Lo stalker parte 3
di
Ripe (with decay)
genere
sentimentali
Erano le cinque meno un quarto. Da lontano, l'aveva vista rincasare. Non aveva invece visto nessuno di sospetto imboccare il portone – ma il sospetto è una qualità negli occhi di chi osserva. Poi arrivò un giovane. Sembrava molto giovane, troppo giovane. Ricercato nel vestire, uno che dedicava tempo alla cura di sé. Si scambiarono uno sguardo. Il suo si intorbidì. Il ragazzo di dimostrò visibilmente imbarazzato. Suonò al 27. Gli fu aperto.
Si sentì ribollire. Ebbe quasi la tentazione di rincorrerlo nelle scale per malmenarlo. Attese. Trascorse un’ora. Alle 18:06 il ragazzo comparve di nuovo dal portone, aggiustandosi la patta, sul volto dipinta un'espressione di appagamento. Accese una sigaretta. Quando si accorse che lui era ancora lì impallidì. Si era come adagiato sull'anta e la teneva discosta. Allungando la mano, davvero come se stesse per mollargli un ceffone, ne approfittò. “Devo entrare, grazie”. Una mitragliata.
“Aprimi o faccio un casino”, la ammonì dietro la porta. Un'ora, un'ora! Quel porco aveva passato un’ora lassù. Era stato disposto a lasciarle tre verdoni sul tavolo per scoparsela a dovere.
Sentì rimuovere il chiavistello. Vedendola Paolo ebbe un sussulto. Sembrava una sconosciuta. Notò odio e disprezzo montare nello sguardo che gli rivolse. Sentimenti che provenivano da qualcosa di più antico, affondato nel profondo di lei. “Che cosa vuoi”.
Entrò. Si andò a sedere senza chiedere permesso, lo schienale avanti. Lei continuava a guardarlo male. Stava indossando abiti casual quando l’aveva interrotta. Smanacciò l’aria come se fosse piena di moscerini. “Hai finito per oggi?”
Annuì. “Hm sì, spesso mi limito ad uno”.
“Perché”. Racchiudeva migliaia di domande.
Se ne sbarazzò con la falce. Salvò solo quella che serviva di più. “Perché mi piace scopare, ma non così tanto”.
Lui scaraventò a terra la sedia e le si fece incontro con aria minacciosa. “Smettila, non parlare così!”
“Parlo come voglio, e tu non puoi impedirlo”.
“Sembra quasi che tu sia fuggita da me come da un pericolo”.
“È finita”.
“Ci sono molti modi per finirla, ma non questo”.
“Di nuovo?”, sibilò. “Di nuovo stabilisci tu i termini e le condizioni?”
Indietreggiò fino a recuperare la sedia per raddrizzarla e sedersi. Doveva restare calmo. “Voglio sapere una cosa” riprese il discorso che era rimasto in sospeso l’ultima volta.
Barbara si appoggiò alla scarpiera, le braccia conserte. Gli occhi verdi divampavano. Di fronte al suo silenzio gli fece cenno di continuare. “Sentiamo”.
“Lo facevi anche prima? Intendo quando stavamo ancora insieme”.
“No” rispose senza esitazioni. Lo udi tirare un sospiro di sollievo. “È così importante?”. Paolo la fissava smarrito. Non capiva cosa intendesse. “E tu invece? Lo fai spesso? E lo facevi anche prima?”.
“Che cosa?”
“Andare a puttane”.
“Tu sei una puttana?”
“Faccio sesso a pagamento: sì, sono una puttana. Non hai risposto alla domanda”.
“Sei la prima con cui ho provato”.
La sua ex moglie, che per legge era lo ancora a tutti gli effetti, abbozzò un sorriso.
“E provi piacere?”
“Tutte le donne provano piacere a fare l'amore, non a scopare. L’ultima volta che ho provato piacere ad essere presa da un uomo è stata con mio marito. È così importante?”
Paolo continuava a fissarla. Lei rimaneva secca, asciutta, fragile. Tagliente come un coltello di ghiaccio.
“Perché?”, si limitò a ripetere.
“Perché mi piace scopare”, si limitò a ripetere anche lei facendo spallucce.
“Non ti piace scopare, lo hai detto tu” inveì alzando il tono di voce. “Se fosse davvero così non sarei l’ultimo con cui hai provato piacere. E allora perché, voglio sapere qual è il vero motivo”.
“Ho bisogno di soldi”.
“Ma basta menzogne, basta cazzate!” urlò. “Tu non hai bisogno di soldi”.
“Ciò di cui ho bisogno non è affar tuo”.
Paolo nascose di nuovo il volto tra le mani, strusciò la mano sulla fronte, si aggrappò ai capelli. “Non ci credo…”
“Non credi a cosa, amore?” Il sarcasmo era così sferzante che avrebbe preferito una forbice piantata nel collo. La studiò mentre sfilava una sigaretta da un pacchetto, l'accendeva, appoggiava il gomito sul dorso della mano allacciata intorno alla vita. Era una novità quella.
“Ti descrivi non fumatrice”. Aveva parlato come in trance.
“Fumo solo quando sono nervosa ed in presenza di qualcuno che non voglio vedere”.
Voleva rispondere a tono, ma la nausea si era messa in mezzo alle parole e al respiro. “Ho bisogno del bagno”.
“La porta scorrevole nel corridoio”.
Non annuì neppure. Si precipitò chiudendosi dentro. Ebbe dei conati a vuoto.
Abbandonò quella casa senza nemmeno un saluto. Era per lui un luogo mistico a rovescio, dove la propria epifania avveniva tramite disintegrazione. Ma fuori sul selciato mutò intento, si nascose sotto l’ombrello di cespugli che nessuno potava. Studiò uno per uno gli ospiti del palazzo, per capire quanto stesse mentendo. Ma nessuno di loro suonò al 27. Aprivano sempre con le chiavi. Questo non escludeva che una persona tutta d’un pezzo uscita da quel portone, dietro si trasformasse in maniaco la cui lussuria veniva soddisfatta a suon di contanti dalla nuova vicina del sesto piano, interno 27.
Quando fu buio e nessuno entro più nell’immobile, diede un’occhiata alle finestre lassù lontane sotto il pergolato di stelle, nel silenzio invidioso di quel quartiere tranquillo: erano illuminate, poi si spensero tutte insieme. In questo non era cambiata.
Si sentì ribollire. Ebbe quasi la tentazione di rincorrerlo nelle scale per malmenarlo. Attese. Trascorse un’ora. Alle 18:06 il ragazzo comparve di nuovo dal portone, aggiustandosi la patta, sul volto dipinta un'espressione di appagamento. Accese una sigaretta. Quando si accorse che lui era ancora lì impallidì. Si era come adagiato sull'anta e la teneva discosta. Allungando la mano, davvero come se stesse per mollargli un ceffone, ne approfittò. “Devo entrare, grazie”. Una mitragliata.
“Aprimi o faccio un casino”, la ammonì dietro la porta. Un'ora, un'ora! Quel porco aveva passato un’ora lassù. Era stato disposto a lasciarle tre verdoni sul tavolo per scoparsela a dovere.
Sentì rimuovere il chiavistello. Vedendola Paolo ebbe un sussulto. Sembrava una sconosciuta. Notò odio e disprezzo montare nello sguardo che gli rivolse. Sentimenti che provenivano da qualcosa di più antico, affondato nel profondo di lei. “Che cosa vuoi”.
Entrò. Si andò a sedere senza chiedere permesso, lo schienale avanti. Lei continuava a guardarlo male. Stava indossando abiti casual quando l’aveva interrotta. Smanacciò l’aria come se fosse piena di moscerini. “Hai finito per oggi?”
Annuì. “Hm sì, spesso mi limito ad uno”.
“Perché”. Racchiudeva migliaia di domande.
Se ne sbarazzò con la falce. Salvò solo quella che serviva di più. “Perché mi piace scopare, ma non così tanto”.
Lui scaraventò a terra la sedia e le si fece incontro con aria minacciosa. “Smettila, non parlare così!”
“Parlo come voglio, e tu non puoi impedirlo”.
“Sembra quasi che tu sia fuggita da me come da un pericolo”.
“È finita”.
“Ci sono molti modi per finirla, ma non questo”.
“Di nuovo?”, sibilò. “Di nuovo stabilisci tu i termini e le condizioni?”
Indietreggiò fino a recuperare la sedia per raddrizzarla e sedersi. Doveva restare calmo. “Voglio sapere una cosa” riprese il discorso che era rimasto in sospeso l’ultima volta.
Barbara si appoggiò alla scarpiera, le braccia conserte. Gli occhi verdi divampavano. Di fronte al suo silenzio gli fece cenno di continuare. “Sentiamo”.
“Lo facevi anche prima? Intendo quando stavamo ancora insieme”.
“No” rispose senza esitazioni. Lo udi tirare un sospiro di sollievo. “È così importante?”. Paolo la fissava smarrito. Non capiva cosa intendesse. “E tu invece? Lo fai spesso? E lo facevi anche prima?”.
“Che cosa?”
“Andare a puttane”.
“Tu sei una puttana?”
“Faccio sesso a pagamento: sì, sono una puttana. Non hai risposto alla domanda”.
“Sei la prima con cui ho provato”.
La sua ex moglie, che per legge era lo ancora a tutti gli effetti, abbozzò un sorriso.
“E provi piacere?”
“Tutte le donne provano piacere a fare l'amore, non a scopare. L’ultima volta che ho provato piacere ad essere presa da un uomo è stata con mio marito. È così importante?”
Paolo continuava a fissarla. Lei rimaneva secca, asciutta, fragile. Tagliente come un coltello di ghiaccio.
“Perché?”, si limitò a ripetere.
“Perché mi piace scopare”, si limitò a ripetere anche lei facendo spallucce.
“Non ti piace scopare, lo hai detto tu” inveì alzando il tono di voce. “Se fosse davvero così non sarei l’ultimo con cui hai provato piacere. E allora perché, voglio sapere qual è il vero motivo”.
“Ho bisogno di soldi”.
“Ma basta menzogne, basta cazzate!” urlò. “Tu non hai bisogno di soldi”.
“Ciò di cui ho bisogno non è affar tuo”.
Paolo nascose di nuovo il volto tra le mani, strusciò la mano sulla fronte, si aggrappò ai capelli. “Non ci credo…”
“Non credi a cosa, amore?” Il sarcasmo era così sferzante che avrebbe preferito una forbice piantata nel collo. La studiò mentre sfilava una sigaretta da un pacchetto, l'accendeva, appoggiava il gomito sul dorso della mano allacciata intorno alla vita. Era una novità quella.
“Ti descrivi non fumatrice”. Aveva parlato come in trance.
“Fumo solo quando sono nervosa ed in presenza di qualcuno che non voglio vedere”.
Voleva rispondere a tono, ma la nausea si era messa in mezzo alle parole e al respiro. “Ho bisogno del bagno”.
“La porta scorrevole nel corridoio”.
Non annuì neppure. Si precipitò chiudendosi dentro. Ebbe dei conati a vuoto.
Abbandonò quella casa senza nemmeno un saluto. Era per lui un luogo mistico a rovescio, dove la propria epifania avveniva tramite disintegrazione. Ma fuori sul selciato mutò intento, si nascose sotto l’ombrello di cespugli che nessuno potava. Studiò uno per uno gli ospiti del palazzo, per capire quanto stesse mentendo. Ma nessuno di loro suonò al 27. Aprivano sempre con le chiavi. Questo non escludeva che una persona tutta d’un pezzo uscita da quel portone, dietro si trasformasse in maniaco la cui lussuria veniva soddisfatta a suon di contanti dalla nuova vicina del sesto piano, interno 27.
Quando fu buio e nessuno entro più nell’immobile, diede un’occhiata alle finestre lassù lontane sotto il pergolato di stelle, nel silenzio invidioso di quel quartiere tranquillo: erano illuminate, poi si spensero tutte insieme. In questo non era cambiata.
0
voti
voti
valutazione
0
0
Continua a leggere racconti dello stesso autore
racconto precedente
Lo stalker parte 2
Commenti dei lettori al racconto erotico