“Esposizione in piazzola” – Capitolo 34
di
penna
genere
confessioni
Questa serie di racconti prende spunto da un’esperienza dell’autore che, attraverso la penna, confessa con fantasia l’evoluzione della realtà.
Per contatti: pennaefantasia@gmail.com
Loretta in quei giorni brillava in modo diverso. Come se il piacere ricevuto non fosse mai abbastanza, se non accompagnato da uno sguardo, da un’attenzione, da una conferma. In quel periodo viveva in una tensione costante tra desiderio ed esibizione, e ogni gesto sembrava una prova generale per qualcosa di più grande.
Carlo se ne accorse presto. Una mattina, mentre bevevano un caffè frettoloso in un bar, Carlo glielo disse chiaramente.
«Tu vuoi essere il centro di un cerchio che non si chiude mai.»
Loretta alzò un sopracciglio, appoggiando con eleganza la tazzina. «È così evidente?»
«È la tua forza!» Fece una breve pausa.
«Vorrei proporti una prova diversa, per noi e per Mauro. Assieme»
Lei lo guardò, un sorriso sottile tra le labbra. «Come?»
Lui si avvicinò appena, chinando la testa. Parlava a bassa voce, come se stesse proponendo una cospirazione.
«Questa sera. Mauro ci accompagna. Ho un posto. Una piazzola, poco fuori città. Sulla statale. Ci passano camionisti, corpi in cerca di attenzione che offrono piacere. Nessuno giudica. Solo occhi, se non invitati.»
Loretta non chiese altro. Solo un cenno. «Mi piacerebbe, sì.»
E così, la sera stessa, uscirono come se dovessero semplicemente fare un giro in macchina. Mauro guidava, all’oscuro della meta e della situazione, con l’eleganza discreta di chi ha imparato a trattenersi. Loretta accanto a lui era disarmante: indossava solo un vestito corto, scollato e con taglio impeccabile, calze nere leggere, tacchi e un cappotto caldo lasciato appena aperto. Carlo sedeva dietro, silenzioso, ma attento.
Quando lasciarono le luci del paese, l’aria cambiò. I fari tagliavano il buio dell’asfalto con una traiettoria precisa. Loretta accavallava e disfaceva le gambe con lentezza, come se stesse cercando il ritmo. Mauro non parlava, ma si irrigidiva appena a ogni suo movimento. Carlo, dal sedile posteriore, osservava tutto e dava indicazioni a Mauro sulla strada da seguire. Poi fece cenno di accostare.
«Non rallentare quando arriviamo. Fermati appena dopo la piazzola. Lascia motore e fari accesi. Chiudi l’auto. Non scendere. E... abbassa i finestrini dietro solo quando te lo dico io.» ordinò Carlo, con calma.
Mauro annuì. Senza domande. Comprese solo ora la situazione.
La piazzola era come l’aveva descritta Carlo: un angolo remoto, illuminato a intermittenza, con qualche sagoma in lontananza. Un camion fermo, due uomini in piedi vicino a una panchina, una figura alta e magra con un giubbotto luccicante che fumava, il trucco esagerato. Sguardi veloci, nessuna sorpresa. Come se l’auto fosse solo un’altra presenza nel paesaggio notturno.
Una volta fermati, Carlo invitò Loretta a seguirlo sul sedile posteriore. Eseguì. Il cappotto cadde sul pavimento dell’auto. Le gambe si riflessero nel vetro del finestrino, mentre lei si posizionava a cavalcioni su di lui, voltando però la testa verso Mauro. Era lui, il pubblico. In quel momento l’unico.
La scena che si svolse in auto fu carica, eppure contenuta in un equilibrio ipnotico. I movimenti erano lenti, studiati. Non c’era nulla di caotico. Era quasi una coreografia.
Loretta lasciava che Carlo esplorasse ogni parte di lei con precisione, ma era lei a decidere ritmo, pause, respiri. Ogni tanto abbassava la voce, sussurrando qualcosa che Mauro non poteva udire.
Fuori, qualcuno si avvicinò. Si fermarono a guardare. Un uomo accese una sigaretta, un altro si accostò con mani in tasca. Una trans col rossetto scuro si avvicinò al finestrino posteriore, vide, sorrise. Restò a guardare a sua volta.
Loretta li notò. Non si fermò.
«Lasciamo che ci guardino meglio.» disse Carlo.
Mauro abbassò i finestrini con un gesto deciso. L’aria fredda entrò come un’onda improvvisa, ma il calore all’interno non diminuì. Carlo prese quel gesto come un segnale. Sollevò Loretta, la fece girare, appoggiò il suo petto contro il sedile posteriore, le gambe aperte verso il finestrino. I fari del camion ora illuminavano il corpo di lei come in un teatro clandestino. Era puro desiderio, offerto. Carne esposta, ma con dignità regale.
I gemiti di Loretta, inizialmente contenuti, divennero onde piene. Ogni scossa del suo corpo era amplificata dall’eco degli occhi altrui. Non era solo sesso. Era esibizione. E potere.
Carlo la penetrava con forza ora, mentre le mani di lei si aggrappavano al poggiatesta. Lei si voltò verso Mauro, sudata, i capelli sciolti e disordinati sul volto.
Quando Loretta si lasciò andare, fu come un canto spezzato. Poi cadde lentamente tra le braccia di Carlo, ansimante, ancora vibrazioni sotto la pelle. Carlo restava saldo. La assecondava, la seguiva, la sorreggeva. Ma non prendeva mai il controllo. Non quella sera. Perché il centro era lei.
Mauro, con le mani salda al volante, il respiro trattenuto e gli occhi colmi di qualcosa di antico, la guardava dallo specchietto retrovisore.
Uno dei camionisti applaudì piano, con stupore.
La trans sorrise e si allontanò, portando con sé il segreto di quella visione concessa.
Loretta si sistemò lentamente, con lo stesso gusto con cui si era spogliata.
«Ti va di tornare?» Sussurrò Carlo all’orecchio di Mauro.
Mauro prese fiato. «Sì. Ma stavolta… voglio che lo sappiano. Che sono il marito.»
Loretta rise, soddisfatta, posando una mano calda sulla sua spalla.
«Lo sapranno tutti.»
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Loretta in quei giorni brillava in modo diverso. Come se il piacere ricevuto non fosse mai abbastanza, se non accompagnato da uno sguardo, da un’attenzione, da una conferma. In quel periodo viveva in una tensione costante tra desiderio ed esibizione, e ogni gesto sembrava una prova generale per qualcosa di più grande.
Carlo se ne accorse presto. Una mattina, mentre bevevano un caffè frettoloso in un bar, Carlo glielo disse chiaramente.
«Tu vuoi essere il centro di un cerchio che non si chiude mai.»
Loretta alzò un sopracciglio, appoggiando con eleganza la tazzina. «È così evidente?»
«È la tua forza!» Fece una breve pausa.
«Vorrei proporti una prova diversa, per noi e per Mauro. Assieme»
Lei lo guardò, un sorriso sottile tra le labbra. «Come?»
Lui si avvicinò appena, chinando la testa. Parlava a bassa voce, come se stesse proponendo una cospirazione.
«Questa sera. Mauro ci accompagna. Ho un posto. Una piazzola, poco fuori città. Sulla statale. Ci passano camionisti, corpi in cerca di attenzione che offrono piacere. Nessuno giudica. Solo occhi, se non invitati.»
Loretta non chiese altro. Solo un cenno. «Mi piacerebbe, sì.»
E così, la sera stessa, uscirono come se dovessero semplicemente fare un giro in macchina. Mauro guidava, all’oscuro della meta e della situazione, con l’eleganza discreta di chi ha imparato a trattenersi. Loretta accanto a lui era disarmante: indossava solo un vestito corto, scollato e con taglio impeccabile, calze nere leggere, tacchi e un cappotto caldo lasciato appena aperto. Carlo sedeva dietro, silenzioso, ma attento.
Quando lasciarono le luci del paese, l’aria cambiò. I fari tagliavano il buio dell’asfalto con una traiettoria precisa. Loretta accavallava e disfaceva le gambe con lentezza, come se stesse cercando il ritmo. Mauro non parlava, ma si irrigidiva appena a ogni suo movimento. Carlo, dal sedile posteriore, osservava tutto e dava indicazioni a Mauro sulla strada da seguire. Poi fece cenno di accostare.
«Non rallentare quando arriviamo. Fermati appena dopo la piazzola. Lascia motore e fari accesi. Chiudi l’auto. Non scendere. E... abbassa i finestrini dietro solo quando te lo dico io.» ordinò Carlo, con calma.
Mauro annuì. Senza domande. Comprese solo ora la situazione.
La piazzola era come l’aveva descritta Carlo: un angolo remoto, illuminato a intermittenza, con qualche sagoma in lontananza. Un camion fermo, due uomini in piedi vicino a una panchina, una figura alta e magra con un giubbotto luccicante che fumava, il trucco esagerato. Sguardi veloci, nessuna sorpresa. Come se l’auto fosse solo un’altra presenza nel paesaggio notturno.
Una volta fermati, Carlo invitò Loretta a seguirlo sul sedile posteriore. Eseguì. Il cappotto cadde sul pavimento dell’auto. Le gambe si riflessero nel vetro del finestrino, mentre lei si posizionava a cavalcioni su di lui, voltando però la testa verso Mauro. Era lui, il pubblico. In quel momento l’unico.
La scena che si svolse in auto fu carica, eppure contenuta in un equilibrio ipnotico. I movimenti erano lenti, studiati. Non c’era nulla di caotico. Era quasi una coreografia.
Loretta lasciava che Carlo esplorasse ogni parte di lei con precisione, ma era lei a decidere ritmo, pause, respiri. Ogni tanto abbassava la voce, sussurrando qualcosa che Mauro non poteva udire.
Fuori, qualcuno si avvicinò. Si fermarono a guardare. Un uomo accese una sigaretta, un altro si accostò con mani in tasca. Una trans col rossetto scuro si avvicinò al finestrino posteriore, vide, sorrise. Restò a guardare a sua volta.
Loretta li notò. Non si fermò.
«Lasciamo che ci guardino meglio.» disse Carlo.
Mauro abbassò i finestrini con un gesto deciso. L’aria fredda entrò come un’onda improvvisa, ma il calore all’interno non diminuì. Carlo prese quel gesto come un segnale. Sollevò Loretta, la fece girare, appoggiò il suo petto contro il sedile posteriore, le gambe aperte verso il finestrino. I fari del camion ora illuminavano il corpo di lei come in un teatro clandestino. Era puro desiderio, offerto. Carne esposta, ma con dignità regale.
I gemiti di Loretta, inizialmente contenuti, divennero onde piene. Ogni scossa del suo corpo era amplificata dall’eco degli occhi altrui. Non era solo sesso. Era esibizione. E potere.
Carlo la penetrava con forza ora, mentre le mani di lei si aggrappavano al poggiatesta. Lei si voltò verso Mauro, sudata, i capelli sciolti e disordinati sul volto.
Quando Loretta si lasciò andare, fu come un canto spezzato. Poi cadde lentamente tra le braccia di Carlo, ansimante, ancora vibrazioni sotto la pelle. Carlo restava saldo. La assecondava, la seguiva, la sorreggeva. Ma non prendeva mai il controllo. Non quella sera. Perché il centro era lei.
Mauro, con le mani salda al volante, il respiro trattenuto e gli occhi colmi di qualcosa di antico, la guardava dallo specchietto retrovisore.
Uno dei camionisti applaudì piano, con stupore.
La trans sorrise e si allontanò, portando con sé il segreto di quella visione concessa.
Loretta si sistemò lentamente, con lo stesso gusto con cui si era spogliata.
«Ti va di tornare?» Sussurrò Carlo all’orecchio di Mauro.
Mauro prese fiato. «Sì. Ma stavolta… voglio che lo sappiano. Che sono il marito.»
Loretta rise, soddisfatta, posando una mano calda sulla sua spalla.
«Lo sapranno tutti.»
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