Yuko
di
Fuuka
genere
saffico
Il rombo dei motori è un tuono costante che ti vibra nelle ossa, un suono primordiale che a Monza diventa una religione. È venerdì, il giorno delle prove, e l'aria sa di gomma bruciata, di benzina e di un'energia quasi elettrica. Me ne sto in piedi vicino a una recinzione, il cappellino rosso della Ferrari a proteggermi dal sole di settembre, e cerco di assorbire ogni dettaglio. Ma la verità è che la mia mente è altrove. Da giorni, è sempre altrove. È con lei.
Sono alta, snella, con un corpo che ho imparato ad accettare: un seno normale, né piccolo né grande, fianchi stretti e un sedere sodo, quasi sporgente, che attira attenzioni non richieste. I miei capelli sono due cascate d'inchiostro, lunghi, lisci e neri, che oggi mi solleticano la schiena nuda lasciata scoperta dalla maglietta rossa della scuderia. Al collo, come sempre, porto il mio piccolo ciondolo d'argento, una falce di luna crescente che è il mio amuleto, il mio pezzetto di notte personale.
Poi, nel bel mezzo del ruggito di una SF-25 che sfreccia sul rettilineo, sento una vibrazione diversa, più intima, contro la mia coscia. Sfilo il telefono dalla tasca della gonna. Sullo schermo, un solo nome che ha il potere di fermare il tempo: Yuko.
Il messaggio è un colpo al cuore, una scarica di pura adrenalina che fa sembrare il Gran Premio un giro in giostra per bambini.
«Gioia, mollo tutto e vengo lì da te. Faremo l'amore tra una prova e l'altra.»
Il mondo intorno a me svanisce. Il rombo dei motori diventa un brusio lontano, la folla si trasforma in un acquerello sfocato. Il mio respiro si blocca in gola. Un'ondata di calore mi parte dal centro del petto e si irradia ovunque, fino alla punta delle dita e, con una prepotenza quasi dolorosa, in mezzo alle gambe. Le mie mutandine grigie, un semplice pezzo di cotone, diventano improvvisamente umide. Sarebbe stata la prima volta. La prima volta che i suoi pixel si sarebbero trasformati in pelle, il suo odore digitale in un profumo vero, il suono della sua voce attraverso gli auricolari in un sussurro contro il mio orecchio. Un misto di panico e desiderio puro mi fa tremare le mani. Non so quando arriverà, non so nulla. So solo che sta arrivando.
Indosso una gonna a pieghe nera, corta, che lascia scoperte le mie lunghe gambe, abbinata a delle semplici scarpe bianche basse, con dei calzini candidi che sbucano appena. Un'uniforme quasi da studentessa, in netto contrasto con la maglietta e il cappellino da tifosa sfegatata. E sotto, quel piccolo segreto umido che pulsa al ritmo dei miei pensieri impazziti. Provo a scriverle, un "Quando?" tremolante, ma non ricevo risposta. Probabilmente è già in viaggio, in treno o in auto, e sta correndo da me.
Le ore successive sono una tortura. Ogni donna alta e snella con i capelli neri che vedo tra la folla mi fa balzare il cuore in gola. Il sole inizia a calare, tingendo il cielo sopra l'autodromo di arancione e viola, e proprio quando la speranza comincia a trasformarsi in un'ansia sorda, il telefono vibra di nuovo.
«Sono qua fuori che ti aspetto.»
Il mio cuore smette di battere per un istante e poi riparte come un motore al massimo dei giri. Mi faccio largo tra la gente, chiedo scusa senza nemmeno guardare in faccia nessuno, con gli occhi fissi sull'uscita principale. Sapevo che l'avrei riconosciuta subito, anche in mezzo a mille persone. La sua immagine è impressa a fuoco dietro le mie palpebre.
Ed eccola lì. Appoggiata a una transenna, calma in mezzo al caos. È ancora più bella che in foto. Alta, slanciata, con una grazia naturale che la fa sembrare una danzatrice. I suoi capelli, neri e lisci come i miei, le incorniciano un viso dai tratti delicati ma decisi. Indossa dei jeans scuri che le fasciano le gambe toniche e una semplice maglietta bianca che lascia intravedere la curva del suo seno. Ai polsi, una cascata di braccialetti d'argento tintinna leggermente. E al collo, la sua collanina, con quella piccola pietra color acquamarina che catturava la luce, un punto di colore puro contro la sua pelle.
I nostri sguardi si incrociano. Tutto il rumore, tutta la gente, scompare di nuovo. Esistiamo solo noi. Un sorriso lento, meraviglioso, le spunta sulle labbra. È un sorriso che conosco, ma vederlo dal vivo mi toglie il fiato. In quell'istante, ogni paura svanisce, lasciando solo una certezza assoluta. Mi avvicino, prima piano, poi quasi di corsa.
Non dico una parola. Le butto le braccia al collo e la stringo forte, affondando il viso nell'incavo della sua spalla. Il suo profumo mi avvolge, un misto di agrumi e di qualcosa di pulito, di unicamente suo. Le sue braccia mi circondano la schiena, forti, sicure. E in quell'abbraccio, per la prima volta, mi sento completamente protetta, come se ogni pezzo di me avesse finalmente trovato il suo posto. Mi sento a casa.
Quando ci stacchiamo, i nostri visi sono a un soffio di distanza. I suoi occhi scuri mi scrutano, e poi si abbassano sulle mie labbra. Lentamente, annulla la distanza. Il primo contatto è morbido, un tocco esitante. Poi le sue labbra si schiudono contro le mie, e il bacio diventa vero. Sa di menta e di Yuko. È un bacio umido, tenero e affamato al tempo stesso, un bacio che racconta giorni di attesa, di desiderio sussurrato attraverso uno schermo. Le mie mani si aggrappano alle sue spalle, mentre le sue scivolano sulla mia schiena, premendomi contro di lei.
"Sei ancora più bella dal vivo, Fuuka," sussurra contro la mia bocca.
"Anche tu," riesco a malapena a rispondere.
Parliamo poco mentre camminiamo verso l'hotel dove alloggio, tenendoci per mano. Le parole non servono. Serve solo la sensazione della sua pelle contro la mia, la realtà della sua presenza. Arriviamo davanti alla porta della mia stanza. Infilo la chiave elettronica nella fessura, ma prima che possa aprire, Yuko mi ferma. Mi fa voltare verso di lei, mi spinge dolcemente contro il legno freddo della porta. Mi prende entrambe le mani e me le blocca sopra la testa con una delle sue. Il suo corpo preme contro il mio. Il suo sguardo è diventato scuro, intenso.
"Ho aspettato troppo a lungo per questo," mormora, e poi la sua bocca si schianta di nuovo sulla mia. Questo bacio non ha nulla di tenero. È pura passione, una fame a lungo repressa. La sua lingua invade la mia bocca con sicurezza, esplorando, assaggiando, reclamando. Una delle sue mani scivola lungo il mio fianco, si posa sulla curva del mio sedere e stringe, facendomi ansimare nel bacio. Sento il suo bacino premere contro il mio, e non ho dubbi sulla sua eccitazione.
Finalmente, apre la porta e quasi mi trascina dentro, chiudendosela alle spalle con un calcio. La stanza è immersa nella penombra, ma i nostri corpi sembrano brillare di luce propria. Mi spinge contro la parete e continua a baciarmi, mentre le sue mani esperte mi sfilano la maglietta della Ferrari. La mia luna d'argento brilla contro la mia pelle accaldata. Le sue dita tracciano il contorno del ciondolo, per poi scendere più in basso. Io, con le mani finalmente libere, le sfilo la sua, liberando il suo busto snello e il suo seno perfetto. La sua pietra acquamarina le poggia tra i seni, un punto di luce fredda sul suo corpo bollente.
Ci spogliamo a vicenda con una fretta febbrile, un groviglio di braccia, gambe e vestiti gettati a terra. E poi siamo pelle contro pelle, sul letto. Yuko si mette sopra di me, mi studia per un istante, e io mi sento completamente esposta, vulnerabile e incredibilmente desiderata.
"Sei un capolavoro," dice, la voce roca.
Inizia un'esplorazione lenta, una mappatura del mio corpo che ha solo potuto immaginare. Le sue labbra scendono dal mio collo, si soffermano sul mio seno, la sua lingua disegna cerchi attorno a un capezzolo che si indurisce all'istante. Le mie mani affondano nei suoi capelli neri, mentre un gemito mi sfugge dalle labbra. Scende ancora, baciandomi lo stomaco, i fianchi, fino ad arrivare all'elastico delle mie mutandine grigie, ormai fradice. Le toglie con una lentezza esasperante, e poi il suo sguardo si posa lì, sulla mia figa. Il suo alito caldo mi fa fremere.
Il suo primo tocco con la lingua è una scossa elettrica che mi inarca la schiena. Inizia a leccarmi con una devozione che mi fa sentire venerata. Mentre la sua bocca non lascia un istante il mio clitoride, sento la pressione delle sue dita contro il mio ingresso bagnato. Prima uno, poi due, scivolano dentro di me con una facilità sconcertante, riempiendomi, stirando le mie pareti interne. La doppia stimolazione è una tortura divina. La sua lingua mi fa impazzire, portandomi sempre più in alto, mentre le sue dita si muovono dentro di me, trovando un ritmo perfetto. Il piacere cresce, un'onda inarrestabile. Sento l'orgasmo arrivare, e in un gesto involontario di pudore porto la mano destra tremante al viso, quasi a volermi nascondere dall'intensità di quella sensazione. Lei mi tiene ferma per i fianchi. "Lasciati andare per me, gioia," sussurra, e io obbedisco. Vengo con un grido soffocato, il corpo scosso dagli spasmi, mentre una risata nervosa e senza fiato mi sfugge dalle labbra. Lei continua a leccarmi e a muovere le dita dentro di me, bevendo il mio piacere fino all'ultima goccia.
Mentre sono ancora persa nelle scosse del mio orgasmo, Yuko risale lungo il mio corpo. Si mette a cavalcioni su di me, in ginocchio sul letto ai lati della mia testa. La sua figura mi sovrasta, i suoi capelli neri le ricadono sulle spalle, la sua pietra acquamarina dondola ipnotica tra i suoi seni. "Adesso assaggiami tu," mi ordina con voce roca. Lentamente, abbassa il suo bacino, portando la sua vulva umida e calda a pochi centimetri dalla mia bocca. L'odore della sua eccitazione mi riempie le narici, mandandomi di nuovo in estasi. Alzo la testa e la bacio, leccando le sue grandi labbra, assaggiando il suo sapore, che è un misto di dolce e salato. Lei geme, un suono profondo e gutturale. Inizio a leccarla con foga, la mia lingua che esplora ogni piega, trovando subito il suo clitoride. Lei si muove sopra di me, strusciandosi contro la mia bocca, guidando i miei movimenti, le sue mani affondate nei miei capelli. È una posizione di potere, di totale abbandono da parte sua e di completa devozione da parte mia.
Quando sento che il suo piacere sta raggiungendo il culmine, la spingo dolcemente e la faccio stendere sulla schiena. "Adesso tocca a noi giocare," le dico. Con un movimento fluido, mi giro e mi posiziono su di lei, assumendo la posizione del 69. La mia testa è tra le sue gambe, la mia vagina premuta contro la sua bocca. La sua testa è tra le mie, e sento il suo alito caldo e umido sul mio clitoride ancora sensibile.
Iniziamo a leccarci a vicenda con una sincronia perfetta. Mentre la sua bocca torna a dedicar si a me, io affondo il viso nella sua figa, assaggiando i suoi succhi, succhiando il suo clitoride con bramosia. Non mi limito a questo. Faccio scivolare la mia mano tra le sue gambe e le mie dita, bagnate dei suoi succhi, entrano facilmente in lei. La sento sussultare e stringersi attorno a me, le sue pareti interne che pulsano al ritmo della mia lingua. Spingo e ritiro le dita, trovando un ritmo che la fa gemere più forte, il suo sapore che esplode nella mia bocca. È un'esplosione di dare e ricevere, un atto di pura devozione carnale. La pressione delle nostre bocche, la suzione, il movimento frenetico delle lingue e delle mie dita ci spingono entrambe sull'orlo.
Yuko si inarca sotto di me, i suoi fianchi spingono la mia testa più a fondo. Le sue mani affondano nei miei capelli, tirando leggermente. Sento il suo corpo tremare e so che sta per arrivare. Le do l'ultimo, lungo bacio sul clitoride, spingendo le dita più a fondo, mentre lei mi ricambia con una suzione potente e prolungata. Veniamo insieme, urlando i nostri nomi, in un orgasmo che sembra scuotere le fondamenta dell'hotel, il mio corpo che si contrae e rilascia sul suo, il suo che si inarca contro la mia mano e la mia bocca.
Cadiamo l'una sull'altra, esauste, un groviglio di capelli neri e arti sudati. Rimaniamo così, in silenzio, per un tempo che sembra infinito. Il suo cuore batte forte contro il mio petto.
"Ciao," sussurra, con un filo di voce, come se ci fossimo appena incontrate.
Sorrido contro la sua pelle umida. "Ciao, Yuko."
Sono alta, snella, con un corpo che ho imparato ad accettare: un seno normale, né piccolo né grande, fianchi stretti e un sedere sodo, quasi sporgente, che attira attenzioni non richieste. I miei capelli sono due cascate d'inchiostro, lunghi, lisci e neri, che oggi mi solleticano la schiena nuda lasciata scoperta dalla maglietta rossa della scuderia. Al collo, come sempre, porto il mio piccolo ciondolo d'argento, una falce di luna crescente che è il mio amuleto, il mio pezzetto di notte personale.
Poi, nel bel mezzo del ruggito di una SF-25 che sfreccia sul rettilineo, sento una vibrazione diversa, più intima, contro la mia coscia. Sfilo il telefono dalla tasca della gonna. Sullo schermo, un solo nome che ha il potere di fermare il tempo: Yuko.
Il messaggio è un colpo al cuore, una scarica di pura adrenalina che fa sembrare il Gran Premio un giro in giostra per bambini.
«Gioia, mollo tutto e vengo lì da te. Faremo l'amore tra una prova e l'altra.»
Il mondo intorno a me svanisce. Il rombo dei motori diventa un brusio lontano, la folla si trasforma in un acquerello sfocato. Il mio respiro si blocca in gola. Un'ondata di calore mi parte dal centro del petto e si irradia ovunque, fino alla punta delle dita e, con una prepotenza quasi dolorosa, in mezzo alle gambe. Le mie mutandine grigie, un semplice pezzo di cotone, diventano improvvisamente umide. Sarebbe stata la prima volta. La prima volta che i suoi pixel si sarebbero trasformati in pelle, il suo odore digitale in un profumo vero, il suono della sua voce attraverso gli auricolari in un sussurro contro il mio orecchio. Un misto di panico e desiderio puro mi fa tremare le mani. Non so quando arriverà, non so nulla. So solo che sta arrivando.
Indosso una gonna a pieghe nera, corta, che lascia scoperte le mie lunghe gambe, abbinata a delle semplici scarpe bianche basse, con dei calzini candidi che sbucano appena. Un'uniforme quasi da studentessa, in netto contrasto con la maglietta e il cappellino da tifosa sfegatata. E sotto, quel piccolo segreto umido che pulsa al ritmo dei miei pensieri impazziti. Provo a scriverle, un "Quando?" tremolante, ma non ricevo risposta. Probabilmente è già in viaggio, in treno o in auto, e sta correndo da me.
Le ore successive sono una tortura. Ogni donna alta e snella con i capelli neri che vedo tra la folla mi fa balzare il cuore in gola. Il sole inizia a calare, tingendo il cielo sopra l'autodromo di arancione e viola, e proprio quando la speranza comincia a trasformarsi in un'ansia sorda, il telefono vibra di nuovo.
«Sono qua fuori che ti aspetto.»
Il mio cuore smette di battere per un istante e poi riparte come un motore al massimo dei giri. Mi faccio largo tra la gente, chiedo scusa senza nemmeno guardare in faccia nessuno, con gli occhi fissi sull'uscita principale. Sapevo che l'avrei riconosciuta subito, anche in mezzo a mille persone. La sua immagine è impressa a fuoco dietro le mie palpebre.
Ed eccola lì. Appoggiata a una transenna, calma in mezzo al caos. È ancora più bella che in foto. Alta, slanciata, con una grazia naturale che la fa sembrare una danzatrice. I suoi capelli, neri e lisci come i miei, le incorniciano un viso dai tratti delicati ma decisi. Indossa dei jeans scuri che le fasciano le gambe toniche e una semplice maglietta bianca che lascia intravedere la curva del suo seno. Ai polsi, una cascata di braccialetti d'argento tintinna leggermente. E al collo, la sua collanina, con quella piccola pietra color acquamarina che catturava la luce, un punto di colore puro contro la sua pelle.
I nostri sguardi si incrociano. Tutto il rumore, tutta la gente, scompare di nuovo. Esistiamo solo noi. Un sorriso lento, meraviglioso, le spunta sulle labbra. È un sorriso che conosco, ma vederlo dal vivo mi toglie il fiato. In quell'istante, ogni paura svanisce, lasciando solo una certezza assoluta. Mi avvicino, prima piano, poi quasi di corsa.
Non dico una parola. Le butto le braccia al collo e la stringo forte, affondando il viso nell'incavo della sua spalla. Il suo profumo mi avvolge, un misto di agrumi e di qualcosa di pulito, di unicamente suo. Le sue braccia mi circondano la schiena, forti, sicure. E in quell'abbraccio, per la prima volta, mi sento completamente protetta, come se ogni pezzo di me avesse finalmente trovato il suo posto. Mi sento a casa.
Quando ci stacchiamo, i nostri visi sono a un soffio di distanza. I suoi occhi scuri mi scrutano, e poi si abbassano sulle mie labbra. Lentamente, annulla la distanza. Il primo contatto è morbido, un tocco esitante. Poi le sue labbra si schiudono contro le mie, e il bacio diventa vero. Sa di menta e di Yuko. È un bacio umido, tenero e affamato al tempo stesso, un bacio che racconta giorni di attesa, di desiderio sussurrato attraverso uno schermo. Le mie mani si aggrappano alle sue spalle, mentre le sue scivolano sulla mia schiena, premendomi contro di lei.
"Sei ancora più bella dal vivo, Fuuka," sussurra contro la mia bocca.
"Anche tu," riesco a malapena a rispondere.
Parliamo poco mentre camminiamo verso l'hotel dove alloggio, tenendoci per mano. Le parole non servono. Serve solo la sensazione della sua pelle contro la mia, la realtà della sua presenza. Arriviamo davanti alla porta della mia stanza. Infilo la chiave elettronica nella fessura, ma prima che possa aprire, Yuko mi ferma. Mi fa voltare verso di lei, mi spinge dolcemente contro il legno freddo della porta. Mi prende entrambe le mani e me le blocca sopra la testa con una delle sue. Il suo corpo preme contro il mio. Il suo sguardo è diventato scuro, intenso.
"Ho aspettato troppo a lungo per questo," mormora, e poi la sua bocca si schianta di nuovo sulla mia. Questo bacio non ha nulla di tenero. È pura passione, una fame a lungo repressa. La sua lingua invade la mia bocca con sicurezza, esplorando, assaggiando, reclamando. Una delle sue mani scivola lungo il mio fianco, si posa sulla curva del mio sedere e stringe, facendomi ansimare nel bacio. Sento il suo bacino premere contro il mio, e non ho dubbi sulla sua eccitazione.
Finalmente, apre la porta e quasi mi trascina dentro, chiudendosela alle spalle con un calcio. La stanza è immersa nella penombra, ma i nostri corpi sembrano brillare di luce propria. Mi spinge contro la parete e continua a baciarmi, mentre le sue mani esperte mi sfilano la maglietta della Ferrari. La mia luna d'argento brilla contro la mia pelle accaldata. Le sue dita tracciano il contorno del ciondolo, per poi scendere più in basso. Io, con le mani finalmente libere, le sfilo la sua, liberando il suo busto snello e il suo seno perfetto. La sua pietra acquamarina le poggia tra i seni, un punto di luce fredda sul suo corpo bollente.
Ci spogliamo a vicenda con una fretta febbrile, un groviglio di braccia, gambe e vestiti gettati a terra. E poi siamo pelle contro pelle, sul letto. Yuko si mette sopra di me, mi studia per un istante, e io mi sento completamente esposta, vulnerabile e incredibilmente desiderata.
"Sei un capolavoro," dice, la voce roca.
Inizia un'esplorazione lenta, una mappatura del mio corpo che ha solo potuto immaginare. Le sue labbra scendono dal mio collo, si soffermano sul mio seno, la sua lingua disegna cerchi attorno a un capezzolo che si indurisce all'istante. Le mie mani affondano nei suoi capelli neri, mentre un gemito mi sfugge dalle labbra. Scende ancora, baciandomi lo stomaco, i fianchi, fino ad arrivare all'elastico delle mie mutandine grigie, ormai fradice. Le toglie con una lentezza esasperante, e poi il suo sguardo si posa lì, sulla mia figa. Il suo alito caldo mi fa fremere.
Il suo primo tocco con la lingua è una scossa elettrica che mi inarca la schiena. Inizia a leccarmi con una devozione che mi fa sentire venerata. Mentre la sua bocca non lascia un istante il mio clitoride, sento la pressione delle sue dita contro il mio ingresso bagnato. Prima uno, poi due, scivolano dentro di me con una facilità sconcertante, riempiendomi, stirando le mie pareti interne. La doppia stimolazione è una tortura divina. La sua lingua mi fa impazzire, portandomi sempre più in alto, mentre le sue dita si muovono dentro di me, trovando un ritmo perfetto. Il piacere cresce, un'onda inarrestabile. Sento l'orgasmo arrivare, e in un gesto involontario di pudore porto la mano destra tremante al viso, quasi a volermi nascondere dall'intensità di quella sensazione. Lei mi tiene ferma per i fianchi. "Lasciati andare per me, gioia," sussurra, e io obbedisco. Vengo con un grido soffocato, il corpo scosso dagli spasmi, mentre una risata nervosa e senza fiato mi sfugge dalle labbra. Lei continua a leccarmi e a muovere le dita dentro di me, bevendo il mio piacere fino all'ultima goccia.
Mentre sono ancora persa nelle scosse del mio orgasmo, Yuko risale lungo il mio corpo. Si mette a cavalcioni su di me, in ginocchio sul letto ai lati della mia testa. La sua figura mi sovrasta, i suoi capelli neri le ricadono sulle spalle, la sua pietra acquamarina dondola ipnotica tra i suoi seni. "Adesso assaggiami tu," mi ordina con voce roca. Lentamente, abbassa il suo bacino, portando la sua vulva umida e calda a pochi centimetri dalla mia bocca. L'odore della sua eccitazione mi riempie le narici, mandandomi di nuovo in estasi. Alzo la testa e la bacio, leccando le sue grandi labbra, assaggiando il suo sapore, che è un misto di dolce e salato. Lei geme, un suono profondo e gutturale. Inizio a leccarla con foga, la mia lingua che esplora ogni piega, trovando subito il suo clitoride. Lei si muove sopra di me, strusciandosi contro la mia bocca, guidando i miei movimenti, le sue mani affondate nei miei capelli. È una posizione di potere, di totale abbandono da parte sua e di completa devozione da parte mia.
Quando sento che il suo piacere sta raggiungendo il culmine, la spingo dolcemente e la faccio stendere sulla schiena. "Adesso tocca a noi giocare," le dico. Con un movimento fluido, mi giro e mi posiziono su di lei, assumendo la posizione del 69. La mia testa è tra le sue gambe, la mia vagina premuta contro la sua bocca. La sua testa è tra le mie, e sento il suo alito caldo e umido sul mio clitoride ancora sensibile.
Iniziamo a leccarci a vicenda con una sincronia perfetta. Mentre la sua bocca torna a dedicar si a me, io affondo il viso nella sua figa, assaggiando i suoi succhi, succhiando il suo clitoride con bramosia. Non mi limito a questo. Faccio scivolare la mia mano tra le sue gambe e le mie dita, bagnate dei suoi succhi, entrano facilmente in lei. La sento sussultare e stringersi attorno a me, le sue pareti interne che pulsano al ritmo della mia lingua. Spingo e ritiro le dita, trovando un ritmo che la fa gemere più forte, il suo sapore che esplode nella mia bocca. È un'esplosione di dare e ricevere, un atto di pura devozione carnale. La pressione delle nostre bocche, la suzione, il movimento frenetico delle lingue e delle mie dita ci spingono entrambe sull'orlo.
Yuko si inarca sotto di me, i suoi fianchi spingono la mia testa più a fondo. Le sue mani affondano nei miei capelli, tirando leggermente. Sento il suo corpo tremare e so che sta per arrivare. Le do l'ultimo, lungo bacio sul clitoride, spingendo le dita più a fondo, mentre lei mi ricambia con una suzione potente e prolungata. Veniamo insieme, urlando i nostri nomi, in un orgasmo che sembra scuotere le fondamenta dell'hotel, il mio corpo che si contrae e rilascia sul suo, il suo che si inarca contro la mia mano e la mia bocca.
Cadiamo l'una sull'altra, esauste, un groviglio di capelli neri e arti sudati. Rimaniamo così, in silenzio, per un tempo che sembra infinito. Il suo cuore batte forte contro il mio petto.
"Ciao," sussurra, con un filo di voce, come se ci fossimo appena incontrate.
Sorrido contro la sua pelle umida. "Ciao, Yuko."
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