Je confesse parte 1
di
Ripe (with decay)
genere
sentimentali
Sono pazzo. Questo è il responso di molteplici analisi cliniche sottoscritte da psichiatri, psicologi, psicoterapeuti – insomma, da tutti gli specialisti che iniziano con il prefisso psico-.
Sono pazzo, indubbiamente. Ma di una follia tanto elaborata che la si potrebbe definire logica pura, assoluta ragionevolezza.
Quanto sto per dire non ha molta attinenza con la confessione che mi riprometto di sottoporre senza omissioni da parte mia.
Si parte da un lampo di genio, intuito e follia fusi insieme in modo irripetibile (per naufragare nel rapimento dei sensi).
Sappiate che la mia professione non è di quelle che si divulgano con meritato orgoglio in mezzo ad una combriccola. Se dovessi professarne i segreti così liberamente allora sì, sarei pazzo abbastanza da meritare la camicia di forza.
Il nome Seth Brundle vi rammenta qualcosa? È il ricercatore del film «The fly» di Cronenberg. Assembla due capsule che servono a teletrasportare da una all’altra oggetti, animali – ed esseri umani. Quando ubriaco per il sospetto tradimento della nuova fidanzata fa da cavia al proprio esperimento, una mosca si unisce a lui nell’alcova dando avvio ad uno dei più celebri body-horror della storia del cinema. Ma no, vi tranquillizzo subito: la mia invenzione non è un teletrasporto e il mio codice genetico non si è fuso con quello di un insetto – non sono diventato una uomosca).
Ma un momento, un momento… Ho appena detto che la mia invenzione non è un teletrasporto? Ebbene, l’affermazione non è del tutto esatta. È vero che non serve a teletrasportare un ente qualsiasi da una capsula di ingresso ad una di uscita nello spazio – serve a farlo nel tempo.
Pam! Eccolo là! E poi dice di non essere pazzo…
Me li immagino i vostri commenti. Obiezioni giustificate. Ma tranquilli, arrivo anche a quello.
Ometterò i particolari tecnici. Non sono in grado di illustrarli in modo soddisfacente per una larga platea e non li capireste. Ma il dilemma che mi impediva di celebrare la fase sperimentale era il seguente: dopo la disgregazione molecolare e successiva ricomposizione, cosa minacciava di rimanere realmente di un essere vivente? La coscienza individuale, la sua unicità, rischiava di disperdersi in un altrove qualsiasi durante il processo? Fate finta di credere ciecamente a ciò che vi rivelo, e solo allora rispondete secondo verità.
Se siete bravi a indossare i panni degli altri, immagino avrete iniziato a sudare. Figuratevi la mia situazione. C’era poco da ottenere a riguardo mandando avanti e indietro una forchetta, o un prezioso ninnolo antico appartenuto da generazioni alla vostra famiglia. Avevo bisogno di un animale dotato di un sistema nervoso centrale abbastanza evoluto.
Seth ci aveva provato con i primati, ma io non disponevo di un babbuino. E la famosa mosca non dava l’idea di essere un escamotage sufficiente. Lo sguardo mi cadde sul gatto. “Non volermene, micetto” ricordo che gli dissi.
Per aggirare quello che ritenevo il problema principale adottai uno stratagemma che a pensarci ora non aveva niente di scientifico. Il teletrasporto temporale di invio (che nome!) era più grande di quello di uscita, perché l’idea balzana che mi balzò in testa fin da subito fu quella di proiettarmi in una atmosfera di sicurezza sospesa al suo interno. Certo non fu agevole caricare uno dentro l’altro. Utilizzai un transpallet. Ci misi il gatto, lo gettai indietro nel tempo.
Non avrei potuto aprire la porticina di contenimento perché se la cavia ne fosse uscita chi la recuperava più? L’elaboratore analizzò tutti i parametri: perfetti. Richiamai capsula e gatto. All’apparenza tutto normale. Per una settimana ne esaminai il comportamento. Era sempre il solito gatto.
Toccava a me.
Ma dove andare? Anzi, «quando» andare?
Fu allora che il caso decise per me.
Mi aggiravo confuso per la casa vuota. Ero solo. Figli e moglie, via. Fui attratto da una fotografia. Ritraeva la classe di mia moglie dopo la maturità. Irriconoscibile.
Dovete sapere che ad un certo punto della sua vita, alla fine dell'età dello sviluppo, l’alterazione del sistema endocrino influenzò il metabolismo. Si ingrossarono gambe e fianchi. Smise di praticare nuoto e pallavolo. Fino ad allora era stata sottopeso, al limite dell’anoressia.
Mi avvicinai e la studiai come non avevo mai fatto prima.
La testa era coronata da una zazzera prosperosa. Indossava pudichi jeans – altre compagne più fighe no – che sembravano paletti piantati per terra. Anche il volto, benché fosse il suo, era diverso: più giovane, più magro, ancora adolescenziale. Sorrideva. Decisi che avrei fatto visita a quel tempo lontano.
Quando fui pronto ero terrorizzato. Se qualcosa andava storto per me era finita. Nessuno sapeva niente di quello che stavo per combinare.
Il box che avevo adibito a laboratorio era grande abbastanza da contenere quattro auto. Lo si raggiungeva dal vialetto dietro la villa. Avevo affrontato quell'acquisto così oneroso per la peculiarità che offriva ai miei intrighi. La planimetria erariale descriveva l’impianto costruttivo originario: la denuncia di abitabilità risaliva a qualche anno prima di «quando» dovevo andare. Tirai un profondo respiro. Aveva funzionato con il gatto, avrebbe funzionato anche con me.
Viaggiare nel tempo non richiede soltanto di scribacchiare una data e premere invio. Bisogna eseguire calcoli complessi: posizione delle costellazioni, moto di precessione, inclinazione dell’asse terrestre, afelio del sole e molto altro ancora. Senza tutto questo non si va in nessun quando, perché semplicemente non esiste quel quando.
Guardai il retro della fotografia. Era scritta una data – la data della verità.
Di nuovo la sorte mi fu propizia: allora la proprietà della villa era vacante. Non avrei trovato nessuno a sorprendermi. E tuttavia a pensarci quasi mi dispiaceva. Immaginavo le facce di questi antenati. Anche se il salto temporale era minimo, feci le giuste ricerche per non incorrere in anacronismi sospetti. Non si tratta soltanto di portarsi dietro dispositivi di ultima generazione, ma anche di vestirsi con marche ancora non esistenti o con capi di produzione impropria. Una lacuna del genere sarebbe imperdonabile.
Entrai nel teletrasporto temporale di arrivo. Mi spedii indietro nel tempo. Erano le quattro del mattino. Avevo bisogno di riflettere. Controllai più volte alla consolle i parametri.
E qui percepisco le vostre perplessità: ma tutte queste apparecchiature quanto saranno mai costare? Bella domanda. Posso solo affermare che non si trattava di spiccioli. Pensate all’assalto ad un portavalori. Tra alta tecnologia e brevetti utilizzati a sbafo, un colpo da qualche milione di euro. E mi fermo qui, perché non è questo il genere di colpa che ho deciso di confessare. Oltretutto ogni parola potrebbe essere usata contro di me.
Inserito come un'antenna nella macchina, unico tramite tra esterno e interno, passava un tubicino metallico per lo scambio dell’aria. Lo aprii e chiusi solo per un istante. Il cuore mi batteva in petto così forte da aver reso acqua il sangue. Ma l’universo e tutto quanto non collassarono. I parametri rimasero inalterati.
Dissigillai la porta stagna. Il pomo d’adamo mi andava su e giù come un ascensore impazzito. Appena fuori mi sentii svenire. Probabilmente con abuso edilizio il box era stato suddiviso per affiancare una tavernetta ai posti auto dimezzati. La scocca del teletrasporto sfiorava il muro: pochi centimetri più in là e sarebbe stato un disastro.
Gironzolai intorno alla scuola finché la classe di mia moglie non uscì accompagnata dagli insegnanti. Era lei, indiscutibilmente… ma non era lei. Non saprei spiegarmi in modo più esatto. Era davvero magrissima, come nella foto. Un giovane lampioncino appena sbocciato. Sorrisi trasognato. Anche la sua voce aveva quel non so che donato da un’età che non c’è più e che dura troppo poco.
“Mi scusi, aspetta qualcuno?”.
La domanda mi raggelò. Ebbi la prontezza di rispondere al bidello: “Mia figlia. È quella laggiù, vede?” indicando a caso.
Alla chetichella tornai indietro, nella villa che non era ancora mia. Poi avanti nel tempo. Nel laboratorio attesi a lungo, aspettandomi il peggio – la questione dei paradossi temporali è ancora lontana dall’essere risolta.
Sono pazzo, indubbiamente. Ma di una follia tanto elaborata che la si potrebbe definire logica pura, assoluta ragionevolezza.
Quanto sto per dire non ha molta attinenza con la confessione che mi riprometto di sottoporre senza omissioni da parte mia.
Si parte da un lampo di genio, intuito e follia fusi insieme in modo irripetibile (per naufragare nel rapimento dei sensi).
Sappiate che la mia professione non è di quelle che si divulgano con meritato orgoglio in mezzo ad una combriccola. Se dovessi professarne i segreti così liberamente allora sì, sarei pazzo abbastanza da meritare la camicia di forza.
Il nome Seth Brundle vi rammenta qualcosa? È il ricercatore del film «The fly» di Cronenberg. Assembla due capsule che servono a teletrasportare da una all’altra oggetti, animali – ed esseri umani. Quando ubriaco per il sospetto tradimento della nuova fidanzata fa da cavia al proprio esperimento, una mosca si unisce a lui nell’alcova dando avvio ad uno dei più celebri body-horror della storia del cinema. Ma no, vi tranquillizzo subito: la mia invenzione non è un teletrasporto e il mio codice genetico non si è fuso con quello di un insetto – non sono diventato una uomosca).
Ma un momento, un momento… Ho appena detto che la mia invenzione non è un teletrasporto? Ebbene, l’affermazione non è del tutto esatta. È vero che non serve a teletrasportare un ente qualsiasi da una capsula di ingresso ad una di uscita nello spazio – serve a farlo nel tempo.
Pam! Eccolo là! E poi dice di non essere pazzo…
Me li immagino i vostri commenti. Obiezioni giustificate. Ma tranquilli, arrivo anche a quello.
Ometterò i particolari tecnici. Non sono in grado di illustrarli in modo soddisfacente per una larga platea e non li capireste. Ma il dilemma che mi impediva di celebrare la fase sperimentale era il seguente: dopo la disgregazione molecolare e successiva ricomposizione, cosa minacciava di rimanere realmente di un essere vivente? La coscienza individuale, la sua unicità, rischiava di disperdersi in un altrove qualsiasi durante il processo? Fate finta di credere ciecamente a ciò che vi rivelo, e solo allora rispondete secondo verità.
Se siete bravi a indossare i panni degli altri, immagino avrete iniziato a sudare. Figuratevi la mia situazione. C’era poco da ottenere a riguardo mandando avanti e indietro una forchetta, o un prezioso ninnolo antico appartenuto da generazioni alla vostra famiglia. Avevo bisogno di un animale dotato di un sistema nervoso centrale abbastanza evoluto.
Seth ci aveva provato con i primati, ma io non disponevo di un babbuino. E la famosa mosca non dava l’idea di essere un escamotage sufficiente. Lo sguardo mi cadde sul gatto. “Non volermene, micetto” ricordo che gli dissi.
Per aggirare quello che ritenevo il problema principale adottai uno stratagemma che a pensarci ora non aveva niente di scientifico. Il teletrasporto temporale di invio (che nome!) era più grande di quello di uscita, perché l’idea balzana che mi balzò in testa fin da subito fu quella di proiettarmi in una atmosfera di sicurezza sospesa al suo interno. Certo non fu agevole caricare uno dentro l’altro. Utilizzai un transpallet. Ci misi il gatto, lo gettai indietro nel tempo.
Non avrei potuto aprire la porticina di contenimento perché se la cavia ne fosse uscita chi la recuperava più? L’elaboratore analizzò tutti i parametri: perfetti. Richiamai capsula e gatto. All’apparenza tutto normale. Per una settimana ne esaminai il comportamento. Era sempre il solito gatto.
Toccava a me.
Ma dove andare? Anzi, «quando» andare?
Fu allora che il caso decise per me.
Mi aggiravo confuso per la casa vuota. Ero solo. Figli e moglie, via. Fui attratto da una fotografia. Ritraeva la classe di mia moglie dopo la maturità. Irriconoscibile.
Dovete sapere che ad un certo punto della sua vita, alla fine dell'età dello sviluppo, l’alterazione del sistema endocrino influenzò il metabolismo. Si ingrossarono gambe e fianchi. Smise di praticare nuoto e pallavolo. Fino ad allora era stata sottopeso, al limite dell’anoressia.
Mi avvicinai e la studiai come non avevo mai fatto prima.
La testa era coronata da una zazzera prosperosa. Indossava pudichi jeans – altre compagne più fighe no – che sembravano paletti piantati per terra. Anche il volto, benché fosse il suo, era diverso: più giovane, più magro, ancora adolescenziale. Sorrideva. Decisi che avrei fatto visita a quel tempo lontano.
Quando fui pronto ero terrorizzato. Se qualcosa andava storto per me era finita. Nessuno sapeva niente di quello che stavo per combinare.
Il box che avevo adibito a laboratorio era grande abbastanza da contenere quattro auto. Lo si raggiungeva dal vialetto dietro la villa. Avevo affrontato quell'acquisto così oneroso per la peculiarità che offriva ai miei intrighi. La planimetria erariale descriveva l’impianto costruttivo originario: la denuncia di abitabilità risaliva a qualche anno prima di «quando» dovevo andare. Tirai un profondo respiro. Aveva funzionato con il gatto, avrebbe funzionato anche con me.
Viaggiare nel tempo non richiede soltanto di scribacchiare una data e premere invio. Bisogna eseguire calcoli complessi: posizione delle costellazioni, moto di precessione, inclinazione dell’asse terrestre, afelio del sole e molto altro ancora. Senza tutto questo non si va in nessun quando, perché semplicemente non esiste quel quando.
Guardai il retro della fotografia. Era scritta una data – la data della verità.
Di nuovo la sorte mi fu propizia: allora la proprietà della villa era vacante. Non avrei trovato nessuno a sorprendermi. E tuttavia a pensarci quasi mi dispiaceva. Immaginavo le facce di questi antenati. Anche se il salto temporale era minimo, feci le giuste ricerche per non incorrere in anacronismi sospetti. Non si tratta soltanto di portarsi dietro dispositivi di ultima generazione, ma anche di vestirsi con marche ancora non esistenti o con capi di produzione impropria. Una lacuna del genere sarebbe imperdonabile.
Entrai nel teletrasporto temporale di arrivo. Mi spedii indietro nel tempo. Erano le quattro del mattino. Avevo bisogno di riflettere. Controllai più volte alla consolle i parametri.
E qui percepisco le vostre perplessità: ma tutte queste apparecchiature quanto saranno mai costare? Bella domanda. Posso solo affermare che non si trattava di spiccioli. Pensate all’assalto ad un portavalori. Tra alta tecnologia e brevetti utilizzati a sbafo, un colpo da qualche milione di euro. E mi fermo qui, perché non è questo il genere di colpa che ho deciso di confessare. Oltretutto ogni parola potrebbe essere usata contro di me.
Inserito come un'antenna nella macchina, unico tramite tra esterno e interno, passava un tubicino metallico per lo scambio dell’aria. Lo aprii e chiusi solo per un istante. Il cuore mi batteva in petto così forte da aver reso acqua il sangue. Ma l’universo e tutto quanto non collassarono. I parametri rimasero inalterati.
Dissigillai la porta stagna. Il pomo d’adamo mi andava su e giù come un ascensore impazzito. Appena fuori mi sentii svenire. Probabilmente con abuso edilizio il box era stato suddiviso per affiancare una tavernetta ai posti auto dimezzati. La scocca del teletrasporto sfiorava il muro: pochi centimetri più in là e sarebbe stato un disastro.
Gironzolai intorno alla scuola finché la classe di mia moglie non uscì accompagnata dagli insegnanti. Era lei, indiscutibilmente… ma non era lei. Non saprei spiegarmi in modo più esatto. Era davvero magrissima, come nella foto. Un giovane lampioncino appena sbocciato. Sorrisi trasognato. Anche la sua voce aveva quel non so che donato da un’età che non c’è più e che dura troppo poco.
“Mi scusi, aspetta qualcuno?”.
La domanda mi raggelò. Ebbi la prontezza di rispondere al bidello: “Mia figlia. È quella laggiù, vede?” indicando a caso.
Alla chetichella tornai indietro, nella villa che non era ancora mia. Poi avanti nel tempo. Nel laboratorio attesi a lungo, aspettandomi il peggio – la questione dei paradossi temporali è ancora lontana dall’essere risolta.
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