Professionale

di
genere
etero

L’ingresso dell’hotel sembrava più una dichiarazione di potere che un semplice atrio: marmi lucidi come acqua immobile, lampadari che scendevano dal soffitto come cascate d’oro, e un profumo discreto, costoso, che insinuava l’idea di un lusso senza sforzo.
La mia agente non sbagliava mai un colpo: quando una cliente richiedeva eleganza, rispondevo presentandomi come una promessa impeccabile.
Camminai verso l’ascensore con passo sicuro, misurato, lasciando che il personale mi osservasse con quella curiosità silenziosa che riconosce chi è lì per ragioni… particolari. Il completo scuro avvolgeva la mia figura atletica con precisione millimetrica; la camicia bianca, tesa contro il torace e le spalle, sembrava respirare con me. Avevo sbottonato solo il primo bottone, il minimo per suggerire, senza mai concedere.
L’ascensore si chiuse alle mie spalle con un suono morbido. Premetti il tasto dell’ultimo piano e, mentre la cabina iniziava la sua risalita lenta e verticale, alzai lo sguardo verso lo specchio che mi occupava l’intera parete.
La mia immagine mi osservò con la stessa calma controllata che offrivo alle clienti: il cranio rasato, lucido sotto la luce soffusa; la mascella definita, tirata da un lieve accenno di tensione che non era nervosismo, ma concentrazione. Gli occhi — scuri, attenti — erano quelli di un uomo che conosce perfettamente il proprio ruolo e che non ha bisogno di conferme.
Le maniche della camicia tendevano sui bicipiti, disegnando linee decise; il tessuto seguiva i pettorali e si stringeva in vita, mostrando senza ostentare la fisicità che tanto spesso era la prima ragione per cui venivo scelto.
L’ascensore si fermò con un lieve sussulto. Le porte si aprirono su un corridoio silenzioso, attutito da un lusso che sembrava voler trattenere ogni suono. Camminai fino all’ultima suite, quella indicata dalla mia agente.
Il numero della porta era inciso su una placca dorata, e per un istante rimasi lì, in piedi davanti a essa, ascoltando il mio stesso respiro rallentare, come un rituale.
Alzai la mano.
E, un istante prima di bussare, mi permisi un ultimo respiro profondo.
Busso due volte, con quel gesto che deve essere deciso ma mai invadente.
La risposta arriva immediata, una voce femminile, controllata, leggermente bassa:

Spingo la porta e la chiudo alle mie spalle, lasciando fuori il silenzio ovattato del corridoio.
La suite è ampia, illuminata da luci calde e da un’unica grande finestra affacciata sulle strade del centro. È inverno, e il buio precoce riflette nei vetri la città come un mosaico di luci tremolanti.
La vedo.
E la riconosco all’istante.
Un volto che appartiene al mondo televisivo, a quella distanza dorata che tutti credono di conoscere. Dal vivo, però, è molto più bella: una donna sui quarant’anni, il tipo di fascino che non chiede permesso e non chiede conferme. Una bellezza adulta, consapevole, che sa esattamente cosa vuole ottenere.
Indossa un abito blu, elegante, sagomato senza esagerare. Le arriva alle ginocchia, lasciando scoperte gambe affusolate e una postura che parla di sicurezza. È in piedi vicino alla finestra, come se mi stesse aspettando già da qualche minuto, studiando il riflesso della città per calmare un desiderio che ora, da come mi guarda, non sembra più disposto a restare in silenzio.
Mi squadra lentamente, con un’attenzione quasi professionale.
Poi sorride, appena.
La sua voce scivola come seta tesa.
Accenno un sorriso rispettoso, impeccabile, come se la stessi sentendo per la prima volta. Nessun segno di riconoscimento; fa parte del mio lavoro, e lei sembra apprezzarlo, rilassandosi come chi sa di essere protetta da un’agenzia che non sbaglia mai un passo.
Fa un movimento appena visibile con la mano, un invito.
Mi avvicino.
Ci basta un istante.
Le sue labbra cercano le mie con una fame controllata, ma impossibile da ignorare. È eccitata, lo avverto dal modo in cui mi bacia, profondo, deciso, quasi come se volesse recuperare il tempo in cui aveva dovuto mantenere la distanza pubblica che impone la sua immagine.
Le sue mani scorrono subito sul mio torace, seguendo la linea della camicia tesa sui muscoli. Sento le sue dita stringersi con una certa urgenza, come se stesse verificando che il corpo che ha davanti sia reale, e non la proiezione idealizzata che si era immaginata.
Il suo profumo si mescola al mio respiro, un accordo caldo, intenso.
Mi avvicina ancora di più, tirandomi verso di sé con un gesto che tradisce tutta la sua impazienza, elegante, sì, ma ormai impossibile da trattenere.
Il suo corpo aderisce al mio con un desiderio che non ha più alcuna intenzione di essere nascosto.
Le sue labbra restano sulle mie mentre le mie mani scendono lentamente lungo i suoi fianchi, seguendo le linee del vestito blu che si tende leggermente sotto il mio tocco. Le sfioro le cosce dall’esterno, poi all’interno, con un movimento così graduale che la sento trattenere il respiro senza quasi accorgersene.
Trovo subito la sua pelle, calda, liscia, vibrante sotto la punta delle dita.
Lei si irrigidisce appena, sorpresa, desiderio, e il suo bacio diventa più profondo, più urgente. Le mie dita risalgono con lentezza misurata, come se stessi tracciando una strada che lei stessa aveva lasciato libera prima che arrivassi.
Quando scopro che non indossa le mutandine, sento il suo corpo fremere contro il mio, un piccolo tremito che vale più di qualsiasi parola.
Forse le aveva tolte mentre mi aspettava.
Forse aveva immaginato esattamente questo momento.
La mia mano si insinua tra le sue cosce che si aprono in un gesto inconsapevole, guidato solo dal bisogno.
La sua pelle si fa più calda, più morbida.
E quando la sfioro davvero, quando trovo quella tenerezza umida che mi accoglie immediatamente, la sento quasi sciogliersi contro il mio petto.
Raggiungo il punto dove il suo piacere si concentra, il suo clitoride, delicato ma già pulsante.
Il suo respiro si spezza.
Si stacca dalle mie labbra con un gemito strozzato, come se fosse stato strappato via da qualcosa di troppo intenso per restare in silenzio. Mi afferra la giacca, stringendosi a me con una forza che non avevo ancora visto in lei.
La bacio sul collo, lentamente, lasciando che le mie labbra scendano verso la curva della spalla.
Lei inclina la testa per concedersi, abbandonandosi completamente a ciò che le sto facendo, al ritmo delle mie dita, al calore del mio corpo che la sostiene.
Il suo gemito successivo è più profondo, rotto, un suono che dice tutto ciò che non può permettersi di dire ad alta voce.
La tengo stretta a me, senza cambiare ritmo, senza aggiungere nulla che possa spezzare quel fragile equilibrio in cui la sento già sul punto di cedere. I suoi gemiti diventano più rapidi, più irregolari, come se ogni respiro fosse una lotta tra il desiderio di trattenersi e quello di lasciarsi andare definitivamente. I suoi umori bagnano la mia mano, come unguenti profumati che annunciano il piacere, tanto atteso e desiderato.
Io non cambio niente.
Non accelero, non forzo.
La conduco soltanto, con calma concentrata, come se stessi seguendo una musica che esiste solo tra noi.
La sua fronte cade contro la mia spalla, le sue dita si stringono al tessuto della mia giacca con una forza improvvisa, quasi disperata. Capisco tutto senza che debba dirmelo: non vuole altro, non adesso. Vuole solo continuare a sentirsi guidata, avvolta, sostenuta.
Lei lo desidera.
Ne ha bisogno.
Il suo respiro si fa caldo contro il mio collo, poi irregolare, spezzato. Il suo corpo vibra, cerca di trattenere un’ondata che non riesce più ad arginare.
E io resto lì, saldo, presente, lasciandole tutto lo spazio per cedere a ciò che sta già salendo in lei da tempo.
Mentre la sento vibrare contro di me, mentre i suoi gemiti si fanno più rapidi e il suo corpo si abbandona sempre di più, avverto qualcosa che mi attraversa con forza: un’eccitazione crescente, profonda, impossibile da ignorare.
È una donna bellissima, questo sarebbe già abbastanza.
Ma non è solo questo.
Il fatto che sia un volto che vedo in televisione, impeccabile, irraggiungibile, sempre perfettamente padrona di sé, aggiunge una carica particolare al momento.
Vederla così, ora, stretta a me, con il respiro spezzato e fuori controllo… accresce tutto.
Il contrasto mi colpisce in pieno: la donna pubblica, quella sempre al centro dell’attenzione, ora è qui, con me, sciolta contro il mio corpo, completamente persa nel piacere che le sto dando.
E questo amplifica la mia eccitazione. Il cazzo si fa duro come il marmo stretto contro il suo corpo, pronto a divorarla.
La sento arrivare, piegarsi contro di me, cedermi tutto.
E più lei si abbandona, più io sento crescere quel fuoco che tengo a bada solo perché il mio ruolo, ora, è darle esattamente ciò di cui ha bisogno.
Il suo gemito finale mi scivola sulla pelle come un colpo di calore.
Rimane lì, tremante, il viso nascosto contro la mia spalla.
E io, eccitato, ancora pienamente teso dal desiderio che ho dovuto contenere, la stringo con calma… sapendo che la notte è appena cominciata.
La giro con delicatezza, ancora scossa dal piacere.
La sua schiena contro di me, e un sussurro le sfugge dalle labbra, un suono breve, vulnerabile, che tradisce quanto il suo orgasmo sia ancora vivo dentro di lei.
È ancora senza fiato, le ginocchia leggermente deboli, la pelle che palpita sotto la luce della città.
Si appoggia con entrambe le mani alla superficie trasparente, come se avesse bisogno di un punto fermo mentre cerca di ritrovare un po’ di controllo. Ma il modo in cui inclina il bacino, il modo in cui il suo respiro si spezza… dice chiaramente che non vuole davvero riaverlo, quel controllo.
Mi avvicino.
La mia eccitazione, quella che ho trattenuto mentre la guardavo cedere completamente, pulsa con una forza che non posso più ignorare.
E lei la sente, la riconosce dal modo in cui il mio cazzo in erezione si appoggia alla sua schiena, in un contatto che non ha bisogno di essere esplicito per essere chiaro.
Con entrambe le mani le sollevo lentamente la gonna del vestito, lasciando che l’aria fresca della stanza le sfiori la pelle ancora calda. Lei fa un respiro profondo, come se quell’attesa la stesse incendiando.
la mia erezione trattenuta solo dal tessuto dei pantaloni, abbastanza vicina da farle capire quanto la desideri, quanto la sua resa mi abbia colpito.
Lei inclina appena i fianchi, un gesto involontario, una richiesta silenziosa.
E rimane lì, appoggiata al vetro, respirando piano, pronta alla penetrazione che presto verrà.
Mi stacco da lei solo per un istante, quanto basta per liberarmi dai pantaloni.
E’ ancora davanti al vetro, le spalle contro il mio corpo, il respiro irregolare di una donna che non ha ancora ritrovato se stessa dopo l’onda che l’ha travolta.
Con il cazzo in erezione le sfioro le cosce, un lento movimento dal basso verso l’alto.
La sua pelle reagisce subito, un fremito che percorre l’interno delle gambe prima ancora che io arrivi al centro della sua attesa. Lei inclina leggermente i fianchi, un gesto tanto involontario quanto eloquente: mi vuole lì, mi vuole così.
Il mio corpo si avvicina al suo, caldo, teso, e lei lo percepisce senza bisogno di contatto diretto. Il solo sentirlo vicino la fa sussultare, come se stesse immaginando ogni dettaglio prima ancora di viverlo.
Con le mani le accarezzo l’interno delle cosce, poi salgo lentamente, allargandole le labbra con una delicatezza che contrasta con la tensione che scorre tra di noi. E’ completamente bagnata e pronta per essere penetrata.
Il suo respiro si spezza.
La testa le cade in avanti, come se quel semplice gesto la stesse già portando oltre.
Le dita trovano il punto dove la sua sensibilità si concentra, morbida, tesa, già pronta ad accogliermi in ogni modo possibile.
Le apro le labbra, faccio spazio al mio cazzo, e subito la sento piegarsi appena, come se il corpo si stesse arrendendo ancora prima che io faccia davvero qualcosa.
-Posso svuotarmi dentro di te- Le sussurro in un orecchio
-Siiii, fallo-
La mia eccitazione scorre contro la sua pelle, guidata dalla mia mano, sfiorando e insinuando senza oltrepassare ancora nulla.
Lei trattiene un gemito, sorpreso, quasi incredulo. Le dimensioni del mio cazzo fanno sempre impressione.
Si appoggia ancora di più al vetro, come se avesse bisogno di sostegno per reggere la penertazione che arriva subito.
Il mio tocco tra le sue gambe si fa più deciso, più mirato, mentre il mio corpo preme contro il suo con una promessa chiara, inevitabile, imminente.
L’azione combinata, la mia mano che lavora sul clitoride, il mio corpo aderente al suo ed il cazzo che inizia a scivolare facendosi largo dentro di lei, crea un ritmo che la trascina via.
Il suono che le sfugge non è un gemito qualunque, è un gemito profondo, spezzato, quasi ferito dalla sorpresa di un cazzo così grosso che le sta scivolando dentro, che sembra non finire mai.
Il suo respiro si frantuma contro il vetro; la testa le cade in avanti; le sue dita si irrigidiscono in una presa disperata, come se il piacere l’avesse travolta prima ancora che potesse prepararsi.
La schiena le si inarca contro il mio petto, un gesto istintivo, involontario, che dice tutto:
la sta attraversando, la sta riempiendo, la sta portando oltre.
I suoi gemiti diventano più rapidi, più irregolari, quasi non riesce a contenerli.
Per lei, quel momento sembra non avere un inizio né una fine, non era mai stata riempita in quel modo. Una marea che si alza e non accenna a ritirarsi.
All’inizio tenta di respirare a fondo, come se potesse resistere, ma è inutile.
Ad ogni colpo, il suo corpo sussulta, è una sensazione che la sorprende, più profonda, più piena, più totalizzante.
È come se non finisse mai.
Come se ci fosse sempre un altro strato da attraversare, un altro spazio dentro di lei che non sapeva nemmeno esistesse.
Il suo corpo lo vive in ondate:
La prima è stupore.
La seconda è resa.
La terza… puro smarrimento.
Non capisce più dove finisce il suo respiro e dove inizia il piacere. Si sente imprigionata in paradiso, le dita della mano che le toccano il clitoride, mentre con l’altra la tengo stretta contro di me, impalata sopra di me.
Le ginocchia le tremano, ma non cede.
Tiene le mani aperte sul vetro, come se quello fosse l’unico punto fermo rimasto in una stanza che ha iniziato a girarle intorno.
Ogni volta che il movimento riprende, lei inspira in modo spezzato, come se la sensazione salisse troppo, e poi… non scendesse mai.
Rimane lì, sospesa tra un gemito trattenuto e uno che le sfugge, incapace di decidere se vuole fermarsi o se desidera essere portata ancora più lontano.
Sente che non finisce.
Che non si esaurisce.
Che continua a crescere dentro di lei come una corrente calda che non ha intenzione di fermarsi.
E il suo corpo risponde: non con parole, ma con piccoli tremiti, con la schiena che si inarca, con il respiro che si fa corto, con quel modo in cui si abbandona contro il vetro come se fosse l’unica cosa che la tiene ancorata alla realtà.
È questo che la sconvolge:
non tanto l’intensità…
ma la durata.
La sensazione di essere presa completamente, senza che il piacere le dia tregua, senza che la lasci ritrovare la sua forma.
All’inizio credo di essere io a condurre il ritmo, a decidere intensità e profondità, come se l’equilibrio fosse tutto nelle mie mani.
Ma in realtà è lei che mi trascina dentro al suo piacere.
Perché appena la sento gemere così, con quella voce spezzata che non le avevo mai sentito, qualcosa in me si incrina.
Una parte di me prova ancora a mantenere il controllo, a respirare con calma… ma è inutile.
La sua risposta mi travolge.
Il calore del suo corpo, il modo in cui trema contro il vetro, il mio cazzo che scivola stretto dentro di lei, quel suono strozzato che le sfugge dalle labbra… tutto questo mi attraversa come un’onda, mi toglie l’equilibrio.
E all’improvviso sono io a perdere il ritmo.
Il respiro mi diventa corto, irregolare, quasi affamato; sento il cuore battere troppo veloce, come se avessi corso.
Dentro di me cresce una tensione che non riesco più a trattenere: un misto di desiderio, istinto e pura fame di lei.
Ogni suo movimento amplifica le mie sensazioni.
Ogni suo gemito mi accende ancora di più.
E quando la sento cedere, quando percepisco il suo corpo abbandonarsi al piacere… cedo anch’io.
Non sto più “facendo”.
Sto reagendo.
A lei, al suo calore, al modo in cui si arrende così completamente.
Mi accorgo che la stringo più forte, che il mio respiro caldo le scivola sulla nuca, che le mie dita si muovono più frenetiche, che cerco di spingere ancora più in fondo il mio cazzo, che il mio corpo vibra insieme al suo senza nemmeno che io me ne renda conto.
E in quel momento ho una vertigine: non riesco più a capire dove finisca il mio piacere e dove inizi il suo.
È così che inizio a perdere il controllo.
Non per un gesto, ma per un sentimento: quella fame che mi sale dentro e che non posso più contenere.
Continuo, perché non potrei fermarmi nemmeno volendo.
E mentre lei si abbandona al piacere, con un gemito lunghissimo, io mi svuoto completamente dentro di lei.
L’orgasmo arriva per entrambi quasi nello stesso istante, come un’onda che ci travolge e ci spezza il respiro.
Il suo corpo trema contro il mio, caldo, abbandonato, mentre il mio si irrigidisce e poi lentamente si scioglie, seguendo il suo stesso ritmo, lo stesso spasimo, lo stesso sollievo.
Rimango così, un momento, il viso nascosto contro la sua spalla, ascoltando il nostro fiato corto che si intreccia.
Poi, con una dolcezza che non avrei mai immaginato di avere, la sollevo.
Lei lascia andare un piccolo sospiro, quasi sorpreso, e si affida completamente alle mie braccia.
La porto fino in bagno, sentendo il suo corpo ormai rilassato dopo l’intensità di poco prima, e la adagio lentamente sul pavimento, come se temessi di romperne la magia.
Lei mi guarda. Un silenzio pieno, caldo, complice.
Poi le labbra le si curvano in un sorriso lento, pieno, quasi timido nella sua sincerità.
mormora.
Un grazie che non è forma, non è cortesia. È qualcosa di più intimo, più profondo.
E in quello sguardo, in quel sorriso, capisco che la serata… non può che proseguire.

Per gli insulti 🙂 : stemmy75@gmail.com
di
scritto il
2025-11-26
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