“Gioco delle coppie N.3” – Capitolo 43
di
penna
genere
confessioni
Questa serie di racconti prende spunto da un’esperienza dell’autore che, attraverso la penna, confessa con fantasia l’evoluzione della realtà.
Per contatti: pennaefantasia@gmail.com
Vi invito a lasciare un commento oppure a scrivermi in privato.
L’invito che Noemi aveva lasciato sospeso prima trovò presto la sua risposta.
Loretta si alzò, percorse lo spazio come chi attraversa il confine tra osservarsi e partecipare. Il pareo, ormai umido, fece un fruscio sommesso mentre si posava sul pavimento: un gesto che fece sentire la stanza meno divisa, più pronta a una nuova forma.
Si sedette accanto a Noemi, vicine come due taciti accordi. Il primo contatto fu un tocco leggero: un dito che tracciò la linea del viso, seguì il mento finché non arrivò al collo, una richiesta gentile. Noemi inclina la testa, accoglie, e quando le loro labbra si incontrarono fu un bacio lento, che non pretendeva altro che esplorare il senso di quel momento.
Carlo li osservava, le mani riposate sulle cosce di entrambe. C’era in lui una concentrazione che non aveva nulla di possessivo: era piuttosto l’attenzione di chi vuole amplificare il piacere condiviso.
Mauro si alzò e si avvicinò, una mano che venne a poggiarsi sulla schiena di Loretta con delicatezza.
Il suo tocco si fuse con la carezza femminile; insieme, costruirono un intreccio senza confini netti.
I loro movimenti si fecero più sincronici, non perché avessero un piano, ma perché si ascoltavano.
Noemi guidava, ora verso Carlo, ora verso Loretta, e il gruppo si riorganizzava intorno a ogni spostamento. Le mani si intrecciavano, la pelle si sfiorava con la dolcezza di chi conosce il linguaggio della leggerezza e anche la forza della fermezza.
«Così,» sospirò Loretta, con la voce che tremava appena per l’emozione. «Così mi sembra tutto più vero.» Noemi la guardò e rispose con un sorriso che aveva il calore di un fuoco domato: «Lo è. Lo è davvero.» Parlavano poco; le parole erano comode come coperte intorno ai respiri.
Per lunghi minuti non servirono parole: c’era il crepitio del camino, il respiro condiviso, il ritmo dei corpi che si adattavano e si cercavano. La camera diventò un’unica superficie sensibile: le mani percorrevano schiene, avvolgevano fianchi, sfioravano spalle. Ogni contatto era un piccolo accordo che aggiungeva una nota al tema più grande della serata.
Non ci furono urgenze, né prove di possesso; solo volontà di ascoltare, di restituire. Quando il movimento rallentò, rimasero abbracciati, le fronti vicine, gli occhi chiusi. Le luci tracciavano ombre che sembravano disegnare nuovi confini sui loro corpi. Linee che non dividevano, ma univano.
«Siamo diversi da prima,» mormorò Mauro, la voce bassa come un fondale.
Loretta aprì gli occhi e lo guardò: «Sì. E non so se è meglio o peggio. È solo diverso.»
Lui la baciò in un punto qualsiasi del viso, lieve, come per suggellare quell’accordo.
Anche Carlo e Noemi si scambiarono uno sguardo che parlava di scoperte e di promesse: niente era imposto, tutto era accettato.
Più tardi, decisero di rimettersi in movimento con un ultimo bagno nella piscina centrale della SPA.
L’acqua li accolse, e il freddo della notte fuori contrastava la calda intimità che avevano appena consumato. La neve cadeva oltre le vetrate — un manto silenzioso che sembrava proteggere la casa dal resto del mondo — e il vapore che si sollevava dalla piscina disegnava una nebbia sottile intorno a loro, come se volessero tenere custodito quel momento.
Nel silenzio complice del ritorno alla suite, il camino era ormai spento ma il calore non se n’era andato. Si sdraiarono insieme su grandi cuscini, le mani ancora alla ricerca di contatti che non erano più urgenti. La conversazione si fece lieve, parlando di piccole cose: di come il vento avesse portato la neve, di un film visto anni prima, di una canzone che ricordava l’infanzia. Quelle banalità costruivano un ponte tra l’intimità fisica e quella emotiva.
Quando si ritirarono, ognuno portò con sé una sensazione nuova: la consapevolezza che i confini condivisi non erano limiti ma possibilità.
Tre giorni di SPA si erano chiusi come un capitolo che non pretendeva di definire il resto: era piuttosto un passo avanti, un’apertura di scenari. Nessuna regola scritta rimaneva immutabile; tutto si era trasformato in un dialogo continuo, fatto di sguardi, di tocchi e di rispetto.
E mentre la notte scivolava nel silenzio, restava la certezza che qualcosa, tra loro, era cambiato per sempre.
Non perché lo avessero deciso con parole solenni, ma perché lo avevano scelto con i gesti più semplici: una mano che trova un’altra mano, un bacio che non pretende, il volto appoggiato a un altro volto.
Quella intimità rimaneva, dolce e luminosa, pronta a farsi racconto.
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L’invito che Noemi aveva lasciato sospeso prima trovò presto la sua risposta.
Loretta si alzò, percorse lo spazio come chi attraversa il confine tra osservarsi e partecipare. Il pareo, ormai umido, fece un fruscio sommesso mentre si posava sul pavimento: un gesto che fece sentire la stanza meno divisa, più pronta a una nuova forma.
Si sedette accanto a Noemi, vicine come due taciti accordi. Il primo contatto fu un tocco leggero: un dito che tracciò la linea del viso, seguì il mento finché non arrivò al collo, una richiesta gentile. Noemi inclina la testa, accoglie, e quando le loro labbra si incontrarono fu un bacio lento, che non pretendeva altro che esplorare il senso di quel momento.
Carlo li osservava, le mani riposate sulle cosce di entrambe. C’era in lui una concentrazione che non aveva nulla di possessivo: era piuttosto l’attenzione di chi vuole amplificare il piacere condiviso.
Mauro si alzò e si avvicinò, una mano che venne a poggiarsi sulla schiena di Loretta con delicatezza.
Il suo tocco si fuse con la carezza femminile; insieme, costruirono un intreccio senza confini netti.
I loro movimenti si fecero più sincronici, non perché avessero un piano, ma perché si ascoltavano.
Noemi guidava, ora verso Carlo, ora verso Loretta, e il gruppo si riorganizzava intorno a ogni spostamento. Le mani si intrecciavano, la pelle si sfiorava con la dolcezza di chi conosce il linguaggio della leggerezza e anche la forza della fermezza.
«Così,» sospirò Loretta, con la voce che tremava appena per l’emozione. «Così mi sembra tutto più vero.» Noemi la guardò e rispose con un sorriso che aveva il calore di un fuoco domato: «Lo è. Lo è davvero.» Parlavano poco; le parole erano comode come coperte intorno ai respiri.
Per lunghi minuti non servirono parole: c’era il crepitio del camino, il respiro condiviso, il ritmo dei corpi che si adattavano e si cercavano. La camera diventò un’unica superficie sensibile: le mani percorrevano schiene, avvolgevano fianchi, sfioravano spalle. Ogni contatto era un piccolo accordo che aggiungeva una nota al tema più grande della serata.
Non ci furono urgenze, né prove di possesso; solo volontà di ascoltare, di restituire. Quando il movimento rallentò, rimasero abbracciati, le fronti vicine, gli occhi chiusi. Le luci tracciavano ombre che sembravano disegnare nuovi confini sui loro corpi. Linee che non dividevano, ma univano.
«Siamo diversi da prima,» mormorò Mauro, la voce bassa come un fondale.
Loretta aprì gli occhi e lo guardò: «Sì. E non so se è meglio o peggio. È solo diverso.»
Lui la baciò in un punto qualsiasi del viso, lieve, come per suggellare quell’accordo.
Anche Carlo e Noemi si scambiarono uno sguardo che parlava di scoperte e di promesse: niente era imposto, tutto era accettato.
Più tardi, decisero di rimettersi in movimento con un ultimo bagno nella piscina centrale della SPA.
L’acqua li accolse, e il freddo della notte fuori contrastava la calda intimità che avevano appena consumato. La neve cadeva oltre le vetrate — un manto silenzioso che sembrava proteggere la casa dal resto del mondo — e il vapore che si sollevava dalla piscina disegnava una nebbia sottile intorno a loro, come se volessero tenere custodito quel momento.
Nel silenzio complice del ritorno alla suite, il camino era ormai spento ma il calore non se n’era andato. Si sdraiarono insieme su grandi cuscini, le mani ancora alla ricerca di contatti che non erano più urgenti. La conversazione si fece lieve, parlando di piccole cose: di come il vento avesse portato la neve, di un film visto anni prima, di una canzone che ricordava l’infanzia. Quelle banalità costruivano un ponte tra l’intimità fisica e quella emotiva.
Quando si ritirarono, ognuno portò con sé una sensazione nuova: la consapevolezza che i confini condivisi non erano limiti ma possibilità.
Tre giorni di SPA si erano chiusi come un capitolo che non pretendeva di definire il resto: era piuttosto un passo avanti, un’apertura di scenari. Nessuna regola scritta rimaneva immutabile; tutto si era trasformato in un dialogo continuo, fatto di sguardi, di tocchi e di rispetto.
E mentre la notte scivolava nel silenzio, restava la certezza che qualcosa, tra loro, era cambiato per sempre.
Non perché lo avessero deciso con parole solenni, ma perché lo avevano scelto con i gesti più semplici: una mano che trova un’altra mano, un bacio che non pretende, il volto appoggiato a un altro volto.
Quella intimità rimaneva, dolce e luminosa, pronta a farsi racconto.
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