La taverna (parte 1)

Scritto da , il 2021-12-13, genere sadomaso

Le lacrime bagnavano il bel viso di Viola al termine di quella notte insonne.
La sua mente era ancora piena di quanto accaduto. Lo stomaco era in subbuglio e non aveva avuto modo di pensare.
Pensare a cosa?
Non avrebbe potuto, avvolta da quelle sensazioni di impotenza, di tensione alla bocca dello stomaco, di battito a mille del cuore impazzito per quanto stava provando.
Viola era legata.
Il suo bel corpo segnato.
Lei non se li poteva vedere ma quei segni li sentiva, li sentiva dentro prima ancora che sulla sua pelle diafana.
Quei segni le erano entrati sottopelle e l’avevano scavata dentro dopo le sensazioni provate.
Il suo busto era appoggiato al tavolo. Le caviglie legate larghe alle gambe del mobile. Il dolore della posizione era ormai parte di lei, parte di quella notte e della sua anima.
Il viso era al bordo del tavolo ed i polsi anch'essi legati.
Era esposta in ogni parte di lei: bocca, culo e figa.
Tutto era esposto. Anche l’anima e quel formicolio allo stomaco che le saliva ed entrava prepotentemente nella testa e da qui, dopo avere girato ogni lato deputato alle sensazioni, nuovamente scendeva.
Le lacrime bagnavano il bel viso di Viola al termine di quella notte insonne, usata da tre sconosciuti.

* * *

Alcune ore prima, mille anni addietro, Viola si stava preparando per uscire.
Marzio, il suo compagno, la guardava e la trovava meravigliosa.
Li separavano quasi 15 anni e la bellezza che caratterizzava quella donna di 34 anni, esibizionista, capricciosa, mutevole, esigente, sensibile al sesso fantasioso, peccaminoso, viziosa ma anche viziata, fragile.
Qualsiasi vestito avesse indossato ne avrebbe evidenziata la classe, l’eleganza, la sensualità.
L’abito scelto per la serata sottolineava le sue forme ma anche il suo portamento aristocratico, tipico delle donne di classe.
Marzio sorrise nel sentirsi il ben noto formicolio all’inguine. Avevano intrapreso la convivenza da tempo e lui non riusciva a non eccitarsi anche solo a stare con lei nella stessa stanza, o durante un qualsiasi conversazione che lei riusciva ad arricchire con parole scelte che coloravano i dialoghi.
Viola uscì di corsa.
Era sempre in ritardo. Non ce l’avrebbe mai fatta ad essere puntuale.
Prese la borsetta e scappò verso l’auto.
Era già buio e in quella parte di strada c’erano sempre poche auto.
Proprio in quel pezzo la sua si fermò.
Il cellulare!!!
Maledizione non riusciva a trovarlo. Le doveva essere caduto quando Marzio le aveva maldestramente consegnato la borsetta.
Avrebbe dovuto fare una telefonata per chiamare il compagno e si fermò in corrispondenza di un locale pubblico in quella strada a lei poco nota.
Con il suo abito da sera e le scarpe che la elevavano di 12 centimetri, si diresse verso il locale.
Stava per entrare e si volse verso la strada, attirata da un’auto che aveva rallentato la sua corsa mentre passava lì davanti.
La luce del lampione le fece intravedere, sul sedile posteriore, una bellissima bionda, anch’essa elegante, che stava telefonando mentre i loro sguardi si incontrarono nel momento in cui lei stava per entrare nel locale.
Viola ebbe la sensazione che le stesse sorridendo mentre, guardandola, staccava soddisfatta il telefono dall’orecchio.
La donna in auto disse all’autista di accelerare e di proseguire. Nel fare questo il fruscio delle gambe prima accavallate e poi leggermente allargate, attirò l’attenzione dell’uomo che, dallo specchietto, la stava ammirando.
Lei sapeva che lui la “spiava” e, per questo, effettuava i suoi movimenti sensuali solo quando aveva la certezza che lui avrebbe potuto osservarla dallo specchietto retrovisore.
Viola entrò.
Il locale era una in realtà una taverna.
Al suo interno c’erano solo 2 persone e l’oste.
Lei era conscia della sua classe e bellezza e subito si sentì fuori luogo in quel locale.
Come accade nei locali poco frequentati, ogni porta aperta per fare entrare qualcuno attira l'attenzione dei presenti, quale novità che potrebbe distrarre dalla noia di un locale poco gioioso.
Ebbe anche l’irrazionale sensazione che, addirittura, si fosse fermata la musica tanto venne colpita da quell’ambiente così lontano dal suo. La musica le sembrò riprendere quando la porta si chiuse alle sue spalle.
Lo stomaco, la testa, il petto, le gambe, tutto le stava mandando segnali quando si diresse al bancone per chiedere di poter fare quella cazzo di telefonata.
La musica le sembrò nuovamente che si fosse fermata.
No, questa volta si era fermata davvero.
Cazzo!
Stava guardando l’oste quando sentì il tipico rumore della serratura girata proveniente dalla porta di ingresso.
Si voltò ed uno degli avventori si stava recando nuovamente al suo tavolo.
Lei corse alla porta e, ovviamente, la trovò chiusa.
Il cuore le sembrava uscisse dalla testa, dagli occhi, dalla bocca che non riusciva a parlare mentre inutilmente agiva su quella maniglia.
Nessuno parlava all’interno. Nessuno nemmeno la stava guardando e questo la disorientava ancor di più.
Cercò di uscire dall’altra porta, quella che sembrava portasse nel retro.
Chiusa. Quando l’avevano chiusa? Non se ne era accorta.
Lei si muoveva in quel locale con aria disperata, chiedendo cosa stesse accadendo e tradendo, così, la sua naturale ansia e paura, se non addirittura terrore.
La calma ed il silenzio degli uomini che sembravano non accorgersi di lei, le diede il coraggio, o la disperazione, di chiedere aiuto.
Cercò l’attenzione dell’uomo verso il quale si diresse, ma ebbe paura quando la trovò nel suo sguardo.
“Taci, puttana”.

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