvviso, senza che la sua voce mutasse di un tono, mi chiese:
“Matteo, ma voi uomini siete tutti uguali?”
“Cosa intendi?”
“Ma sì... voglio dire... il cazzo ce lo avete tutti lo stesso?” rimasi allibito. Era la prima volta che la sentivo parlare così, ma mi dissi che era normale tra due persone in intimità. Quindi, superato l'attimo di sconcerto, le risposi.
“No! Naturale che no: come ci sono gli alti e i bassi, i grassi ed i magri, così ci sono diversi... cazzi. Quelli più lunghi e quelli più corti, quelli più grossi e quelli più sfilati, quelli più curvi, quelli più nodosi...”
“E il tuo com'è?”
Ancora un momento di sconcerto, superato pensando che era evidente che conoscesse solo il mio.
“Credo rintri nella normalità: ne troppo super, ma neanche mini!”
“Ed uno super come può essere?”
La conversazione cominciava a prendermi e lui cominciava a rialzarsi.
“Ne vuoi vedere uno grosso?”
“Dove?” mi chiese arrossendo.
“Tranquilla! In un film porno.”
“Sì, dai! Ce l'hai?”
“Certo, altrimenti mica te lo proporrei?”
Metto una cassetta nel VHS (a quei tempi funzionava così) e faccio partire il film. Era uno di quelli di un giovanissimo Rocco Siffredi e lei, alla vista del suo cazzo, strabuzzò gli occhi e, portandosi una mano alla bocca, esclamò:
“Minchia!”
“Già!” le feci eco io “Proprio una bella minchia!” e scoppiammo in una risata.
Guardammo quasi tutto il film, con lei che, di tanto in tanto, mi guardava, soprattutto nelle scene in cui la donna era presa da più uomini. Poi mi saltò addosso e ricominciammo a scopare, mentre le scene del film, le ultime, continuavano a scorrere sullo schermo. Lei godeva a ripetizione, come mei prima da allora; godeva e squirtava, squirtava e mi baciava, ma con una veemenza inattesa : sembrava quasi volesse mangiarmi, coi capelli che le cascavano sul volto, che si sfigurava in un orgasmo incessante. Sembrava una delle Erinni. Ed il film era ormai finito da un pezzo, quando, io esausto, lei accettò il fatto, stendendosi , anche lei distrutta, accanto a me. Il respiro affannato, il corpo ancora scosso dagli ultimi tremiti, le gambe oscenamente divaricate, gli occhi sbarrati a guardare il soffitto, la mano a cercare la mia.
“Che cazzo che aveva quell'attore!” esclamò.
“Non dirmi che vorresti provarlo?!”
Mi guardò titubante, poi
“Ti dà molto fastidio se ti dico che mi piacerebbe provarne uno simile?”
“No!” risposi, ma senza convinzione.
“Peccato che non sarebbe facile realizzarlo!” aggiunse lei. Ed era chiaro ci stesse pensando sul serio. Decisi di provocarla, convinto che, alla fine, il suo essere una brava ragazza avrebbe preso il sopravvento.
“Mica poi tanto! Ci sono tanti modi, sai?”
“Dici sul serio? Ma qualcuno che conosciamo ci sputtanerebbe!”
“Se ci tieni davvero, lascia fare a me.” chiosai.

Rimanevo convinto che si sarebbe tirata indiero, ma non volevo essere io quello che rinunciava, per cui, da un'edicola di un paese non troppo vicino, comprai fermo posta. A quei tempi internet ce lo aveva solo il pentagono, credo. Non vi nascondo che sfogliarlo mi eccitò tantissimo. In particolare, indugiai sugli annunci delle tante coppie, alcune dichiaratamente con figli. Poi mi ricordai del motivo per cui avevo comprato il giornale e focalizzai la ricerca sulla mia zona. C'erano tantissimi singoli, corredati di foto, ma la maggior parte assolutamente nella norma. Fino a che la mia attenzione non fu attirata da una foto di un attrezzo davvero formidabile, non tanto per lunghezza, quanto per circonferenza, in più, era solcatissimo di vene bluastre, che lo rendevano decisamente interessante. Lessi l'annuncio.
“Ciao! Sono un professionista maturo (over 50), ma in forma. Sono vedovo e senza figli, mi sposto facilmente in un raggio di 200 km. Ma, soprattutto, sono contrario al tutto e subito, se non voluto e disponibile ad una amicizia sincera. Diciamo la verità, cerco sesso, ma anche compagnia.” quindi c'erano le modalità di contatto.
Pensai che over 50 fosse un ostacolo non da poco: Marisa aveva solo 18 anni ed io 19. Poi, però, pensai che in realtà non si sarebbe concretizzato nulla, che volevo solo mettere lei nelle condizioni di fare un passo indietro e chiudere questo capitolo ancora prima di aprirlo. Quindi, che lui fosse un “vecchietto” sarebbe stato un ulteriore spinta a che le cose andassero come dovevano andare.
Non stetti più a pensarci su e scrissi la mia letterina, precisando che eravamo fidanzati alla prima esperienza ed indicando l'età, e, naturalmente, indicando le modalità di risposta, Stranissimo a dirsi, le poste funzionarono benissimo: nel giro di una settimana, nell'ufficio postale dello stesso paese dove avevo comprato la rivista, c'era una lettera ad aspettarmi, con il mio numero della carta d'identità. Ero emozionatissimo, quanto poco convinto di quello che stavo facendo, mentre aprivo la lettera. Pensavo di trovarci frasi becere e proposte indecenti, invece era scritta in una manier a dir poco coinvolgente. Cominciava con il ringraziarmi dell'interesse dimostrato, per poi sottolineare quanto sentisse, soprattutto, bisogno di nuove amicizie ed il fatto che fossimo così giovani lo stuzzicava: dai giovani, diceva, si può imparare molto pi. Di quello che si può insegnare. Neanche un accenno a lei, tipo chiedere come fosse fatta, cosa le piacesse fare: nulla. Chiudeva proponendo di vederci, magari solo io e lui, per conoscerci meglio. Altrimenti avrebbe atteso comunque una risposta.
Nella mia lettera, che spedii quel giorno stesso, indicai un bar, sempre dello stesso paese, un giorno ed un'ora, aggiungendo che, se non avessi ricevuto nulla, lo avrei considerato confermato. La sera, ne parlai con Marisa, senza scendere nei particolari, ma solo chiedendole se volesse venire anche lei all'appuntamento, o se preferisse che mi vedessi da solo con lui.
“Assolutamente: è stata una mia iniziativa e ci vengo!” ancora una volta mi lasciò basito.

Al bar, non c'era tanta gente: dalle nostre parti, soprattutto nelle ore pomeridiane, la gente sta in casa, se non lavora. Non ci fu difficile individuarlo: era un signore distinto, un paio di pantaloni grigi ed un lupetto avion sotto la giacca dello stesso colore, capelli sale e pepe, fisico asciutto. Ci avvicinammo e mi presentai col nome che avevo indicato.
“Ma è il tuo vero nome?” chiese.
“Naturalmente no!” risposi, atteggiandomi al navigato che non ero. Lui non mostrò alcuna reazione.
“Io, invece, sono Marisa! Ed è il mio vero nome!” si presentò la mia fidanzata.
“Grazie per la fiducia. La ricambierò con la stessa moneta. Io sono Oreste, sono un ingegnere.”
“Sei vecchiotto,,, ed anche il nome non m piace. Visto che, ad occhio e croce hai l'età di mio padre, ti chiamerò paparino!”
Lui non si dimostrò offeso, anzi sorrise divertito.
“Paparino? Va bene: non ho mai avuto nessuno che mi chiamasse così!”
Prendemmo un aperitivo e, devo dire, tra i tre ero io il più impacciato. Parlammo di tantissime cose, soprattutto dei nostri progetti, sia come singoli che come coppia. Sembrava che il sesso non interessasse a nessuno. Ma proprio quando ero convinto che stessimo per andar via, Marisa chiese con estrema naturalezza
“Ma ce l'hai davvero così grande come sembra sulla foto?”
Lui sorrise ancora una volta, poi allungò una mano e la carezzò sulla guancia.
“Hai una bellissima pelle e delle bellissime labbra. Se è grosso? Lo lascio dire a chi vuol vederlo. Ma credo che usarlo bene sia più importante delle dimensioni.”
“E tu sai usarlo bene?” insistette lei.
“Anche questo preferisco lo dica chi accetta di provarlo. Tu vorresti vederlo? Provarlo?”
“Siamo qui per questo, no?” la sua risposta mi fece rimescolare il sangue.
“Se volete, possiamo andare a casa mia. Non è troppo lontana.” mi ritrovai seduto sul sedile posteriore della sua macchina prima di aver realizzato che lei aveva detto di sì. La mano di Oreste non perse tempo per correre sulle cosce di lei che, per tutta risposta, aprii le gambe per agevolarlo.
Arrivati a casa di lui, ci offrii da bere, ma lei tagliò corto.
“Ma allora me lo fai vedere?”
“A quanto pare. Sei proprio ansiosa.” dicendolo, aveva abbassato la zip e tirato fuori il cazzo, che era, se possibile, ancora più grosso di quel che sembrava in foto.
“Wow: è meraviglioso!” esclamò Marisa. E, prima che avessi modo di dire qualcosa, era già inginocchiata ai suoi piedi e la cappella di quell'enorme bastone era sparita tra le sue labbra. Non mi restò altro da fare, se non sedermi e guardarmi una scena che si faceva sempre più spinta. Si spogliarono all'unisono e lui la penetrò facendola appoggiare al tavolo e prendendola da dietro.
“Paparino, è bellissimo. Lo sento tutto: sfondami, dai!”
Lui si muoveva ad un ritmo controllato, facendo attenzione ai suoi gemiti. Io lo guardavo e mi rendevo conto di come fosse diverso da me, che invece ero troppo irruente, che la prendevo quasi con violenza.
Ci trasferimmo in camera: Oreste mi fece segno di sedermi sulla poltrona. Poi la abbracciò e la baciò con passione, accompagnandola sul letto. Quindi le allargò le cosce e si tuffò a leccarle la fica. Lo fece allo stesso modo con cui la scopava, lentamente, con dolcezza, anche quando le prese il clitoride tra identi e con la lingua prese a batterci su. Poi tornò a scoparla, stavolta stendendosi su di lei. Guardavo le unghia di Marisa affondare nella pelle dell'uomo, senza che lui si scomponesse. Ora alternava il suo solito modo gentile di scoparla, con colpi piò violenti che strappavano dei gemiti prolungati a lei. Quando si sciolse nel primo orgasmo, lui si stese accanto, assecondando le sue convulsioni con carezze leggere e baci sui capezzoli. Ma lei lo incalzò, salendo su di lui e cavalcandolo nel modo che io ben conoscevo, con un galoppo sempre piò sfrenato, fino a raggiungere un nuovo devastante orgasmo che la trasfigurò. Sazia, scese a ricompensarlo con la bocca, fino a bere tutto il nettare che lui le riversò in bocca, prima di prenderla di nuovo tra le braccia e coccolarla come fosse una bambina.

Tornando a casa, dopo che lui ci aveva riaccompagnati alla nostra auto, non dicemmo una parola. Dentro di ma, pensavo che l'avrei lasciata, ma che, al tempo stesso, per il momento volevo ancora divertirmi.
di
scritto il
2021-12-17
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