La festa
di
ottinton palent
genere
orge
“Di quella sera ricordo i sorrisi. E molto altro.”
Mi recai alla festa di laurea di due amici molto incuriosita. Certo, l’abito che avevo scelto faceva colpo: leggermente aderente, non sfacciato, ma capace di esaltare le forme. Le cosce erano abbondantemente scoperte, il tessuto lasciava intuire che sotto non c’era reggiseno, e solo un perizoma sottile interrompeva la nudità. Le gambe, strette nelle autoreggenti nere, attiravano sguardi continui.
Sapevo perfettamente cosa stavo facendo. Ero allegra, di buon umore, con la voglia di lasciarmi andare. Non era la prima volta che giocavo con la mia sensualità, scoperta entusiasmante. e nell’ambiente si mormorava che con me che non fosse difficile ottenere la mia disponibilità e che certi confini potevano crollare facilmente. Quella sera non avevo alcuna intenzione di smentirlo.
Un paio di mani che mi sfioravano il sedere durante la calca al buffet, i miei movimenti studiati nel sedermi in modo che il bordo delle calze fosse sempre più visibile… erano segnali. Maliziosi, invitanti. Un gioco che sapevo sarebbe stato colto. E così fu.
Carlo, il fratello di un’amica, prese posto accanto a me. Sotto la tovaglia, la sua mano osò subito, trovando il perizoma già umido. Lo guardai negli occhi, sorridendo: era il mio modo di dire “vai avanti”. Non si fece pregare. Poco dopo arrivarono anche Lorenzo e Bruno, che conoscevo già dai corridoi dell’ateneo: bastò un cenno, uno scambio di sguardi, e capirono di essere ben accetti. Non c’era bisogno di parole.
Approfittando della confusione, sgattaiolammo via e salimmo in macchina. Lì, il gioco diventò subito più carnale. Non c’era vergogna, né imbarazzo, solo la voglia di godere insieme. Le loro mani mi esploravano ovunque, i loro baci si alternavano sul collo e sulla bocca, mentre io ridevo e gemetti, spinta da un’eccitazione crescente. L’appartamento di Bruno era vicino.
Carlo fu il primo ad approfittare della mia disponibilità: mentre gli altri due mi tenevano tra le braccia, lui mi spinse a quattro zampe e s’infilò sotto di me. Sentii il suo volto insinuarsi fra le mie natiche, le mani che mi aprivano con decisione, e la lingua che mi leccava senza pudore, passandomi dalla fessura calda e bagnata fino all’ano che succhiava e baciava con foga. Mi fece fremere subito, come se mi divorasse dall’interno, affondando sempre più a fondo, assetato del mio sapore.
Lorenzo non resse oltre. Mi prese per i fianchi e con un colpo secco entrò nella mia figa inzuppata. Le spinte furono violente, rabbiose, come se volesse marchiarmi da dentro, ogni affondo che faceva mi scuoteva tutta e faceva gemere anche Carlo, che non staccava la bocca dal mio culo, bagnandomi di saliva e calore.
Bruno, più calmo ma deciso, mi prese il volto tra le mani e mi guidò verso il suo cazzo. Lo voleva nella mia bocca, lo voleva sentire sparire fino in fondo alla gola, e io lo accolsi con entusiasmo, succhiandolo con forza, facendolo scivolare mentre le mie labbra si tendevano e gli occhi mi lacrimavano di piacere. Lui mi teneva ferma, con colpi sempre più profondi, mentre io alternavo gemiti soffocati e sorsi avidi.
Era un vortice: la lingua di Carlo che mi succhiava l’ano come fosse un frutto proibito, Lorenzo che mi possedeva con colpi sempre più affamati dentro la figa, e Bruno che mi usava la bocca come la cosa più naturale al mondo. Io ridevo, gemevo, godevo senza pudore, lasciando che quella notte d’estate diventasse un intreccio di corpi, sudore e desiderio senza limiti.
Quando Lorenzo si scostò un istante, ancora ansimante e rigido dentro di me, sentii Carlo spingersi più in alto, le mani che mi afferravano i fianchi con forza. Non esitò: la sua lingua mi aveva già aperto e preparato, e adesso il suo cazzo duro premeva contro il mio culo bagnato di saliva. Io stessa spinsi indietro, cercandolo, offrendogli l’accesso.
Il gemito che mi esplose in gola fu soffocato dal cazzo di Bruno, che nel frattempo mi tirava la testa verso di sé, ingolfandomi ancora di più la bocca. L’entrata di Carlo fu lenta solo un istante, poi la resistenza cedette e lui affondò con uno strappo caldo e possente, riempiendomi l’ano fino in fondo. Il dolore breve lasciò subito posto a un piacere bruciante che mi fece tremare le gambe.
Adesso li avevo tutti: Lorenzo tornato a reclamare la mia figa, spingendosi dentro a colpi secchi e rabbiosi; Carlo dietro che mi possedeva il culo con spinte profonde, il suo ventre che sbatteva sulle mie natiche nude; e Bruno davanti che mi teneva la bocca piena, usandomi senza tregua.
Ero trafitta da tre direzioni, ogni buco invaso, ogni respiro rubato. La mia pelle grondava sudore, i miei liquidi colavano ovunque, il perizoma ormai ridotto a un brandello inzuppato. Eppure ridevo tra i gemiti, completamente abbandonata, felice di essere così, al centro del loro desiderio famelico, spensierata e complice di quella follia improvvisata.
Le spinte si fecero più veloci, i corpi martellavano contro il mio. Le mani di Lorenzo mi tenevano le cosce spalancate mentre mi scopava con una furia che mi faceva urlare, Carlo mi afferrava i fianchi e mi penetrava il culo fino a farmi ribaltare l’anima, e Bruno, sudato e ansimante, continuava a spingermi il cazzo in gola, le sue palle che mi schiaffeggiavano il mento a ogni colpo.
Sentivo tutto dentro: la figa tesa e palpitante attorno a Lorenzo, l’ano dilatato che stringeva Carlo, la bocca piena fino a soffocare con Bruno. Le mie mani si aggrappavano ovunque, a cosce, a ventri, a pelle calda e bagnata. Gemiti, mugolii, risate spezzate, l’odore forte di sesso riempiva l’abitacolo.
Il primo a cedere fu Bruno: mi spinse forte in fondo, trattenne la mia testa e con un grugnito mi riempì la gola di sborra calda e densa. Ne ingoiai quanta riuscii, ma il resto mi colava sulle labbra e sul mento.
Lorenzo, quasi nello stesso istante, si piegò su di me, spingendosi più dentro che poteva. Sentii l’ondata calda esplodere nella mia figa, traboccando a ogni colpo, facendomi urlare mentre venivo a mia volta, le pareti interne che lo strizzavano senza pietà.
Carlo resse qualche secondo in più, ma poi con un ringhio animalesco si piantò nel mio culo e lo inondò con uno fiotto lungo, rovente, che mi fece gemere felice.
Restammo così, un groviglio di corpi appiccicosi e tremanti, i loro fiati pesanti che si mescolavano ai miei. Io, sporca e piena ovunque, non mi mossi: godevo di ogni stilla che colava, della sensazione di essere stata usata e amata insieme, allegra e spensierata come non mi sentivo da tempo.
Rientrai in mezzo agli invitati con passo traballante, con un’aria innocente che non lasciava trapelare nulla. Salutavo, ridevo, mi chinavo a prendere un bicchiere, un tramezzino.
Il passo traballante come se fossi semplicemente un po’ alticcia, eppure ogni gesto mi riportava all’intenso sfregamento che ancora bruciava nei miei orifizi, mi ricordava il modo in cui mi ero lasciata prendere, aperta e usata da quei tre ragazzi con una voracità che ancora mi faceva vibrare dentro.
Chiunque mi guardava poteva credere che fossi la ragazza allegra, spensierata, vestita di malizia leggera per una festa. Ma io sapevo. Io sentivo i segni: la pelle arrossata sulle chiappe, le calze che non c’erano più, trattenute come trofeo in tasca a Bruno, — dopo averle annusate a lungo durante il ritorno in macchina, aspirando il profumo dolciastro di nylon e quello più intimo dei miei piedi. Il segreto premeva sulla mia pelle come un marchio.
Gli sguardi dei partecipanti mi scivolavano addosso e li accoglievo come carezze segrete, come se tutti avessero intuito cosa fosse appena accaduto. Dentro di me sapevo che presto il trio avrebbe spifferato tutto — magari ridendo tra loro, magari alludendo con battute — e invece di temerla, quella prospettiva mi dava una baldanza eccitata, una fierezza maliziosa. Ero la loro complice e la loro conquista, e la sola idea che il segreto si diffondesse trasformava il mio corpo in un brivido continuo, come se stessi loro sotto gli occhi di tutti.
Mi recai alla festa di laurea di due amici molto incuriosita. Certo, l’abito che avevo scelto faceva colpo: leggermente aderente, non sfacciato, ma capace di esaltare le forme. Le cosce erano abbondantemente scoperte, il tessuto lasciava intuire che sotto non c’era reggiseno, e solo un perizoma sottile interrompeva la nudità. Le gambe, strette nelle autoreggenti nere, attiravano sguardi continui.
Sapevo perfettamente cosa stavo facendo. Ero allegra, di buon umore, con la voglia di lasciarmi andare. Non era la prima volta che giocavo con la mia sensualità, scoperta entusiasmante. e nell’ambiente si mormorava che con me che non fosse difficile ottenere la mia disponibilità e che certi confini potevano crollare facilmente. Quella sera non avevo alcuna intenzione di smentirlo.
Un paio di mani che mi sfioravano il sedere durante la calca al buffet, i miei movimenti studiati nel sedermi in modo che il bordo delle calze fosse sempre più visibile… erano segnali. Maliziosi, invitanti. Un gioco che sapevo sarebbe stato colto. E così fu.
Carlo, il fratello di un’amica, prese posto accanto a me. Sotto la tovaglia, la sua mano osò subito, trovando il perizoma già umido. Lo guardai negli occhi, sorridendo: era il mio modo di dire “vai avanti”. Non si fece pregare. Poco dopo arrivarono anche Lorenzo e Bruno, che conoscevo già dai corridoi dell’ateneo: bastò un cenno, uno scambio di sguardi, e capirono di essere ben accetti. Non c’era bisogno di parole.
Approfittando della confusione, sgattaiolammo via e salimmo in macchina. Lì, il gioco diventò subito più carnale. Non c’era vergogna, né imbarazzo, solo la voglia di godere insieme. Le loro mani mi esploravano ovunque, i loro baci si alternavano sul collo e sulla bocca, mentre io ridevo e gemetti, spinta da un’eccitazione crescente. L’appartamento di Bruno era vicino.
Carlo fu il primo ad approfittare della mia disponibilità: mentre gli altri due mi tenevano tra le braccia, lui mi spinse a quattro zampe e s’infilò sotto di me. Sentii il suo volto insinuarsi fra le mie natiche, le mani che mi aprivano con decisione, e la lingua che mi leccava senza pudore, passandomi dalla fessura calda e bagnata fino all’ano che succhiava e baciava con foga. Mi fece fremere subito, come se mi divorasse dall’interno, affondando sempre più a fondo, assetato del mio sapore.
Lorenzo non resse oltre. Mi prese per i fianchi e con un colpo secco entrò nella mia figa inzuppata. Le spinte furono violente, rabbiose, come se volesse marchiarmi da dentro, ogni affondo che faceva mi scuoteva tutta e faceva gemere anche Carlo, che non staccava la bocca dal mio culo, bagnandomi di saliva e calore.
Bruno, più calmo ma deciso, mi prese il volto tra le mani e mi guidò verso il suo cazzo. Lo voleva nella mia bocca, lo voleva sentire sparire fino in fondo alla gola, e io lo accolsi con entusiasmo, succhiandolo con forza, facendolo scivolare mentre le mie labbra si tendevano e gli occhi mi lacrimavano di piacere. Lui mi teneva ferma, con colpi sempre più profondi, mentre io alternavo gemiti soffocati e sorsi avidi.
Era un vortice: la lingua di Carlo che mi succhiava l’ano come fosse un frutto proibito, Lorenzo che mi possedeva con colpi sempre più affamati dentro la figa, e Bruno che mi usava la bocca come la cosa più naturale al mondo. Io ridevo, gemevo, godevo senza pudore, lasciando che quella notte d’estate diventasse un intreccio di corpi, sudore e desiderio senza limiti.
Quando Lorenzo si scostò un istante, ancora ansimante e rigido dentro di me, sentii Carlo spingersi più in alto, le mani che mi afferravano i fianchi con forza. Non esitò: la sua lingua mi aveva già aperto e preparato, e adesso il suo cazzo duro premeva contro il mio culo bagnato di saliva. Io stessa spinsi indietro, cercandolo, offrendogli l’accesso.
Il gemito che mi esplose in gola fu soffocato dal cazzo di Bruno, che nel frattempo mi tirava la testa verso di sé, ingolfandomi ancora di più la bocca. L’entrata di Carlo fu lenta solo un istante, poi la resistenza cedette e lui affondò con uno strappo caldo e possente, riempiendomi l’ano fino in fondo. Il dolore breve lasciò subito posto a un piacere bruciante che mi fece tremare le gambe.
Adesso li avevo tutti: Lorenzo tornato a reclamare la mia figa, spingendosi dentro a colpi secchi e rabbiosi; Carlo dietro che mi possedeva il culo con spinte profonde, il suo ventre che sbatteva sulle mie natiche nude; e Bruno davanti che mi teneva la bocca piena, usandomi senza tregua.
Ero trafitta da tre direzioni, ogni buco invaso, ogni respiro rubato. La mia pelle grondava sudore, i miei liquidi colavano ovunque, il perizoma ormai ridotto a un brandello inzuppato. Eppure ridevo tra i gemiti, completamente abbandonata, felice di essere così, al centro del loro desiderio famelico, spensierata e complice di quella follia improvvisata.
Le spinte si fecero più veloci, i corpi martellavano contro il mio. Le mani di Lorenzo mi tenevano le cosce spalancate mentre mi scopava con una furia che mi faceva urlare, Carlo mi afferrava i fianchi e mi penetrava il culo fino a farmi ribaltare l’anima, e Bruno, sudato e ansimante, continuava a spingermi il cazzo in gola, le sue palle che mi schiaffeggiavano il mento a ogni colpo.
Sentivo tutto dentro: la figa tesa e palpitante attorno a Lorenzo, l’ano dilatato che stringeva Carlo, la bocca piena fino a soffocare con Bruno. Le mie mani si aggrappavano ovunque, a cosce, a ventri, a pelle calda e bagnata. Gemiti, mugolii, risate spezzate, l’odore forte di sesso riempiva l’abitacolo.
Il primo a cedere fu Bruno: mi spinse forte in fondo, trattenne la mia testa e con un grugnito mi riempì la gola di sborra calda e densa. Ne ingoiai quanta riuscii, ma il resto mi colava sulle labbra e sul mento.
Lorenzo, quasi nello stesso istante, si piegò su di me, spingendosi più dentro che poteva. Sentii l’ondata calda esplodere nella mia figa, traboccando a ogni colpo, facendomi urlare mentre venivo a mia volta, le pareti interne che lo strizzavano senza pietà.
Carlo resse qualche secondo in più, ma poi con un ringhio animalesco si piantò nel mio culo e lo inondò con uno fiotto lungo, rovente, che mi fece gemere felice.
Restammo così, un groviglio di corpi appiccicosi e tremanti, i loro fiati pesanti che si mescolavano ai miei. Io, sporca e piena ovunque, non mi mossi: godevo di ogni stilla che colava, della sensazione di essere stata usata e amata insieme, allegra e spensierata come non mi sentivo da tempo.
Rientrai in mezzo agli invitati con passo traballante, con un’aria innocente che non lasciava trapelare nulla. Salutavo, ridevo, mi chinavo a prendere un bicchiere, un tramezzino.
Il passo traballante come se fossi semplicemente un po’ alticcia, eppure ogni gesto mi riportava all’intenso sfregamento che ancora bruciava nei miei orifizi, mi ricordava il modo in cui mi ero lasciata prendere, aperta e usata da quei tre ragazzi con una voracità che ancora mi faceva vibrare dentro.
Chiunque mi guardava poteva credere che fossi la ragazza allegra, spensierata, vestita di malizia leggera per una festa. Ma io sapevo. Io sentivo i segni: la pelle arrossata sulle chiappe, le calze che non c’erano più, trattenute come trofeo in tasca a Bruno, — dopo averle annusate a lungo durante il ritorno in macchina, aspirando il profumo dolciastro di nylon e quello più intimo dei miei piedi. Il segreto premeva sulla mia pelle come un marchio.
Gli sguardi dei partecipanti mi scivolavano addosso e li accoglievo come carezze segrete, come se tutti avessero intuito cosa fosse appena accaduto. Dentro di me sapevo che presto il trio avrebbe spifferato tutto — magari ridendo tra loro, magari alludendo con battute — e invece di temerla, quella prospettiva mi dava una baldanza eccitata, una fierezza maliziosa. Ero la loro complice e la loro conquista, e la sola idea che il segreto si diffondesse trasformava il mio corpo in un brivido continuo, come se stessi loro sotto gli occhi di tutti.
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