Fine di un rapporto
di
Ripe (with decay)
genere
sentimentali
Io e mia moglie non siamo più marito e moglie.
Lo abbiamo certificato, ne abbiamo preso atto, diviso le strade.
Per abitudine e incapacità di affrontare il futuro, ormai più vecchi che giovani, condividiamo il mutuo due figli e nient'altro. Sembriamo volontari in comunità che prestano servizio insieme.
Almeno questi nello svolgimento del ruolo si salutano, scambiano impressioni sul tempo, pareri sulla malapolitica. Noi no. Siamo divisi dagli asti e dai rancori accumulati in una vita intera. Vale lo stesso discorso dell'informazione che si getta a capofitto su notizie di morte e distruzione perché sono quelle le notizie che attraggono l'attenzione e vengono memorizzate. In una coppia usurata conta di più il breve scambio di battute cattive di un mese prima piuttosto che tutto il bene di un anno.
Però anche la convivenza forzata ha i suoi lati negativi.
Se in precedenza facevamo tutto in due, compresa la banalissima spesa – o quantomeno le davo la carta, adesso diventa tutto più difficile. A me non viene di lasciargliela sul ripiano del tavolo, a lei di prenderla. Ma il mio problema è che sono un disadattato a fare la banalissima spesa se non vengo eterodiretto tramite messaggistica.
Così un giorno abbiamo trovato l'escamotage. Dopo mesi di astinenza ci siamo rimessi a fare l'amore. Dopo l'amplesso io le lascio i soldi sul comodino. Più ne servono in casa, più facciamo l'amore.
Subito è stato come mettere in fila due pesci morti. C'era disprezzo: sguardi che non si sfioravano, corpi immobili, orgasmi trattenuti inutilmente. Poi abbiamo gettato la maschera, la passione fisica ha iniziato a travolgere questi incontri impuri e clandestini consumati sotto il tetto di casa nostra. Le spese aumentavano, le richieste di soldi non erano mai state così sollecite. Ed io correvo a fare bancomat su bancomat.
Fino a che sulle sue labbra, mentre diventava tutta rossa – le labbra gonfie, il fuoco sulle guance, gli occhi languidi annegati nel piacere – mentre ansimava ed aveva un bel fingere che non stesse godendo da morire, è affiorato il principio di tutto. Ha sospirato “Ti...”. Nient'altro.
Sono venuto dentro di lei, l'ho fissata per un minuto, ho annuito.
“Sì”, ho confessato. “Anch'io ti amo”.
Lo abbiamo certificato, ne abbiamo preso atto, diviso le strade.
Per abitudine e incapacità di affrontare il futuro, ormai più vecchi che giovani, condividiamo il mutuo due figli e nient'altro. Sembriamo volontari in comunità che prestano servizio insieme.
Almeno questi nello svolgimento del ruolo si salutano, scambiano impressioni sul tempo, pareri sulla malapolitica. Noi no. Siamo divisi dagli asti e dai rancori accumulati in una vita intera. Vale lo stesso discorso dell'informazione che si getta a capofitto su notizie di morte e distruzione perché sono quelle le notizie che attraggono l'attenzione e vengono memorizzate. In una coppia usurata conta di più il breve scambio di battute cattive di un mese prima piuttosto che tutto il bene di un anno.
Però anche la convivenza forzata ha i suoi lati negativi.
Se in precedenza facevamo tutto in due, compresa la banalissima spesa – o quantomeno le davo la carta, adesso diventa tutto più difficile. A me non viene di lasciargliela sul ripiano del tavolo, a lei di prenderla. Ma il mio problema è che sono un disadattato a fare la banalissima spesa se non vengo eterodiretto tramite messaggistica.
Così un giorno abbiamo trovato l'escamotage. Dopo mesi di astinenza ci siamo rimessi a fare l'amore. Dopo l'amplesso io le lascio i soldi sul comodino. Più ne servono in casa, più facciamo l'amore.
Subito è stato come mettere in fila due pesci morti. C'era disprezzo: sguardi che non si sfioravano, corpi immobili, orgasmi trattenuti inutilmente. Poi abbiamo gettato la maschera, la passione fisica ha iniziato a travolgere questi incontri impuri e clandestini consumati sotto il tetto di casa nostra. Le spese aumentavano, le richieste di soldi non erano mai state così sollecite. Ed io correvo a fare bancomat su bancomat.
Fino a che sulle sue labbra, mentre diventava tutta rossa – le labbra gonfie, il fuoco sulle guance, gli occhi languidi annegati nel piacere – mentre ansimava ed aveva un bel fingere che non stesse godendo da morire, è affiorato il principio di tutto. Ha sospirato “Ti...”. Nient'altro.
Sono venuto dentro di lei, l'ho fissata per un minuto, ho annuito.
“Sì”, ho confessato. “Anch'io ti amo”.
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