Je confesse (parte 2)

di
genere
sentimentali

Passò una settimana. Avevo visto mia moglie com'era stata, ma l’avevo vista agghindata come qualsiasi ragazza della sua età che non ama mettersi in mostra. E si sa, l'appetito vien mangiando.
Mi feci scoprire intento a rimirare quella foto. Si lasciò trasportare dai ricordi. Le chiesi diffusamente del nuoto, della pallavolo. Trascorse un’ora di soliloquio infarcito di informazioni importantissime. Memorizzai tutto. Scoprii che una settimana dopo le prove dell’esame la squadra con cui giocava avrebbe affrontato in finale le avversarie dirette al titolo cittadino. Si trattava di un campionato formato dalle migliori rappresentanti dei rispettivi istituti scolastici di secondo grado. Ma fu un trionfo. E forse fu la sua partita più entusiasmante.
Le si illuminano gli occhi mentre parla, ed io mi ci perdo dentro. È sempre bello rievocare il passato, pure se fosse un brutto passato. Per allenamento, lei praticava nuoto in modo assiduo. Ricordava di aver fatto le ultime vasche due giorni prima, un giovedì. Mentre ancora parlava con la sua voce sensuale la baciai, le strinsi i seni sotto la camicetta, la spinsi pian piano verso la camera da letto dove facemmo l’amore, addormentandoci poi come due cucchiai nel cassetto.
Quel giovedì di 24 anni prima mi trovavo sugli spalti della piscina. Non la vedevo in mezzo alla calca dei nuotatori. Cercavo la cascata scomposta di capelli, ma la cuffia la nascondeva. Vidi emergere una ragazza dal velo dell’acqua ed ergersi leggera come una venere sospinta dalla brezza marina. La riconobbi anche se era irriconoscibile. La sua silhouette era fantastica: magra, le gambe affusolate e slanciate, la vita stretta, la terza di seno che spiccava nel busto smilzo come le rotondità di due prospere colline in un ritratto paesaggistico – due tette che non avresti tirato giù neppure ad appenderti. Mia moglie come non l’avevo mai vista prima. Compresi che eravamo destinati ad incontrarci, che mi sarei innamorato di lei in ogni caso, e contro qualsiasi avversità…
Aveva finito l’allenamento. A bordo vasca si levò con gesto plateale la cuffia scrollando una superba corona di capelli selvaggi. Fuggii come un colpevole.

La grande finale si disputava sabato pomeriggio. Sugli spalti c’era un po' di gente: curiosi mischiati a familiari interessati. Riconobbi i miei futuri suoceri. Anche loro privati dal peso degli anni. La loro figliola – quella che avrei amato, impalmato, e reso madre dei loro nipoti – giocava come schiacciatrice. Io di volley non capisco niente. Carpivo qualche spezzone di frase qua e là.
Mi concentrai sulla ragazza ancora lontana dal diventare donna e mia moglie. La divisa della polisportiva donava a quel corpo! Le belle gambe magre facevano sfoggio di sé dal bordo dei calzoncini cortissimi. Una fascia stringeva i capelli dietro la nuca in un delizioso chignon. Vidi tutta la partita. Saltava come un grillo e quando prendeva la palla la mandava a schiantarsi sul campo avversario o contro la debole opposizione delle contendenti. A quanto avevo capito, la sua squadra era partita malino, benissimo l’altra, tanto che a metà campionato i giochi sembravano fatti. Ma durante il girone di ritorno le parti si erano invertite e il giorno della finalissima – il calendario aveva deciso di metterle una di fronte all’altra proprio all’ultimo turno – solo un punto le separava in testa alla classifica. Finì 3 a 1, con un parziale finale di 3 a 0 delle trionfatrici. E la mia donna fu incoronata miglior atleta della partita e regina del torneo.
Quella sera a casa osservai attentamente l’espressione disegnata dal momento sul volto della mia amata. Un abisso separava le due lei: la sostanza era la stessa, diverse le circostanze. Non ultima, tutti i casi che la vita le aveva messo davanti e la prossimità sempre più vicina ed ineluttabile della sua fine – della nostra fine. Abbozzai un sorriso.
“Bè?” ribatté al mio sguardo luciferino, imbarazzata. “Perché mi guardi così?”.
“Niente” risposi. “Ti amo”. E di nuovo mi avvicinai quatto quatto, la coprii di baci, le risvegliai le zone erogene, la trascinai a letto per prenderla.

La cosa mi stava prendendo la mano.
Dato che ad un primo impatto non sembravano verificarsi controindicazioni nocive, la mia scioltezza nell’andare e venire lungo la linea del tempo conosceva solo un ostacolo: le libertà che mi prendevo nei confronti di quella ragazza che non aveva ancora conosciuto l’uomo che avrebbe sposato. E che non ero comunque io, poiché l’uomo che un giorno si presentò per intervistarla aveva parecchi anni più di lei.
Mi guardò strano.
Ebbi un soprassalto. Lo stesso sguardo strano di quando si trova di fronte a situazioni non conciliabili con le sue aspettative. “Scusi, lei chi è?”.
“Un talent-scout”.
L’abbandono forzato dell'attività agonistica – sopra cui, capii, aveva segretamente e ingenuamente ricamato un futuro radioso – aveva creato in mia moglie una profonda disillusione mai del tutto lenita dai successi professionali e da quelli, più prosaici e poetici a un tempo, dell’eden domestico. Per cui nella ragazza che era, ancora proiettata con radiosa speranza dentro i suoi sogni ad occhi aperti e desideri gelosamente custoditi, l’identità che falsificai in quel primo incontro le fece visibilmente spalancare i padiglioni auricolari.
“Ho seguito la partita” spiegai. “Hai giocato benissimo”. Non mi ero preso la briga del «tu» con irrispettosa ingerenza. Soltanto non mi sarebbe mai riuscito naturale darle del lei, anche se il contesto lo induceva. Dopotutto ero io, adulto e portatore di valori, a dover dare il buon esempio. Notai ad ogni buon conto che la confidenza la elevò ad un rango cui non avrebbe mai osato aspirare: quello di promessa del volley. Sembrava che un nuovo sole in miniatura fosse sorto dentro di lei e irradiasse di luce gli occhi, la bocca socchiusa, le guance arrossate. Le spiegai che agivo per conto di una squadra cittadina militante in una serie semiprofessionistica. Che c’erano buone, anzi ottime probabilità per un provino.
Mi sentivo scisso in due. Una parte di me esultava per l’inganno ordito e l'altra inorridiva immaginando la delusione quando lo scenario prospettato non avrebbe mai avuto luogo.
“Avrei bisogno di conoscerti meglio, sapere quali sono le tue prospettive future anche in ambito di studi. Potresti essere costretta a combinare sport e università e non tutti riescono…”.
Ma lei scuoteva la testa. “No no, per me va bene. Sono abituata a far combaciare più cose e riuscire al meglio”.
Ah, l’antico e ben fondato orgoglio! Trovavo in nuce già tutto ciò che la riguardava e l’avrebbe riguardata in seguito. “Ti fa piacere una birra o sei troppo salutista?” azzardai. Se l’avesse presa male non ci sarebbe stata un’altra occasione.
Sorrise passando sulla fronte l’asciugamano. “Dopo la doccia”.
“Va bene. Aspetterò”.
Avrete ormai capito quale genere di confessione sia quella che non posso più tacere: dare forma ad uno dei sogni più antichi del maschio, rispondendo all’eterna domanda se essere il primo o l’ultimo uomo della donna che si ama. La tecnologia mi avrebbe permesso di essere «e l’uno e l’altro».
Io sapevo che non ci saremmo mai lasciati, che saremmo invecchiati insieme, che saremmo morti insieme. Ma ora il mio portentoso ritrovato scientifico mi offriva la possibilità, per la prima volta nella storia dell’umanità, di conquistare la donna che amavo in un tempo che il destino non ci aveva concesso.
Qualcuno potrebbe obiettare che la montagna partorì il topolino, che c’era ben altro da fare con quel prodigioso marchingegno. Ed è vero, tutto – fottutamente – vero. Ma voi non siete me. Posso quasi giurare, su tutto ciò che ho di più caro, che il movente ispiratore di tutta la vicenda fu il desiderio di possedere mia moglie quando era ancora vergine e ragazza e prima che potesse farlo chiunque altro. Se non mi aveva mentito, al momento della maturità non aveva ancora conosciuto l’estasi del sesso: sarebbe accaduto soltanto durante i primi mesi alla facoltà di lingue, cedendo alle avance di un fuoricorso intrigante e narcisista. Intendevo redimerla da quella esperienza, e incensare me come introduzione ai misteri dell’amore, suo primo amante perduto e mai ritrovato – anche se la realtà, inverosimile come un film di fantascienza, avrebbe potuto smentire l’affermazione… Ma questo, lo sappiamo solo io e voi.
scritto il
2025-09-14
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