I colloqui

di
genere
sentimentali

Deplorava le istituzioni démodé della scuola del secondogenito.
Con la grande non c’era bisogno di presenziare ai colloqui. In teoria bastava dotarsi di una connessione e sarebbe stato possibile collegarsi anche dai bagni – a patto di nasconderli un po'. Invece quella scuola invocava in modo franco la presenza e il contatto umano tra docenti ed insegnanti contro ogni logica dell’alienante astensionismo proposta dal modello dei social media. E si trattava comunque di un istituto tecnico.
Non era in disaccordo in linea di principio. Però le piattaforme che consentivano di riunirsi da remoto erano infinitamente più comode e meno stressanti. Se poi quello stronzo di suo marito avesse partecipato la cosa sarebbe risultata più facile.
Ma si trattava della prima consultazione del triennio e non avrebbe fatto nulla di inopportuno che potesse gettare contrasti sul percorso scolastico del ragazzo. Oltretutto con sua sorpresa c’era qualche scricchiolio di troppo nelle materie umanistiche. Sentiva l'urgenza di dissipare alcuni dubbi.
I corridoi della scuola rigurgitavano di genitori. Quel giorno era stato proclamato uno sciopero nazionale e a quanto sembrava quasi tutti i bidelli – o collaboratori scolastici, come aveva precisato l’unico presente – avevano aderito. L’unico presente quindi, arroccato alla scrivania antistante l’ingresso dove si buscava la sua quota di freddo e allietato da uno striminzito alberello di natale, era subissato di richieste a cui non riusciva a far fronte. I genitori gli roteavano intorno in massa come un gregge spaurito. Lasciò perdere.
Trovò l’aula del primo della serie di appuntamenti e ci si piazzò con fare battagliero. Durante l’attesa vide passare e ripassare anime in pena di perduti che ogni volta obbligati a ripetere infruttuosamente il giro diventavano sempre più confusi e disperati.
Superato il primo girone imboccò quel medesimo corridoio fino in fondo dove si aprivano tre porte. Qui si imbatté in una madre che conosceva e con cui scambiò pareri e notizie fresche dai loro angusti mondi. Ad attenderla c’era l’insegnante di lettere e storia. Mentre discuteva allungò il collo per sbirciare dentro.
Vide una signora allampanata, con occhiali dalla montatura solida ma eleganti. Era in là con gli anni ma il portamento incuteva rispetto. Una bella signora, dalla voce profonda. Non combaciava con il ritratto turpe che le aveva presentato il ragazzo. Dall’altro lato un docente più giovane: non c’era nessun genitore davanti a lui o in attesa.
Era terza nella lista degli appuntamenti. Cercò di capire se ci fosse la possibilità di infilare nel mezzo un altro colloquio. Guardò le aule al di là delle due porte adiacenti. Il respiro le si mozzò.
Proprio in faccia alla porta, e scenograficamente circondato dalla luce invernale che penetrava dalle finestre alle sue spalle, un ragazzo che poteva avere una manciata di anni più dei suoi studenti si annoiava davanti allo schermo di un tablet. Era largo di spalle, il volto squadrato e volitivo, gli occhi da predatore, la mascella scattante ad ogni passaggio del pensiero dentro quella testa incoronata di lunghi capelli di seta continuamente stuzzicati dalle mani forti e complesse…
Dopo anni che non provava una sensazione simile, il mondo attorno a lei perse colore e consistenza. Anche la mamma che le parlava era irreale come un fantasma e le sue parole un fruscio di foglie. Le rispondeva a casaccio e probabilmente stava collezionando una figura di merda di quelle epocali. Si capiva che stava fissando quel figo? Rabbrividì quando si accorse senza possibilità di dubbio di essersi bagnata.
Si era bagnata! Ondate di caldo e di freddo si alternavano dentro di lei e in tutto quel vortice la sua vagina pulsava come se dita sapienti la stessero stuzzicando. Era di una bellezza fenomenale.
Udì il cognome del marito pronunciato a voce alta, forse perché non era la prima né la seconda volta che la chiamava. Ascoltò quanto la docente aveva da comunicare in modo distratto. Continuava a guardare verso la porta per paura che da un momento all’altro ne uscisse lui per dileguarsi per sempre.
“Aspetta qualcuno?”, chiese la prof visibilmente contrariata.
“Mio marito”, mentì. “Non credo riuscirà ad arrivare in tempo”.
Al contrario di quanto si era proposta non interloquì, ascoltò la condanna in silenzio agitato.
Appena fuori, col cuore che le rullava in petto una musica tribale, si rassettò alla bell'e meglio, dando anche una scossa ai capelli per sembrare un po' più sbarazzina. Facendo scivolare giù lungo il proprio corpo lo sguardo trovò disdicevole quella pancia da età troppo matura, quelle vesti dimesse che non accentuavano nulla delle sue care forme sensuali. Avesse portato almeno la gonna! Le gambe ormai erano tornite e formose più di quanto desiderasse, ma più di un uomo anche da sposata e madre aveva commentato positivamente le sue forme generose. E le scarpe… perché aveva rinunciato così presto a indossare i tacchi alti? Certo, ogni volta per i suoi piedi era un martirio, decapitati all’altezza del collare, gonfi e tumefatti come melanzane…
Recuperato un minimo di coraggio si affacciò. Il giovane distolse l’attenzione. Sorrise. Dio, era un Adone, un attore di Hollywood, il figlio di una santa e di un demone! E lei era ancora bagnata, bagnata! Non le era mai capitato prima di allora, ed era una sensazione piacevolissima.
Protese un dito, mormorando “Lei è…?”
Il giovane disse un nome. Corrispondeva a quello del professore di scienze motorie. “Ah, lei è la madre di Alessandro, piacere”.
Le porse la mano. Aveva una stretta calda e potente. Si lasciò avvolgere: avrebbe desiderato che un fuoco improvviso fondesse le carni. Poi, trasognata, immaginò un altro calore, un’altra carne esplorata e bruciata dalla lussuria…
«Sei impazzita», pensò. Non c’erano altre spiegazioni a quanto stava succedendo.
“Le chiudo le finestre”.
Lo ammirò da dietro. Squadrò le spalle larghe, il culo sodo, le gambe atletiche esaltate dai jeans stretti. E quando si girò…
Quando si girò per tornare al banco i suoi occhi si inchiodarono all’altezza dell’inguine. Un pennone flaccido occupava metà del girovita: un’asta portabandiera che se una femmina come si deve si fosse prodigata a risvegliare dal sonno l’avrebbe impalata in una lunga agonia di piacere. Tutta – quel membro virile l’avrebbe riempita tutta meravigliosamente. Andò in botta totale.
“Qualcosa non va?”, chiese premuroso.
Avvampando come una ragazzina distolse lo sguardo e scosse la testa, volgendo gli occhi altrove. Per l’imbarazzo e l’eccitazione non riusciva ad aprire bocca.
“Non ho niente da dire sul ragazzo”, ruppe il ghiaccio il professore. Magari averlo avuto, uno così, quando era al liceo! “È sempre sul pezzo, gli piace fare attività, e predilige gli sport di gruppo”.
«Dì qualcosa, maledetta!», pensò freneticamente, consapevole di essere già in odore di congedo. “Mi sembra che a volte abbia difficoltà a fare amicizia, è un po' chiuso…”
Il giovane arricciò le labbra in una smorfia deliziosa. Chissà com'era l’espressione del suo orgasmo… Accavallò le gambe, cercando di offrire un contegno più appropriato, ma non le riusciva. Sentì nuovamente le guance avvampare. Una fantasia troppo fervida l'aveva fatta immaginare sotto di lui mentre la scopava come un toro da monta. “Posso assicurarle che non è così. Forse per una donna – è più difficile interpretare le ragioni di un adolescente”.
Aveva detto donna con un tono ed una sospensione nella prosecuzione della frase che l’avevano caricata di sottintesi probabilmente esistenti solo nella sua immaginazione. Allarmata, chinò il capo. Anche sotto strati di tessuti coglieva la pressione dei capezzoli. Erano visibili? Si augurò di sì, e se lo augurò come fosse un fatto di vitale importanza. Desiderava rivelare la sensualità del momento a quel meraviglioso modello di bellezza affinché lui corrispondesse. E in una frazione di secondo, alla domanda se avrebbe mai potuto tradire suo marito per un’unica volta di ardente passione, rispose senza esitazioni e reticenze: sì.
Sbottonò il maglione, la camicetta, suggerì quel décolleté da cinquantenne che faceva ancora girare la testa ai passanti. Lui se ne accorse, ma fece finta di niente. Non le comunicava scherno o rifiuto: un lieve rossore risalì la punta delle orecchie. Aveva distolto subito lo sguardo perché avrebbe desiderato lasciarlo ancora lì, sullo spazio visibile di pelle in mezzo al seno che le braccia incrociate a bella posta esaltavano alla curiosità maschile.
«Piccola troietta», si complimentò con sé stessa. «Hai fatto centro!»
E all’improvviso la fantasia lasciata libera di galoppare annullò la distanza che li separava, disintegrò l’opposizione del banco, disciolse loro addosso abiti e intimo, li coinvolse nudi e trepidanti in un amplesso dove lei condusse le danze seduta sulle gambe muscolose, spingendo quell’arnese immenso dentro il corpo, godendo come non le era mai capitato, alla vista scandalizzata dei genitori fuori dell’aula, alla scoperta dell’adulterio da parte di suo marito, immortalati l'indomani da immagini catturate dietro l’angolo o da video espliciti completi di sonoro…
“Signora, non si sente bene?”
Mise a fuoco gli occhi sullo splendido viso corrucciato da uno strano sorriso. “Mi chiami Barbara” esalò in un trepido sospiro. “No, sto benissimo… benissimo”.
Si salutarono.
Completò i colloqui senza ascoltare una parola. Sgusciando nell’aria fredda della sera per raggiungere l’auto le sembrava di camminare in modo strano. Era un disastro in mezzo alle gambe. Fantasticò per l’ultima volta.
Ecco, questo non le era ancora capitato.
Che una fantasia erotica la facesse venire...
E non se n'era neppure accorto! Possibile che quella bellezza fosse un dono di Dio dato ad altri uomini?
scritto il
2025-12-14
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