Amor violento
di
Ripe (with decay)
genere
dominazione
Paolo e Barbara condividevano i piccoli spazi di un matrimonio adagiato nella placida indolenza dei sentimenti, non turbato ancora dalla presenza chiassosa di figli – momento angolare proiettato in un vago futuro che non suscitava particolari preoccupazioni in quanto non era il tempo a mancare: potevano considerarsi abbastanza giovani da giocare con calma le chance che questo gli offriva e non così vecchi da rammaricarsi per le occasioni perdute.
Abitudinari nelle cose che plasmano il trantran quotidiano, spartivano quel che resta del giorno con il drink dopo il lavoro, i giri fino a tardi, l'amore immersi nel brusio delle vite altrui.
Fino a quella sera, quando l'irrazionale e l'imprevedibile penetrarono in casa insieme a quattro squilibrati. Subito imbavagliati e messi al muro, marito e moglie si scambiavano sguardi atterriti. Erano precipitati in un incubo.
La banda aveva l'aria di un gruppo squinternato che l'occasione e la necessità aveva riunito per un colpo che non avrebbe reso nessuno più ricco. I soliti ignoti ma più schizofrenici, più pericolosi. Dovevano averlo capito perché un crescente nervosismo guidava le loro parole e le loro azioni. Si accusavano vicendevolmente e una pistola aveva fatto capolino in mano al capo. Una pistola che guardava a turno le vittime e i compagni di scorribande, come se fiutasse l'inganno covare dappertutto.
Fino a quel momento avevano raggranellato un ben magro bottino. Paolo si chiedeva come potessero ancora esistere topi d'appartamento nell'era della moneta elettronica e dei beni immateriali: in modo scomposto e rivelatore di una profonda e pericolosa alterazione delle percezioni, i quattro avevano cercato con accanimento distruttivo qualcosa che non c'era e non poteva esserci. Era lì che aveva provato paura, quando la pistola era stata puntata contro Barbara e la voce roca, sporca del folle aveva minacciato “e tua madre non ti ha lasciato una dote, brutta troia?”.
In quel momento aveva realizzato che Barbara era una donna in mezzo ad un branco di spostati, resi inquieti dalla sproporzione del crimine commesso. Dopo la frase ringhiata l'uomo strappata la benda le aveva schiuso la bocca con la forza per baciarla, stringendo poi il seno con la mano libera. La canna della pistola era scivolata giù tra le gambe a mimare un gesto lascivo. Barbara aveva reagito con un'espressione eloquente di orrore.
Quella smorfia non era stata accolta bene. Fu spinta contro il divano. Erano tornati da una serata informale, ed indossava una gonna che le era risalita sulle cosce, mettendo in mostra la generosità delle sue forme e la pelle liscia, quasi di seta nella luce soffusa del lampione che arrembava alla finestra.
“C'è qualcosa” aveva provato a calmarli Paolo dopo che si era liberato con temerità a sua volta la bocca per parlare, sfilandosi la fede, la collana col cuore d'oro spezzato a metà, e invitando con un gesto Barbara a fare altrettanto. “C'è qualcosa” e corse a prendere dei contanti che gli avevano pagato in nero e che lui aveva nascosto dove nessuno avrebbe potuto trovarli. Un paio di migliaia di euro, ma qualsiasi cosa pur di scongiurare la violenza che era lì lì per esplodere. Con quella stessa ruvida mano con cui aveva abusato di lei il capo stropicciò i soldi come se si fosse trattato di carta straccia.
Gli occhi folli andavano in giro per la stanza, quasi alla ricerca di un passaggio segreto verso un futuro migliore. Uno dei tre scherani nell'ombra ridacchiava. Un altro stava di vedetta. Una sorta di calma ostile regnava nella camera buia. Paolo tentava di comunicare con Barbara attraverso la mimica e cenni accorti. Paralizzata sul divano, non si era accorta di avere le gambe aperte come un invito. Avvertiva nell'aria il livello dell'eccitazione salire gradualmente; annusava quel profumo dolce e inebriante di femminilità che spirava dal corpo di sua moglie e sapeva che presto o tardi avrebbe risvegliato appetiti stranieri. Chiudile maledizione, gli scoppiò in testa. E invece la tensione gliele aveva spinte oltre i bordi della poltrona, fino a scoprire il pizzo delle mutandine.
Paolo sbiancò. Era un bocconcino troppo invitante perché passasse inosservato. “Non abbiamo altro” provò a tergiversare nel tentativo di distogliere l'attenzione.
Il delinquente lentamente annuiva. Grosse gocce di sudore si raccoglievano sulla fronte attraversata dal rimuginio dei pensieri. Masticava parole mozze, spezzando le lettere tra i denti. “Va bene, va bene” ma mentre concedeva quel timido spiraglio la fronte madida virò al blu in un lampeggio da ipnosi.
“Ehi, vieni a vedere” sibilò la vedetta.
Due volanti si erano appostate dall'altro lato della via, a sirene spente. Paolo stentò a crederci: ancora una volta la giovane coppia di coniugi della palazzina di fronte aveva dato spettacolo. Sulla testa del marito pendevano denunce per molestie e maltrattamenti – avrebbe sicuramente scoperto molti punti di affinità con quei criminali. Una sera, pesta e malconcia, diedero ricovero alla donna per la notte. In seguito avevano subito minacce da parte del tipo, ma la storia era rimasta senza conseguenze.
“Togliti di lì” ordinò quello. Spiavano da dietro le tende.
Brutta storia. Per un attimo Paolo aveva sperato che il gruppo si defilasse. Ma ora le cose si complicavano. La presenza della pattuglia lo rassicurava ma al tempo stesso creava le condizioni per un'escalation dell'aggressività, alimentata dall'ansia e dalla paura.
“Che cosa facciamo?”. Alla vedetta tremava la voce. Anche gli altri sembravano scossi. “Ci sto pensando, ci sto pensando” prese tempo.
Le luci di malevoli pensieri attraversavano quella mente in subbuglio. Paolo sapeva di dover pensare ancora più velocemente. “Non possiamo fare nulla finché rimangono qua. Dobbiamo aspettare. Abbiamo bisogno di tempo”. Poi, in un soprassalto di furore puntò la pistola prima su lui poi su Barbara, e la fece ballare un paio di volte sui volti in penombra. “Fateci divertire” intimò.
Barbara stava realizzando di essere esposta a morbose attenzioni, e provò troppo tardi a chiudere i lembi della gonna sopra le gambe. “Fateci divertire” ripeté con un ringhio fissandola dritto negli occhi. La canna della pistola si fermò a pochi centimetri dalla sua fronte. “Fai la brava mogliettina e fai godere il tuo uomo”.
Barbara volle nascondere il volto tra le mani ma le forze le mancarono e non le restarono che quelle poche sufficienti per piangere. “Vi prego... vi prego...”.
La strattonò per i capelli, sbattendole il capo contro la testiera della poltrona. “Non pregare puttana, e fai come ti dico!”.
Impaurito e senza controllo Paolo abbozzò una reazione. Non aveva mai provato un terrore così profondo. Si sentiva svenire eppure scattò come una molla. “Ehi” ebbe il tempo di gridare prima che uno schianto mostruoso riverberasse per tutta la stanza, assordandoli tutti.
Aveva sparato! Il folle aveva premuto il grilletto e mirato a casaccio. L'aria era invasa di fumo e c'era un odore acre che dava alla testa. Le orecchie fischiavano. Guardò prima Barbara poi il proprio corpo. Un leggero dolore risaliva dal polpaccio. Il proiettile aveva centrato il bordo di un'anta dell'armadio. Scoprì un'insignificante scheggia di legno conficcata nella carne. In un altro frangente si sarebbe rotolato per terra come un uomo che stia per morire, ma ora l'adrenalina impediva al dolore di ramificarsi nel corpo. Benché silenziato, lo sparo echeggiava ancora come se fosse stato appena detonato.
Impossibile che non lo avessero udito. E invece i carabinieri sostavano placidi sotto le luci dei lampioni...
“Spogliatevi” ordinò, abbrancando i polsi di Barbara e tirandola su in piedi. Lei si mise a singhiozzare, scuotendo il capo in segno di dissenso. Un ceffone la fece ripiombare sulla poltrona. “Brutto bastardo!” inveì Paolo, ma era in evidente minoranza, e d'altronde avrebbe solo saputo farsi ammazzare, senza portare alcun aiuto alla sua donna.
Gli andò incontro con la pistola spianata. “Fai quello che ti ho detto. Voglio vedere un porno”. E ridacchiò con aria sadica.
All'improvviso squillò il campanello. Si trovavano impantanati in un bel dilemma. Ma il capobranco reagiva d'istinto. “Chiedi chi è ed apri solo se lo conosci” e mentre gli spiegava cosa fare trascinava Barbara con la canna della pistola alla tempia. Sussurrò una velata minaccia: “Se non ubbidisci invece di un porno vedrai un horror...”.
Erano i dirimpettai. Si assicuravano se tutto andasse bene. Ma benone! Possibile che non distinguessero uno sparo dal fragile alibi di un vaso piombato a terra? Ma anche lui lì in diretta aveva frainteso ciò che era accaduto, forse perché esulava da ogni loro esperienza mai vissuta in precedenza. “Allora tutto a posto” ripeteva con voce atona il tonto della porta accanto che non gli era mai sembrato brillare di intelligenza.
Sentiva le gambe molli ed un bisogno incongruo di dormire. Probabilmente lo scambiarono per ubriaco. Solo in lei si accese lo spirito di osservazione. “Oh, ti esce del sangue” ed indicava con espressione meravigliata i pantaloni macchiati. Se ne andarono.
La lascivia del gruppo si scatenò non appena la camicetta fu strappata e il seno libero si eresse in tutta la sua matura abbondanza, guardando fieramente in su, sodo e sensuale. Un coro di commenti e di sibili velenosi ammorbò l'aria come il respiro di una belva acquattata nelle tenebre. Né lui né Barbara spiccavano dalla massa o possedevano qualità fisiche tali da farli oggetto di concupiscenza. Eppure osservò sua moglie con sguardo tormentosamente consapevole quando dietro la feroce minaccia del maniaco terminò di spogliarsi esibendo il suo corpo al vaglio della loro lussuria famelica.
Lo capiva. Nonostante i difetti o l'anonimato, era tutta da mangiare. Da marito, mai lo aveva attraversato il pensiero che l'attenzione di altri uomini si fermasse su di lei fino ad ottenere il consenso a goderne. Ma qui non si trattava di un tradimento consumato di nascosto. Il cuore gli si strinse nel petto: era così attraente, smarrita e vittima designata che lo stupro di gruppo diventava inevitabile. Se avesse potuto, l'avrebbe uccisa per sottrarla allo scempio e si sarebbe tolto la vita a sua volta.
“Spogliati”.
L'ordine era rivolto a lui. Era così incongruo che impiegò un tempo troppo lungo per capire.
Si prese il calcio della pistola sui denti. Un liquido caldo scorse lungo il mento.
Nudo, si sentiva in trappola. L'azione deprimente dell'adrenalina lo aveva intirizzito. Il glande gli si era ritratto dentro.
Il folle scrollò Barbara prendendola per i capelli. “Avanti, tu sei la donna: sai come fare per svegliare un uomo. Fai... godere... tuo marito”.
Barbara piangeva mentre lo prendeva in bocca e tentava di sollecitarlo. Era una follia tragicomica. Con la faccina più infelice e sconvolta che le avesse mai visto assecondava i voleri di quei bastardi mentre lui restava quasi indifferente, pregando quella parte del corpo di partecipare al gioco sporco che somigliava tanto ad una roulette russa.
“Non stai facendo abbastanza” l'aggredì tornando di nuovo a sventagliarle in faccia l'arma. Paolo non capiva dove volessero arrivare.
Guardò dritto dentro gli occhi della moglie nel tentativo di infonderle fiducia, come se bastassero le loro anime abbracciate per sbarrare il passaggio al terrore.
Non riusciva a smettere di piangere. Paolo rammentò che i più intensi rapporti sessuali che avessero vissuto insieme avvenivano dopo un brutto litigio concluso con il suo pianto disperato. La voce rotta, le guance rigate di lacrime, la femminile, sottomessa ricerca di un'intesa tra le parti scatenavano in lui la passione e l'estro erotico. Subentrava il desiderio di proteggerla dal brutto sé di prima e dopo le carezze, i dolci sussurri rassicuranti, quando ormai l'erezione diventava dolorosa e insostenibile, la possedeva. In tali occasioni entrambi raggiungevano più di un orgasmo, e sembravano amanti formidabili.
Si concentrò sul gesto fisico e carnale della fellatio. E questo bastò a stimolarlo perché lei l'aveva sempre rifiutata ma ora, nell'assurdità del destino, si trovava costretta a praticargliela. Fu sommerso dalla gratitudine per il dono inaspettato.
“Fino in fondo”.
Era come un ordine e pregò Dio per il peccato del piacere, lo pregò di far morire tutti i testimoni di quella violenza. Le venne in bocca.
“Fino in fondo. Fai la brava donnina di casa, pulisci tutto per bene”.
Osservò la mano dalle dita affusolate rallentare; la lingua guizzare, succhiare come nettare ogni singola stilla vischiosa del suo seme. Ne avevano avuto abbastanza?
“Vi scongiuro di andarvene”.
“Andare dove?” lo irrise il capo facendo roteare la pistola. “In galera?” e rivolto ai suoi: “Bloccatela”.
Trascinarono Barbara sul letto e le immobilizzarono le braccia contro la testiera. Al primo urlo strozzato fu schiaffeggiata ripetutamente. “Scopala” sogghignava il capo. “Stuprala. Voglio vedere mentre la stupri”.
Teneva le gambe strette e piegate da un lato, e Dio, era bellissima. Gli sembrava di aver appena tirato di coca. Era in stato di sovreccitazione: tutto il mondo intorno a lui turbinava a rallentatore.
Premette la mano contro la bocca di Barbara, la costrinse ad aprire le gambe, la penetrò a forza. Durante la violenza concentrò l'attenzione per catturare ogni elemento propizio di novità da cui trarre vantaggio. Si sentiva scisso in due. L'altra metà di sé esultava al godimento che quello che stava commettendo gli procurava. Era il quinto membro della banda.
La performance li galvanizzava. Il desiderio di subentrare serpeggiava tra gli spettatori. Il tipo usava con fare intimidatorio la pistola contro tutti. “Volete anche un'incriminazione per violenza sessuale? Il bottino è troppo scarso per aumentare il numero di anni. Non siamo ancora fuori”.
Non perdeva di vista la mano che impugnava quella maledetta pistola. Ma poi cadde di nuovo nella trappola del piacere e per tutto il tempo che durò lo stupro si concentrò sul risultato: la seconda eiaculazione, il secondo orgasmo furono qualcosa di irriferibile per l'intensità e la potenza, qualcosa che non avrebbe mai potuto confessare a nessuno e che avrebbe serbato come un terribile segreto fin nella tomba. “Perdonami amore mio” gli riuscì soltanto di mormorare all'orecchio tra gli applausi dei suoi istigatori.
“Bravo bastardo” si complimentava. “Vedi che non sei così diverso?”.
Brandiva distrattamente la pistola davanti al suo naso. La reazione fu immediata, e stavolta perfetta: uscire dal corpo della moglie e strappargliela di mano fu una cosa sola.
Si sentiva ridicolo, nudo in piedi ordinando alla banda di radunarsi contro la parete opposta mentre il glande ancora gonfio di virilità oscillava come una maracas, e Barbara immobile nella posizione dello stupro ad osservare sconvolta.
“Rivestiti, amore mio” le disse con il tono più dolce che gli riuscì di trovare. Incredula, si affrettò ad ubbidire. “Adesso è finita”. Ed era davvero così.
“Chiamo gli agenti” propose, ma Paolo scosse il capo: “Non chiamare nessuno”. La notte era troppo lieve e ancora squarciata dai lampeggianti silenziosi. Quanto era durata l'aggressione? Troppo.
“Tirate fuori quello che avete rubato“.
Era glaciale, così altero e sfacciato che sempre il capo pensò bene di imitarlo e prenderlo alla sprovvista. Non aveva mosso che un passo quando fu fulminato dal proiettile alla gamba.
Paolo aveva mirato in basso, con l'intenzione di intimorire. L'uomo cadde riverso e divenne verde. Lo aveva preso di striscio, ma lo aveva preso.
Ora che il colpo non lo aveva colto di sorpresa si stupì di quanto risultasse silenziata l'arma. La scrutò con timore reverenziale: non ne aveva mai posseduta una e neppure sapeva usarla. Gli parve dotata di vita propria. “Fate quello che vi ho detto, oppure inizio a mirare più in alto”.
Barbara al suo fianco, stringendosi a lui come ad una fortezza inespugnabile, non distoglieva gli occhi dal gruppo che si era radunato intorno al ferito. “Perché non vuoi fare intervenire i carabinieri?”.
“Dopo te lo spiego” le sussurrò baciandola delicatamente sulla fronte. Avrebbe mai potuto dimenticare ciò che era accaduto quella sera?
I vicini erano tornati alla carica, e da come strimpellavano il campanello dovevano essere su di giri. “Altro vaso provando posizioni nuove” si scusò lui, inquadrato nel vano della porta in tutta la sua maschia nudità, senza neppure dissimulare l'evidenza della menzogna. La pistola si intiepidiva lentamente.
“Andatevene”. La banda si appellò alla propria guida. Questi lo fissò in modo strano, poi annuì. “Sta bene”. Con gli agenti in giro avrebbero incontrato qualche difficoltà in più, ma non era un loro problema.
Gli agenti... Manco a dirlo, adesso si erano magicamente destati e setacciavano l'aria naso in su come animali selvatici. Paolo accese il lampadario e si affacciò alla finestra. “Seguimi” chiese alla moglie.
Le loro silhouette ritagliate dalla fredda luce dei led spiccavano come ombre rassicuranti. Finsero di cadere dalle nuvole. Gli agenti li scorsero e, fatto spallucce, diressero l'attenzione altrove.
Ora che erano rimasti soli si presero cura uno dell'altra. Si abbracciarono, Paolo la riempì di baci sulla testa madida di sudore. Non si era accorto di quanto fosse prostata: aveva occhiaie viola sotto gli occhi spiritati. La fatica cadde loro addosso tutta insieme. Si sdraiarono a letto – in quello stesso letto. Barbara lo fissava stordita, ammirata, ammaliata dall'uomo nuovo che aveva al suo fianco. “Come hai fatto?”.
Stava bilanciando la pistola in mano. Non se n'era separato neppure per un istante. Aveva un peso specifico straordinario, che andava al di là della materia di cui era fatta. Si grattò distrattamente la tempia con la canna. Lei usò la premura di abbassarla. “Se lo sapessi e te lo dicessi, non potrei ripeterlo una seconda volta”.
C'era un punto che l'assillava, le cui ragioni non riusciva a comprendere. “Perché non li hai fatti arrestare?”.
Paolo spostò lo sguardo dalla pistola alla moglie, dalla moglie alla pistola. “Gratitudine. Se non li avessi lasciati scappare, saremmo andati incontro alla loro vendetta. Così invece...”.
Restarono a lungo in silenzio. Barbara sospirò. Non aveva smesso di rivivere la vicenda e rifletterci sopra. “Sei stato... sei stato incredibile”. Lo ripeteva in adorazione.
I suoi occhi lucenti la intercettarono nel buio. “E vuoi sapere una cosa? Mi è piaciuto”. Lei indossava una vestaglietta vedo non ti vedo, e nient'altro. Fece scorrere la canna della pistola lungo l'inguine di sua moglie, sollevandola. “Mi è piaciuto tutto”. E fu soverchiata dalla massiccia potenza di quel corpo.
Prima di essere sopraffatta Barbara – succube, supplice, sconfitta – accogliendolo dentro di sé, mentre lo osserva con sguardo illuminato da una tragica fatalità, si chiede chi sia davvero l'uomo che ama, chi lei stessa in realtà.
Abitudinari nelle cose che plasmano il trantran quotidiano, spartivano quel che resta del giorno con il drink dopo il lavoro, i giri fino a tardi, l'amore immersi nel brusio delle vite altrui.
Fino a quella sera, quando l'irrazionale e l'imprevedibile penetrarono in casa insieme a quattro squilibrati. Subito imbavagliati e messi al muro, marito e moglie si scambiavano sguardi atterriti. Erano precipitati in un incubo.
La banda aveva l'aria di un gruppo squinternato che l'occasione e la necessità aveva riunito per un colpo che non avrebbe reso nessuno più ricco. I soliti ignoti ma più schizofrenici, più pericolosi. Dovevano averlo capito perché un crescente nervosismo guidava le loro parole e le loro azioni. Si accusavano vicendevolmente e una pistola aveva fatto capolino in mano al capo. Una pistola che guardava a turno le vittime e i compagni di scorribande, come se fiutasse l'inganno covare dappertutto.
Fino a quel momento avevano raggranellato un ben magro bottino. Paolo si chiedeva come potessero ancora esistere topi d'appartamento nell'era della moneta elettronica e dei beni immateriali: in modo scomposto e rivelatore di una profonda e pericolosa alterazione delle percezioni, i quattro avevano cercato con accanimento distruttivo qualcosa che non c'era e non poteva esserci. Era lì che aveva provato paura, quando la pistola era stata puntata contro Barbara e la voce roca, sporca del folle aveva minacciato “e tua madre non ti ha lasciato una dote, brutta troia?”.
In quel momento aveva realizzato che Barbara era una donna in mezzo ad un branco di spostati, resi inquieti dalla sproporzione del crimine commesso. Dopo la frase ringhiata l'uomo strappata la benda le aveva schiuso la bocca con la forza per baciarla, stringendo poi il seno con la mano libera. La canna della pistola era scivolata giù tra le gambe a mimare un gesto lascivo. Barbara aveva reagito con un'espressione eloquente di orrore.
Quella smorfia non era stata accolta bene. Fu spinta contro il divano. Erano tornati da una serata informale, ed indossava una gonna che le era risalita sulle cosce, mettendo in mostra la generosità delle sue forme e la pelle liscia, quasi di seta nella luce soffusa del lampione che arrembava alla finestra.
“C'è qualcosa” aveva provato a calmarli Paolo dopo che si era liberato con temerità a sua volta la bocca per parlare, sfilandosi la fede, la collana col cuore d'oro spezzato a metà, e invitando con un gesto Barbara a fare altrettanto. “C'è qualcosa” e corse a prendere dei contanti che gli avevano pagato in nero e che lui aveva nascosto dove nessuno avrebbe potuto trovarli. Un paio di migliaia di euro, ma qualsiasi cosa pur di scongiurare la violenza che era lì lì per esplodere. Con quella stessa ruvida mano con cui aveva abusato di lei il capo stropicciò i soldi come se si fosse trattato di carta straccia.
Gli occhi folli andavano in giro per la stanza, quasi alla ricerca di un passaggio segreto verso un futuro migliore. Uno dei tre scherani nell'ombra ridacchiava. Un altro stava di vedetta. Una sorta di calma ostile regnava nella camera buia. Paolo tentava di comunicare con Barbara attraverso la mimica e cenni accorti. Paralizzata sul divano, non si era accorta di avere le gambe aperte come un invito. Avvertiva nell'aria il livello dell'eccitazione salire gradualmente; annusava quel profumo dolce e inebriante di femminilità che spirava dal corpo di sua moglie e sapeva che presto o tardi avrebbe risvegliato appetiti stranieri. Chiudile maledizione, gli scoppiò in testa. E invece la tensione gliele aveva spinte oltre i bordi della poltrona, fino a scoprire il pizzo delle mutandine.
Paolo sbiancò. Era un bocconcino troppo invitante perché passasse inosservato. “Non abbiamo altro” provò a tergiversare nel tentativo di distogliere l'attenzione.
Il delinquente lentamente annuiva. Grosse gocce di sudore si raccoglievano sulla fronte attraversata dal rimuginio dei pensieri. Masticava parole mozze, spezzando le lettere tra i denti. “Va bene, va bene” ma mentre concedeva quel timido spiraglio la fronte madida virò al blu in un lampeggio da ipnosi.
“Ehi, vieni a vedere” sibilò la vedetta.
Due volanti si erano appostate dall'altro lato della via, a sirene spente. Paolo stentò a crederci: ancora una volta la giovane coppia di coniugi della palazzina di fronte aveva dato spettacolo. Sulla testa del marito pendevano denunce per molestie e maltrattamenti – avrebbe sicuramente scoperto molti punti di affinità con quei criminali. Una sera, pesta e malconcia, diedero ricovero alla donna per la notte. In seguito avevano subito minacce da parte del tipo, ma la storia era rimasta senza conseguenze.
“Togliti di lì” ordinò quello. Spiavano da dietro le tende.
Brutta storia. Per un attimo Paolo aveva sperato che il gruppo si defilasse. Ma ora le cose si complicavano. La presenza della pattuglia lo rassicurava ma al tempo stesso creava le condizioni per un'escalation dell'aggressività, alimentata dall'ansia e dalla paura.
“Che cosa facciamo?”. Alla vedetta tremava la voce. Anche gli altri sembravano scossi. “Ci sto pensando, ci sto pensando” prese tempo.
Le luci di malevoli pensieri attraversavano quella mente in subbuglio. Paolo sapeva di dover pensare ancora più velocemente. “Non possiamo fare nulla finché rimangono qua. Dobbiamo aspettare. Abbiamo bisogno di tempo”. Poi, in un soprassalto di furore puntò la pistola prima su lui poi su Barbara, e la fece ballare un paio di volte sui volti in penombra. “Fateci divertire” intimò.
Barbara stava realizzando di essere esposta a morbose attenzioni, e provò troppo tardi a chiudere i lembi della gonna sopra le gambe. “Fateci divertire” ripeté con un ringhio fissandola dritto negli occhi. La canna della pistola si fermò a pochi centimetri dalla sua fronte. “Fai la brava mogliettina e fai godere il tuo uomo”.
Barbara volle nascondere il volto tra le mani ma le forze le mancarono e non le restarono che quelle poche sufficienti per piangere. “Vi prego... vi prego...”.
La strattonò per i capelli, sbattendole il capo contro la testiera della poltrona. “Non pregare puttana, e fai come ti dico!”.
Impaurito e senza controllo Paolo abbozzò una reazione. Non aveva mai provato un terrore così profondo. Si sentiva svenire eppure scattò come una molla. “Ehi” ebbe il tempo di gridare prima che uno schianto mostruoso riverberasse per tutta la stanza, assordandoli tutti.
Aveva sparato! Il folle aveva premuto il grilletto e mirato a casaccio. L'aria era invasa di fumo e c'era un odore acre che dava alla testa. Le orecchie fischiavano. Guardò prima Barbara poi il proprio corpo. Un leggero dolore risaliva dal polpaccio. Il proiettile aveva centrato il bordo di un'anta dell'armadio. Scoprì un'insignificante scheggia di legno conficcata nella carne. In un altro frangente si sarebbe rotolato per terra come un uomo che stia per morire, ma ora l'adrenalina impediva al dolore di ramificarsi nel corpo. Benché silenziato, lo sparo echeggiava ancora come se fosse stato appena detonato.
Impossibile che non lo avessero udito. E invece i carabinieri sostavano placidi sotto le luci dei lampioni...
“Spogliatevi” ordinò, abbrancando i polsi di Barbara e tirandola su in piedi. Lei si mise a singhiozzare, scuotendo il capo in segno di dissenso. Un ceffone la fece ripiombare sulla poltrona. “Brutto bastardo!” inveì Paolo, ma era in evidente minoranza, e d'altronde avrebbe solo saputo farsi ammazzare, senza portare alcun aiuto alla sua donna.
Gli andò incontro con la pistola spianata. “Fai quello che ti ho detto. Voglio vedere un porno”. E ridacchiò con aria sadica.
All'improvviso squillò il campanello. Si trovavano impantanati in un bel dilemma. Ma il capobranco reagiva d'istinto. “Chiedi chi è ed apri solo se lo conosci” e mentre gli spiegava cosa fare trascinava Barbara con la canna della pistola alla tempia. Sussurrò una velata minaccia: “Se non ubbidisci invece di un porno vedrai un horror...”.
Erano i dirimpettai. Si assicuravano se tutto andasse bene. Ma benone! Possibile che non distinguessero uno sparo dal fragile alibi di un vaso piombato a terra? Ma anche lui lì in diretta aveva frainteso ciò che era accaduto, forse perché esulava da ogni loro esperienza mai vissuta in precedenza. “Allora tutto a posto” ripeteva con voce atona il tonto della porta accanto che non gli era mai sembrato brillare di intelligenza.
Sentiva le gambe molli ed un bisogno incongruo di dormire. Probabilmente lo scambiarono per ubriaco. Solo in lei si accese lo spirito di osservazione. “Oh, ti esce del sangue” ed indicava con espressione meravigliata i pantaloni macchiati. Se ne andarono.
La lascivia del gruppo si scatenò non appena la camicetta fu strappata e il seno libero si eresse in tutta la sua matura abbondanza, guardando fieramente in su, sodo e sensuale. Un coro di commenti e di sibili velenosi ammorbò l'aria come il respiro di una belva acquattata nelle tenebre. Né lui né Barbara spiccavano dalla massa o possedevano qualità fisiche tali da farli oggetto di concupiscenza. Eppure osservò sua moglie con sguardo tormentosamente consapevole quando dietro la feroce minaccia del maniaco terminò di spogliarsi esibendo il suo corpo al vaglio della loro lussuria famelica.
Lo capiva. Nonostante i difetti o l'anonimato, era tutta da mangiare. Da marito, mai lo aveva attraversato il pensiero che l'attenzione di altri uomini si fermasse su di lei fino ad ottenere il consenso a goderne. Ma qui non si trattava di un tradimento consumato di nascosto. Il cuore gli si strinse nel petto: era così attraente, smarrita e vittima designata che lo stupro di gruppo diventava inevitabile. Se avesse potuto, l'avrebbe uccisa per sottrarla allo scempio e si sarebbe tolto la vita a sua volta.
“Spogliati”.
L'ordine era rivolto a lui. Era così incongruo che impiegò un tempo troppo lungo per capire.
Si prese il calcio della pistola sui denti. Un liquido caldo scorse lungo il mento.
Nudo, si sentiva in trappola. L'azione deprimente dell'adrenalina lo aveva intirizzito. Il glande gli si era ritratto dentro.
Il folle scrollò Barbara prendendola per i capelli. “Avanti, tu sei la donna: sai come fare per svegliare un uomo. Fai... godere... tuo marito”.
Barbara piangeva mentre lo prendeva in bocca e tentava di sollecitarlo. Era una follia tragicomica. Con la faccina più infelice e sconvolta che le avesse mai visto assecondava i voleri di quei bastardi mentre lui restava quasi indifferente, pregando quella parte del corpo di partecipare al gioco sporco che somigliava tanto ad una roulette russa.
“Non stai facendo abbastanza” l'aggredì tornando di nuovo a sventagliarle in faccia l'arma. Paolo non capiva dove volessero arrivare.
Guardò dritto dentro gli occhi della moglie nel tentativo di infonderle fiducia, come se bastassero le loro anime abbracciate per sbarrare il passaggio al terrore.
Non riusciva a smettere di piangere. Paolo rammentò che i più intensi rapporti sessuali che avessero vissuto insieme avvenivano dopo un brutto litigio concluso con il suo pianto disperato. La voce rotta, le guance rigate di lacrime, la femminile, sottomessa ricerca di un'intesa tra le parti scatenavano in lui la passione e l'estro erotico. Subentrava il desiderio di proteggerla dal brutto sé di prima e dopo le carezze, i dolci sussurri rassicuranti, quando ormai l'erezione diventava dolorosa e insostenibile, la possedeva. In tali occasioni entrambi raggiungevano più di un orgasmo, e sembravano amanti formidabili.
Si concentrò sul gesto fisico e carnale della fellatio. E questo bastò a stimolarlo perché lei l'aveva sempre rifiutata ma ora, nell'assurdità del destino, si trovava costretta a praticargliela. Fu sommerso dalla gratitudine per il dono inaspettato.
“Fino in fondo”.
Era come un ordine e pregò Dio per il peccato del piacere, lo pregò di far morire tutti i testimoni di quella violenza. Le venne in bocca.
“Fino in fondo. Fai la brava donnina di casa, pulisci tutto per bene”.
Osservò la mano dalle dita affusolate rallentare; la lingua guizzare, succhiare come nettare ogni singola stilla vischiosa del suo seme. Ne avevano avuto abbastanza?
“Vi scongiuro di andarvene”.
“Andare dove?” lo irrise il capo facendo roteare la pistola. “In galera?” e rivolto ai suoi: “Bloccatela”.
Trascinarono Barbara sul letto e le immobilizzarono le braccia contro la testiera. Al primo urlo strozzato fu schiaffeggiata ripetutamente. “Scopala” sogghignava il capo. “Stuprala. Voglio vedere mentre la stupri”.
Teneva le gambe strette e piegate da un lato, e Dio, era bellissima. Gli sembrava di aver appena tirato di coca. Era in stato di sovreccitazione: tutto il mondo intorno a lui turbinava a rallentatore.
Premette la mano contro la bocca di Barbara, la costrinse ad aprire le gambe, la penetrò a forza. Durante la violenza concentrò l'attenzione per catturare ogni elemento propizio di novità da cui trarre vantaggio. Si sentiva scisso in due. L'altra metà di sé esultava al godimento che quello che stava commettendo gli procurava. Era il quinto membro della banda.
La performance li galvanizzava. Il desiderio di subentrare serpeggiava tra gli spettatori. Il tipo usava con fare intimidatorio la pistola contro tutti. “Volete anche un'incriminazione per violenza sessuale? Il bottino è troppo scarso per aumentare il numero di anni. Non siamo ancora fuori”.
Non perdeva di vista la mano che impugnava quella maledetta pistola. Ma poi cadde di nuovo nella trappola del piacere e per tutto il tempo che durò lo stupro si concentrò sul risultato: la seconda eiaculazione, il secondo orgasmo furono qualcosa di irriferibile per l'intensità e la potenza, qualcosa che non avrebbe mai potuto confessare a nessuno e che avrebbe serbato come un terribile segreto fin nella tomba. “Perdonami amore mio” gli riuscì soltanto di mormorare all'orecchio tra gli applausi dei suoi istigatori.
“Bravo bastardo” si complimentava. “Vedi che non sei così diverso?”.
Brandiva distrattamente la pistola davanti al suo naso. La reazione fu immediata, e stavolta perfetta: uscire dal corpo della moglie e strappargliela di mano fu una cosa sola.
Si sentiva ridicolo, nudo in piedi ordinando alla banda di radunarsi contro la parete opposta mentre il glande ancora gonfio di virilità oscillava come una maracas, e Barbara immobile nella posizione dello stupro ad osservare sconvolta.
“Rivestiti, amore mio” le disse con il tono più dolce che gli riuscì di trovare. Incredula, si affrettò ad ubbidire. “Adesso è finita”. Ed era davvero così.
“Chiamo gli agenti” propose, ma Paolo scosse il capo: “Non chiamare nessuno”. La notte era troppo lieve e ancora squarciata dai lampeggianti silenziosi. Quanto era durata l'aggressione? Troppo.
“Tirate fuori quello che avete rubato“.
Era glaciale, così altero e sfacciato che sempre il capo pensò bene di imitarlo e prenderlo alla sprovvista. Non aveva mosso che un passo quando fu fulminato dal proiettile alla gamba.
Paolo aveva mirato in basso, con l'intenzione di intimorire. L'uomo cadde riverso e divenne verde. Lo aveva preso di striscio, ma lo aveva preso.
Ora che il colpo non lo aveva colto di sorpresa si stupì di quanto risultasse silenziata l'arma. La scrutò con timore reverenziale: non ne aveva mai posseduta una e neppure sapeva usarla. Gli parve dotata di vita propria. “Fate quello che vi ho detto, oppure inizio a mirare più in alto”.
Barbara al suo fianco, stringendosi a lui come ad una fortezza inespugnabile, non distoglieva gli occhi dal gruppo che si era radunato intorno al ferito. “Perché non vuoi fare intervenire i carabinieri?”.
“Dopo te lo spiego” le sussurrò baciandola delicatamente sulla fronte. Avrebbe mai potuto dimenticare ciò che era accaduto quella sera?
I vicini erano tornati alla carica, e da come strimpellavano il campanello dovevano essere su di giri. “Altro vaso provando posizioni nuove” si scusò lui, inquadrato nel vano della porta in tutta la sua maschia nudità, senza neppure dissimulare l'evidenza della menzogna. La pistola si intiepidiva lentamente.
“Andatevene”. La banda si appellò alla propria guida. Questi lo fissò in modo strano, poi annuì. “Sta bene”. Con gli agenti in giro avrebbero incontrato qualche difficoltà in più, ma non era un loro problema.
Gli agenti... Manco a dirlo, adesso si erano magicamente destati e setacciavano l'aria naso in su come animali selvatici. Paolo accese il lampadario e si affacciò alla finestra. “Seguimi” chiese alla moglie.
Le loro silhouette ritagliate dalla fredda luce dei led spiccavano come ombre rassicuranti. Finsero di cadere dalle nuvole. Gli agenti li scorsero e, fatto spallucce, diressero l'attenzione altrove.
Ora che erano rimasti soli si presero cura uno dell'altra. Si abbracciarono, Paolo la riempì di baci sulla testa madida di sudore. Non si era accorto di quanto fosse prostata: aveva occhiaie viola sotto gli occhi spiritati. La fatica cadde loro addosso tutta insieme. Si sdraiarono a letto – in quello stesso letto. Barbara lo fissava stordita, ammirata, ammaliata dall'uomo nuovo che aveva al suo fianco. “Come hai fatto?”.
Stava bilanciando la pistola in mano. Non se n'era separato neppure per un istante. Aveva un peso specifico straordinario, che andava al di là della materia di cui era fatta. Si grattò distrattamente la tempia con la canna. Lei usò la premura di abbassarla. “Se lo sapessi e te lo dicessi, non potrei ripeterlo una seconda volta”.
C'era un punto che l'assillava, le cui ragioni non riusciva a comprendere. “Perché non li hai fatti arrestare?”.
Paolo spostò lo sguardo dalla pistola alla moglie, dalla moglie alla pistola. “Gratitudine. Se non li avessi lasciati scappare, saremmo andati incontro alla loro vendetta. Così invece...”.
Restarono a lungo in silenzio. Barbara sospirò. Non aveva smesso di rivivere la vicenda e rifletterci sopra. “Sei stato... sei stato incredibile”. Lo ripeteva in adorazione.
I suoi occhi lucenti la intercettarono nel buio. “E vuoi sapere una cosa? Mi è piaciuto”. Lei indossava una vestaglietta vedo non ti vedo, e nient'altro. Fece scorrere la canna della pistola lungo l'inguine di sua moglie, sollevandola. “Mi è piaciuto tutto”. E fu soverchiata dalla massiccia potenza di quel corpo.
Prima di essere sopraffatta Barbara – succube, supplice, sconfitta – accogliendolo dentro di sé, mentre lo osserva con sguardo illuminato da una tragica fatalità, si chiede chi sia davvero l'uomo che ama, chi lei stessa in realtà.
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