La raccoglitrice di asparagi
di
Yuko
genere
prime esperienze
“Buongiorno, sono qui per quell'annuncio di lavoro stagionale.”
“Scusi?”
“La raccolta degli asparagi! C'era un'inserzione...”
“Ah sì, ma certo! È molto semplice. Le prendo subito i dati. Poi, con cestino e coltellino, può iniziare subito!”
“Ecco, grazie. Io però non ho alcuna idea di come si raccolgano gli asparagi.”
L'addetto alle risorse umane alzò un attimo lo sguardo dai suoi registri, abbassò gli occhiali “da vicino” e prese atto dei caratteri somatici spiccatamente orientali della ragazza in cerca di lavoro.
'E che cazzo, non ce li hanno gli asparagi in Cina?' si chiese tra sé e sé di fronte all'imbarazzata giovane che in realtà era nippo.
Fece un sorrisino che non si capiva se volesse essere strafottente o accondiscendente.
“Cara ragazza, ma è molto semplice. Usi la fantasia e vedrà che imparerà immediatamente. Non c'è bisogno di spiegazioni. Ah! No, però. Una cosa è importante. Non deve rompersi l'asparago, se no non si può vendere. Assolutamente deve essere intero. Non deve rompersi l'infiorescenza. Ehm... diciamo, la 'testolina' dell'asparago. Se no non vale più nulla. Deve maneggiarlo con cura, riporlo delicatamente. Come se fosse... come se stesse prendendo in mano...”
E intanto stava a guardare la ragazza pensando che fosse davvero carina, e gli venivano in mente solo immagini poco adatte, non convenzionali, forse un po' troppo spinte.
La giapponese spalancava gli occhi in un'espressione che denotava lo sforzo di comprensione.
“Insomma!”, tagliò corto l'impiegato, “Stia attenta a maneggiare l'asparago, a come lo prende in mano! Poi li metta tutti nel cestino e li porti all'addetto. Più ne raccoglie e più viene pagata. Si va a cestini. Più cestini riempie e più guadagna. Ok?”
“Ok!”
“Va bene, vada pure nello spogliatoio a cambiarsi e può già iniziare. Chieda dove sono i campi e la indirizzeranno.”
“Ma perchè, per raccogliere gli asparagi occorre un abbigliamento particolare?”
Il responsabile della selezione del personale capì che forse stava parlando con una rincoglionita. Ma poi si convinse che migliaia di chilometri di distanza culturale potevano giustificare qualche spiegazione in più. In fondo la mattina era molto fredda e non sapeva quanti si sarebbero presentati per quel lavoro occasionale.
“Ma certo, cara ragazza. Non penserà che si possano raccogliere asparagi vestita così! E poi c'è fango nei campi e deve cercare di non sporcare il raccolto, se no ci impiegheremmo troppo nel lavaggio, o il prodotto potrebbe non essere più idoneo. Ci sono guanti e stivali!”
E, un po' infastidito, congedò l'asiatica.
Yuko si guardò, imbarazzata, avendo colto una sfumatura di irritata impazienza nel discorso.
Gonnellina sopra il ginocchio, scarpe leggere, camicetta e golfino. In effetti un abbigliamento un po' troppo leggero per un lavoro nei campi di primo mattino. Ma in realtà si era fatta l'erronea idea di un lavoro di stoccaggio in negozio e non proprio all'aria aperta.
Impaurita all'idea di importunare il responsabile, passò in spogliatoio dove si attrezzò di stivali e guanti da lavoro gommati. Prese un grosso gesto e un coltellino e si avviò; avrebbe capito come fare direttamente sul posto.
Un ragazzo le indicò svogliatamente l'area di raccolta, poco lontana, e la giapponese si trovò da sola di fronte a una sconfinata distesa di esili pinnacoli che si ergevano come “penitentes” in una nebbiolina azzurrognola che ancora ristagnava carica di umidità a livello del suolo.
Si avvicinò incerta al primo stelo. Un piccolo asparago dall'aspetto di una matita, in apparenza fragile, che sembrava la guardasse con aria di sfida.
Yuko si chinò sulla vittima designata. Cercò di reggere il gambo e lo tagliò alla base.
Ma per via del freddo pungente del primo mattino la gomma dei guanti da lavoro si era indurita e l'asparago cadde per terra sfuggendo all'inconsistente presa delle dita.
“糞”
'Kuso' (merda!)
I tentativi di sollevarlo con i grossi guanti non sortirono risultati positivi e pochi secondi dopo il vegetale era diventato una stele di fango.
“馬鹿”
'Baka!'
Nella campagna ai primi raggi di un incerto sole, si cominciò a udire pronunciare esclamazioni e frasi in lingua esotica di stampo non molto formale. Inizialmente sussurrate, poi con un tono di voce sempre più consistente fino a un fiorito echeggiare di turpiloqui della peggior specie.
Un campionario di parolacce e volgarità giapponesi.
“畜 生”
'Chikushou'
Niente da fare. I successivi tentativi fallirono miseramente e nel cestino della nipponica, dopo circa un quarto d'ora di assiduo lavoro si trovavano solo tre o quattro ammassi di fango dalla forma oblunga che nascondevano il prezioso raccolto.
Yuko non se la sentiva proprio di andare a chiedere spiegazioni. Si sentiva un'inetta e l'avrebbero mandata via subito. Ma lei di quella giornata di paga aveva maledettamente bisogno. Che figura avrebbe fatto poi il suo paese che produceva tecnologia d'avanguardia mentre lei non era neanche capace di raccogliere degli asparagi cazzuti?
A quel pensiero una folgorazione la colse. Di colpo le si chiarirono tutte le indicazioni ricevute dallo sgarbato inserviente al suo primo colloquio di lavoro.
“Abbigliamento adeguato”: 'Non penserà che si possano raccogliere asparagi vestita così'.
Non rompere la testina...
'Usi la fantasia e vedrà che imparerà immediatamente. Non c'è bisogno di spiegazioni.'
Non sporcare il prodotto col fango...
Lo spogliatoio...
“Ma sì!!!”
Yuko, decisamente sollevata, corse nello spogliatoio, si tolse guanti da lavoro e stivali, si avvicinò al suo armadietto, si guardò in giro e, sicura di essere sola, si tolse le mutandine riponendole con cura. Allargò le cosce, sollevò la gonnellina e si diede uno sguardo con occhio critico alla passera.
Ma sì, poteva andare. O almeno ci avrebbe provato.
Felice dell'intuizione e di essere arrivata a una conclusione che inopinatamente le era stata preclusa negandole una doverosa spiegazione, rimise stivali e guanti e, con cestino e coltellino ritornò di corsa sul luogo di lavoro. Altri ormai si erano impegnati nei campi e doveva recuperare il tempo perduto.
Gli altri raccoglitori pareva non avessero miglior fortuna e che fossero tutti abbastanza alle prime armi, tuttavia, agendo a mani nude, i cestini cominciavano a riempirsi. Ma l'inserviente scuoteva la testa, troppo fango macchiava il pregiato raccolto.
Yuko avrebbe fatto di meglio.
Si avvicinò a un asparago più grosso e tozzo degli altri. Doveva testare il suo metodo, dar concretezza alla sua intuizione.
Si mise in piedi tenendo il vegetale circoscritto tra gli stivali. Allargò i piedi e, dopo essersi sincerata che nessuno la stesse guardando, si chinò piegando le ginocchia. Non voleva farsi scoprire con il suo personalissimo metodo di raccolta.
Appoggiato il cestino per terra, si infilò una mano sotto la gonna allungandola tra le gambe.
Quando, ormai quasi seduta, percepì la punta dell'asparago sfiorarle le cosce si spostò finchè l'asparago non le toccò la vulva, allargò le piccole labbra e si calò rapida infilandosi l'asparago nella più profonda intimità.
Il suo gesto fu perentorio, come si scarta un asso giocando a briscola.
Si piegò più che potè per fare entrare la massima estensione che l'anatomia le consentiva e poi con un deciso scartamento di lato provò a ghigliottinare l'asparago.
Ma quello ovviamente non si ruppe.
“たわごとアスパラガス”
Riprovò di nuovo, ma anzi, la preziosa verga le si sfilava fuori rischiando di rompersi.
“Tawagoto asuparagasu!”
Si riposizionò con delicatezza. Un rapido sguardo in giro. Nessuno si era accorto del suo armamentare. Poi si ricordò del coltellino.
“Che idiota!” era ovvio che andasse usato, se no per quale motivo glielo avrebbero dato?
E, con un movimento repentino, recise il gambo del germoglio stringendolo bene con i muscoli pelvici.
Poi, con noncuranza si spostò sul cestino, che nel frattempo aveva ripulito del fango, e si sfilò l'intruso riponendolo sul fondo.
“Asparago di merda!” bisbigliò con un ringhio strozzato, questa volta in una lingua che fosse comprensibile anche al nuovo ospite.
Tutto sommato era stato anche abbastanza piacevole, giusto se non fosse stato per la temperatura un po' fredda.
Contemplò la sua opera.
L'asparago giaceva sul fondo del cestino. Intonso, perfettamente lindo, anzi impreziosito da un velo di brillante lucentezza dai riflessi tenuemente iridati.
Il metodo funzionava.
La geniale ragazza si portò sul secondo stelo.
Con più perizia ripetè la sequenza provando, questa volta, anche un po' più di piacere. La stimolazione del primo grosso gambo aveva prodotto effetti positivi favorendo, come fenomeno collaterale, un miglior scorrimento del raccolto nella mietitrice termoregolata.
In poco tempo Yuko aveva acquisito rapidità ed esperienza.
Era ormai rapida nell'isolare la preda, calarcisi sopra, indirizzarla nell'orifizio, introdurla, reciderla e sfilarla riponendola in buon ordine.
Certo, gli altri ottenevano raccolti più corposi e in molto meno tempo.
Ma quando i primi si recarono a consegnare il raccolto iniziarono a fioccare urla e lamentele per il troppo fango che macchiava i preziosi cazzetti verdi.
Massimo, invece, fu lo stupore degli inservienti quando, ultima della fila, la giapponese consegnò il suo primo cestino.
Non solo gli asparagi non presentavano la minima molecola di fango, ma anzi, qualcuno si era spinto oltre, lanciandosi in complimenti in quanto, a lui pareva, il raccolto della giapponese pareva inebriante di aromi suggestivi, sentori evocativi che suscitavano piacevoli riflessi e assonanze. Insomma, un nonsochè difficile da descrivere che pure rendeva in qualche modo la raccolta della nipponica particolarmente pregevole.
Yuko fu molto lodata e additata come esempio. Ma al momento di riprendere la raccolta si allontanò in campi lontani per non svelare la sua metodologia di lavoro non convenzionale.
La raccolta proseguì via via più rapida con frequenti mescite di cestini di virgulti netti e aromatizzati.
Non si può nascondere che in talune occasioni, con esemplari particolarmente virtuosi, la nipponica si concesse alcune varianti di raccolta, ripetendo le operazioni di inserimenti con movimenti su e giù e piccoli orgasmi che interrompevano la monotonia del lavoro.
Lungi dal creare problemi al prodotto del raccolto, queste variazioni sul tema produssero elementi molto apprezzati dal selezionatore.
L'esperto agricoltore nell'analisi olfattiva delle vegetali verghe si lasciava invaghire da suggestive riminiscenze che non riusciva a decifrare. Il sovrintendente, poi, rincarava la dose, continuando a passarsi sotto il naso gli asparagi che avevano subito il trattamento aggiuntivo, come un fine intenditore di sigari, inseguendo un pensiero che irreparabilmente gli sfuggiva.
“Ma che metodo di raccolta usa, signorina, se posso permettermi?” chiese poi alla nipponica, spinto dalla curiosità.
“Mah... le dirò, signore. In Giappone lo chiamiamo 'smorza-candela'”
“Smorza-candela?”
“Si, o qualcosa di simile, ora, mi scusi, non riesco a tradurlo con un termine esatto o più calzante. Sa... la lingua!”
“Capisco benissimo... La lingua! E come non ho potuto pensarci prima!”
Yuko a fine giornata ottenne un cospicuo raccolto. Più che per la quantità fu la qualità a fare la differenza, tanto che i suoi asparagi non venivano neanche più lavati, ma confezionati direttamente per non perdere quella imprecisata fragranza ed essenza che avevano acquisito solo nei prodotti di raccolta della ragazza orientale.
E così furono messi in vendita, con l'etichetta speciale: “raccolti con l'antica metodologia del Sol Levante direttamente da geisha giapponesi”
“Scusi?”
“La raccolta degli asparagi! C'era un'inserzione...”
“Ah sì, ma certo! È molto semplice. Le prendo subito i dati. Poi, con cestino e coltellino, può iniziare subito!”
“Ecco, grazie. Io però non ho alcuna idea di come si raccolgano gli asparagi.”
L'addetto alle risorse umane alzò un attimo lo sguardo dai suoi registri, abbassò gli occhiali “da vicino” e prese atto dei caratteri somatici spiccatamente orientali della ragazza in cerca di lavoro.
'E che cazzo, non ce li hanno gli asparagi in Cina?' si chiese tra sé e sé di fronte all'imbarazzata giovane che in realtà era nippo.
Fece un sorrisino che non si capiva se volesse essere strafottente o accondiscendente.
“Cara ragazza, ma è molto semplice. Usi la fantasia e vedrà che imparerà immediatamente. Non c'è bisogno di spiegazioni. Ah! No, però. Una cosa è importante. Non deve rompersi l'asparago, se no non si può vendere. Assolutamente deve essere intero. Non deve rompersi l'infiorescenza. Ehm... diciamo, la 'testolina' dell'asparago. Se no non vale più nulla. Deve maneggiarlo con cura, riporlo delicatamente. Come se fosse... come se stesse prendendo in mano...”
E intanto stava a guardare la ragazza pensando che fosse davvero carina, e gli venivano in mente solo immagini poco adatte, non convenzionali, forse un po' troppo spinte.
La giapponese spalancava gli occhi in un'espressione che denotava lo sforzo di comprensione.
“Insomma!”, tagliò corto l'impiegato, “Stia attenta a maneggiare l'asparago, a come lo prende in mano! Poi li metta tutti nel cestino e li porti all'addetto. Più ne raccoglie e più viene pagata. Si va a cestini. Più cestini riempie e più guadagna. Ok?”
“Ok!”
“Va bene, vada pure nello spogliatoio a cambiarsi e può già iniziare. Chieda dove sono i campi e la indirizzeranno.”
“Ma perchè, per raccogliere gli asparagi occorre un abbigliamento particolare?”
Il responsabile della selezione del personale capì che forse stava parlando con una rincoglionita. Ma poi si convinse che migliaia di chilometri di distanza culturale potevano giustificare qualche spiegazione in più. In fondo la mattina era molto fredda e non sapeva quanti si sarebbero presentati per quel lavoro occasionale.
“Ma certo, cara ragazza. Non penserà che si possano raccogliere asparagi vestita così! E poi c'è fango nei campi e deve cercare di non sporcare il raccolto, se no ci impiegheremmo troppo nel lavaggio, o il prodotto potrebbe non essere più idoneo. Ci sono guanti e stivali!”
E, un po' infastidito, congedò l'asiatica.
Yuko si guardò, imbarazzata, avendo colto una sfumatura di irritata impazienza nel discorso.
Gonnellina sopra il ginocchio, scarpe leggere, camicetta e golfino. In effetti un abbigliamento un po' troppo leggero per un lavoro nei campi di primo mattino. Ma in realtà si era fatta l'erronea idea di un lavoro di stoccaggio in negozio e non proprio all'aria aperta.
Impaurita all'idea di importunare il responsabile, passò in spogliatoio dove si attrezzò di stivali e guanti da lavoro gommati. Prese un grosso gesto e un coltellino e si avviò; avrebbe capito come fare direttamente sul posto.
Un ragazzo le indicò svogliatamente l'area di raccolta, poco lontana, e la giapponese si trovò da sola di fronte a una sconfinata distesa di esili pinnacoli che si ergevano come “penitentes” in una nebbiolina azzurrognola che ancora ristagnava carica di umidità a livello del suolo.
Si avvicinò incerta al primo stelo. Un piccolo asparago dall'aspetto di una matita, in apparenza fragile, che sembrava la guardasse con aria di sfida.
Yuko si chinò sulla vittima designata. Cercò di reggere il gambo e lo tagliò alla base.
Ma per via del freddo pungente del primo mattino la gomma dei guanti da lavoro si era indurita e l'asparago cadde per terra sfuggendo all'inconsistente presa delle dita.
“糞”
'Kuso' (merda!)
I tentativi di sollevarlo con i grossi guanti non sortirono risultati positivi e pochi secondi dopo il vegetale era diventato una stele di fango.
“馬鹿”
'Baka!'
Nella campagna ai primi raggi di un incerto sole, si cominciò a udire pronunciare esclamazioni e frasi in lingua esotica di stampo non molto formale. Inizialmente sussurrate, poi con un tono di voce sempre più consistente fino a un fiorito echeggiare di turpiloqui della peggior specie.
Un campionario di parolacce e volgarità giapponesi.
“畜 生”
'Chikushou'
Niente da fare. I successivi tentativi fallirono miseramente e nel cestino della nipponica, dopo circa un quarto d'ora di assiduo lavoro si trovavano solo tre o quattro ammassi di fango dalla forma oblunga che nascondevano il prezioso raccolto.
Yuko non se la sentiva proprio di andare a chiedere spiegazioni. Si sentiva un'inetta e l'avrebbero mandata via subito. Ma lei di quella giornata di paga aveva maledettamente bisogno. Che figura avrebbe fatto poi il suo paese che produceva tecnologia d'avanguardia mentre lei non era neanche capace di raccogliere degli asparagi cazzuti?
A quel pensiero una folgorazione la colse. Di colpo le si chiarirono tutte le indicazioni ricevute dallo sgarbato inserviente al suo primo colloquio di lavoro.
“Abbigliamento adeguato”: 'Non penserà che si possano raccogliere asparagi vestita così'.
Non rompere la testina...
'Usi la fantasia e vedrà che imparerà immediatamente. Non c'è bisogno di spiegazioni.'
Non sporcare il prodotto col fango...
Lo spogliatoio...
“Ma sì!!!”
Yuko, decisamente sollevata, corse nello spogliatoio, si tolse guanti da lavoro e stivali, si avvicinò al suo armadietto, si guardò in giro e, sicura di essere sola, si tolse le mutandine riponendole con cura. Allargò le cosce, sollevò la gonnellina e si diede uno sguardo con occhio critico alla passera.
Ma sì, poteva andare. O almeno ci avrebbe provato.
Felice dell'intuizione e di essere arrivata a una conclusione che inopinatamente le era stata preclusa negandole una doverosa spiegazione, rimise stivali e guanti e, con cestino e coltellino ritornò di corsa sul luogo di lavoro. Altri ormai si erano impegnati nei campi e doveva recuperare il tempo perduto.
Gli altri raccoglitori pareva non avessero miglior fortuna e che fossero tutti abbastanza alle prime armi, tuttavia, agendo a mani nude, i cestini cominciavano a riempirsi. Ma l'inserviente scuoteva la testa, troppo fango macchiava il pregiato raccolto.
Yuko avrebbe fatto di meglio.
Si avvicinò a un asparago più grosso e tozzo degli altri. Doveva testare il suo metodo, dar concretezza alla sua intuizione.
Si mise in piedi tenendo il vegetale circoscritto tra gli stivali. Allargò i piedi e, dopo essersi sincerata che nessuno la stesse guardando, si chinò piegando le ginocchia. Non voleva farsi scoprire con il suo personalissimo metodo di raccolta.
Appoggiato il cestino per terra, si infilò una mano sotto la gonna allungandola tra le gambe.
Quando, ormai quasi seduta, percepì la punta dell'asparago sfiorarle le cosce si spostò finchè l'asparago non le toccò la vulva, allargò le piccole labbra e si calò rapida infilandosi l'asparago nella più profonda intimità.
Il suo gesto fu perentorio, come si scarta un asso giocando a briscola.
Si piegò più che potè per fare entrare la massima estensione che l'anatomia le consentiva e poi con un deciso scartamento di lato provò a ghigliottinare l'asparago.
Ma quello ovviamente non si ruppe.
“たわごとアスパラガス”
Riprovò di nuovo, ma anzi, la preziosa verga le si sfilava fuori rischiando di rompersi.
“Tawagoto asuparagasu!”
Si riposizionò con delicatezza. Un rapido sguardo in giro. Nessuno si era accorto del suo armamentare. Poi si ricordò del coltellino.
“Che idiota!” era ovvio che andasse usato, se no per quale motivo glielo avrebbero dato?
E, con un movimento repentino, recise il gambo del germoglio stringendolo bene con i muscoli pelvici.
Poi, con noncuranza si spostò sul cestino, che nel frattempo aveva ripulito del fango, e si sfilò l'intruso riponendolo sul fondo.
“Asparago di merda!” bisbigliò con un ringhio strozzato, questa volta in una lingua che fosse comprensibile anche al nuovo ospite.
Tutto sommato era stato anche abbastanza piacevole, giusto se non fosse stato per la temperatura un po' fredda.
Contemplò la sua opera.
L'asparago giaceva sul fondo del cestino. Intonso, perfettamente lindo, anzi impreziosito da un velo di brillante lucentezza dai riflessi tenuemente iridati.
Il metodo funzionava.
La geniale ragazza si portò sul secondo stelo.
Con più perizia ripetè la sequenza provando, questa volta, anche un po' più di piacere. La stimolazione del primo grosso gambo aveva prodotto effetti positivi favorendo, come fenomeno collaterale, un miglior scorrimento del raccolto nella mietitrice termoregolata.
In poco tempo Yuko aveva acquisito rapidità ed esperienza.
Era ormai rapida nell'isolare la preda, calarcisi sopra, indirizzarla nell'orifizio, introdurla, reciderla e sfilarla riponendola in buon ordine.
Certo, gli altri ottenevano raccolti più corposi e in molto meno tempo.
Ma quando i primi si recarono a consegnare il raccolto iniziarono a fioccare urla e lamentele per il troppo fango che macchiava i preziosi cazzetti verdi.
Massimo, invece, fu lo stupore degli inservienti quando, ultima della fila, la giapponese consegnò il suo primo cestino.
Non solo gli asparagi non presentavano la minima molecola di fango, ma anzi, qualcuno si era spinto oltre, lanciandosi in complimenti in quanto, a lui pareva, il raccolto della giapponese pareva inebriante di aromi suggestivi, sentori evocativi che suscitavano piacevoli riflessi e assonanze. Insomma, un nonsochè difficile da descrivere che pure rendeva in qualche modo la raccolta della nipponica particolarmente pregevole.
Yuko fu molto lodata e additata come esempio. Ma al momento di riprendere la raccolta si allontanò in campi lontani per non svelare la sua metodologia di lavoro non convenzionale.
La raccolta proseguì via via più rapida con frequenti mescite di cestini di virgulti netti e aromatizzati.
Non si può nascondere che in talune occasioni, con esemplari particolarmente virtuosi, la nipponica si concesse alcune varianti di raccolta, ripetendo le operazioni di inserimenti con movimenti su e giù e piccoli orgasmi che interrompevano la monotonia del lavoro.
Lungi dal creare problemi al prodotto del raccolto, queste variazioni sul tema produssero elementi molto apprezzati dal selezionatore.
L'esperto agricoltore nell'analisi olfattiva delle vegetali verghe si lasciava invaghire da suggestive riminiscenze che non riusciva a decifrare. Il sovrintendente, poi, rincarava la dose, continuando a passarsi sotto il naso gli asparagi che avevano subito il trattamento aggiuntivo, come un fine intenditore di sigari, inseguendo un pensiero che irreparabilmente gli sfuggiva.
“Ma che metodo di raccolta usa, signorina, se posso permettermi?” chiese poi alla nipponica, spinto dalla curiosità.
“Mah... le dirò, signore. In Giappone lo chiamiamo 'smorza-candela'”
“Smorza-candela?”
“Si, o qualcosa di simile, ora, mi scusi, non riesco a tradurlo con un termine esatto o più calzante. Sa... la lingua!”
“Capisco benissimo... La lingua! E come non ho potuto pensarci prima!”
Yuko a fine giornata ottenne un cospicuo raccolto. Più che per la quantità fu la qualità a fare la differenza, tanto che i suoi asparagi non venivano neanche più lavati, ma confezionati direttamente per non perdere quella imprecisata fragranza ed essenza che avevano acquisito solo nei prodotti di raccolta della ragazza orientale.
E così furono messi in vendita, con l'etichetta speciale: “raccolti con l'antica metodologia del Sol Levante direttamente da geisha giapponesi”
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