Seychelles

di
genere
corna

Sono un uomo solo, per scelta. A quarant’anni ho già il potere che altri sognano e il corpo che non ho mai smesso di coltivare. Non ho legami, non ne voglio. In azienda il mio sguardo basta per far tacere una sala riunioni. Non chiedo: prendo.
All’aeroporto di Mahé la vidi scendere dalla scaletta. La gonna chiaro le aderiva ai fianchi, il sole tropicale le accendeva la pelle. Loro li avevo notati subito. Una coppia ordinaria.
Lui, cinquantenne, diligente, fedele come un cane al padrone. Lei, sette anni in meno, corpo maturo ma vivo, lo sguardo velato di noia. Bastava poco per capirlo: la camicetta bianca, leggera e un po’ trasparente lasciava intuire il reggiseno e le curve contenute a fatica. Le gambe accavallate con naturalezza, la pelle chiara che brillava d’umidità, la gonna che saliva appena sul bordo della coscia. I suoi piedi erano nudi, curati, con le unghie smaltate di rosa. Giocava con loro senza accorgersene: piegava la caviglia, dondolava lentamente il piede sospeso, lo sfiorava con la punta dell’altro. Un gesto semplice, ma che mi teneva incollato lì, rapito. Mi immaginavo quel piede premuto contro le mie labbra, o la sua pianta morbida che stringeva il mio sesso. Il contrasto tra la sua eleganza naturale e quei piccoli dettagli quasi inconsci — la camicetta che lasciava intravedere, le gambe nervose, i piedi che sembravano parlare da soli — accendevano in me un desiderio feroce, un bisogno di trasformare quella sensualità inconsapevole in sottomissione totale. Lei se ne accorse. Un sorriso appena accennato le passò sulle labbra, ma non ritrasse la gamba. Anzi, la mosse con una lentezza che sapeva di esibizione involontaria, lasciando che il piede oscillasse davanti a me, invitante. Non c’era alcun imbarazzo: accettava il mio sguardo, forse lo desiderava, e in quell’attimo sentii che il terreno stanco del suo matrimonio poteva diventare il mio campo di gioco. Non era più moglie: era una donna che cercava ciò che non trovava più a casa.
La sera, al resort, i giochi si fecero semplici. Suo marito inchiodato al tavolo da bridge; lei comparve sulla terrazza in un vestito nero, leggero, senza reggiseno. I capezzoli pungevano il tessuto, i capelli sciolti profumavano di sole e crema. La volta australe brillava dei suoi astri così poco familiari, nell’aria i profumi esotici e i soffi dell’oceano. Qualche convenevole su banalità e poi un velo nei suoi occhi, una richiesta.
— «Mio marito è così occupato…»
Le feci solo cenno di seguirmi. Camminando lungo i piccoli viali sabbiosi giungemmo al mio bungalow.
Appena chiusa la porta, la voltai verso la finestra e le sollevai l’abito. Cosce tornite, ventre piatto, glutei sodi. Si lasciò spogliare, restando nuda davanti a me: seni pieni, pelle dorata, fianchi larghi da stringere. La baciai sul collo, scivolando al petto, succhiandole un capezzolo finché non gemette forte.
— «È tanto che non mi sento così desiderata…»
Si avvicinò e mi aprì i pantaloni. Le labbra calde mi inghiottirono con una precisione esperta, lenta, profonda. Non c’era timidezza: mi succhiava come una donna che sapeva quello che voleva. I seni mi sfioravano le cosce mentre affondava la bocca.
La sollevai sul letto. La sua figa era già gonfia, lucida. La lingua la percorse lenta, dal clitoride all’ingresso, mentre lei muoveva i fianchi contro la mia bocca. Si prese cura di me con naturalezza, fino a girarsi e calarmi addosso: la sua gola sul mio cazzo, la mia lingua nella sua umidità salmastra. Un 69 carnale, fatto di gemiti e succhiate.
Il suo respiro caldo mi investiva l’inguine a ogni affondo, mentre i seni pesanti mi sfioravano il ventre. Ogni volta che succhiava più a fondo, le mie labbra stringevano il suo clitoride teso, e i suoi gemiti vibravano direttamente sul mio cazzo, amplificando il piacere.
Quando non resse più, mi cavalcò lenta fino in fondo. Le tenevo i fianchi, guidandola, mentre i seni pesanti mi sbattevano sul petto, sul viso. Il ritmo crebbe, i suoi gemiti bassi riempirono la stanza. Venni dentro di lei con un colpo che la fece urlare, tremando in orgasmo.
Restammo stesi, i suoi seni sul mio petto, il respiro affannato.
Non c’erano parole. Solo i nostri corpi che sapevano di essere vivi.

La sera successiva, suo marito ancora assorto nelle carte. Lei mi raggiunse in stanza, in silenzio. Negli occhi un desiderio più forte della paura. Non servivano frasi: la porta si chiuse e la stanza divenne il nostro territorio proibito.
La posai sul letto e la penetrai senza attese. Il suo corpo mi accolse caldo, umido, tremante. I glutei sbattevano contro le mie cosce, i capezzoli tesi cercavano la mia bocca. Ogni colpo più profondo, ogni gemito più arreso.
Finché, con il volto arrossato e il respiro spezzato, mi disse:
— «Puoi chiedermi tutto… ma proprio tutto.»
Da quel momento non era più solo sesso: era resa totale. Il marito ignaro, io padrone, lei disposta a ogni mia fantasia.
Le presi i glutei e infilai il viso tra le sue natiche tonde. La lingua esplorava, le dita la aprivano, il suo odore intenso mi stordiva. Tremava sotto di me, le mani nei miei capelli, gemeva senza freni. Poi, scossa da un brivido, sussurrò ansante:
— «Devo correre in bagno…»
Tornò senza pudore, ancora calda, pronta. La girai e le entrai nell’ano lentamente. Il suo corpo si tese, poi cedette: spinte dure, profonde, senza dolcezza. Si aggrappava alle lenzuola, i gemiti rotti nella la stanza, per il resto silenziosa. Ogni colpo la faceva rabbrividire, ogni contrazione mi stringeva più forte.
Quando esplose nell’orgasmo, il corpo le tremava in convulsioni, l’ano serrato, la voce spezzata. Io la seguii, perdendomi nel suo calore.
Non era finita. Mi prese di nuovo in bocca, con foga, mentre la mia lingua tornava sulla sua fica gonfia, ormai fradicia. Le dita l’aprivano, il clitoride tra le labbra, assaporando ogni stilla del suo piacere.
Il suo ano rilassato pulsava accanto alla mia bocca, e lo sfiorai con la lingua mentre affondavo le dita più in fondo. Lei gemeva con la bocca piena del mio cazzo, le vibrazioni del suo gorgoglio mi facevano tremare l’inguine. Il 69 era diventato animalesco: succhiate bagnate, schiocchi, odore forte di sesso che riempiva la stanza, fino a perderci ogni misura.
Alessandra esausta, sfinita, ma senza un’ombra di rimorso.
Io padrone della sua carne soffice e del suo segreto.














scritto il
2025-09-07
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