Romanzo storico

Scritto da , il 2020-01-02, genere incesti

Premessa
Dopo aver scritto tanti racconti, tutti di carattere pornografico, sotto vari pseudonimi e con alterne fortune, come tanti di voi mi hanno testimoniato, ho deciso di cimentarmi a scrivere un vero romanzo.
In quanto tale spazierà attraverso diversi generi. Tuttavia, ho deciso di pubblicarlo nella categoria Incesti, soprattutto perché è, da sempre, il genere che mi ha intrigato maggiormente.
La trama è legata a vicende storiche, ma è liberamente e licenziosamente rielaborata: i nomi di alcuni personaggi sono stati rivisti, per non attirare le ire di chi, prima e meglio di me, ha scritto di loro.


Panfila gettò un ultimo sguardo carico di odio verso Firenze, attraverso la bifora, che inondava la camera di un pallido sole, piccolo regalo del tempo in quel febbraio gelido. Poi si voltò:
“Dunque, non v'è speranza alcuna di poter distruggere i Medici?”
“No, madre! Non ora, almeno! Il popolo li ama, ma non mancano i nemici. Dovremo coltivarli ed aspettare il momento giusto per colpirli. Prima o poi, faranno un passo falso, qualcosa che faccia perdere loro il favore del popolo. Quello sarà il nostro momento!”
Panfila guardò con orgoglio quel ragazzo dallo sguardo e dai modi intelligenti e scaltri. Sapeva di poter contare su suo figlio come sul migliore dei suoi alleati, ma sapeva bene che questo aveva un prezzo e lei era disposta a pagarlo.
“Vieni qui, tesoro!”
Il ragazzo si avvicinò ed abbracciò la donna. Lei gli passò la mano nei lunghi capelli corvini e lo strinse, portandogli il capo sul seno.
“Come siete bella, madre!” esclamò Lutprando, posando un'occhiata bramosa sul seno splendido e quasi scoperto della donna. Lei si staccò da lui, quasi respingendolo: lo fulminò con uno sguardo fiammeggiante dei suoi grandi occhi neri e si voltò.
“Non ti credo!”
“Perché non mi credete, madre?”
“Perché un uomo che si sente veramente attratto da una donna, prima o poi, una pazzia la fa. Costi quel che costi!”
“Volete dire...”
“Voglio dire che non hai nenache tentato di baciarmi!”
Panfila sapeva come provocare gli uomini e conosceva da sempre l'insano desiderio del figlio: si sarebbe donata a lui. Cosa c'era, poi, di male? Erano un uomo ed una donna. Di più: lui era davvero l'unico uomo cui tenesse e se lui la desiderava come femmina, ebbene, l'avrebbe avuta. Sentii le braccia di lui cingerla e sentii la sua eccitazione premere sul suo culo. Sarebbe stato divertente anche per lei, pensò, mentre reclinava il capo all'indietro, offrendo il collo ai baci di lui. Si aspettava di andare incontro ad un uomo inesperto, disattento ai bisogni di lei ed orientato, unicamente, al proprio piacere. Fin dai primi baci, invece, Lutprando la fece fremere, come non le accadeva da tempo. Ormai, per lei gli uomini erano solo il mezzo per raggiungere i suoi fini. Ed il suo corpo era il prezzo con cui li pagava. Era solo una piccola nobildonna, con un feudo povero e debole, compresso tra i domini del Papa e i vassalli di Firenze: aveva bisogno di protettori potenti, che non avevano certo bisogno del suo patrimonio. Ma il suo corpo, quel corpo che ora Lutprando stava lentamente e dolcemente scoprendo, dopo averlo a lungo desiderato, quel corpo faceva ribollire il sangue a tutti gli uomini che fossero tali. Che fossero nobili, o arricchiti, o gente della più infima plebe: non c'era nessuno che l'avesse vista e che non la desiderasse.
Lutprando le mordicchiò il lobo dell'orecchio, strappandole un gemito.
I lunghi capelli neri, tra cui faceva capolino qualche timido filo bianco, incorniciavano un volto angelico, il cui carattere forte e deciso era tradito solo dai grandi occhi neri. Sotto al collo si apriva un meraviglioso seno, portato sempre in vista, come un richiamo, come un'offerta di alleanza.
Il giovane aveva preso a scoprirle le spalle, tirando sulle braccia le maniche e lasciando scivolare le spalline.
“Vuoi davvero congiungert con una vecchia?”
“Madre, siete la donna che più desdidero da sempre. L'unica che voglio in questo momento!”
Panfila era consapevole che molte sue coetanee non erano alla sua altezza: a 38 anni si cominciava già a sfiorire. Ma lei continuava a mantenere un fascino ed un'avvenenza fuori dal comune. Il vestito finii la sua corsa ai suoi piedi, lasciandola con indosso le sole lunghe mutande. Il capo ancora reclinato, il seno, ora, si offriva alla vista del figlio e lo invitava a tuffarsi. Lutprando non se lo fece sfuggire: con un movimento delicato ed energico al tempo, fece girare la madre verso di lui. Le loro bocche si cercarono, si unirono e le loro lingue danzarono insieme in un vorticoso ballo di lussuria. Le mani del giovane andarono ad incontrare i seni della madre, mentre lei gli carezzava il petto e la schiena, dosando con l'esperienza il percorso di avvicinamento al sesso di lui. Si meravigliò una volta di più di come il figlio sapesse rispettare i tempi dell'amore, dei preliminari che non fanno altro che anticipare il piacere col piacere.
“Dici di desiderare solo me, ma pare che tu abbia già avuto le tue esperienze.”
“Madre, non pensate certo che mi sarei presentato al vostro cospetto impreparato!”
“Non lo hai mai fatto. Per niente. E chi è la fortunata, o le fortunate?”
“Vi dirò chi è la mia preferita, madre. È la moglie di un mercante caduto in disgrazia. Ha quasi la vostra età ed è molto brava ad insegnarmi il sesso.”
“Lo vedo! Dovrò trovare il modo di ringraziarla.” le sue mani avevano raggiunto il basso ventre e si erano intrufolate nella calza maglia del figlio, che, piegato, ora mordicchiava i capezzoli, resi turgidi e prominenti dall'eccitazione. “Ho le mutande bagnate!” disse.
“Provvedo subito,madre!” Lutprando prese a sciogliere i lacci che stringevano quell'intimo, impedendogli di scivolare.
Quando fu completamente nuda, Panfila bloccò le mani del figlio.
“Ora tocca a me scoprire come sei fatto!
Con gesti sapienti, liberò il figlio dai vestiti e, quando anche lui fu nudo, lo condusse accanto al camino, nel quale fiamme rosseggianti sembravano festeggiare l'imminente congiunzione di quei due corpi così belli e desiderosi di piacere. Fece stendere il figlio sopra una pelle d'orso, che mitigava il gelo che saliva dal pavimento, accarezzò quel membro durissimo, complimentandosi col figlio per le dimensioni e la consistenza, infine se lo fece scivolare nella fica, sistemandosi in ginocchio sopra di lui. Si muoveva lentamente, con un movimento a pendolo, gli occhi piantati in quelli di lui, a vigilare che l'eccitazione non crescesse oltre misura troppo in fretta. Ma anche Lutprando non voleva che quel momento, tanto inseguito, si dissolvesse in un istante. Aveva imparato a controllare il suo corpo e sapeva che lasciar fare alla madre era il modo migliore per far durare il piacere a lungo, molto a lungo.
Lei si distese sul suo petto, senza che il cazzo di lui le scivolasse fuori. Mordicchiò i uoi capezzoli, poi ricominciò a muoversi, facendo sfregare il suo corpo su quello del figlio e, d'improvviso, sentii l'orgasmo che le montava come un fuoco dentro. Guardò Lutprando ed il giovane era sereno: non c'era mai stato, fino ad allora, nessun uomo che l'avesse fatta venire prima che lui stesso venisse. Ma sentiva di non poter arrestare quel processo: il suo corpo s'irrigidì, poi fu colto da fremiti e convulsioni, mentre la sua voce si levava in un urlo incontrollato. Le sue unghia penetraronio nella pelle del petto di Lutprando, che strinse i denti silenzioso. Sentii quella sensazione di vita che sfugge, di corpo reso insensibile, poi più nulla per alcuni istanti. Fino a riprendersi distesa accanto al figlio, la bocca incollata alla sua e la mano stretta al suo cazzo ancora duro. Gli sorrise.
“Vieni! Vieni dentro di me!”
Lutprando salii sul corpo della madre e le gambe di lei si chiusero sul suo culo come una morsa, impedendogli, quasi, di compiere quel movimento che pure tutti e due desideravano. Eppure, in quel modo, Panfila aggiungeva la forza delle sue gambe alla vigoria del figlio, che le sembrava che quel cazzo volesse penetrarla da parte a parte ad ogni affondo. Si guardarono negli occhi: stavolta videro che l'orgasmo arrivava per entrambi. Si scambiarono un muto incitamento, mentre si stringevano ancora di più, fino ad annullarsi in un solo corpo, sconvolto da movimenti inconsulti.
Restarono uno nell'altro ancora a lungo e solo le fiamme, che lentamente si spegnevano nel camino, indussero Lutprando ad alzarsi per aggiungerci legna. Panfila ne approfittò: inginocchiata prese il cazzo del figlio e se lo portò alla bocca. Poteva sentire ancora il sapore dello sperma di lui, mischiato a quello dei suoi umori. Lui la sollevò e la fissò negli occhi:
“Mia madre! La mia donna!” disse, suggellando quell' impegno con un baciò, cui lei rispose prontamente.

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