Il convento sul monte: col colpo in canna

di
genere
etero

Consiglio: leggete prima gli altri capitoli del racconto


“La guerra ci ha insegnato che non puoi rimanere senza munizioni!”
Seduti intorno ad un tavolino sgangherato, sorseggiavamo un bicchiere di vino senza pretese. Lui intrecciava ramoscelli di ginestra per fare un cesto: le sue mani si muovevano rapide e sicure in un qualcosa che aveva già fatto mille volte. Io, di tanto in tanto, sbirciavo il bambino: da un paio di giorni dava timidi segni di ripresa e la madre non lo lasciava un attimo. Il padre doveva lavorare e così era il nonno, il padre di lei, a farle compagnia e, forse, ad assicurarsi che tra me e lei non ci fosse qualcosa che uscisse dal rapporto strettamente professionale. Io non ne avevo nessuna voglia: non che non fosse carina, ma mi ero innamorato della suo trasporto materno, del bisogno che aveva di sperare che quel figlio sopravvivesse, per pensare ad altro. Avevo fatto amicizia con loro e avevo rivelato quel segreto: avevo parlato di me e di Flora, della vista del marito, della passeggiata in montagna e della scoperta che avevo fatto.
“Da qualsiasi parte stai, non restare mai senza munizioni!” insistette lui.
“Non capisco!”
“Ora hai un'arma, ma se spari, se li sputtani, rimarrai senza munizioni. Loro dovranno affrontare lo scandalo, ma stanne certo che te la faranno pagare.”
“Quindi?”
“Quindi, devi mostrare a loro che hai le munizioni, ma senza sparare!”
“Parla chiaro!”
“Dottore, devi parlare con loro, ma prima devi raccogliere le prove. Ora potrebbero dire che stai cercando di vendicarti. Di sicuro, uno come te, ha una macchinetta fotografica.”
“Non ce l'ho, ma posso procurarmela.”
“Ecco, bravo! Fai qualche foto, le fai sviluppare, poi gliele mostri e fai il prezzo.”
“Un ricatto, insomma!”
“Perché il suo non lo era?”
“Hai ragione! E il prezzo sarà salato, per lui!”
“Non devo essere io a dirtelo: lui è un contrabbandiere, ma il maresciallo chiude un occhio, o forse tutti e due. Ma se il sindaco glieli fa aprire è fottuto. Sono sicuro che sarà felice di arrivare ad un compromesso.”

Trascorse più di un mese tra il procurarmi la macchina fotografica, fare gli appostamenti e beccare il giorno giusto in cui si incontrarono, ma alla fine avevo un rullino pieno di foto. Non fu difficile trovare qualcuno che le sviluppasse con l'assicurazione di tacere in cambio di un bel compenso.
Quindi, andrai a trovare la signora, la moglie del sindaco.

“Belle foto davvero! E ora che vuoi, dottorino?”
“Da lei non voglio nulla, signora! Ma al suo amante deve chiedere di sparire dalla vita di Flora: deve dimenticarsi che esiste, scordarsi dove abita. E deve dirgli anche che, se pensasse di farmi fuori, il rullino è depositato presso un notaio che ha disposizione di consegnarlo alla polizia, se dovesse accadermi qualcosa di male. Capito bene? Alla polizia, non al vostro amico!”
“Peccato! Speravo di dover pagare qualcosa anche io!”
Dicendolo, la sua mano aveva raggiunto la patta dei miei pantaloni e saggiava la consistenza dei miei attributi!”
“Ad essere sincero, signora mia, non mi dispiacerebbe. Ma non oggi: lei faccia in modo di far uscire quel selvaggio dalla vita di Flora: chissà che non abbia bisogno di una visita dal suo medico. Dovrò fargliela per forza: l'ho giurato! Allungai a mia volta la mano a saggiare la consistenza del suo seno che trovai bello sodo. Poi mi avvicinai e la bacia sulle labbra: non sembrava una troia. Lo era fino al midollo.

La sera, corsi a dare la notizia a Flora e giunsi a casa sua proprio mentre ne usciva il marito, per dileguarsi sulle montagne come suo solito. Entrai, approfittando dell'uscio solo socchiuso: Flora era in un angolo, rannicchiata per terra, coi vestiti lacerati e varie ecchimosi. Singhiozzava. La sollevai e la portai sul letto.
“Va via! Se torna mi ammazza, ma non me ne importa. Se torna ammazza anche te e questo non lo voglio. Vai via, ti prego!”
Le chiusi la bocca con un dito.
“Stai tranquilla! Non tornerà. Anzi, sono sicuro che non lo vedrai più.”
La osservai con attenzione, per assicurarmi che quell'energumeno non fosse andato oltre misura e le avesse causato qualche danno importante, ma mi sembrò che si fosse limitato a farla nera. L'ultima volta, pensai con soddisfazione. Mi spogliai e mi stesi accanto alei, abbracciandola; lei si addosso col suo corpo al mio il più possibile e si addormentò. Ci svegliammo che già l'alba era passata.
“Mio Dio, mio Dio! Sbrigati! Vai Via!”
“Non prima di aver fatto l'amore con te!”
“Tu sei pazzo! Ti vedranno uscire e …”
“... e chi se ne fotte!”
cominciai a baciarla, partendo dalle mani callose e risalendo le braccia, contrastando la sua riluttanza sempre meno convinta, fino a che non si lasciò andare del tutto. Mi piaceva quel modo di fare l'amore con lei, così puro, così diverso dal sesso che mi regalavo con le altre donne. Mi chiedevo se l'amassi e se fosse possibile amarla nonostante la differenza di età. Non avevo una risposta scontata: sapevo di stare bene con lei, sia che facessimo l'amore che se mangiassimo o semplicemente parlassimo. Non sentivo la differenza degli anni, non percepivo la disparità di cultura. Stavo bene! Mi immergevo nel suo corpo e lei si scioglieva nel mio: non era solo piacere fisico. Era qualcosa che coinvolgeva l'anima e che lasciava un senso di benessere anche dopo che i nostri ormoni si erano placati.
“Ho bisogno di una donna che tenga ordinata casa e studio.”
“Vuoi una serva!” disse, malcelando il dispiacere.
“Non lo sarai: sarai la padrona di casa, anche se non saremo sposati!”
Si rasserenò.
“Ora devo andare a fare ambulatorio, ma stasera dormo qua. O se vuoi dormirai tu da me!”
Uscii di casa, incurante degli occhi che osservavano lo scandalo.
di
scritto il
2025-08-09
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