Sonia & Tommaso - Capitolo 11: La Lunga Notte di Sonia

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genere
tradimenti

Con le gambe molli e la fica ancora pulsante, mi affrettai a recuperare il mio abito. Il miniabito aderente mi si appiccicò addosso, quasi un sudario per la mia carne macchiata. Il perizoma strappato lo lasciai lì, un simbolo eloquente della notte appena trascorsa. In cortile; l'aria fredda del mattino, fece rabbrividire la mia pelle calda.
Tommaso, il mio Tommaso, giaceva ancora legato e addormentato, un peso inerme. I due bastardi lo liberarono e lo sistemarono accanto a me sul sedile posteriore, senza alcuna delicatezza.
Durante il viaggio di ritorno, la rabbia mi montò dentro, un fuoco che mi bruciava le viscere. "Avete esagerato, stronzi!" urlai, la voce roca e spezzata, rivolgendo i miei insulti a Mario ed Enzo. Ma loro si scambiarono un'occhiata divertita e sprezzante che mi fece ribollire il sangue.
"Tu sei la nostra puttana," mi ricordò Mario, con un tono che non ammetteva repliche, "e tu ce l'hai detto. Ti è piaciuto, ammettilo." Enzo annuì, un sorriso compiaciuto sulle labbra.
La mia rabbia si trasformò in una furia cieca. Non ero una vittima, ma ero in trappola.
Il viaggio di ritorno fu silenzioso, rotto solo dal rumore del motore. Arrivammo in hotel, e la luce fioca della hall mi ferì gli occhi. Come l'altra volta, Mario ed Enzo portarono Tommaso di peso su per le scale, il suo corpo che si muoveva come un fantoccio. Il portiere di notte, un uomo anziano, ci guardò con un'espressione perplessa. "I giovani d'oggi," disse Mario con un tono scherzoso, mentre Enzo annuiva con un sorriso complice, "non reggono più l'alcol!" E il portiere scosse la testa, ignaro di ciò che era successo realmente.
Una volta in camera, Tommaso venne gettato sul letto, la sua testa che affondò nel cuscino. Mario ed Enzo mi si avvicinarono. Il mio corpo, ormai addestrato, seppe cosa fare. Mi fecero appoggiare ai bordi del letto, i palmi delle mani premuti contro il materasso, le natiche sollevate, il mio culetto esposto e pronto.
"Ora si finisce il lavoro," disse Enzo, la sua voce bassa. Il suo cazzo premette contro il mio ano. Sentii il suo pene farsi strada con una facilità che mi fece vergognare e, al tempo stesso, eccitare. Mi inculò con un ritmo lento, quasi metodico, e sentii i suoi testicoli sbattere contro le mie natiche ad ogni spinta. I miei gemiti erano quasi impercettibili, soffocati dal cuscino. Tommaso mugugnava nel sonno, un suono flebile che, anziché colpa, alimentava il piacere perverso del tradimento a portata di mano.
Poi fu il turno di Mario. Il suo cazzo era sempre il più grosso, il più soddisfacente. Mi penetrò con una forza brutale, e sentii la mia carne lacerarsi e poi arrendersi, stringendolo. Mi inculò con una furia possessiva, ogni spinta un pugno nello stomaco, facendomi venire le lacrime agli occhi per il dolore misto a un piacere così intenso da essere quasi insopportabile. Ero la sua puttana, e lui me lo stava dimostrando fino all'ultimo respiro della notte. Venne con un ringhio strozzato, riempiendomi fino all'orlo.
Si sfilarono, lasciandomi lì, il corpo scosso da spasmi, il culetto bruciante e colmo del loro seme caldo. Prima di uscire dalla stanza, Mario si avvicinò al letto. La sua voce era un sussurro freddo, una promessa che mi fece gelare il sangue e al tempo stesso accese una scintilla perversa: "Ci vediamo domani notte."
La porta della stanza si chiuse alle loro spalle, sigillando il mio destino per quella notte. Rimasi lì per un momento, le mani e le ginocchia ancora appoggiate al letto, il mio corpo dolorante ma strano, una miscela di intorpidimento e desiderio latente. La mia fica e il mio culetto bruciavano, un ricordo vivo di ogni penetrazione subita. Mario mi aveva lasciata con un "ci vediamo domani notte," una promessa che, pur facendomi gelare il sangue, intensificava la mia fame inesauribile di trasgressione.
Mi alzai, e mi trascinai in bagno. La luce fioca dell'antibagno illuminava a malapena la mia figura nello specchio. Ero uno spettacolo. Il vestito stropicciato, i capelli un disastro, e il mio corpo... sporco. Sporco della loro sborra, secca in alcuni punti, appiccicosa in altri, un ricordo visibile e tangibile di ogni uomo che mi aveva usata.
Aprii il rubinetto della doccia, lasciando che l'acqua calda mi cadesse addosso, un tentativo di purificazione che sapevo futile. Ma mentre l'acqua scorreva, le mie mani non si fermavano. Le mie dita scivolarono sulla mia figa, poi si aprirono e, con una facilità incredibile, entrarono nel mio culetto. Era come se fosse un'altra apertura naturale, così dilatata, così abituata. Pulii via la loro sborra, sentendo i residui secchi e appiccicosi sotto le mie unghie. Ogni tocco era un ricordo perverso, ogni pulizia un brivido. Mi strofinai con foga, quasi a voler cancellare la sensazione, eppure desideravo conservarla.
Una volta pulita, uscii dalla doccia, il corpo ancora pulsante e la pelle che emanava un odore acre e intimo che mi eccitava segretamente. Era ora di fare i conti con la realtà. Mi vestii velocemente con la biancheria da notte che avevo lasciato in bagno e controllai la mia borsetta. Dovevo togliere i preservativi, quelle prove schiaccianti che avrebbero rivelato tutto.
E lì, trovai qualcosa che non mi aspettavo affatto: soldi! Il mio cuore fece un balzo. Tommaso mugugnò nel sonno dall'altra stanza, ma io ero in un altro mondo. Mi chiusi in bagno, la porta a proteggere il mio segreto. Li contai, le dita tremanti. Erano un migliaio di euro!
E non era finita. Sotto quei soldi, due piccole bustine di cocaina, piene, intatte. Un sorriso sorpreso, quasi estatico, si disegnò sul mio volto. Mario ed Enzo non mi avevano solo usata, mi avevano anche pagata in un modo che andava oltre ogni aspettativa, un tacito riconoscimento della mia sfrontatezza.
Nascosi tutto in un angolo sicuro della mia valigia, sotto un mucchio di vestiti. Poi, con il corpo stanco ma l'anima in fibrillazione, mi infilai nel letto accanto a Tommaso, il suo respiro regolare che mi accarezzava. La notte era finita, ma la mia trasformazione, era appena iniziata, spingendomi verso una libertà che non potevo più ignorare.
Mi svegliai, la luce fioca del mattino che filtrava dalle tende. Il mio corpo era indolenzito, ogni muscolo che protestava per la notte folle appena trascorsa, ma c'era anche un calore strano, una sorta di appagamento perverso. Mi stiracchiai lentamente, sentendo il lenzuolo appiccicarsi alla mia pelle.
Ho girato la testa e ho visto Tommaso. Dormiva ancora, profondamente. Era quasi mezzogiorno, ma lui era immobile, il respiro lento e regolare. Un lampo di preoccupazione mi ha attraversato la mente: e se non si fosse svegliato? E se avessero esagerato con quella roba? Il pensiero mi ha gelato il sangue. Il mio piacere non poteva valere la sua vita.
Ho allungato la mano sul comodino, prendendo il telefono. Distrattamente, l'ho sbloccato e ho visto un messaggio. Era di Mario. Il suo tono, come al solito, era diretto, offensivo e volgare. "Allora, puttanella, spero tu ti sia divertita. Ora tocca a te fare la tua parte." Ho letto avidamente, ogni parola che mi entrava dentro. Mi spiegava cosa dovevo fare con Tommaso. "Dovrai fargli credere che vi siete divertiti un mondo," diceva il messaggio. "Che ha ballato come un matto tutta la notte e poi, ubriaco e stanco fradicio, è crollato a letto. Devi essere convincente, cazzo, in modo che si possa replicare questa sera stessa." E poi, la richiesta che mi ha lasciata perplessa: "Mi serve il numero di Tommaso."
Ho riletto. Il suo numero? E perché quella fretta di replicare? La preoccupazione per Tommaso è tornata a farsi sentire, più forte di prima. Non era normale che dormisse così tanto. "Non avrete esagerato con la droga?" gli ho scritto di getto, le dita che tremavano leggermente sullo schermo. La risposta è arrivata quasi subito: "Non preoccuparti, puttanella. Sappiamo quello che facciamo."
E, come per magia, quasi a voler confermare le sue parole, un mugolio sommesso ha rotto il silenzio della stanza. Tommaso ha iniziato a muoversi, stiracchiandosi lentamente. Il mio cuore ha fatto un balzo. Era sveglio. La mia preoccupazione è svanita, sostituita dal piacere perverso di recitare la mia parte.
Mi sono avvolta a lui, sentendo il suo calore contro la mia pelle ancora impregnata di chissà quanti odori. Ho iniziato a coccolarlo, a sfiorargli i capelli, il petto. "Amore," ho sussurrato, la voce carica di affetto forzato, "hai dormito come un sasso! Che nottata, vero? Grazie per la bellissima serata, mi sono divertita un mondo!" Ho appoggiato la testa sul suo petto, fingendo un sospiro di felicità.
Tommaso ha aperto gli occhi, ancora un po' intontiti. Mi ha guardata, confuso. "Nottata? Ma... io non ricordo niente, Sonia." Ha aggrottato la fronte, cercando di afferrare i ricordi che gli sfuggivano.
Ho riso, una risata leggera, quasi spensierata. "Ma dai, amore! Avevi bevuto così tanto! Ti sei scatenato, eri un animale in pista!" Ho mentito spudoratamente, la mia voce che suonava così innocente, così convincente. "Anche Mario ed Enzo si sono divertiti un mondo con te! Sono stati davvero simpatici e spassosi, non è vero? Ho riso così tanto con loro." Ho stretto gli occhi, cercando di trasmettere tutta la mia finta gioia. Volevo che credesse alla messa in scena, ma soprattutto volevo che li vedesse come suoi alleati, non come nemici.
Sono andata in bagno, e la prima cosa che ho fatto è stata guardare il mio riflesso. Non ero più la Sonia di prima, quella ingenua. I miei occhi verdi, di solito così innocenti, ora brillavano di una luce maliziosa, una consapevolezza nuova.
Mi sono spogliata, sentendo l'odore acre e dolciastro di sperma che ancora mi impregnava la pelle, nonostante il lavaggio frettoloso di qualche ora prima. Ho aperto il rubinetto della doccia, lasciando che l'acqua calda mi accarezzasse il corpo. Mentre mi insaponavo, le mie dita hanno esplorato le mie parti intime. Ho sentito i miei buchetti oscenamente dilatati, la figa ancora leggermente gonfia e sensibile, il culetto che pulsava con il ricordo delle penetrazioni. Era tutto lì, indelebile, e la sensazione mi ha fatto gemere sommessamente. Non era più solo il piacere; era la prova tangibile del mio potere sulla mia vita precedente, una degradazione che, perversa com'ero diventata, mi eccitava tremendamente.
Uscita dalla doccia, ho dedicato del tempo al mio trucco, cercando di nascondere ogni traccia della notte insonne e folle. Un tocco di mascara per far risaltare gli occhi, un velo di lucidalabbra. Volevo apparire impeccabile, la perfetta fidanzata borghese.
Poi è stato il momento dell'intimo. Ho scelto un completo di pizzo bianco, quasi virginale, un contrasto stridente con la mia anima sporca. Il reggiseno a balconcino, leggermente imbottito, mi sollevava il seno sodo, rendendolo ancora più invitante. E le mutandine... un piccolo tanga di pizzo, con un fiocchetto al centro, che a malapena copriva il mio triangolino pubico scuro. Era così sottile che sentivo l'aria accarezzare la mia fica, e il ricordo di tutti quei cazzi che l'avevano riempita mi ha fatto venire un brivido. Mi piaceva l'idea che sotto quella apparente innocenza si nascondesse il mio corpo così usato, così voglioso.
Infine, l'abito. Ho optato per un vestito estivo in lino leggero, color azzurro cielo, che mi accarezzava il corpo senza stringere. Era semplice, elegante, l'ideale per un pranzo in un bel locale. Sotto i piedi, un paio di sandali bassi, quasi a voler minimizzare la mia figura, anche se sapevo che i miei piedi piccoli e snelli, con le unghie curate, avrebbero attirato sguardi. Ero la maschera della perfezione, pronta non solo a ingannare, ma a usare quell'inganno come preludio al mio prossimo atto di libertà.
Siamo arrivati al ristorante e lì, al tavolo, c'erano già Luca e Marco. Luca, con il suo sorriso affascinante e quegli occhi così penetranti, e Marco, con il suo fare più diretto e il sorriso bonario.
Appena ci siamo seduti, Marco non ha perso tempo. "Allora, Tommaso, Sonia! Bella nottata?" ha esclamato, con un tono scherzoso, ma i suoi occhi guizzavano divertiti anche verso di me.
Io, ho sfoderato il mio sorriso più smagliante, quello da fidanzatina innocente e felice. "Oh sì, Marco! È stata una serata indimenticabile! Tommaso si è scatenato, non stava fermo un attimo! Mi ha fatto morire dal ridere!" Ho mentito spudoratamente, la mia voce suonava così cristallina che quasi mi meravigliavo di me stessa.
Luca mi ha guardato in silenzio, i suoi occhi intensi che non mi lasciavano un attimo. Non ha detto una parola, ma ho sentito che mi stava leggendo dentro. Forse aveva capito che stavo mentendo, che ogni mia parola era una finzione. E in quel suo silenzio, in quello sguardo enigmatico, ho sentito un'altra scintilla, una promessa di complicità che mi ha eccitato profondamente.
Tommaso, il mio ingenuo Tommaso, ha creduto a ogni mia parola. Ha riso, contagiato dalla mia finta allegria e da quella di Marco. "Eh sì, ragazzi, a quanto pare mi sono dato alla pazza gioia! Peccato che non ricordi nulla, devo aver bevuto un po' troppo!" Ha scherzato, battendo una mano sulla spalla di Marco, completamente ignaro del baratro che si era aperto sotto i suoi piedi.
Io ho continuato a sorridere, la mia mano che si posava dolcemente su quella di Tommaso. La mia doppia vita, così perfettamente orchestrata, mi dava un brivido sottile e costante.
Dopo pranzo, mentre Tommaso era giù al bar dell'hotel con Luca e Marco, io sono salita in camera. Non vedevo l'ora di cambiarmi, di liberarmi di quegli abiti che ormai mi sembravano una maschera così sottile. Ma, in realtà, la vera ragione era un'altra: avevo bisogno di parlare con Mario, e di capire esattamente cosa aveva in mente per il mio ingenuo fidanzato.
Presi il telefono, le dita che tremavano leggermente per l'eccitazione e l'ansia. Avevo bisogno di risposte. Composto il numero di Mario, la sua voce, roca e inconfondibile, mi rispose quasi subito. "Pronto, puttanella?" Il suo tono era il solito: offensivo e volgare, eppure, perversa com'ero diventata, trovavo un che di eccitante in quella familiarità rude, un brivido di autenticità nella sua sfrontatezza.
"Ciao, Mario," risposi io, cercando di mantenere un tono gentile ma malizioso. "Dimmi un po', cos'hai in mente per stasera? Spero qualcosa di divertente." Non potevo nascondere la mia curiosità, né la sottile speranza che avesse preparato qualcosa di ancora più estremo.
"Non preoccuparti, piccola," ha ghignato. "Ho già in mente un bel programmino. E non ti preoccupare per il tuo fidanzatino. Telefono a Tommaso più tardi per 'replicare' la serata. E anche tu, Sonia, tienti pronta a replicare."
Un brivido mi ha percorso la schiena. L'idea di un'altra notte come quella, il mio corpo usato, umiliato, riempito... mi ha fatto venire un'ondata di calore che mi ha bagnato la figa. Non ho potuto fare a meno di ridere, una risata un po' stridula, carica di desiderio. "Sei un porco, Mario!" ho esclamato, e la sua risata sguaiata ha riempito il telefono.
"A proposito," ho continuato, cercando di far sembrare casuale la mia domanda, "quei 1000 euro... sono per me?" La curiosità era troppa, il denaro era il sigillo di quella notte.
"Certo che sono per te, puttanella," ha risposto Mario, quasi scocciato. "Sono il frutto delle tue marchette. Noi non siamo mica dei papponi, non abbiamo bisogno dei tuoi soldi." Le sue parole mi hanno colpita, un misto di sorpresa e una strana, perversa soddisfazione. Ero io che li avevo guadagnati, con il mio corpo, con la mia sottomissione.
"Oh, grazie Mario!" gli ho detto, un'insolita gratitudine nella voce. "Ma... chi erano tutti quelli? Voglio dire, in cascina. Eravate in tanti..."
"Basta spargere la voce in alcuni bar della zona," ha spiegato, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. "Che c'era una troietta vogliosa di cazzo pronta a farsi scopare gratis o quasi. La gente si è presentata in massa."
"Gratis o quasi?" ho chiesto, la mia voce un po' confusa. "Quanto pagavano?"
"La tariffa era cinquanta euro, fica o culo," ha risposto lui, senza esitazione.
Ho fatto un rapido calcolo nella mia testa. Se erano circa 1000 euro e ogni uomo pagava 50... "Ma allora," ho mormorato, sbalordita, "sono stati più di venti uomini!"
Mario ha riso, una risata sguaiata, piena di scherno. "Venti? Ma che dici, puttanella! Erano di più! Ai ragazzini non abbiamo fatto pagare, e nemmeno mettere il preservativo. E nemmeno i nostri amici hanno pagato, dunque… più di una trentina"
La sua frase è rimasta in sospeso, ma la sua implicazione mi ha colpita come un pugno nello stomaco. Più di... Trenta!? La mia testa ha iniziato a girare. Non ero solo una puttana; ero stata una macchina da soldi, un buco usato e abusato da decine di uomini. Non c'era da stupirsi se i miei buchetti erano dilatati, così sensibili, così aperti. La consapevolezza mi ha invaso, un misto di shock e una brama perversa che non potevo più negare.
Ho riattaccato, il telefono ancora caldo nell'orecchio. Ero stordita, ma in un modo strano, quasi estatico. Trenta uomini… trenta cazzi! Ero Sonia, la puttana, e la cosa mi stava piacendo da morire.
Le parole di Mario mi risuonavano in testa: "più di trenta uomini", "puttanella", "replica la serata". Era tutto così folle, così perverso, eppure il mio corpo fremeva all'idea. Il loro piano era semplice e brutale: coinvolgere Tommaso con una menzogna credibile e costringermi a ripetere la performance. Non era più solo sesso: era un gioco di potere e di menzogna, e io ero la protagonista perfetta di questa nuova, oscena vita.
scritto il
2025-12-04
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