La puttana di mio figlio
di
ANNA BOLERANI
genere
incesti
La puttana del figlio
Il lampadario di cristallo tremò leggermente, riflettendo schegge di luce sulle pareti del salone. Fuori, il fruscio degli ulivi sembrava nascondere tutti i segreti della Sicilia. Maria stringeva tra le dita le chiavi della cantina, che da tempo aveva deciso di mettere in ordine tra le dita, sentendo i bordi metallici scavarle nella pelle. Il figlio entrò avvicinandosi a lei con uno sguardo complice. Ogni volta che il figlio la guardava così, le ginocchia diventavano gelatina. Il suo profumo di sudore e limone le ricordava quando lo allattava vent'anni prima.
"Non guardarmi con quegli occhi da lupo affamato, Matteo." La sua voce uscì come un filo di seta, mentre con la mano libera si aggiustava il vestito scollato. I tacchi affondavano nel tappeto persiano, creando piccole orme nella lana rossa. Lui le si avvicinò, il calore del suo corpo che le fece drizzare i peli sulle braccia. Quando le sfiorò l'anca con le nocche, il suo respiro si trasformò in un sibilo. Poi appoggiò il suo ventre alla sua coscia strofinandosi contro, in un abbraccio affettuoso, con il suo cazzo gia duro sotto i pantaloni.
"Lo senti, mamma? LO senti com'è duro per te." L’odore acre del suo desidero si mescolava al gelsomino che entrava dalle finestre aperte. Maria per un attimo chiuse gli occhi, sentendo le sue dita salire lungo la schiena mentre il bottone di perla alla nuca cedette con un *clic* sommesso. Nella pausa che seguì, udì solo il ronzio delle mosche contro i vetri e il proprio sangue che martellava nelle tempie.
Poi si desto da quel momento di estasi :"Non dire queste cose... sono tua madre." Il sussurro le uscì strozzato mentre le dita di lui sganciavano l’ultimo gancio del reggiseno. Un brivido le percorse la schiena nuda, contrastato dal sudore caldo che le colava tra le scapole. L'odore di limone era ormai sopraffatto dal muschio del suo desiderio, acre e dolce come il vino marcio nelle botti sottostanti.
"Smettila! Riagganciami i bottoni. Non posso fare quello che mi chiedi, sono tua madre, al massimo, se vuoi... posso aiutarti in altro modo." La proposta le bruciò la lingua, ma lo vide irrigidirsi, gli occhi neri che si strizzavano come quelli di un gatto davanti a una lucertola ferita.
"Un pompino?" Ridacchiò, amaro, affondando le dita nei suoi capelli sciolti. "Pensi ancora di controllarmi con le tue piccole ricompense?" La trascinò più vicino, fino a farle sentire il rigonfiamento del jeans contro il suo ventre. "Quello che voglio è sentire quanto sei stretta lì dietro... proprio come fa papa quando fate sesso."
Maria rabbrividì, non solo per l’immagine ma per l’odore di terra bagnata e muschio che emanava dalla botola della cantina alle sue spalle. "Tesoro, non puoi..." La voce le si spezzò quando lui le afferrò i polsi, premendoli contro il muro freddo. "Sono tua madre. Metterlo lì... è peccato. È contro Dio, contro tutto." Lui le prese le mani e la costrinse contro il muro.
"Ma con papà lo fai, e ho visto che ti piace." Matteo sussurrò quelle parole contro il suo collo, la lingua calda che seguiva il corso di una vena mentre le mani le sollevavano la maglietta di cotone. Maria chiuse gli occhi, rivivendo l’incubo di quella sera d’agosto quando, ubriaco, il marito l’aveva inchiodata alla stessa parete. E Matteo, allora quattordicenne, aveva spiato dalla fessura della porta. "Lo so che ti eccita quando ti prende così, perché urli forte." I suoi denti le mordicchiarono l’orecchio. "Fallo con me. Sarà più dolce."
L’odore di muffa dalla cantina si intensificò, mescolandosi al sudore di lui, acre come l’aceto dei vigneti. Maria sentì il freddo del muro penetrarle la schiena nuda, mentre il calore del figlio le bruciava la pelle. "No, Matteo. È diverso." La voce le tremava, le parole affogate nel suo pianto represso. "Lui è mio marito, con lui posso farlo." Provò a divincolarsi, ma le sue dita le serrarono i fianchi, imprimendole lividi che sapeva non sarebbero scomparsi per giorni.
"Stanotte ti sei fatta inculare due volte, ti ho sentita quando imploravi papà di romperti il culo." Il suo sussurro era rasposo, veleno distillato goccia a goccia nell'orecchio di lei. "Lo supplicavi, mamma. 'Più forte, spaccami'... urlavi così forte più dei cani abbaiarono nel villaggio." I suoi polpastrelli le scivolarono lungo il cavallo delle mutandine di pizzo, strappando un gemito strozzato a Maria. "Ora voglio rompertelo io. Sentirai quanto sono più grande di lui." Il ruggito del vento oltre le finestre sembrò rispondergli, scuotendo gli ulivi come ossa secche.
"No, non voglio, dai sii buono... ti faccio un pompino così ti calmi." La proposta le uscì tremula, disperata, le labbra che sfiorarono la fossetta alla base della sua gola. Sentì le sue dita aggrovigliarsi nei suoi capelli, spingendole il viso verso la cerniera dei jeans. Mentre la lampada oscillava sopra di loro, proiettando ombre danzanti, le sue labbra sfiorarono il tessuto ruvido, sentendo il calore pulsante sotto la stoffa.
"Se stai calmo ti faccio venire in bocca e la ingoio se ti fa piacere." Sussurrò la promessa, sperando di placare la tempesta nei suoi occhi, di ritrovare il bambino che le chiedeva canzoncine prima di dormire. Il ricordo di Matteo a sei anni, con la faccia sporca di cioccolato, le trafisse il petto più della paura. Le sue dita tremanti sganciarono la cerniera, liberando il calore umido, il muschio intenso del suo desiderio che le riempì la gola.
Matteo si calmò. "Vedi? Sono tua madre... so come farti stare bene..." La lingua le sfiorò la punta, salata, viva, mentre le sue mani le premevano la testa con forza crescente.
Matteo emise un grugnito cavernoso. "Fallo." L'ordine era un filo teso sul baratro. Maria obbedì, chiudendo gli occhi, perdendosi nel rito familiare del sesso orale - il movimento della lingua, la pressione delle labbra, il respiro ansimante di lui che si mescolava al rombo del vento. Per un attimo, il mondo si restrinse a quel calore, a quel sapore acre di precum e cotone sporco. Ma poi le dita di lui le scivolarono lungo la schiena, le sbottonarono la gonna che scivolò via e si inserirono fra la pelle e l'elastico delle mutandine, affondando brusche e possessive tra le sue natiche. Un grido le si strozzò in gola, trasformandosi in un conato mentre la sua punta le premeva contro il palato.
Le dita ruvide penetrarono senza preavviso, asciutte, quasi dolorose nella loro intrusione. Maria tentò di divincolarsi, ma la presa di Matteo sui suoi capelli diventò una morsa. "Stai ferma." Lui sospirò, un suono quasi appagato, mentre il dito indice le scivolava più dentro, trovando quell'anello di muscoli tesi. Un brivido elettrico le percorse la schiena, contrastando la ripugnanza. Era un piacere sporco, traditore, che nasceva dai nervi costretti a cedere - la sensazione di essere riempita, posseduta, mentre la sua bocca era ancora impegnata ad accogliere la sua erezione pulsante. Il sale del sudore di lui si mescolò al sapore metallico del suo stesso sangue, dove i denti le avevano morso il labbro.
"Così... vedi che ti piace?" Matteo gemette, le dita che iniziavano un movimento a pompa, lento, calcolato. Ogni spinta in profondità le strappava un suono involontario, un rantolo soffocato che vibrava attorno al suo cazzo. Il piacere si insinuava come un serpente velenoso, strisciando dal punto d'ingresso fino a farle fremere lo stomaco. La cantina alle sue spalle sembrò emanare un alito gelido, contrastando il calore bruciante che le divampava tra le cosce. Le sue unghie graffiarono il pavimento di legno, cercando un appiglio nel mondo che stava crollando. Il ricordo del marito era un'ombra lontana; ora c'era solo la concretezza brutale di suo figlio che la sodomizzava con le dita mentre lei lo succhiava, la punizione e la ricompensa fuse in un atto perverso.
"Dimmi che ti piace, mamma." La sua voce era roca, spezzata dai respiri affannati. "Dimmi quanto sei stretta lì dietro... quanto ti eccita sentirmi dentro mentre mi succhi." Maria sentì la vergogna incendiarle le guance, più bruciante del suo stesso desiderio traditore. Le sue labbra, ancora intorno a lui, formarono un gemito profondo che sembrò una preghiera rovesciata. Era un piacere contorto, fatto di dolore e resa, mentre il dito di lui trovava un ritmo che costringeva il suo corpo a rispondere. Le lacrime le solcarono la polvere sul viso, mescolandosi al sudore e alla saliva.
"Si... mi piace." La confessione le uscì in un sussurro roco, soffocata dalla carne in bocca. Ogni parola era un chiodo nella bara della sua dignità, ma il corpo mentiva meglio della lingua. I fianchi iniziarono a muoversi da soli, seguendo il ritmo delle sue dita penetranti, cercando più pressione, più profondità. L'odore di terra umida della cantina si mescolò all'aroma pungente del suo orgasmo incombente, un profumo animale che sapeva di resa e dannazione. "Sì... ti piace." Matteo ringhiò soddisfatto, la presa nei suoi capelli diventata quasi tenera, quasi un gesto di possessività affettuosa. Il vento ululò più forte, scuotendo il lampadario fino a far tremare le ombre sulle pareti come spettri danzanti.
"Vuoi che smetta?" Il dito si fermò bruscamente, lasciandola stranamente vuota, una sospensione agghiacciante. "O devo continuare a tenerlo dentro nel culo?" Le sue parole erano un coltello che la costringeva a guardare l'abisso. Maria scosse la testa, frenetica, la bocca ancora piena, il gemito che diventava una supplica. Il movimento riprese, più veloce, più profondo, e l'orgasmo la colse come un fulmine - un tremito violento che le fece mordere involontariamente la carne tra le labbra, sentendo il sapore metallico del sangue mescolarsi al sapore di lui. Le gambe cedettero, ma le sue mani la sostennero, trasformando la caduta in un inchino di sottomissione.
"Continua." disse lei
Le sue dita non erano più solitarie; un secondo dito si unì al primo, allargandola con una pressione che strappò un grido. Maria
sentì il bruciore, la resistenza dei muscoli, ma anche l'urgenza impossibile da negare. Il corpo rispondeva, bagnato, traditore, mentre la bocca continuava il suo lavoro meccanico. Il lampadario tremava ancora, e un rintocco lontano di campana scandì il tempo - l'Ave Maria del tramonto, un memento mori nel loro inferno privato. Il vento portò il profumo dei limoni, dolce e puro, contro la crudeltà di quel momento. "Più forte..." sussurrò lei, e il figlio rise, un suono oscuro che risuonò nelle ossa.
Maria affrettò il movimento della mano lungo il cazzo del figlio, ritmo furioso, disperato. Le nocche bianche, la palma sudata che scivolava sul glande gonfio. Ogni colpo di dita nel suo retto le faceva contrarre lo stomaco, ma accelerò, concentrandosi solo sull'obiettivo: farlo venire prima che il mondo esplodesse. Il sudore gli colava dalle tempie, mescolandosi ai suoi capelli mentre lei lo guardava da sotto, gli occhi lucidi di terrore e bisogno. L'odore di muschio e metallo riempiva l'aria, soffocante. Sentì la tensione salire in lui, i muscoli delle cosce che si irrigidivano sotto le sue dita libere. "Sto per...", Matteo grugnì, la voce spezzata dal piacere brutale, poi riversò nella bocca della madre un fiume di calda sborra.
Proprio allora, un suono netto squarciò l'aria pesante: il *clic* metallico di una chiave nella toppa della porta d'ingresso al piano inferiore. Maria gelò, il cuore che le balzò in gola. Gli occhi di Matteo si spalancarono, lucidi di panico e rabbia repressa. Senza esitazione, Maria inghiottì tutto, profondamente, mentre un ultimo spasmo lo scuoteva. Il sapore acre e salato le inondò la gola mentre sentiva la sua erezione pulsare un'ultima volta sulla sua lingua. Un gemito soffocato le uscì dalle narici.
"Papà!" Matteo si strappò via, afferrando i jeans della mentre Maria cadeva all'indietro sul tappeto, bava e sperma che le colavano dal mento. La porta si aprì lentamente. "Maria? Sei qui?" La voce del marito, Mario, risuonò stanca, familiare. Maria si alzò a carponi, afferrando la gonna dal pavimento. Tremando si portò una mano alle labbra, pulendo la bocca con il dorso della mano mentre correva verso il bagno . prima che lui entrasse nel salone. Matteo corse al piano di sopra e si chiuse in camera sua, i passi ovattati sulla moquette.
"Sono in bagno amore, arrivo subito."
La luce fluorescente la accecò quando accese l'interruttore. Si sciacquò la bocca con acqua fredda dal rubinetto, l'acqua che scorreva coprendo i suoi respiri affannosi. Nell'acqua sporca del lavandino, vide riflessi il proprio volto: occhi gonfi, rossore sul collo, capelli arruffati. Si aggiustò frettolosamente i vestiti, i bottoni sbagliati, le mani che tremavano incontrollabili. Al piano di sotto sentiva Mario che borbottava qualcosa sul silenzio della casa.
Quando usci dal bagno trovò Mario davanti al frigo aperto. "Sono affamato" disse lui senza girarsi, il tono piatto. Maria cercò di sorridere, ma le labbra erano strette. "Ho preparato pasta alla norma" disse, la voce troppo alta nella cucina silenziosa. Mario si voltò finalmente, la birra in mano. Il suo sguardo si fermò sul suo collo scoperto. "Sei tutta arruffata" osservò, senza espressione, mentre si avvicinava. Maria trattenne il respiro quando le passò un dito sulla clavicola, dove la pelle era ancora arrossata dai morsi di Matteo. "Cos'hai fatto tutto il giorno?" chiese lui, fisso negli occhi. La sua mano si posò sulla sua schiena, proprio sopra il punto dove Matteo l'aveva penetrata con le dita. Lei rabbrividì.
"Ho pulito la cantina" rispose, guardando le sue scarpe macchiate di terra, il pavimento di cotto che odorava di detersivo e vecchie pietre. Mario annuì lentamente, poi portò la bottiglia alle labbra. Il silenzio si fece pesante, rotto solo dal ticchettio dell'orologio a cucù sul muro. Maria si passò una mano nei capelli, sentendo ancora il dolore al cuoio capelluto. Quando alzò lo sguardo, Mario stava ancora fissando il rosso sul suo collo. "Devi stare piu attento la sera quando scopiamo, mi lasci troppi lividi" disse infine Maria, le parole che uscivano incerte, mentre si voltava verso i fornelli per nascondere il tremito delle mani. La salsa al pomodoro bolliva piano nella pentola, rossa come il sangue che le pulsava nelle tempie.
Dal corridoio, sentirono la porta della camera di Matteo aprirsi. Passi pesanti si avvicinarono alle scale. Maria si irrigidì, il cucchiaio di legno che le scivolò dalle dita nella pentola, schizzando salsa sul grembiule bianco. Quando Matteo entrò in cucina, il silenzio si fece tagliente. Si fermò sulla soglia, con la camicia mezza fuori dai jeans, il sorriso troppo largo sulle labbra.
"Ciao papà. "
Mario non rispose intento a leggere un articolo sportivo sul giornale del giorno prima.
"Ceniamo?" disse secco, incrociando lo sguardo di Maria sopra la testa del padre. Per un secondo, i suoi occhi lampeggiarono di trionfo, freddo e vuoto. Lei abbassò lo sguardo sul grembiule macchiato di rosso, mentre il cuore le martellava contro le costole.
"Ho fame" disse, buttandosi su una sedia con un cigolio violento. Maria prese le pentole tremando, i bicchieri tintinnarono quando li mise sul tavolo. L'odore del pomodoro, dell'aglio, dell'olio d'oliva freschissimo, normalmente confortante, ora le dava la nausea. Mario si sedette al suo solito posto, senza parlare. Maria si mise di fronte a Matteo. Ogni suo movimento sembrava amplificato: il suono della pasta che cadeva nel piatto dello scodellino, il fruscio della mozzarella fresca quando la schiacciò col cucchiaio. Quando gli porse il suo piatto, le dita di Matteo le sfiorarono il polso. Un attimo. Caldo. Deliberato. Maria ritirò la mano come bruciata.
SUMMARY^1: Maria si trova nel salone di casa sua in Sicilia mentre suo figlio Matteo la avvicina con evidenti intenzioni sessuali. Nonostante le sue resistenze iniziali, Matteo la manipola fisicamente e psicologicamente, ricordandole di averla spiata mentre aveva rapporti con suo marito. Maria cede progressivamente, iniziando a praticargli un fellatio mentre lui la penetra digitalmente. L'arrivo improvviso del marito Mario interrompe l'atto, costringendo Maria a correre in bagno per ripulirsi mentre Matteo fugge al piano di sopra. Quando Mario entra in cucina, nota i segni sul collo di Maria ma accetta la sua scusa sui lividi lasciati durante il sesso coniugale. Durante la cena, la tensione tra madre e figlio rimane palpabile attraverso sguardi e contatti intenzionali, mentre Mario appare inconsapevole della situazione.
Mangiare fu un supplizio. Mario trangugiava rumorosamente, gli occhi fissi sul piatto. Matteo invece la fissava tutta la cena. Ogni volta che lei alzava lo sguardo, lo trovava lì: gli occhi neri che divoravano ogni suo movimento, ogni suo gesto. Il suo piede le strisciò contro la caviglia sotto il tavolo. Maria trasalì, il cucchiaio le cadde sul piatto con un tintinnio troppo forte. Mario alzò lo sguardo, cupo. "Che c'è?" chiese, la voce raschiata dalla stanchezza. "Niente" Maria borbottò, "Mi è appena caduto il cucchiaio". Riprese il cucchiaio con mano tremante. Il piede di Matteo si insinuò tra i suoi piedi scalzi, premendole contro la pianta. Lei chiuse gli occhi, concentrandosi sul sapore della salsa, dolce e acida insieme, cercando di non pensare alla bocca ancora umida di lui. Il sudore le colava lungo la schiena sotto la maglietta leggera.
Quando Mario finì, si alzò senza dire grazie, lasciando il piatto sporco sul tavolo. "Vado a riposare" disse, sbadigliando rumorosamente. "Stanotte ho il turno di mezzanotte". Si fermò sulla porta, voltandosi appena. "Tu" disse, indicando Matteo con la birra vuota, "Smetti di fissare tua madre così. È irrispettoso". Matteo sorrise, un ghigno che mostrava troppo dente. "Scusa, papà". Mario rivolgendosi alla moglie le disse di raggiungerlo a letto appena aveva finito la cucina, poi salì le scale, i passi pesanti che si allontanavano. Maria iniziò a raccogliere i piatti dal tavolo, le mani che tremavano così forte che le posate scivolarono di nuovo. Matteo rimase seduto. Quando lei si chinò per prendere una posata caduta, lui le sfiorò la nuca con le dita. Maria si bloccò, il fiato mozzato.
"Laviamo insieme" Matteo sussurrò, alzandosi. Si avvicinò al lavello dove lei stava sciacquando un piatto sotto l'acqua fredda. Le si mise dietro, così vicino che Maria sentì di nuovo il calore del suo corpo attraverso il vestito leggero. Il suo respiro caldo le sfiorò l'orecchio. "Lasciami lavare" disse lei, la voce strozzata dal panico che le saliva di nuovo. Ma lui prese il piatto dalle sue mani scivolose, le sue dita che si chiusero sulle sue. "Ti aiuto io" disse piano. Maria sentì il suo petto premersi contro la sua schiena mentre le mani di lui si muovevano insieme alle sue sotto l'acqua corrente. Il sapone ricciolo profumato di limone sembrò trasformarsi in un odore pungente e minaccioso. Lungo la schiena, sotto le sue mani che stavano sciacquando il piatto, Maria sentì le sue dita scivolare giù lungo il suo fianco, verso il punto basso della schiena dove le mutandine si infilavano sotto la gonna leggera. Ogni tocco era una scossa elettrica di orrore e terrore, lì sotto la luce fluorescente della cucina, con il rumore dell'acqua che scorreva.
"Sentito cosa ha detto papà?" Matteo le mormorò contro il collo mentre le sue mani continuavano a muoversi nel lavello sotto le sue. "Ha detto di raggiungerlo... e tu lo farai?" Le dita di lui scivolarono sotto l'elastico delle sue mutandine di cotone leggero. Maria irrigidì tutto il corpo, bloccando il respiro. "Certo che lo faro come ogni pomeriggio e smettila di toccarmi." disse piano, disperata. Eppure non si mosse, paralizzata dal terrore che lui facesse rumore, che Mario sentisse qualcosa di strano al piano di sopra. Le sue dita scivolarono più in basso ancora, sfiorando l'inizio della fessura tra le sue natiche, proprio dove il
marito l'aveva penetrata la notte prima. Un brivido le percorse tutta la schiena. "Tu gli apri le gambe... gli apri il culo" Matteo sussurrò, le labbra che sfiorarono il lobo dell'orecchio. "Lo farò anch'io, mamma. Prima o poi." Strappò le mani dal lavello all'improvviso, lasciandole il piatto sporco e bagnato stretto tra le mani tremanti. Si voltò e uscì dalla cucina senza dire altro, i suoi passi pesanti che salivano le scale verso la sua camera.
Maria rimase immobile, l'acqua fredda che le scorreva sulle mani unite attorno al piatto. Il sapone le scivolava tra le dita come ricordi sfuggenti di un tempo normale. Sopra la sua testa, sentì la porta della camera di Mario aprirsi piano - un cigolio familiare che ora suonava come un avvertimento. La sua voce bassa e stanca chiamò: "Maria?" Le gambe le cedettero per un secondo; si aggrappò al bordo del lavello, sentendo la ceramica fredda sotto le unghie. Doveva salire. Doveva salire da lui. Doveva fare finta che tutto fosse normale mentre Matteo ascoltava dall'altra stanza, e questo le impediva di provare il piacere che normalmente provava i pomeriggi quando saliva da lui, pregustando un pomeriggio di sesso. La porta della camera da letto era socchiusa, una fessura nera che nascondeva il marito.
Entrò nella penombra della camera da letto. La luce fioca della lampada da comodino disegnava ombre lunghe sulle pareti Mario era seduto sul bordo del letto, la schiena curva sotto la luce giallastra, le mani appoggiate sulle ginocchia. La sua tuta del cantiere giaceva in un mucchio sul pavimento, emanando odore di cemento secco. "Amore", sospirò lui senza voltarsi, il tono greve di stanchezza. Maria chiuse la porta con un clic sommesso, le mani ancora tremanti mentre si sbottonava la camicetta di cotone leggero. I bottoni di perla sembravano ostinati sotto le sue dita fredde; ogni piccolo scatto liberava un frammento di pelle che ricordava le mani di Matteo. La stoffa le scivolo dalle spalle quando sentì Mario alzarsi alle sue spalle. Il suo respiro caldo le sfiorò la nuca nuda mentre le sue mani le cinsero la vita, ruvide e familiari. "Ho tanta voglia di te", sussurrò lui, la voce roca di desiderio e fatica.
Le sue labbra furono prima sulla sua spalla destra - un bacio umido e affamato che lasciò una scia di pelle d'oca. Maria chiuse gli occhi, cercando di concentrarsi sul calore delle sue mani che salivano lungo le costole nude sotto il reggiseno. Ma ogni tocco evocava le dita di Matteo che cercavano le stesse curve ore prima. Le mani di Mario erano più larghe, più pesanti quando le sfilarono il reggiseno con gesti lenti. "Ti sei fatta più magra", mormorò contro la scapola sinistra, la lingua calda che seguiva una curva d'osso. Maria si lasciò condurre verso il letto, le gambe che cedevano quando i suoi polpacci toccarono il bordo del materasso. Mario la abbassò sulla coperta ruvida, le sue ginocchia che spingevano le sue gambe aperte mentre la bocca le divorava il collo. Il sapore del sudore di lui - metallico e salato - le ricordò involontariamente il sapore di Matteo in gola. "Mario..." iniziò a dire, ma le sue dita erano già sui bottoni della sua gonna, sganciandoli con la pratica di chi conosce ogni piega del corpo dell'altra da vent'anni. Il tessuto cedette sotto le sue mani sicure.
La gonna scivolò via come una seconda pelle abbandonata. Lui si abbassò sopra di lei, il peso familiare che la schiacciava nel materasso mentre la bocca trovava il clitoride attraverso la sottile stoffa delle mutandine. Maria gemette - un suono strozzato che voleva essere desiderio ma sapeva di timore. Le mani di Mario solcavano i fianchi, le cosce, risalivano lungo le costole come mappe di un territorio conquistato. Ogni carezza era più violenta del solito, più affamata, come se cercasse di cancellare qualcosa che non sapeva nemmeno esistere. La sua lingua le percorse lo sterno mentre le dita le strappavano via le ultime vesti. Maria sentì la sua pelle reagire, i muscoli tendersi sotto la pressione delle sue labbra che mordicchiavano la curva del seno. Il respiro di Mario si fece più affannoso quando le mani le afferrarono i polsi, premendoli contro il cuscino sopra la sua testa. "Solo io ti posso fare questo", sussurrò contro la sua bocca prima di baciarla con violenza. Ma negli angoli della stanza, Maria giurò di sentire l'alito freddo dell'attesa, come se le ombre stessero trattenendo il respiro.
"Dimmi dove vuoi essere scopata, amore." La voce di Mario era un ruggito basso contro il suo collo, mentre il suo ginocchio spingeva più forte tra le sue cosce. Lei chiuse gli occhi, il corpo arcuato per istinto sotto quella pressione tanto simile eppure così diversa da quella delle dita invasive di Matteo poche ore prima. La risposta le bruciò in gola mentre le sue gambe si aprivano ancora di più sotto la spinta ruvida. "Dietro..." sussurrò, la parola un filo di voce appeso alla disperazione. "Fammi da dietro, lo voglio nel culo". Mario emise un grugnito soddisfatto, le mani che le giravano i fianchi con bruschezza, costringendola a voltarsi sul ventre mentre lui si liberava dei pantaloni. Maria affondò il viso nel cuscino, respirando a fatica l'odore di vecchio cotone e sudore familiare. Sentì il calore del suo corpo appoggiarsi lungo la sua schiena, le ginocchia che le spingevano le gambe più aperte. Le sue mani le sollevarono i fianchi, esponendola completamente mentre le sue unghie graffiarono il lenzuolo. Il primo sfregamento della sua punta bagnata contro l'ingresso posteriore le strappò un gemito che Mario interpretò come piacere.
"Così?" Mario ansimò, premendo con forza crescente contro quella resistenza elastica. Lui non indugiò nel preliminare come Matteo aveva fatto; la penetrazione fu un'unica spinta brutale, profonda, che le riempì il retto di bruciore improvviso. Maria gridò nel cuscino, il corpo contratto dal dolore acuto che si mescolava alla ripugnanza familiare. Le sue mani le afferrarono i fianchi come morse, imprimendo nuovi lividi mentre iniziava a muoversi con ritmi sordi e profondi. Ogni colpo sembrava spingerla contro il materasso, il suo peso che la schiacciava mentre lei cercava di non pensare alla cantina, alle dita di Matteo che avevano preparato quel varco. L'odore della loro unione – muschio acre, sudore di cantiere – riempì l'aria stagnante. Nel corridoio, un cigolio impercettibile. Maria strinse gli occhi, mentre il movimento di Mario diventava più veloce, più animalesco. Lei si aggrappò al ronzio della lampada da comodino, un unico punto fisso nel crollo. La voce roca di Mario che gemeva il suo nome era solo rumore bianco sopra il battito furioso del suo cuore.
"Sì... apriti tutta..." lui ringhiò, le dita che le affondarono nelle natiche per spalancarle ancora di più. Il dolore si trasformò in un'onda sorda, persistente. Maria sentì il suo corpo traditore iniziare ad adattarsi, il bruciore che si incanalava in una corrente elettrica bassa, contorta. Le sue gambe tremavano mentre lui la tirava indietro contro di sé con ogni spinta, il suono umido della carne che si scontrava divenne ritmico, ipnotico. Il suo viso era schiacciato contro il cuscino impregnato del loro odore, la bocca aperta in un gemito strozzato che sapeva di resa. Ogni penetrazione la spingeva più in là dal limite, nel luogo dove non esisteva più madre né moglie, solo carne che cedeva. "Fallo..." sussurrò lei contro il cotone, non sapendo più chi implorasse, Mario o l'ombra dietro la porta che sapeva presente. Il ritmo si fece frenetico, le sue anche che le martellavano senza pietà. Un tremito iniziò nel suo ventre, un eco distante di piacere forzato, mentre le unghie di Mario le graffiavano la pelle della schiena fino a far sanguinare.
"Godi!" urlò Mario, un ordine più che un desiderio. La sua presa fu ancora più ferrea mentre raggiungeva l'apice, il suo corpo irrigidito sopra di lei in un ultimo scatto violento. Maria sentì il calore pulsante dentro di sé, un fluido estraneo e familiare che riempiva quel vuoto già profanato. ."
"Piu veloce." Maria sussurrò contro il cuscino, il respiro un rantolo roco. "Così. " Le parole erano liquide, grondanti di una resa totale che non sapeva più distinguere dalla dannazione. Il corpo di Mario si rilassò sopra di lei per un istante, il peso come un macigno sulla schiena, il sudore freddo che le colava lungo la colonna vertebrale. Sentì il suo membro afflosciarsi dentro di lei, un residuo umido e molle che le ricordò le dita di Matteo.
"Non..." La mano di Maria scattò all'indietro, afferrando il polso di Mario prima che si allontanasse completamente. Le dita tremavano ma la presa era disperata. "Non toglierlo ancora." Le parole uscirono più come un comando che una supplica, strozzate dal desiderio che bruciava più della vergogna. Il suo corpo era ancora contratto intorno a lui, i muscoli profondi
che pulsavano nell'oscurità. "Muoviti ancora... solo un po' più veloce..."
Mario emise un grugnito sorpreso, quasi divertito. "Non ti basta mai, eh?" Le sue anche risposero con un movimento lento, quasi pigro, l'ombra dei suoi fianchi che danzava sul muro dietro di loro come un fantasma osceno. Ogni spinta provocava una fitta sorda dentro Maria, un dolore che si trasformava in corrente elettrica lungo le vertebre. Lei abbassò la testa tra le spalle, spingendosi contro di lui con movimenti circolari dei fianchi.
"Così..." sibilò lei mentre il ritmo si faceva più serrato. La mano di Mario si serrò sul suo fianco sinistro, le dita che affondarono nel livido lasciato da Matteo. Il dolore acuto si fuse con la pressione interna, creando un vortice di sensazioni contrastanti. Nel corridoio, il pavimento scricchiolò appena - un suono impercettibile se non fosse stato per le sue orecchie tese. Fu allora che il corpo la tradì ancora: un tremito iniziò nell'addome, risalendo come un'onda di lava fino alla gola. Le dita afferrarono le lenzuola bagnate di sudore. "Sto... sto venendo..." gemette roca, la voce spezzata dall'orrore di quella resa involontaria. Le contrazioni la attraversarono violente, stringendo quel corpo estraneo dentro di sé mentre gli occhi bruciavano di lacrime represse.
Mario emise un ringhio animalesco, la sua ultima spinta brutale che la schiacciò contro il materasso. "Troia," ansimò contro la sua nuca mentre un nuovo getto tiepido la riempiva. Maria rimase immobile, il corpo ancora scosso da scosse elettriche di piacere ibrido. Quando lui si ritrasse, il suono umido fu osceno nell'aria ferma. Un rivolo caldo le colò lungo la coscia sinistra.
Si rotolarono sul fianco, il respiro affannoso di Mario che le batteva contro la schiena sudata. La lampada da comodino proiettava ombre distorte sul muro, forme che sembravano piegarsi verso di loro. Maria fissò quelle sagome danzanti, le palpebre pesanti di lacrime non versate. Le dita di Mario le scivolarono tra i capelli bagnati con una tenerezza post-coitale che la fece rabbrividire. "Ti ho fatto male?" mormorò, la voce ancora roca.
"Nessun dolore. È stato bellissimo." Mentre lo diceva, il sapore di Matteo le tornò in gola come bile. Il corpo le pulsava ancora di contrazioni residue, ma ogni fremito le bruciava come una ferita per Matteo. La mano di Mario le accarezzò la clavicola, proprio dove il figlio l'aveva morsa. Il tocco leggero le scatenò un brivido involontario che Mario interpretò come piacere. Si strinse a lei con un sospiro soddisfatto.
Dietro la porta chiusa, nell'oscurità del corridoio, Matteo respirava a fatica, la fronte appoggiata contro il muro freddo. Dentro il pigiama la mano destra che si muoveva ritmica sul cazzo indurito dalla visione attraverso una fessura della porta fessura. Aveva visto tutto: il modo in cui il padre l'aveva rivoltata , i glutei di sua madre che tremavano sotto ogni colpo, la schiena arcuata quando era venuta, i suoi gemiti di piacere. Ora osservava i loro corpi sudati che si separavano sul letto disfatto, la madre che si puliva con un fazzoletto strappato dal comodino. La sua mano accelerò, le nocche bianche sotto la pelle tesa.
Quando lei si alzò per andare nel bagno comune, Matteo strisciò nell'ombra fino alla sua camera. L'odore acre del sesso gli riempì le narici mentre frugava al buio nel cassetto del suo comodino con la mano libera. Le sue dita riconobbero immediatamente il pizzo delle mutandine preferite di lei, che lui le aveva sottratto dal cesto dei panni sporchi. Le afferrò e con , le mutandine strette contro il naso, annusava profondamente il profumo di lavanda e sudore femminile. La mano sinistra che le apriva mentre la destra accelerava sul cazzo bagnato di saliva. Quando sentì Maria uscire dal bagno il suo orgasmo esplose in una serie di sussulti muti, il seme caldo che riempiva la mutandina di pizzo come un'offerta sacrilega.
Il pomeriggio trascorse tranquillamente. Maria completò il riordino della cantina, Mario e Matteo erano usciti insieme per comprare dei pezzi per una macchina d'epoca che avevano acquistato in un asta e che stavano riparando in garage. Al loro rientro, mentre Matteo tornava in camera sua a giocare alla play station, Mario si trattenne in garage per sistemare i pezzi che avevano acquistato e per ordinare quelli ancora mancanti mentre Maria preparò, come consuetudine, il necessario per Mario per il suo turno di notte che sarebbe iniziato alle 18,30 e sarebbe terminato alle 12 del giorno dopo. Gli preparo la cena e il caffe per la colazione della per la mattina successiva con i biscottini fatti in casa. Quando Mario usci Maria iniziò a preparare la cena per lei e Matteo. Sin da quando il marito aveva messo piede fuori casa, era stata colta da una ansia irrefrenabile. Temeva la reazione di Matteo per quello che era successo nel pomeriggio in camera da letto. Era sicura che Matteo li avesse spiati e che si fosse accorto che lei aveva goduto tanto a farsi inculare dal padre.
Timidamente, quasi fosse una ragazzina spaventata, Maria si avvicinò alla porta della camera di Matteo e bussò sommessamente: "Matteo, la cena è pronta..."
Non ricevette risposta. Solo un fruscio improvviso, come di qualcosa nascosta in fretta sotto il cuscino. Maria inspirò profondamente prima di aprire la porta, scoprendo suo figlio seduto sul letto con le gambe incrociate e la Playstation in mano. Ma l'odore nella stanza era denso, dolciastro - quel particolare misto di adrenalina e sperma che riconobbe troppo bene.
"Ho detto che la cena è pronta" ripeté, fissando il telecomando che tremava leggermente tra le sue dita troppo tese. Matteo alzò lo sguardo lentamente, gli occhi neri che la scrutavano dall'alto in basso con una calma innaturale. "Non ho fame" disse infine, abbassando di nuovo lo sguardo sullo schermo dove due personaggi si massacravano a colpi di armi da fuoco.
Maria annuì, la lingua improvvisamente pesante. Avrebbe voluto voltarsi e uscire, ma qualcosa la inchiodava sulla soglia, il corpo diviso tra la paura e un'oscura attrazione. L'aria nella stanza era satura di testosterone e umidità, quasi palpabile. Notò il collo di Matteo arrossato, i capelli alla nuca ancora umidi di sudore. "Hai... hai visto tutto oggi?" sussurrò senza volerlo, la voce un filo spezzato.
Matteo abbassò lentamente il controller, le dita che accarezzavano i pulsanti con una calma minacciosa. "Ogni secondo." Il sorriso che le rivolse era di quelli che fanno male. "Ti piace quando papà ti prende così, eh? Da dietro, come una cagna in calore."
Maria sentì le gambe cedere leggermente, la mano che si aggrappò allo stipite per non cadere. Le parole di Matteo le bruciavano la pelle più delle sue dita mai potuto fare. "Non è... non è quello che pensi," balbettò, ma anche a lei suonava falsa.
Matteo si alzò dal letto con movimenti fluidi da predatore, avvicinandosi finché il calore del suo corpo non le sfiorò il seno. "Oh no?" sussurrò contro la sua tempia, le labbra che sfioravano la pelle d'oca sul suo collo. "Allora perché sei venuta così forte? L'ho sentito, sai. Quel respiro affannoso che fa quando stai per..."
Maria scattò indietro come bruciata, ma la parete le bloccò la fuga. Le dita di Matteo le afferrarono il polso con una pressione calcolata, proprio dove il suo orologio nascondeva i lividi. "Sei venuta per scusarti?" continuò, il respiro caldo che le accarezzava le labbra tremanti. "O forse..." La mano libera le scivolò sotto la maglietta, le dita callose che strisciarono sull'addome ancora contratto dai brividi. "...sei venuta a finire quello che papà ha iniziato?" Maria sbatté le palpebre, il cuore in gola. "Matteo, per favore.,non fare cosi."
"Ho dovuto farlo," sibilò lei, mentre lui laschiacciava contro lo stipite con il bacino. "Non potevo tirarmi indietro." Il suo corpo era un muro di tensione, ogni muscolo vibrante. "E poi lo sai... non si riesce a controllarsi quando l'eccitazione ti assale." Le parole erano lame contundenti, il ricordo di come aveva spiato ogni singolo gemito, ogni contrazione dei loro corpi, reso carne viva nella sua voce. Le sue dita si infilarono sotto l'elastico dei pantaloni di Maria, sfiorando il pube rado. "Sentivi il mio sguardo addosso, mentre ti sfondavi per lui. Lo sentivi, vero?"
"Si... lo sentivo," ammise Maria con un gemito strozzato. L'ammissione le bruciò la gola, ma era una verità che pesava come pietra. Ogni poro della sua pelle aveva percepito la presenza di Matteo oltre la porta, come un'ombra calda che alimentava la vergogna e l'eccitazione in parti uguali. La sua mano tremante si appoggiò involontariamente sul petto di lui, sentendo il cuore martellare contro le costole. "Sapevo che stavi guardando. Sapevo... e mi ha fatto..." La frase si perse in un sibilo, mentre le dita di Matteo strisciavano più in basso, sfiorando le labbra ancora gonfie dal rapporto con Mario. L'odore di sé stessa, mescolato al sudore di suo figlio, le riempì le narici.
Matteo affondò le dita nel calore umido che aveva cercato, un tocco che non chiedeva il permesso. "Vedi?" sibilò, premendo il palmo contro il suo pube mentre lei si inarcava. "Anche adesso tremi per me." Il respiro gli si fece più affannoso, i fianchi che spingevano in avanti per strofinarsi contro la sua coscia. Il rigonfiamento nel jeans era duro, insistente. "Papà ti riempie, ma io..." Una risata soffocata
gli uscì dalle labbra. "... io ti conosco. So dove toccarti per farti impazzire."
Maria chiuse gli occhi, sopraffatta dalla duplice vergogna: del desiderio che le liquefava le ginocchia, e della frase che le bruciava la lingua. "Matteo, aspetta..." Ma le sue mani invece di respingerlo, gli si aggrapparono alle spalle, le unghie che affondarono nella stoffa della sua maglietta. Il corpo tradiva ciò che la voce negava.
"Mi dispiace per te," sussurrò, il respiro un filo spezzato contro il collo di lui. Il sapore di quel pentimento era amaro come la cenere. "Ma dovevo soddisfare tuo padre. È mio marito. La sua... la sua fame... se non la sazio io, la cerca altrove. E questa famiglia..." La scusa le morì in gola, svuotata dalla pressione delle dita di Matteo che scivolavano più in profondità, trovando il nodo sensibile che solo lui, nella sua ossessiva osservazione, sembrava conoscere così bene. Un gemito le sfuggì, lungo e tremulo. "...questa famiglia non può sgretolarsi."
Matteo rise piano, un suono basso che vibrava contro la sua pelle. "Brava madre. Sacrifichi il tuo corpo per tenere unita la famiglia." Il palmo della sua mano premé più forte contro di lei, mentre l'altra le sollevava la maglietta, esponendo il ventre ancora segnato dai lividi violacei delle dita di Mario. Le sue labbra seguirono il percorso di quelle ferite, baci che bruciavano più del sale. "E per me? Cosa sacrificherai?"
Maria trattenne il fiato. La sua mano sinistra, quasi senza controllo, scivolò lungo il fianco di lui, le dita tremanti che incontrarono il rigonfiamento insostenibile sotto i jeans. Era duro, pulsante, un monumento di desiderio giovanile. La stoffa ruvida le scorticò i polpastrelli mentre premeva, sentendo il calore irradiarsi come un forno. La voce le uscì rotta: "Non posso... non di nuovo..."
Matteo le afferrò il polso con brutalità improvvisa, costringendole la mano a palpare la pienezza del suo sesso . "Menti," sibilò contro il suo orecchio. "La tua mano sta già implorando." La pressione aumentò, le sue dita schiacciarono le sue contro la carne tesa. Un gemito gutturale gli sfuggì quando lei, inconsciamente, strisciò il pollice lungo la lunghezza, riconoscendo la forma che l'aveva riempita di terrore e fascinazione. "Senti come arde per te? È tutto tuo, madre."
Maria chiuse gli occhi, sopraffatta. Il ricordo della bocca di Mario che le ordinava di godere si confuse con l'odore di gioventù e brama di Matteo. La sua mano, traditrice, iniziò a muoversi con un ritmo antico, sfregando lungo il jeans con pressione crescente. "Non... non dovremmo..." sussurrò, ma il movimento delle dita divenne più deciso, più circolare sull'apice del rigonfiamento. Sentiva il battito frenetico sotto la stoffa, un tamburo di peccato.
Matteo gemette, il respiro che si fece corto e affilato. La sua mano scivolò nei capelli di lei, afferrando una ciocca con dolce brutalità. "Toglilo," ordinò, la voce roca. Maria obbedì con movimenti malfermi, il tintinnio della cerniera che squarciò il silenzio della stanza. L'odore intenso di muschio e desidero la investì quando liberò l'erezione pulsante dal tessuto. Il calore le bruciò il palmo. Guardò la vena che correva lungo il membro come un serpente bluastro, il glande gonfio e lucido di precum. Un brivido le percorse la schiena.
"Se vuoi ti faccio un pompino così ti calmi," sussurrò, la frase che le scivolò fuori prima che potesse fermarla. Le parole erano un'offerta umiliante, una resa che sapeva di sudore e paura. Gli occhi di Matteo si strinsero in uno sguardo predatorio, la bocca che si incurvò in un ghigno. "Ma non vuoi calmarmi, mamma. Vuoi vedermi perdere il controllo per te." La sua mano le schiacciò la nuca con possessività, guidandola verso l’inguine. L’odore acre la fece girare la testa, un profumo di giovinezza e peccato che le riempì i polmoni.
Maria si lasciò spingere in ginocchio sul tappeto ruvido, il legno del pavimento che le scorticava le ginocchia attraverso il tessuto sottile dei pantaloni. Guardò quel cazzo pulsante davanti ai suoi occhi, la vena che batteva sotto la pelle tesa. *È il sangue di mio padre che brucia in lui*, pensò con un brivido d’orrore. Il primo contatto delle labbra fu elettrico – la punta salata del glande che le sfiorò il labbro inferiore, il sapore metallico del precum che le inondò la lingua. Sentì il gemito soffocato di Matteo sopra di lei, le dita che le si intrecciarono nei capelli con una pressione che prometteva lividi.
"Lentamente," sibilò lui, il respiro un rantolo roco. "Voglio sentire ogni centimetro." Le sue anche scattarono in avanti, costringendola a ingoiare di più, più in fretta di quanto volesse. La punta le colpì il palato molle, scatenando un conato di vomito che represse a denti stretti. Il sapore di lui – muschio, sudore adolescenziale e qualcosa di acutamente familiare – le riempì la gola. Le sue mani si aggrapparono ai suoi fianchi ossuti, sentendo i muscoli contrarsi sotto la maglietta mentre lui iniziava a muoversi con ritmo regolare. Ogni spinta più profonda le faceva lacrimare gli occhi, l’impressione di soffocare mescolata a un’umiliante eccitazione che le serpeggiava nell’addome.
Mentre lo succhiava, la lingua che massaggiava la vena pulsante sotto la pelle, un pensiero proibito eruppe in lei. Era immenso, molto più grande di Mario, più lungo e con una curvatura che prometteva di toccare punti mai raggiunti. Le labbra si strinsero intorno a quella carne rovente, le guance scavate dallo sforzo. Immaginò quel cazzo dentro di lei, non nella fessura familiare, ma lì dietro, dove Mario l’aveva appena posseduta. Il ricordo del dolore che si trasformava in piacere profondo le fece contrarre l’ano in un fremito involontario. *Dio, se mi prendesse lì...*, pensò, la bava che le colava lungo il mento mentre Matteo le affondava i polpastrelli nel cuoio capelluto. Il gemito che le strappò fu un misto di dolore e desiderio osceno.
Matteo sembrò sentire il suo tremore. “Stai pensando alla mia cappella nel tuo buco di culo, mamma?” sibilò, i fianchi che spingevano più forte, fino a farle sollevare le tonsille. La punta toccò l’ugola, scatenando un conato che la costrinse a ritirarsi, ansimante, il mento lucido di saliva. Lui non le diede tregua, la mano che le serrò la nuca con forza brutale. “Immaginala,” ordinò, la voce rotta dal piacere. “Immagina come ti spaccherei, più forte di papà.” Maria chiuse gli occhi, sopraffatta. Nella mente vedeva sé stessa piegata sul letto, le chiappe divaricate, mentre quella creatura di suo figlio le lacerava l’ingresso ancora dolente. Una scossa di eccitazione le percorse la schiena, più intensa di qualsiasi orgasmo.
“Ammettilo,” insisté Matteo, tirandola di nuovo verso l’erezione che pulsava sotto le sue labbra tumefatte. “Ammettilo che lo vorresti nel culo.” Le parole erano un coltello che le squarciava l’anima. Maria tentò di scuotere la testa, ma la presa di lui era ferrea. “Lo... lo ammetto,” sibilò contro la sua carne, il respiro caldo che gli accarezzava il glande. La confessione le bruciò la gola come acido. “Vorrei sentirti lì... tutto intero.” La verità era una colata di pece nera che la invadeva, mescolandosi al sapore di lui.
Matteo le tolse la mano dai capelli, lasciando un dolore sordo nel cuoio capelluto. “Allora girati,” ordinò, la voce roca di eccitazione. “Come ti metti con papà.” Il comando la paralizzò per un istante. Si sentì esposta, nuda come una bestia da macello. “Sul tappeto,” aggiunse, indicando il pavimento con un cenno del mento. “A quattro zampe.” L’immagine le balenò in mente: lei in posizione, i fianchi sollevati, mentre lui si preparava a penetrarla con la brutalità di una condanna. Il cuore le martellava nelle orecchie, un tamburo di resa. “Matteo, è pericoloso... senza lubrificante...” La scusa suonò fioca, patetica.
“Zitta, troia,” sibilò lui, afferrandole un polso con forza brusca. La sua espressione era una maschera di brama e rancore. “Non mi interessa se ti spezzo.” La spinta fu violenta, la sua faccia schiacciata contro il tappeto sintetico che sapeva di polvere e sudore vecchio. Le mani di Matteo le sollevarono i fianchi, strappandole via i pantaloni e le mutandine insieme in un unico gesto brutale. L’aria fredda della stanza le colpì la pelle umida dei glutei, esponendo il culetto ancora arrossato e pulsante dalla violenza di Mario. Maria chiuse gli occhi, stringendo i denti. Sentì la punta del suo glande, un ferro rovente, premere contro l’entrata stretta e dolorante. “Preparati a godere,” ringhiò alle sue spalle, il respiro un rantolo animale.
Maria crollò. Ogni difesa era caduta. Il corpo si rilassò in una resa totale, accettando l’inevitabile. “Sfondami,” gemette, la voce rotta e afona. “Spingilo dentro fino alle palle.” Le parole erano un incantesimo oscuro. “Fammi sentire tutto.” Si inarcò di più, offrendosi con disperazione. “Ti prego, Matteo... riempimi.” Sentì le sue dita affondare nella carne dei suoi fianchi, le unghie che le laceravano la pelle. Poi la spinta—lenta, inesorabile, un cuneo di fuoco che le spaccava l’anello muscolare. Un urlo le strappò la gola, un misto di dolore lancinante e piacere proibito. Il cazzo di Matteo avanzava, centimetro dopo centimetro, dilatandola con una brutalità che superava ogni immaginazione. Il gemito di lui le rimbombò nelle ossa: “Cazzo, è meraviglioso il tuo culo.”
“Sì, così,” ansimò Maria, il volto premuto contro il tappeto. “Spingi... spingi più forte.” Il dolore iniziale si trasformò in un fuoco liquido che le avvolgeva la colonna vertebrale. Sentiva ogni dettaglio—la curvatura del suo cazzo che raschiava punti profondi, le vene pulsanti che sembravano battere contro le sue pareti interne, il sudore di Matteo che le colava lungo la schiena. “Sento... sento tutto,” singhiozzò, le dita che si aggrappavano al tessuto sintetico. “Aprimi... apriti tutta.” Il comando era un rito. Matteo obbedì, un colpo secco
dei fianchi che la fece sobbalzare in avanti. Un suono umido, viscerale, riempì la stanza—la carne che cedeva, la sua che accoglieva. Era dentro fino all’attaccatura, le palle che schiaffeggiavano le sue natiche. Maria urlò di nuovo, ma questa volta fu un grido di estasi pura, primordiale. “Dio... sì! Così!”
I gemiti si alzarono in un crescendo animalesco. “Siii, trattami come una troia!” gracchiò lei, la voce rotta dalla spinta. “Usami... fammi venire!” Matteo rispose con un ringhio, le mani che le serravano i fianchi con tale forza da promettere lividi viola. Ogni movimento era una coltellata di piacere—avanti per riempirla, indietro quasi per uscirle, poi di nuovo dentro con violenza raddoppiata. Maria sentiva il suo corpo cedere, le pareti anali che si contraevano intorno a lui come una morsa bramosa. “Lo senti? Lo senti come mi stringo?” ansimò, voltandosi a guardarlo. I suoi occhi erano pozze nere di follia, la bocca aperta in un rantolo. “È... è perché sei tu... solo tu mi fai impazzire così...”
Matteo affondò le dita nei suoi capelli, tirandole indietro la testa con brutale possesso. “Vuoi la mia sborra, eh?” sibilò, il fiato caldo contro il suo orecchio. “Vuoi sentirti piena? Allora stringimi forte, puttana.” La sua spinta divenne frenetica, selvaggia—colpi profondi che le facevano perdere il fiato, il cazzo che le raschiava ogni punto sensibile. Maria ululò, gli artigli che si conficcavano nel tappeto. Un tremore le percorse la schiena, l’addome che si contraeva in spasmi incontrollabili. “Sto... sto per venire!” gemette, il corpo che si irrigidiva nell’onda imminente.
“SIII, SBORRAMI DENTRO!” urlò lei, la voce un graffio roco. “VOGLIO SENTIRLA CALDA E IMPERIOSA!” L’invocazione fu un ordine, una preghiera blasfema. Matteo ringhiò come un animale, i fianchi che martellavano con furia finale. Sentì il suo cazzo pulsare dentro di lei—esplosioni violente, ondate bollenti che le inondavano le viscere. Un calore liquido, denso e imperioso, si sparse nel suo profondo. Maria crollò a faccia in giù, un gemito lungo e spezzato che le uscì dalle viscere mentre l’orgasmo la squarciava—contrazioni anali che strizzavano ogni goccia di seme, il corpo che tremava come un terremoto.
Mai, *mai* con Mario era stato così. Nemmeno lontanamente. Lui la prendeva, la usava, ma era un fuoco che bruciava veloce. Matteo... Matteo l’aveva aperta, posseduta, *rifatta*. Un incendio che consumava tutto, lasciandola vuota e piena allo stesso tempo. Il piacere non era stato solo fisico. Era stato nel riconoscimento feroce negli occhi di suo figlio, nella crudeltà della sua presa, nell'odore di sudore e seme e potere che riempiva i suoi polmoni. Un’estasi che rasentava l'annientamento. Le lacrime le rigavano il volto premuto sul tappeto, non di dolore, ma di una liberazione oscena. Aveva *voluto* essere spezzata. E lui l'aveva fatto.
Ora era diventata la sua puttana ed era felice.
Il lampadario di cristallo tremò leggermente, riflettendo schegge di luce sulle pareti del salone. Fuori, il fruscio degli ulivi sembrava nascondere tutti i segreti della Sicilia. Maria stringeva tra le dita le chiavi della cantina, che da tempo aveva deciso di mettere in ordine tra le dita, sentendo i bordi metallici scavarle nella pelle. Il figlio entrò avvicinandosi a lei con uno sguardo complice. Ogni volta che il figlio la guardava così, le ginocchia diventavano gelatina. Il suo profumo di sudore e limone le ricordava quando lo allattava vent'anni prima.
"Non guardarmi con quegli occhi da lupo affamato, Matteo." La sua voce uscì come un filo di seta, mentre con la mano libera si aggiustava il vestito scollato. I tacchi affondavano nel tappeto persiano, creando piccole orme nella lana rossa. Lui le si avvicinò, il calore del suo corpo che le fece drizzare i peli sulle braccia. Quando le sfiorò l'anca con le nocche, il suo respiro si trasformò in un sibilo. Poi appoggiò il suo ventre alla sua coscia strofinandosi contro, in un abbraccio affettuoso, con il suo cazzo gia duro sotto i pantaloni.
"Lo senti, mamma? LO senti com'è duro per te." L’odore acre del suo desidero si mescolava al gelsomino che entrava dalle finestre aperte. Maria per un attimo chiuse gli occhi, sentendo le sue dita salire lungo la schiena mentre il bottone di perla alla nuca cedette con un *clic* sommesso. Nella pausa che seguì, udì solo il ronzio delle mosche contro i vetri e il proprio sangue che martellava nelle tempie.
Poi si desto da quel momento di estasi :"Non dire queste cose... sono tua madre." Il sussurro le uscì strozzato mentre le dita di lui sganciavano l’ultimo gancio del reggiseno. Un brivido le percorse la schiena nuda, contrastato dal sudore caldo che le colava tra le scapole. L'odore di limone era ormai sopraffatto dal muschio del suo desiderio, acre e dolce come il vino marcio nelle botti sottostanti.
"Smettila! Riagganciami i bottoni. Non posso fare quello che mi chiedi, sono tua madre, al massimo, se vuoi... posso aiutarti in altro modo." La proposta le bruciò la lingua, ma lo vide irrigidirsi, gli occhi neri che si strizzavano come quelli di un gatto davanti a una lucertola ferita.
"Un pompino?" Ridacchiò, amaro, affondando le dita nei suoi capelli sciolti. "Pensi ancora di controllarmi con le tue piccole ricompense?" La trascinò più vicino, fino a farle sentire il rigonfiamento del jeans contro il suo ventre. "Quello che voglio è sentire quanto sei stretta lì dietro... proprio come fa papa quando fate sesso."
Maria rabbrividì, non solo per l’immagine ma per l’odore di terra bagnata e muschio che emanava dalla botola della cantina alle sue spalle. "Tesoro, non puoi..." La voce le si spezzò quando lui le afferrò i polsi, premendoli contro il muro freddo. "Sono tua madre. Metterlo lì... è peccato. È contro Dio, contro tutto." Lui le prese le mani e la costrinse contro il muro.
"Ma con papà lo fai, e ho visto che ti piace." Matteo sussurrò quelle parole contro il suo collo, la lingua calda che seguiva il corso di una vena mentre le mani le sollevavano la maglietta di cotone. Maria chiuse gli occhi, rivivendo l’incubo di quella sera d’agosto quando, ubriaco, il marito l’aveva inchiodata alla stessa parete. E Matteo, allora quattordicenne, aveva spiato dalla fessura della porta. "Lo so che ti eccita quando ti prende così, perché urli forte." I suoi denti le mordicchiarono l’orecchio. "Fallo con me. Sarà più dolce."
L’odore di muffa dalla cantina si intensificò, mescolandosi al sudore di lui, acre come l’aceto dei vigneti. Maria sentì il freddo del muro penetrarle la schiena nuda, mentre il calore del figlio le bruciava la pelle. "No, Matteo. È diverso." La voce le tremava, le parole affogate nel suo pianto represso. "Lui è mio marito, con lui posso farlo." Provò a divincolarsi, ma le sue dita le serrarono i fianchi, imprimendole lividi che sapeva non sarebbero scomparsi per giorni.
"Stanotte ti sei fatta inculare due volte, ti ho sentita quando imploravi papà di romperti il culo." Il suo sussurro era rasposo, veleno distillato goccia a goccia nell'orecchio di lei. "Lo supplicavi, mamma. 'Più forte, spaccami'... urlavi così forte più dei cani abbaiarono nel villaggio." I suoi polpastrelli le scivolarono lungo il cavallo delle mutandine di pizzo, strappando un gemito strozzato a Maria. "Ora voglio rompertelo io. Sentirai quanto sono più grande di lui." Il ruggito del vento oltre le finestre sembrò rispondergli, scuotendo gli ulivi come ossa secche.
"No, non voglio, dai sii buono... ti faccio un pompino così ti calmi." La proposta le uscì tremula, disperata, le labbra che sfiorarono la fossetta alla base della sua gola. Sentì le sue dita aggrovigliarsi nei suoi capelli, spingendole il viso verso la cerniera dei jeans. Mentre la lampada oscillava sopra di loro, proiettando ombre danzanti, le sue labbra sfiorarono il tessuto ruvido, sentendo il calore pulsante sotto la stoffa.
"Se stai calmo ti faccio venire in bocca e la ingoio se ti fa piacere." Sussurrò la promessa, sperando di placare la tempesta nei suoi occhi, di ritrovare il bambino che le chiedeva canzoncine prima di dormire. Il ricordo di Matteo a sei anni, con la faccia sporca di cioccolato, le trafisse il petto più della paura. Le sue dita tremanti sganciarono la cerniera, liberando il calore umido, il muschio intenso del suo desiderio che le riempì la gola.
Matteo si calmò. "Vedi? Sono tua madre... so come farti stare bene..." La lingua le sfiorò la punta, salata, viva, mentre le sue mani le premevano la testa con forza crescente.
Matteo emise un grugnito cavernoso. "Fallo." L'ordine era un filo teso sul baratro. Maria obbedì, chiudendo gli occhi, perdendosi nel rito familiare del sesso orale - il movimento della lingua, la pressione delle labbra, il respiro ansimante di lui che si mescolava al rombo del vento. Per un attimo, il mondo si restrinse a quel calore, a quel sapore acre di precum e cotone sporco. Ma poi le dita di lui le scivolarono lungo la schiena, le sbottonarono la gonna che scivolò via e si inserirono fra la pelle e l'elastico delle mutandine, affondando brusche e possessive tra le sue natiche. Un grido le si strozzò in gola, trasformandosi in un conato mentre la sua punta le premeva contro il palato.
Le dita ruvide penetrarono senza preavviso, asciutte, quasi dolorose nella loro intrusione. Maria tentò di divincolarsi, ma la presa di Matteo sui suoi capelli diventò una morsa. "Stai ferma." Lui sospirò, un suono quasi appagato, mentre il dito indice le scivolava più dentro, trovando quell'anello di muscoli tesi. Un brivido elettrico le percorse la schiena, contrastando la ripugnanza. Era un piacere sporco, traditore, che nasceva dai nervi costretti a cedere - la sensazione di essere riempita, posseduta, mentre la sua bocca era ancora impegnata ad accogliere la sua erezione pulsante. Il sale del sudore di lui si mescolò al sapore metallico del suo stesso sangue, dove i denti le avevano morso il labbro.
"Così... vedi che ti piace?" Matteo gemette, le dita che iniziavano un movimento a pompa, lento, calcolato. Ogni spinta in profondità le strappava un suono involontario, un rantolo soffocato che vibrava attorno al suo cazzo. Il piacere si insinuava come un serpente velenoso, strisciando dal punto d'ingresso fino a farle fremere lo stomaco. La cantina alle sue spalle sembrò emanare un alito gelido, contrastando il calore bruciante che le divampava tra le cosce. Le sue unghie graffiarono il pavimento di legno, cercando un appiglio nel mondo che stava crollando. Il ricordo del marito era un'ombra lontana; ora c'era solo la concretezza brutale di suo figlio che la sodomizzava con le dita mentre lei lo succhiava, la punizione e la ricompensa fuse in un atto perverso.
"Dimmi che ti piace, mamma." La sua voce era roca, spezzata dai respiri affannati. "Dimmi quanto sei stretta lì dietro... quanto ti eccita sentirmi dentro mentre mi succhi." Maria sentì la vergogna incendiarle le guance, più bruciante del suo stesso desiderio traditore. Le sue labbra, ancora intorno a lui, formarono un gemito profondo che sembrò una preghiera rovesciata. Era un piacere contorto, fatto di dolore e resa, mentre il dito di lui trovava un ritmo che costringeva il suo corpo a rispondere. Le lacrime le solcarono la polvere sul viso, mescolandosi al sudore e alla saliva.
"Si... mi piace." La confessione le uscì in un sussurro roco, soffocata dalla carne in bocca. Ogni parola era un chiodo nella bara della sua dignità, ma il corpo mentiva meglio della lingua. I fianchi iniziarono a muoversi da soli, seguendo il ritmo delle sue dita penetranti, cercando più pressione, più profondità. L'odore di terra umida della cantina si mescolò all'aroma pungente del suo orgasmo incombente, un profumo animale che sapeva di resa e dannazione. "Sì... ti piace." Matteo ringhiò soddisfatto, la presa nei suoi capelli diventata quasi tenera, quasi un gesto di possessività affettuosa. Il vento ululò più forte, scuotendo il lampadario fino a far tremare le ombre sulle pareti come spettri danzanti.
"Vuoi che smetta?" Il dito si fermò bruscamente, lasciandola stranamente vuota, una sospensione agghiacciante. "O devo continuare a tenerlo dentro nel culo?" Le sue parole erano un coltello che la costringeva a guardare l'abisso. Maria scosse la testa, frenetica, la bocca ancora piena, il gemito che diventava una supplica. Il movimento riprese, più veloce, più profondo, e l'orgasmo la colse come un fulmine - un tremito violento che le fece mordere involontariamente la carne tra le labbra, sentendo il sapore metallico del sangue mescolarsi al sapore di lui. Le gambe cedettero, ma le sue mani la sostennero, trasformando la caduta in un inchino di sottomissione.
"Continua." disse lei
Le sue dita non erano più solitarie; un secondo dito si unì al primo, allargandola con una pressione che strappò un grido. Maria
sentì il bruciore, la resistenza dei muscoli, ma anche l'urgenza impossibile da negare. Il corpo rispondeva, bagnato, traditore, mentre la bocca continuava il suo lavoro meccanico. Il lampadario tremava ancora, e un rintocco lontano di campana scandì il tempo - l'Ave Maria del tramonto, un memento mori nel loro inferno privato. Il vento portò il profumo dei limoni, dolce e puro, contro la crudeltà di quel momento. "Più forte..." sussurrò lei, e il figlio rise, un suono oscuro che risuonò nelle ossa.
Maria affrettò il movimento della mano lungo il cazzo del figlio, ritmo furioso, disperato. Le nocche bianche, la palma sudata che scivolava sul glande gonfio. Ogni colpo di dita nel suo retto le faceva contrarre lo stomaco, ma accelerò, concentrandosi solo sull'obiettivo: farlo venire prima che il mondo esplodesse. Il sudore gli colava dalle tempie, mescolandosi ai suoi capelli mentre lei lo guardava da sotto, gli occhi lucidi di terrore e bisogno. L'odore di muschio e metallo riempiva l'aria, soffocante. Sentì la tensione salire in lui, i muscoli delle cosce che si irrigidivano sotto le sue dita libere. "Sto per...", Matteo grugnì, la voce spezzata dal piacere brutale, poi riversò nella bocca della madre un fiume di calda sborra.
Proprio allora, un suono netto squarciò l'aria pesante: il *clic* metallico di una chiave nella toppa della porta d'ingresso al piano inferiore. Maria gelò, il cuore che le balzò in gola. Gli occhi di Matteo si spalancarono, lucidi di panico e rabbia repressa. Senza esitazione, Maria inghiottì tutto, profondamente, mentre un ultimo spasmo lo scuoteva. Il sapore acre e salato le inondò la gola mentre sentiva la sua erezione pulsare un'ultima volta sulla sua lingua. Un gemito soffocato le uscì dalle narici.
"Papà!" Matteo si strappò via, afferrando i jeans della mentre Maria cadeva all'indietro sul tappeto, bava e sperma che le colavano dal mento. La porta si aprì lentamente. "Maria? Sei qui?" La voce del marito, Mario, risuonò stanca, familiare. Maria si alzò a carponi, afferrando la gonna dal pavimento. Tremando si portò una mano alle labbra, pulendo la bocca con il dorso della mano mentre correva verso il bagno . prima che lui entrasse nel salone. Matteo corse al piano di sopra e si chiuse in camera sua, i passi ovattati sulla moquette.
"Sono in bagno amore, arrivo subito."
La luce fluorescente la accecò quando accese l'interruttore. Si sciacquò la bocca con acqua fredda dal rubinetto, l'acqua che scorreva coprendo i suoi respiri affannosi. Nell'acqua sporca del lavandino, vide riflessi il proprio volto: occhi gonfi, rossore sul collo, capelli arruffati. Si aggiustò frettolosamente i vestiti, i bottoni sbagliati, le mani che tremavano incontrollabili. Al piano di sotto sentiva Mario che borbottava qualcosa sul silenzio della casa.
Quando usci dal bagno trovò Mario davanti al frigo aperto. "Sono affamato" disse lui senza girarsi, il tono piatto. Maria cercò di sorridere, ma le labbra erano strette. "Ho preparato pasta alla norma" disse, la voce troppo alta nella cucina silenziosa. Mario si voltò finalmente, la birra in mano. Il suo sguardo si fermò sul suo collo scoperto. "Sei tutta arruffata" osservò, senza espressione, mentre si avvicinava. Maria trattenne il respiro quando le passò un dito sulla clavicola, dove la pelle era ancora arrossata dai morsi di Matteo. "Cos'hai fatto tutto il giorno?" chiese lui, fisso negli occhi. La sua mano si posò sulla sua schiena, proprio sopra il punto dove Matteo l'aveva penetrata con le dita. Lei rabbrividì.
"Ho pulito la cantina" rispose, guardando le sue scarpe macchiate di terra, il pavimento di cotto che odorava di detersivo e vecchie pietre. Mario annuì lentamente, poi portò la bottiglia alle labbra. Il silenzio si fece pesante, rotto solo dal ticchettio dell'orologio a cucù sul muro. Maria si passò una mano nei capelli, sentendo ancora il dolore al cuoio capelluto. Quando alzò lo sguardo, Mario stava ancora fissando il rosso sul suo collo. "Devi stare piu attento la sera quando scopiamo, mi lasci troppi lividi" disse infine Maria, le parole che uscivano incerte, mentre si voltava verso i fornelli per nascondere il tremito delle mani. La salsa al pomodoro bolliva piano nella pentola, rossa come il sangue che le pulsava nelle tempie.
Dal corridoio, sentirono la porta della camera di Matteo aprirsi. Passi pesanti si avvicinarono alle scale. Maria si irrigidì, il cucchiaio di legno che le scivolò dalle dita nella pentola, schizzando salsa sul grembiule bianco. Quando Matteo entrò in cucina, il silenzio si fece tagliente. Si fermò sulla soglia, con la camicia mezza fuori dai jeans, il sorriso troppo largo sulle labbra.
"Ciao papà. "
Mario non rispose intento a leggere un articolo sportivo sul giornale del giorno prima.
"Ceniamo?" disse secco, incrociando lo sguardo di Maria sopra la testa del padre. Per un secondo, i suoi occhi lampeggiarono di trionfo, freddo e vuoto. Lei abbassò lo sguardo sul grembiule macchiato di rosso, mentre il cuore le martellava contro le costole.
"Ho fame" disse, buttandosi su una sedia con un cigolio violento. Maria prese le pentole tremando, i bicchieri tintinnarono quando li mise sul tavolo. L'odore del pomodoro, dell'aglio, dell'olio d'oliva freschissimo, normalmente confortante, ora le dava la nausea. Mario si sedette al suo solito posto, senza parlare. Maria si mise di fronte a Matteo. Ogni suo movimento sembrava amplificato: il suono della pasta che cadeva nel piatto dello scodellino, il fruscio della mozzarella fresca quando la schiacciò col cucchiaio. Quando gli porse il suo piatto, le dita di Matteo le sfiorarono il polso. Un attimo. Caldo. Deliberato. Maria ritirò la mano come bruciata.
SUMMARY^1: Maria si trova nel salone di casa sua in Sicilia mentre suo figlio Matteo la avvicina con evidenti intenzioni sessuali. Nonostante le sue resistenze iniziali, Matteo la manipola fisicamente e psicologicamente, ricordandole di averla spiata mentre aveva rapporti con suo marito. Maria cede progressivamente, iniziando a praticargli un fellatio mentre lui la penetra digitalmente. L'arrivo improvviso del marito Mario interrompe l'atto, costringendo Maria a correre in bagno per ripulirsi mentre Matteo fugge al piano di sopra. Quando Mario entra in cucina, nota i segni sul collo di Maria ma accetta la sua scusa sui lividi lasciati durante il sesso coniugale. Durante la cena, la tensione tra madre e figlio rimane palpabile attraverso sguardi e contatti intenzionali, mentre Mario appare inconsapevole della situazione.
Mangiare fu un supplizio. Mario trangugiava rumorosamente, gli occhi fissi sul piatto. Matteo invece la fissava tutta la cena. Ogni volta che lei alzava lo sguardo, lo trovava lì: gli occhi neri che divoravano ogni suo movimento, ogni suo gesto. Il suo piede le strisciò contro la caviglia sotto il tavolo. Maria trasalì, il cucchiaio le cadde sul piatto con un tintinnio troppo forte. Mario alzò lo sguardo, cupo. "Che c'è?" chiese, la voce raschiata dalla stanchezza. "Niente" Maria borbottò, "Mi è appena caduto il cucchiaio". Riprese il cucchiaio con mano tremante. Il piede di Matteo si insinuò tra i suoi piedi scalzi, premendole contro la pianta. Lei chiuse gli occhi, concentrandosi sul sapore della salsa, dolce e acida insieme, cercando di non pensare alla bocca ancora umida di lui. Il sudore le colava lungo la schiena sotto la maglietta leggera.
Quando Mario finì, si alzò senza dire grazie, lasciando il piatto sporco sul tavolo. "Vado a riposare" disse, sbadigliando rumorosamente. "Stanotte ho il turno di mezzanotte". Si fermò sulla porta, voltandosi appena. "Tu" disse, indicando Matteo con la birra vuota, "Smetti di fissare tua madre così. È irrispettoso". Matteo sorrise, un ghigno che mostrava troppo dente. "Scusa, papà". Mario rivolgendosi alla moglie le disse di raggiungerlo a letto appena aveva finito la cucina, poi salì le scale, i passi pesanti che si allontanavano. Maria iniziò a raccogliere i piatti dal tavolo, le mani che tremavano così forte che le posate scivolarono di nuovo. Matteo rimase seduto. Quando lei si chinò per prendere una posata caduta, lui le sfiorò la nuca con le dita. Maria si bloccò, il fiato mozzato.
"Laviamo insieme" Matteo sussurrò, alzandosi. Si avvicinò al lavello dove lei stava sciacquando un piatto sotto l'acqua fredda. Le si mise dietro, così vicino che Maria sentì di nuovo il calore del suo corpo attraverso il vestito leggero. Il suo respiro caldo le sfiorò l'orecchio. "Lasciami lavare" disse lei, la voce strozzata dal panico che le saliva di nuovo. Ma lui prese il piatto dalle sue mani scivolose, le sue dita che si chiusero sulle sue. "Ti aiuto io" disse piano. Maria sentì il suo petto premersi contro la sua schiena mentre le mani di lui si muovevano insieme alle sue sotto l'acqua corrente. Il sapone ricciolo profumato di limone sembrò trasformarsi in un odore pungente e minaccioso. Lungo la schiena, sotto le sue mani che stavano sciacquando il piatto, Maria sentì le sue dita scivolare giù lungo il suo fianco, verso il punto basso della schiena dove le mutandine si infilavano sotto la gonna leggera. Ogni tocco era una scossa elettrica di orrore e terrore, lì sotto la luce fluorescente della cucina, con il rumore dell'acqua che scorreva.
"Sentito cosa ha detto papà?" Matteo le mormorò contro il collo mentre le sue mani continuavano a muoversi nel lavello sotto le sue. "Ha detto di raggiungerlo... e tu lo farai?" Le dita di lui scivolarono sotto l'elastico delle sue mutandine di cotone leggero. Maria irrigidì tutto il corpo, bloccando il respiro. "Certo che lo faro come ogni pomeriggio e smettila di toccarmi." disse piano, disperata. Eppure non si mosse, paralizzata dal terrore che lui facesse rumore, che Mario sentisse qualcosa di strano al piano di sopra. Le sue dita scivolarono più in basso ancora, sfiorando l'inizio della fessura tra le sue natiche, proprio dove il
marito l'aveva penetrata la notte prima. Un brivido le percorse tutta la schiena. "Tu gli apri le gambe... gli apri il culo" Matteo sussurrò, le labbra che sfiorarono il lobo dell'orecchio. "Lo farò anch'io, mamma. Prima o poi." Strappò le mani dal lavello all'improvviso, lasciandole il piatto sporco e bagnato stretto tra le mani tremanti. Si voltò e uscì dalla cucina senza dire altro, i suoi passi pesanti che salivano le scale verso la sua camera.
Maria rimase immobile, l'acqua fredda che le scorreva sulle mani unite attorno al piatto. Il sapone le scivolava tra le dita come ricordi sfuggenti di un tempo normale. Sopra la sua testa, sentì la porta della camera di Mario aprirsi piano - un cigolio familiare che ora suonava come un avvertimento. La sua voce bassa e stanca chiamò: "Maria?" Le gambe le cedettero per un secondo; si aggrappò al bordo del lavello, sentendo la ceramica fredda sotto le unghie. Doveva salire. Doveva salire da lui. Doveva fare finta che tutto fosse normale mentre Matteo ascoltava dall'altra stanza, e questo le impediva di provare il piacere che normalmente provava i pomeriggi quando saliva da lui, pregustando un pomeriggio di sesso. La porta della camera da letto era socchiusa, una fessura nera che nascondeva il marito.
Entrò nella penombra della camera da letto. La luce fioca della lampada da comodino disegnava ombre lunghe sulle pareti Mario era seduto sul bordo del letto, la schiena curva sotto la luce giallastra, le mani appoggiate sulle ginocchia. La sua tuta del cantiere giaceva in un mucchio sul pavimento, emanando odore di cemento secco. "Amore", sospirò lui senza voltarsi, il tono greve di stanchezza. Maria chiuse la porta con un clic sommesso, le mani ancora tremanti mentre si sbottonava la camicetta di cotone leggero. I bottoni di perla sembravano ostinati sotto le sue dita fredde; ogni piccolo scatto liberava un frammento di pelle che ricordava le mani di Matteo. La stoffa le scivolo dalle spalle quando sentì Mario alzarsi alle sue spalle. Il suo respiro caldo le sfiorò la nuca nuda mentre le sue mani le cinsero la vita, ruvide e familiari. "Ho tanta voglia di te", sussurrò lui, la voce roca di desiderio e fatica.
Le sue labbra furono prima sulla sua spalla destra - un bacio umido e affamato che lasciò una scia di pelle d'oca. Maria chiuse gli occhi, cercando di concentrarsi sul calore delle sue mani che salivano lungo le costole nude sotto il reggiseno. Ma ogni tocco evocava le dita di Matteo che cercavano le stesse curve ore prima. Le mani di Mario erano più larghe, più pesanti quando le sfilarono il reggiseno con gesti lenti. "Ti sei fatta più magra", mormorò contro la scapola sinistra, la lingua calda che seguiva una curva d'osso. Maria si lasciò condurre verso il letto, le gambe che cedevano quando i suoi polpacci toccarono il bordo del materasso. Mario la abbassò sulla coperta ruvida, le sue ginocchia che spingevano le sue gambe aperte mentre la bocca le divorava il collo. Il sapore del sudore di lui - metallico e salato - le ricordò involontariamente il sapore di Matteo in gola. "Mario..." iniziò a dire, ma le sue dita erano già sui bottoni della sua gonna, sganciandoli con la pratica di chi conosce ogni piega del corpo dell'altra da vent'anni. Il tessuto cedette sotto le sue mani sicure.
La gonna scivolò via come una seconda pelle abbandonata. Lui si abbassò sopra di lei, il peso familiare che la schiacciava nel materasso mentre la bocca trovava il clitoride attraverso la sottile stoffa delle mutandine. Maria gemette - un suono strozzato che voleva essere desiderio ma sapeva di timore. Le mani di Mario solcavano i fianchi, le cosce, risalivano lungo le costole come mappe di un territorio conquistato. Ogni carezza era più violenta del solito, più affamata, come se cercasse di cancellare qualcosa che non sapeva nemmeno esistere. La sua lingua le percorse lo sterno mentre le dita le strappavano via le ultime vesti. Maria sentì la sua pelle reagire, i muscoli tendersi sotto la pressione delle sue labbra che mordicchiavano la curva del seno. Il respiro di Mario si fece più affannoso quando le mani le afferrarono i polsi, premendoli contro il cuscino sopra la sua testa. "Solo io ti posso fare questo", sussurrò contro la sua bocca prima di baciarla con violenza. Ma negli angoli della stanza, Maria giurò di sentire l'alito freddo dell'attesa, come se le ombre stessero trattenendo il respiro.
"Dimmi dove vuoi essere scopata, amore." La voce di Mario era un ruggito basso contro il suo collo, mentre il suo ginocchio spingeva più forte tra le sue cosce. Lei chiuse gli occhi, il corpo arcuato per istinto sotto quella pressione tanto simile eppure così diversa da quella delle dita invasive di Matteo poche ore prima. La risposta le bruciò in gola mentre le sue gambe si aprivano ancora di più sotto la spinta ruvida. "Dietro..." sussurrò, la parola un filo di voce appeso alla disperazione. "Fammi da dietro, lo voglio nel culo". Mario emise un grugnito soddisfatto, le mani che le giravano i fianchi con bruschezza, costringendola a voltarsi sul ventre mentre lui si liberava dei pantaloni. Maria affondò il viso nel cuscino, respirando a fatica l'odore di vecchio cotone e sudore familiare. Sentì il calore del suo corpo appoggiarsi lungo la sua schiena, le ginocchia che le spingevano le gambe più aperte. Le sue mani le sollevarono i fianchi, esponendola completamente mentre le sue unghie graffiarono il lenzuolo. Il primo sfregamento della sua punta bagnata contro l'ingresso posteriore le strappò un gemito che Mario interpretò come piacere.
"Così?" Mario ansimò, premendo con forza crescente contro quella resistenza elastica. Lui non indugiò nel preliminare come Matteo aveva fatto; la penetrazione fu un'unica spinta brutale, profonda, che le riempì il retto di bruciore improvviso. Maria gridò nel cuscino, il corpo contratto dal dolore acuto che si mescolava alla ripugnanza familiare. Le sue mani le afferrarono i fianchi come morse, imprimendo nuovi lividi mentre iniziava a muoversi con ritmi sordi e profondi. Ogni colpo sembrava spingerla contro il materasso, il suo peso che la schiacciava mentre lei cercava di non pensare alla cantina, alle dita di Matteo che avevano preparato quel varco. L'odore della loro unione – muschio acre, sudore di cantiere – riempì l'aria stagnante. Nel corridoio, un cigolio impercettibile. Maria strinse gli occhi, mentre il movimento di Mario diventava più veloce, più animalesco. Lei si aggrappò al ronzio della lampada da comodino, un unico punto fisso nel crollo. La voce roca di Mario che gemeva il suo nome era solo rumore bianco sopra il battito furioso del suo cuore.
"Sì... apriti tutta..." lui ringhiò, le dita che le affondarono nelle natiche per spalancarle ancora di più. Il dolore si trasformò in un'onda sorda, persistente. Maria sentì il suo corpo traditore iniziare ad adattarsi, il bruciore che si incanalava in una corrente elettrica bassa, contorta. Le sue gambe tremavano mentre lui la tirava indietro contro di sé con ogni spinta, il suono umido della carne che si scontrava divenne ritmico, ipnotico. Il suo viso era schiacciato contro il cuscino impregnato del loro odore, la bocca aperta in un gemito strozzato che sapeva di resa. Ogni penetrazione la spingeva più in là dal limite, nel luogo dove non esisteva più madre né moglie, solo carne che cedeva. "Fallo..." sussurrò lei contro il cotone, non sapendo più chi implorasse, Mario o l'ombra dietro la porta che sapeva presente. Il ritmo si fece frenetico, le sue anche che le martellavano senza pietà. Un tremito iniziò nel suo ventre, un eco distante di piacere forzato, mentre le unghie di Mario le graffiavano la pelle della schiena fino a far sanguinare.
"Godi!" urlò Mario, un ordine più che un desiderio. La sua presa fu ancora più ferrea mentre raggiungeva l'apice, il suo corpo irrigidito sopra di lei in un ultimo scatto violento. Maria sentì il calore pulsante dentro di sé, un fluido estraneo e familiare che riempiva quel vuoto già profanato. ."
"Piu veloce." Maria sussurrò contro il cuscino, il respiro un rantolo roco. "Così. " Le parole erano liquide, grondanti di una resa totale che non sapeva più distinguere dalla dannazione. Il corpo di Mario si rilassò sopra di lei per un istante, il peso come un macigno sulla schiena, il sudore freddo che le colava lungo la colonna vertebrale. Sentì il suo membro afflosciarsi dentro di lei, un residuo umido e molle che le ricordò le dita di Matteo.
"Non..." La mano di Maria scattò all'indietro, afferrando il polso di Mario prima che si allontanasse completamente. Le dita tremavano ma la presa era disperata. "Non toglierlo ancora." Le parole uscirono più come un comando che una supplica, strozzate dal desiderio che bruciava più della vergogna. Il suo corpo era ancora contratto intorno a lui, i muscoli profondi
che pulsavano nell'oscurità. "Muoviti ancora... solo un po' più veloce..."
Mario emise un grugnito sorpreso, quasi divertito. "Non ti basta mai, eh?" Le sue anche risposero con un movimento lento, quasi pigro, l'ombra dei suoi fianchi che danzava sul muro dietro di loro come un fantasma osceno. Ogni spinta provocava una fitta sorda dentro Maria, un dolore che si trasformava in corrente elettrica lungo le vertebre. Lei abbassò la testa tra le spalle, spingendosi contro di lui con movimenti circolari dei fianchi.
"Così..." sibilò lei mentre il ritmo si faceva più serrato. La mano di Mario si serrò sul suo fianco sinistro, le dita che affondarono nel livido lasciato da Matteo. Il dolore acuto si fuse con la pressione interna, creando un vortice di sensazioni contrastanti. Nel corridoio, il pavimento scricchiolò appena - un suono impercettibile se non fosse stato per le sue orecchie tese. Fu allora che il corpo la tradì ancora: un tremito iniziò nell'addome, risalendo come un'onda di lava fino alla gola. Le dita afferrarono le lenzuola bagnate di sudore. "Sto... sto venendo..." gemette roca, la voce spezzata dall'orrore di quella resa involontaria. Le contrazioni la attraversarono violente, stringendo quel corpo estraneo dentro di sé mentre gli occhi bruciavano di lacrime represse.
Mario emise un ringhio animalesco, la sua ultima spinta brutale che la schiacciò contro il materasso. "Troia," ansimò contro la sua nuca mentre un nuovo getto tiepido la riempiva. Maria rimase immobile, il corpo ancora scosso da scosse elettriche di piacere ibrido. Quando lui si ritrasse, il suono umido fu osceno nell'aria ferma. Un rivolo caldo le colò lungo la coscia sinistra.
Si rotolarono sul fianco, il respiro affannoso di Mario che le batteva contro la schiena sudata. La lampada da comodino proiettava ombre distorte sul muro, forme che sembravano piegarsi verso di loro. Maria fissò quelle sagome danzanti, le palpebre pesanti di lacrime non versate. Le dita di Mario le scivolarono tra i capelli bagnati con una tenerezza post-coitale che la fece rabbrividire. "Ti ho fatto male?" mormorò, la voce ancora roca.
"Nessun dolore. È stato bellissimo." Mentre lo diceva, il sapore di Matteo le tornò in gola come bile. Il corpo le pulsava ancora di contrazioni residue, ma ogni fremito le bruciava come una ferita per Matteo. La mano di Mario le accarezzò la clavicola, proprio dove il figlio l'aveva morsa. Il tocco leggero le scatenò un brivido involontario che Mario interpretò come piacere. Si strinse a lei con un sospiro soddisfatto.
Dietro la porta chiusa, nell'oscurità del corridoio, Matteo respirava a fatica, la fronte appoggiata contro il muro freddo. Dentro il pigiama la mano destra che si muoveva ritmica sul cazzo indurito dalla visione attraverso una fessura della porta fessura. Aveva visto tutto: il modo in cui il padre l'aveva rivoltata , i glutei di sua madre che tremavano sotto ogni colpo, la schiena arcuata quando era venuta, i suoi gemiti di piacere. Ora osservava i loro corpi sudati che si separavano sul letto disfatto, la madre che si puliva con un fazzoletto strappato dal comodino. La sua mano accelerò, le nocche bianche sotto la pelle tesa.
Quando lei si alzò per andare nel bagno comune, Matteo strisciò nell'ombra fino alla sua camera. L'odore acre del sesso gli riempì le narici mentre frugava al buio nel cassetto del suo comodino con la mano libera. Le sue dita riconobbero immediatamente il pizzo delle mutandine preferite di lei, che lui le aveva sottratto dal cesto dei panni sporchi. Le afferrò e con , le mutandine strette contro il naso, annusava profondamente il profumo di lavanda e sudore femminile. La mano sinistra che le apriva mentre la destra accelerava sul cazzo bagnato di saliva. Quando sentì Maria uscire dal bagno il suo orgasmo esplose in una serie di sussulti muti, il seme caldo che riempiva la mutandina di pizzo come un'offerta sacrilega.
Il pomeriggio trascorse tranquillamente. Maria completò il riordino della cantina, Mario e Matteo erano usciti insieme per comprare dei pezzi per una macchina d'epoca che avevano acquistato in un asta e che stavano riparando in garage. Al loro rientro, mentre Matteo tornava in camera sua a giocare alla play station, Mario si trattenne in garage per sistemare i pezzi che avevano acquistato e per ordinare quelli ancora mancanti mentre Maria preparò, come consuetudine, il necessario per Mario per il suo turno di notte che sarebbe iniziato alle 18,30 e sarebbe terminato alle 12 del giorno dopo. Gli preparo la cena e il caffe per la colazione della per la mattina successiva con i biscottini fatti in casa. Quando Mario usci Maria iniziò a preparare la cena per lei e Matteo. Sin da quando il marito aveva messo piede fuori casa, era stata colta da una ansia irrefrenabile. Temeva la reazione di Matteo per quello che era successo nel pomeriggio in camera da letto. Era sicura che Matteo li avesse spiati e che si fosse accorto che lei aveva goduto tanto a farsi inculare dal padre.
Timidamente, quasi fosse una ragazzina spaventata, Maria si avvicinò alla porta della camera di Matteo e bussò sommessamente: "Matteo, la cena è pronta..."
Non ricevette risposta. Solo un fruscio improvviso, come di qualcosa nascosta in fretta sotto il cuscino. Maria inspirò profondamente prima di aprire la porta, scoprendo suo figlio seduto sul letto con le gambe incrociate e la Playstation in mano. Ma l'odore nella stanza era denso, dolciastro - quel particolare misto di adrenalina e sperma che riconobbe troppo bene.
"Ho detto che la cena è pronta" ripeté, fissando il telecomando che tremava leggermente tra le sue dita troppo tese. Matteo alzò lo sguardo lentamente, gli occhi neri che la scrutavano dall'alto in basso con una calma innaturale. "Non ho fame" disse infine, abbassando di nuovo lo sguardo sullo schermo dove due personaggi si massacravano a colpi di armi da fuoco.
Maria annuì, la lingua improvvisamente pesante. Avrebbe voluto voltarsi e uscire, ma qualcosa la inchiodava sulla soglia, il corpo diviso tra la paura e un'oscura attrazione. L'aria nella stanza era satura di testosterone e umidità, quasi palpabile. Notò il collo di Matteo arrossato, i capelli alla nuca ancora umidi di sudore. "Hai... hai visto tutto oggi?" sussurrò senza volerlo, la voce un filo spezzato.
Matteo abbassò lentamente il controller, le dita che accarezzavano i pulsanti con una calma minacciosa. "Ogni secondo." Il sorriso che le rivolse era di quelli che fanno male. "Ti piace quando papà ti prende così, eh? Da dietro, come una cagna in calore."
Maria sentì le gambe cedere leggermente, la mano che si aggrappò allo stipite per non cadere. Le parole di Matteo le bruciavano la pelle più delle sue dita mai potuto fare. "Non è... non è quello che pensi," balbettò, ma anche a lei suonava falsa.
Matteo si alzò dal letto con movimenti fluidi da predatore, avvicinandosi finché il calore del suo corpo non le sfiorò il seno. "Oh no?" sussurrò contro la sua tempia, le labbra che sfioravano la pelle d'oca sul suo collo. "Allora perché sei venuta così forte? L'ho sentito, sai. Quel respiro affannoso che fa quando stai per..."
Maria scattò indietro come bruciata, ma la parete le bloccò la fuga. Le dita di Matteo le afferrarono il polso con una pressione calcolata, proprio dove il suo orologio nascondeva i lividi. "Sei venuta per scusarti?" continuò, il respiro caldo che le accarezzava le labbra tremanti. "O forse..." La mano libera le scivolò sotto la maglietta, le dita callose che strisciarono sull'addome ancora contratto dai brividi. "...sei venuta a finire quello che papà ha iniziato?" Maria sbatté le palpebre, il cuore in gola. "Matteo, per favore.,non fare cosi."
"Ho dovuto farlo," sibilò lei, mentre lui laschiacciava contro lo stipite con il bacino. "Non potevo tirarmi indietro." Il suo corpo era un muro di tensione, ogni muscolo vibrante. "E poi lo sai... non si riesce a controllarsi quando l'eccitazione ti assale." Le parole erano lame contundenti, il ricordo di come aveva spiato ogni singolo gemito, ogni contrazione dei loro corpi, reso carne viva nella sua voce. Le sue dita si infilarono sotto l'elastico dei pantaloni di Maria, sfiorando il pube rado. "Sentivi il mio sguardo addosso, mentre ti sfondavi per lui. Lo sentivi, vero?"
"Si... lo sentivo," ammise Maria con un gemito strozzato. L'ammissione le bruciò la gola, ma era una verità che pesava come pietra. Ogni poro della sua pelle aveva percepito la presenza di Matteo oltre la porta, come un'ombra calda che alimentava la vergogna e l'eccitazione in parti uguali. La sua mano tremante si appoggiò involontariamente sul petto di lui, sentendo il cuore martellare contro le costole. "Sapevo che stavi guardando. Sapevo... e mi ha fatto..." La frase si perse in un sibilo, mentre le dita di Matteo strisciavano più in basso, sfiorando le labbra ancora gonfie dal rapporto con Mario. L'odore di sé stessa, mescolato al sudore di suo figlio, le riempì le narici.
Matteo affondò le dita nel calore umido che aveva cercato, un tocco che non chiedeva il permesso. "Vedi?" sibilò, premendo il palmo contro il suo pube mentre lei si inarcava. "Anche adesso tremi per me." Il respiro gli si fece più affannoso, i fianchi che spingevano in avanti per strofinarsi contro la sua coscia. Il rigonfiamento nel jeans era duro, insistente. "Papà ti riempie, ma io..." Una risata soffocata
gli uscì dalle labbra. "... io ti conosco. So dove toccarti per farti impazzire."
Maria chiuse gli occhi, sopraffatta dalla duplice vergogna: del desiderio che le liquefava le ginocchia, e della frase che le bruciava la lingua. "Matteo, aspetta..." Ma le sue mani invece di respingerlo, gli si aggrapparono alle spalle, le unghie che affondarono nella stoffa della sua maglietta. Il corpo tradiva ciò che la voce negava.
"Mi dispiace per te," sussurrò, il respiro un filo spezzato contro il collo di lui. Il sapore di quel pentimento era amaro come la cenere. "Ma dovevo soddisfare tuo padre. È mio marito. La sua... la sua fame... se non la sazio io, la cerca altrove. E questa famiglia..." La scusa le morì in gola, svuotata dalla pressione delle dita di Matteo che scivolavano più in profondità, trovando il nodo sensibile che solo lui, nella sua ossessiva osservazione, sembrava conoscere così bene. Un gemito le sfuggì, lungo e tremulo. "...questa famiglia non può sgretolarsi."
Matteo rise piano, un suono basso che vibrava contro la sua pelle. "Brava madre. Sacrifichi il tuo corpo per tenere unita la famiglia." Il palmo della sua mano premé più forte contro di lei, mentre l'altra le sollevava la maglietta, esponendo il ventre ancora segnato dai lividi violacei delle dita di Mario. Le sue labbra seguirono il percorso di quelle ferite, baci che bruciavano più del sale. "E per me? Cosa sacrificherai?"
Maria trattenne il fiato. La sua mano sinistra, quasi senza controllo, scivolò lungo il fianco di lui, le dita tremanti che incontrarono il rigonfiamento insostenibile sotto i jeans. Era duro, pulsante, un monumento di desiderio giovanile. La stoffa ruvida le scorticò i polpastrelli mentre premeva, sentendo il calore irradiarsi come un forno. La voce le uscì rotta: "Non posso... non di nuovo..."
Matteo le afferrò il polso con brutalità improvvisa, costringendole la mano a palpare la pienezza del suo sesso . "Menti," sibilò contro il suo orecchio. "La tua mano sta già implorando." La pressione aumentò, le sue dita schiacciarono le sue contro la carne tesa. Un gemito gutturale gli sfuggì quando lei, inconsciamente, strisciò il pollice lungo la lunghezza, riconoscendo la forma che l'aveva riempita di terrore e fascinazione. "Senti come arde per te? È tutto tuo, madre."
Maria chiuse gli occhi, sopraffatta. Il ricordo della bocca di Mario che le ordinava di godere si confuse con l'odore di gioventù e brama di Matteo. La sua mano, traditrice, iniziò a muoversi con un ritmo antico, sfregando lungo il jeans con pressione crescente. "Non... non dovremmo..." sussurrò, ma il movimento delle dita divenne più deciso, più circolare sull'apice del rigonfiamento. Sentiva il battito frenetico sotto la stoffa, un tamburo di peccato.
Matteo gemette, il respiro che si fece corto e affilato. La sua mano scivolò nei capelli di lei, afferrando una ciocca con dolce brutalità. "Toglilo," ordinò, la voce roca. Maria obbedì con movimenti malfermi, il tintinnio della cerniera che squarciò il silenzio della stanza. L'odore intenso di muschio e desidero la investì quando liberò l'erezione pulsante dal tessuto. Il calore le bruciò il palmo. Guardò la vena che correva lungo il membro come un serpente bluastro, il glande gonfio e lucido di precum. Un brivido le percorse la schiena.
"Se vuoi ti faccio un pompino così ti calmi," sussurrò, la frase che le scivolò fuori prima che potesse fermarla. Le parole erano un'offerta umiliante, una resa che sapeva di sudore e paura. Gli occhi di Matteo si strinsero in uno sguardo predatorio, la bocca che si incurvò in un ghigno. "Ma non vuoi calmarmi, mamma. Vuoi vedermi perdere il controllo per te." La sua mano le schiacciò la nuca con possessività, guidandola verso l’inguine. L’odore acre la fece girare la testa, un profumo di giovinezza e peccato che le riempì i polmoni.
Maria si lasciò spingere in ginocchio sul tappeto ruvido, il legno del pavimento che le scorticava le ginocchia attraverso il tessuto sottile dei pantaloni. Guardò quel cazzo pulsante davanti ai suoi occhi, la vena che batteva sotto la pelle tesa. *È il sangue di mio padre che brucia in lui*, pensò con un brivido d’orrore. Il primo contatto delle labbra fu elettrico – la punta salata del glande che le sfiorò il labbro inferiore, il sapore metallico del precum che le inondò la lingua. Sentì il gemito soffocato di Matteo sopra di lei, le dita che le si intrecciarono nei capelli con una pressione che prometteva lividi.
"Lentamente," sibilò lui, il respiro un rantolo roco. "Voglio sentire ogni centimetro." Le sue anche scattarono in avanti, costringendola a ingoiare di più, più in fretta di quanto volesse. La punta le colpì il palato molle, scatenando un conato di vomito che represse a denti stretti. Il sapore di lui – muschio, sudore adolescenziale e qualcosa di acutamente familiare – le riempì la gola. Le sue mani si aggrapparono ai suoi fianchi ossuti, sentendo i muscoli contrarsi sotto la maglietta mentre lui iniziava a muoversi con ritmo regolare. Ogni spinta più profonda le faceva lacrimare gli occhi, l’impressione di soffocare mescolata a un’umiliante eccitazione che le serpeggiava nell’addome.
Mentre lo succhiava, la lingua che massaggiava la vena pulsante sotto la pelle, un pensiero proibito eruppe in lei. Era immenso, molto più grande di Mario, più lungo e con una curvatura che prometteva di toccare punti mai raggiunti. Le labbra si strinsero intorno a quella carne rovente, le guance scavate dallo sforzo. Immaginò quel cazzo dentro di lei, non nella fessura familiare, ma lì dietro, dove Mario l’aveva appena posseduta. Il ricordo del dolore che si trasformava in piacere profondo le fece contrarre l’ano in un fremito involontario. *Dio, se mi prendesse lì...*, pensò, la bava che le colava lungo il mento mentre Matteo le affondava i polpastrelli nel cuoio capelluto. Il gemito che le strappò fu un misto di dolore e desiderio osceno.
Matteo sembrò sentire il suo tremore. “Stai pensando alla mia cappella nel tuo buco di culo, mamma?” sibilò, i fianchi che spingevano più forte, fino a farle sollevare le tonsille. La punta toccò l’ugola, scatenando un conato che la costrinse a ritirarsi, ansimante, il mento lucido di saliva. Lui non le diede tregua, la mano che le serrò la nuca con forza brutale. “Immaginala,” ordinò, la voce rotta dal piacere. “Immagina come ti spaccherei, più forte di papà.” Maria chiuse gli occhi, sopraffatta. Nella mente vedeva sé stessa piegata sul letto, le chiappe divaricate, mentre quella creatura di suo figlio le lacerava l’ingresso ancora dolente. Una scossa di eccitazione le percorse la schiena, più intensa di qualsiasi orgasmo.
“Ammettilo,” insisté Matteo, tirandola di nuovo verso l’erezione che pulsava sotto le sue labbra tumefatte. “Ammettilo che lo vorresti nel culo.” Le parole erano un coltello che le squarciava l’anima. Maria tentò di scuotere la testa, ma la presa di lui era ferrea. “Lo... lo ammetto,” sibilò contro la sua carne, il respiro caldo che gli accarezzava il glande. La confessione le bruciò la gola come acido. “Vorrei sentirti lì... tutto intero.” La verità era una colata di pece nera che la invadeva, mescolandosi al sapore di lui.
Matteo le tolse la mano dai capelli, lasciando un dolore sordo nel cuoio capelluto. “Allora girati,” ordinò, la voce roca di eccitazione. “Come ti metti con papà.” Il comando la paralizzò per un istante. Si sentì esposta, nuda come una bestia da macello. “Sul tappeto,” aggiunse, indicando il pavimento con un cenno del mento. “A quattro zampe.” L’immagine le balenò in mente: lei in posizione, i fianchi sollevati, mentre lui si preparava a penetrarla con la brutalità di una condanna. Il cuore le martellava nelle orecchie, un tamburo di resa. “Matteo, è pericoloso... senza lubrificante...” La scusa suonò fioca, patetica.
“Zitta, troia,” sibilò lui, afferrandole un polso con forza brusca. La sua espressione era una maschera di brama e rancore. “Non mi interessa se ti spezzo.” La spinta fu violenta, la sua faccia schiacciata contro il tappeto sintetico che sapeva di polvere e sudore vecchio. Le mani di Matteo le sollevarono i fianchi, strappandole via i pantaloni e le mutandine insieme in un unico gesto brutale. L’aria fredda della stanza le colpì la pelle umida dei glutei, esponendo il culetto ancora arrossato e pulsante dalla violenza di Mario. Maria chiuse gli occhi, stringendo i denti. Sentì la punta del suo glande, un ferro rovente, premere contro l’entrata stretta e dolorante. “Preparati a godere,” ringhiò alle sue spalle, il respiro un rantolo animale.
Maria crollò. Ogni difesa era caduta. Il corpo si rilassò in una resa totale, accettando l’inevitabile. “Sfondami,” gemette, la voce rotta e afona. “Spingilo dentro fino alle palle.” Le parole erano un incantesimo oscuro. “Fammi sentire tutto.” Si inarcò di più, offrendosi con disperazione. “Ti prego, Matteo... riempimi.” Sentì le sue dita affondare nella carne dei suoi fianchi, le unghie che le laceravano la pelle. Poi la spinta—lenta, inesorabile, un cuneo di fuoco che le spaccava l’anello muscolare. Un urlo le strappò la gola, un misto di dolore lancinante e piacere proibito. Il cazzo di Matteo avanzava, centimetro dopo centimetro, dilatandola con una brutalità che superava ogni immaginazione. Il gemito di lui le rimbombò nelle ossa: “Cazzo, è meraviglioso il tuo culo.”
“Sì, così,” ansimò Maria, il volto premuto contro il tappeto. “Spingi... spingi più forte.” Il dolore iniziale si trasformò in un fuoco liquido che le avvolgeva la colonna vertebrale. Sentiva ogni dettaglio—la curvatura del suo cazzo che raschiava punti profondi, le vene pulsanti che sembravano battere contro le sue pareti interne, il sudore di Matteo che le colava lungo la schiena. “Sento... sento tutto,” singhiozzò, le dita che si aggrappavano al tessuto sintetico. “Aprimi... apriti tutta.” Il comando era un rito. Matteo obbedì, un colpo secco
dei fianchi che la fece sobbalzare in avanti. Un suono umido, viscerale, riempì la stanza—la carne che cedeva, la sua che accoglieva. Era dentro fino all’attaccatura, le palle che schiaffeggiavano le sue natiche. Maria urlò di nuovo, ma questa volta fu un grido di estasi pura, primordiale. “Dio... sì! Così!”
I gemiti si alzarono in un crescendo animalesco. “Siii, trattami come una troia!” gracchiò lei, la voce rotta dalla spinta. “Usami... fammi venire!” Matteo rispose con un ringhio, le mani che le serravano i fianchi con tale forza da promettere lividi viola. Ogni movimento era una coltellata di piacere—avanti per riempirla, indietro quasi per uscirle, poi di nuovo dentro con violenza raddoppiata. Maria sentiva il suo corpo cedere, le pareti anali che si contraevano intorno a lui come una morsa bramosa. “Lo senti? Lo senti come mi stringo?” ansimò, voltandosi a guardarlo. I suoi occhi erano pozze nere di follia, la bocca aperta in un rantolo. “È... è perché sei tu... solo tu mi fai impazzire così...”
Matteo affondò le dita nei suoi capelli, tirandole indietro la testa con brutale possesso. “Vuoi la mia sborra, eh?” sibilò, il fiato caldo contro il suo orecchio. “Vuoi sentirti piena? Allora stringimi forte, puttana.” La sua spinta divenne frenetica, selvaggia—colpi profondi che le facevano perdere il fiato, il cazzo che le raschiava ogni punto sensibile. Maria ululò, gli artigli che si conficcavano nel tappeto. Un tremore le percorse la schiena, l’addome che si contraeva in spasmi incontrollabili. “Sto... sto per venire!” gemette, il corpo che si irrigidiva nell’onda imminente.
“SIII, SBORRAMI DENTRO!” urlò lei, la voce un graffio roco. “VOGLIO SENTIRLA CALDA E IMPERIOSA!” L’invocazione fu un ordine, una preghiera blasfema. Matteo ringhiò come un animale, i fianchi che martellavano con furia finale. Sentì il suo cazzo pulsare dentro di lei—esplosioni violente, ondate bollenti che le inondavano le viscere. Un calore liquido, denso e imperioso, si sparse nel suo profondo. Maria crollò a faccia in giù, un gemito lungo e spezzato che le uscì dalle viscere mentre l’orgasmo la squarciava—contrazioni anali che strizzavano ogni goccia di seme, il corpo che tremava come un terremoto.
Mai, *mai* con Mario era stato così. Nemmeno lontanamente. Lui la prendeva, la usava, ma era un fuoco che bruciava veloce. Matteo... Matteo l’aveva aperta, posseduta, *rifatta*. Un incendio che consumava tutto, lasciandola vuota e piena allo stesso tempo. Il piacere non era stato solo fisico. Era stato nel riconoscimento feroce negli occhi di suo figlio, nella crudeltà della sua presa, nell'odore di sudore e seme e potere che riempiva i suoi polmoni. Un’estasi che rasentava l'annientamento. Le lacrime le rigavano il volto premuto sul tappeto, non di dolore, ma di una liberazione oscena. Aveva *voluto* essere spezzata. E lui l'aveva fatto.
Ora era diventata la sua puttana ed era felice.
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