Incontri pericolosi

di
genere
pulp

Avvertenza: è pesante anche per questa sezione specifica. Ma il finale non ve lo aspettereste...

L’aveva scopata, sfondato il culo, messo in bocca e finito venendo in mezzo alle tette.
Ammirò la collana di perle del suo sperma intorno al collo. Schizzi le bagnavano il mento, colavano dalle guance. In ginocchio su di lei cercava di riprendere fiato dopo lo sforzo.
“Grazie, mamma”, ansimò.
Nessun’altra come lei lo faceva godere in quel modo, nessuna lo amava più di lei. Per questo lo tormentava il rimorso di essere stato così precipitoso.
La prima volta che aveva avuto un rapporto sessuale era stato con sua madre.
Lui aveva ventotto anni, lei cinquantasei.
Lei non voleva, lui l’aveva costretta con la forza.
Da quando aveva memoria si era sempre masturbato guardando di nascosto e con foto rubate dal cellulare. Infine aveva deciso di stuprarla.
Dopo, mentre la madre singhiozzava disperata, nuda, sdraiata sul letto della violenza, il seme del figlio che le colava dal sesso, lo sguardo di lui rapito in contemplazione del trionfo, l’aveva raggiunta da tergo e dopo aver mormorato “Mamma, perdonami” con un rapido affondo le aveva tagliato la gola da un orecchio all’altro.
La scomparsa era stata denunciata due giorni dopo – il tempo di ripulire e sbarazzarsi del cadavere.
I sospetti lasciati cadere sull’ex marito e padre avevano convinto della liceità della pista. Lo scempio non era avvenuto in casa della madre, ma in quella del figlio di cui nessuno era a conoscenza poiché il contratto di affitto irregolare e il proprietario un poco di buono. Suo padre soffriva di turbe mentali ed era un delinquente. Dallo stalking all’accusa di omicidio il passo fu breve.
Ma in quell’intervallo tra lo stupro e il vilipendio si era cimentato nella mutilazione dei genitali, nello scalpo del cranio, nella rimozione della pelle del seno e del sedere. La laurea in medicina lo aveva aiutato. Si era laureato con l’unico scopo di mettere in pratica i suoi sogni erotici.
Ora sua madre viveva come parte integrante di una bambola di caucciù dove i suoi lineamenti e la sua anatomia sexy duravano per sempre.
Avevano dovuto aspettare il quarto omicidio per soprannominarlo «il conciatore». Gli piaceva. E dopo quel battesimo ne erano seguiti altri dodici, tutti perpetrati con le stesse modalità di esecuzione, la stessa industriosità.
La casa dove evitava di bazzicare troppo spesso – vale a dire quando voleva fare l’amore con sua madre e, di tanto in tanto, con le altre ragazze – era un museo di sex toy a grandezza naturale rivestite in pelle.
Adesso era un po' che non ci andava.
Un giorno si era intrufolato senza preavviso quel vecchio bastardo del padrone. Aveva le chiavi. Se ne stavano uno di fronte all’altro, uno il coltello in pugno – quel coltello che aveva già ucciso.
Il vecchio si era guardato in giro come se nulla fosse. “Certo che sei bello strano”, aveva commentato. Poi si era fatto un tour. “Quanto vuoi per una”.
“Non sono in vendita”.
“Posso usarle”.
Ci aveva pensato su. Aveva annuito. “Un mese di affitto. Tranne lei”, indicando la madre.
“Quante volte al mese?”
Si erano accordati. Non aveva nulla da temere, se non che diventasse loquace. Ma poiché era uno stronzo solitario che non conosceva nessuno il loro comune segreto li legava in un patto indissolubile.
E adesso era un po' che non ci andava.
Lui sapeva perché. Sapeva il motivo che lo teneva lontano e lo spingeva a buttarsi in strada.
Aveva bisogno di una nuova compagna.
Nel parco incontrò una donna che faceva jogging. Avrà avuto quarant'anni. Era tonica ma un po' in carne. Gli ricordava sua madre a quell’età. Tutte le ricordavano sua madre.
Le fece la posta. Per giorni e giorni ne studiò gli spostamenti. Si mostrava alla luce del sole affinché quella prendesse familiarità. I loro sguardi si incrociarono. Scambiarono dei sorrisi.
Quando decise di uscire allo scoperto lei indossava una canottiera e aveva il seno nudo. Lo stava esaminando. Era piccolo, non avrebbe avuto difficoltà. Era sudata e intuì da come la polpa della fica premeva contro gli shorts che non indossava slip.
Scambiarono un saluto imbarazzato, presero a parlare. Lui era intelligente, sapeva come condurre una conversazione brillante ed affascinare una donna.
Al quarto incontro nel parco le chiese un’ora insolita. Al tramonto non c’era quasi nessuno.
Vicino ad una forra selvatica ricca di recessi ombrosi la tramortì con una pietra, poi dovette trascinarla di peso.
Spogliata era uguale a sua madre. Iniziò a stuprarla non appena riprese i sensi. Aveva la nuca deturpata ed era zuppa di sangue. Al primo tentativo di resistenza la colpì con un pugno, un secondo. Era inebriato dalla violenza. Non vedeva l’ora di guardare il suo sperma schiumare dentro quella fica fottuta. Poi accadde qualcosa che non si aspettava.
La troia lo avvolse in un abbraccio. Sotto di lui, contusa, intontita, accelerò il movimento, prese le redini dell’amplesso. Gemette, rantolò, urlò durante l’orgasmo.
Sentendo attorno al cazzo le contrazioni di colpo venne anche lui. Non era mai successo.
Gli dispiaceva perdere quella novità, ma non poteva farne a meno.
Cercò il coltello. Non lo trovò. Vide la lama balenare davanti a lui prima che la donna gli trafiggesse un occhio per raggiungere il cervello. Ebbe un rapido moto convulsivo prima di crepare.
La donna gettò il corpo di lato. Accarezzò la sua fica e leccò quello che lo sconosciuto le aveva donato. Il sapore della sua sborra era sapido e con un retrogusto amaro. Bevve fino all’ultima goccia.
Questo non se l’era aspettato.
Prima che la tramortisse con l’intenzione di stuprarla. Poi la scoperta del coltello. Il suo era negli abiti che gli aveva strappato di dosso. Ma per fortuna non se n’era accorto.
Gli prese il cazzo ancora caldo e turgido, lo recise insieme ai testicoli. Stasera sarebbe stata la sua cena.
Anche lei aveva un soprannome.
La chiamavano «la mangiatrice di spade».
scritto il
2025-12-13
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